Lo SVA apparve sin dall'inizio come una promettente macchina operativa, nei limiti di cui si e detto, ed il suo sviluppo prese due strade consistenti nella produzione in grande serie e nello studio di numerose versioni destinate ad ampliarne le possibilità.
Nel settembre 1917 l'Ansaldo aveva assorbito la SIT (Società Italiana Transaerea di Torino), creando così il cantiere n.3 dal quale i primi SVA uscirono nella primavera 1918. Contemporaneamente, il ministero richiedeva la costruzione del velivolo in altre aziende: la Savoia di Bosisio, l'AER di Orbassano e la Moncenisio di Condove, con commesse che superavano i mille esemplari.
Sino alla primavera 1918 lo SVA venne principalmente prodotto in due versioni base: lo SVA 4, direttamente derivato dal prototipo, dotato di macchine fotografiche e serbatoio per quattro ore di volo, e lo SVA 5 (che fu il tipo più diffuso) dotato di armamento di lancio e serbatoio per sei ore di autonomia. Lo SVA 3 era sostanzialmente identico al tipo 4, eccetto che per l'apertura alare ridotta da 9,18 a 7,75 metri nell'intento di renderlo più maneggevole: i pochi esemplari disponibili furono usati frammisti a SVA 4 e 5.
In collaborazione con il colonnello Guidoni e su richiesta della Regia Marina, l'Ansaldo studiò anche una versione idrovolante dello SVA 4 (ISVA) applicandovi dei galleggianti tubolari muniti di particolari alette idroplane per facilitare il distacco dall'acqua. Le prove diedero risultati soddisfacenti, ma il velivolo era di difficile pilotaggio (specie all'ammaraggio) e ne furono ordinati solo 50 esemplari.
Maggiore successo ebbero le variati biposto, destinate ad ampliare notevolmente le possibilità operative dello SVA. Proprio in vista dello sviluppo delle nuove versioni erano stati effettuati, a partire dall'agosto 1917, alcuni raid dimostrativi con SVA modificati. Il primo fu di 1100 chilometri (Torino-Udine-Torino), percorsi da Stoppani in 5 ore; il secondo, di 600 chilometri (Torino-Roma) in 2 ore e 50 minuti. In entrambi fu toccata la media eccezionale di 220 chilometri l'ora. Altrettanto interessante fu il volo del maggiore Lombard sul percorso Milano-Foggia.
Le nuove versioni SVA 9 e SVA 10, progettate a Borzoli verso la fine del 1917, iniziarono i collaudi nei mesi di aprile-maggio 1918. Esse conservavano le caratteristiche del monoposto con modifiche sostanziali della fusoliera: lo SVA 9, destinato all'addestramento, era dotato di doppio comando, con eliminazione dell'armamento e riduzione del carico di carburante. Nello SVA 10 da ricognizione, l'osservatore era sistemato in un secondo posto alle spalle del pilota ed aveva a disposizione una mitragliatrice brendeggiabile tipo Lewis, per la copertura del settore posteriore. Su qualche velivolo venne anche installato un apparato radio-telegrafico per il collegamento con i posti di comando a terra. L'autonomia era identica a quella dello SVA 9. La produzione iniziale del biposto fu imperniata principalmente sullo SVA 9, che sin dall'estate fu dato in dotazione ad alcune scuole di pilotaggio.
Nel 1918 venne anche realizzata una versione più potente dello SVA 5 con l'Isotta-Fraschini V.6 da 250 cavalli. Con questo motore furono raggiunti i 235 chilometri orari, con prestazioni di volo e velocità di salita eccezionali per l'epoca. Altro propulsore sperimentato nella primavera-estate 1918 fu il Lorraine-Dietrich da 220 cavalli. Mentre della prima variante furono costruiti alcuni esemplari, il prototipo con il Lorraine non venne ulteriormente sviluppato.
Lo SVA 3 era sostanzialmente identico allo SVA 4, ma aveva l'apertura alare ridotta da 9.18 a 7.75 Mt. nell'intento di rendere l'aereo più maneggevole. (Archivio Bignozzi)
Alcuni SVA 4 vennero trasformati in versione idrovolante, equipaggiati con galleggianti tubolari. (Fototeca Storica nazionale)