Nella Seconda Guerra Mondiale l'Italia subì estese devastazioni provocate dai bombardamenti aerei anglo-americani, condotti indiscriminatamente su città inermi e su obiettivi militari. Può sembrare persino paradossale che proprio l'Italia sia stata, al tempo stesso, una vittima di quelle incursioni e la patria sia di colui che letteralmente inventò l'aeroplano da bombardamento sia del teorico che ne formula con straordinaria e lucida preveggenza le dottrine d'impiego. Prima ancora che scoppiasse la Grande Guerra, infatti, Gianni Caproni mette in pratica la formula, del tutto innovativa, del plurimotore che avrebbe trasportato un carico di bombe su un obiettivo nemico, mentre il comandante del Battaglione Aviatori, capitano Giulio Douhet, intravide nella creatura di Caproni il mezzo ideale per concretizzare una sua concezione, (ancora embrionale) sull'impiego del potere aereo ed ebbe, al di là delle percezioni teoriche, anche il merito di avere intuito subito l'enorme potenzialità insita nel mezzo e quindi favorito la sua produzione in serie. Nel primo conflitto mondiale il deterrente costituito dai Ca.300 prima e dai Ca.450 poi, fu elemento di grande rilievo nelle operazioni svolte sul fronte italiano e, in parte, anche su quello francese.
Verso la meta del 1913 la piccola industria aeronautica con annessa scuola militare di pilotaggio che Gianni Caproni gestiva a Vizzola Ticino, col sostegno finanziario del socio Luigi Facannoni, navigava in pessime acque a causa dell'esito negativo del Concorso Militare d'Aviazione tenutosi ai primi di aprile di quell'anno. Ambedue i tipi proposti, di cui uno di progettazione originale e l'altro di concezione Bristol in costruzione su licenza, non erano stati accettati dalle autorità militari. Gli eventi precipitarono: gli allievi della scuola vennero richiamati e il contratto fu rescisso; la crisi conseguente innescò il progressivo stato di insolvenza dell'azienda; Facannoni fu costretto a ritirarsi e l'intero complesso andò in liquidazione. La società venne quindi rilevata dallo Stato e affidata all'Amministrazione Militare, mentre Caproni rimase al proprio posto in qualità di direttore tecnico.
Non nuovo ai tracolli finanziari che nei sei anni precedenti avevano costellato gli alti e bassi della sua precaria attività, il pioniere non fu del tutto rammaricato dalla piega presa dagli avvenimenti, trovandosi, di fatto, sollevato da ogni preoccupazione legata alla sopravvivenza dell' azienda. Inoltre, potendo disinteressarsi dei problemi finanziari che avevano travagliato le precedenti gestioni, egli riuscì finalmente a lavorare a nuovi progetti con tranquillità e, soprattutto, senza alcuna limitazione economica connessa alla loro realizzazione. Tale circostanza, del tutto particolare e irripetibile, abbinata al "pensare in grande", che fu un elemento peculiare del suo carattere, creò le premesse che gli permisero di concepire un aeroplano che per dimensioni e impostazione generale era realmente d'avanguardia.
Si trattava infatti di un enorme biplano ad ali uguali, la cui originale architettura contemplava due fusoliere e una carlinga centrale nella quale, dietro ai due piloti, erano alloggiati tre motori rotativi Gnôme, uno dei quali, da 100 cavalli, azionava un'elica spingente in presa diretta e gli altri due, da 80 cavalli ciascuno, accoppiati da un differenziale, azionavano eliche laterali mediante barre di rinvio.
Un progetto ambizioso ed estremamente costoso che nessuna delle piccole società precedenti avrebbe mai potuto finanziare. Ma come spesso accade alle innovazioni più spinte, l'interesse per questa macchina tanto inusitata, con un simile agglomerato di unità motrici e una somma di cavalli-vapore tanto elevata, fu lento a manifestarsi. Si ebbe però la fortuna di trovare un tenace sostenitore in Giulio Douhet, che dalla sede di comando del Battaglione Aviatori auspicava insistentemente, e infine ottenne, il finanziamento per la realizzazione del prototipo, malgrado le resistenze di potenti frange conservatrici più i inclini a caldeggiare la costruzione di dirigibili.
Prima di passare alla fase realizzativa, si rese necessario razionalizzare la disposizione dell'apparato motopropulsore rivelatasi inutilmente complessa, nonché di difficile e costosa realizzazione. I disegni vennero riveduti dall'Ufficio tecnico del Ministero della Guerra, il cui responsabile, capitano Ottavio Ricaldoni, dispose in carlinga lo Gnôme da 100 HP in posizione spingente e colloca gli altri due in presa diretta, in testa alle rispettive fusoliere. Così semplificato, il prototipo fu completato nell'ottobre 1914 ed effettuò il primo volo sul campo di Vizzola Ticino, affidato al collaudatore Emilio Pensuti.
Fin dalle prime prove di volo, Pensuti non ritenne di apportare alcuna modifica all'apparecchio: il "Duecentosessanta" rivelò subito grande stabilita, ottime doti di volo e una maneggevolezza più che soddisfacente, considerata la sua mole. Tuttavia, la costruzione in serie non venne subito avviata a causa delle obiezioni emerse sui motori di provenienza straniera e i relativi problemi di approvvigionamento. Douhet suggerì di ovviarvi esportando il velivolo in Francia, le cui autorità militari avevano manifestato molto interesse per l'apparecchio, al punto da precedere addirittura il governo Italiano con una opzione di acquisto. La scelta definitiva delle unità motrici cadde poi sul lineare Fiat A 10 da 100 HP a sei cilindri raffreddati ad acqua, appena entrato in produzione, mentre la serie iniziale fu limitata a soli 12 esemplari (matricole Ca.478-488, Ca.702) ordinati il 29 dicembre 1914 dopo non poche diatribe tra sostenitori e detrattori dell'iniziativa, degenerate in aspri contrasti che finirono per costare il posto allo stesso Douhet, insistente fautore di un primo ordine di 40 macchine.
Al momento di perfezionare I'ordinazione (gennaio 1915), sorse però il curioso problema di chi dovesse essere il destinatario di quella prima commessa, non essendo più esistente a quell'epoca la Caproni. II mandato fu quindi emesso in favore di Arturo Mercanti, al quale erano stati ceduti in locazione i cantieri ex Caproni, con relativi terreni e maestranze. Nel marzo 1915 venne appositamente creata la "Società per lo Sviluppo dell'Aviazione in Italia", cooperativa a capitale illimitato presieduta dal senatore ingegner Carlo Esterle (che l'aveva promossa assieme allo stesso Mercanti), con eminenti personalità politiche come soci e Gianni Caproni come consulente tecnico. La società, il cui scopo statutario era proprio quello di produrre in serie il trimotore; fece riscattare dall'Amministrazione Militare, (ampliandole e attrezzandole) le officine di Vizzola Ticino per dare luogo alle prime consegne, e contemporaneamente imposto la costruzione di nuovi stabilimenti a Taliedo.
Due mesi dopo l'Italia entro in guerra e ulteriori commesse non tardarono ad arrivare dopo l'ottimo esordio al fronte dei primi esemplari del velivolo. Il 1913 può essere quindi considerato l'anno di nascita del velivolo da bombardamento espressamente concepito e realizzato come tale; e Gianni Caproni, il famoso costruttore italiano, fu colui che lo realizzo. Infatti, fu con Caproni che in Italia, per la prima volta nel mondo, poté cominciare ad affermarsi la teoria di Giulio Douhet che considerava l'aeroplano il mezzo determinante per la risoluzione di una guerra.
L'impostazione originale del progetto del Ca.1 (ridisegnato nel dopoguerra Ca.30) con tre motori rotativi in fusoliera, due dei quali, uniti da un differenziale, azionavano le eliche laterali mediante barre di rinvio. Altra differenza visibile, la forma e il numero delle derive verticali (Da Gianni Caproni, Gli aeroplani Caproni - Studi - Progetti - realizzazioni dal 1908 al 1935, Milano edizioni del Museo caproni, 1937)
Il progetto del trimotore da bombardamento che Caproni completa nel 1913 era quello di una macchina di dimensioni eccezionali per l'epoca, e con la potenza suddivisa fra più unità motrici. L'aereo poteva essere accomunato solo al contemporaneo quadrimotore « Ilja Muromez » di Sikorsky, ma si differenziava da tutti gli altri progetti per una architettura tipica e per l'ardita sistemazione del gruppo motopropulsore. Come abbiamo accennato, questo era costituito da tre motori rotativi Gnôme, che nella prima stesura del progetto erano sistemati in tandem nella navicella centrale, uno azionante in presa diretta un'elica spingente e gli altri due, per mezzo di trasmissioni, le eliche trattive sistemate in testa alle fusoliere laterali. Il sistema di trasmissione, a differenziale, avrebbe consentito alle eliche laterali di ruotare anche sotto l'impulso di uno solo dei motori accoppiati. Anche se i vantaggi di tale raggruppamento erano evidenti, per evitare complicazioni meccaniche che avrebbero ritardato e forse compromesso la realizzazione del velivolo, si passò subito al tipo con i motori sistemati individualmente, ciascuno con la propria elica.
Le trattative con il Governo Italiano per la costruzione di una prima serie di dodici trimotori ebbero un avvio molto lento e si conclusero soltanto nel Giugno 1915, quando venne deciso che le macchine di serie avrebbero avuto tre motori Fiat A-10 da 100 cavalli e sarebbero stati designati Ca.1 (o Ca.32 secondo il sistema di numerazione post-bellico). Le consegne dei primi dodici Ca.1 furono completate nell'ottobre 1915, poi seguirono in varie riprese altri 150 esemplari tutti con i tre Fiat da 100 cavalli, mentre su altri nove apparecchi il motore centrale venne sostituito con un Isotta Fraschini V.4B da 150 cavalli (Ca.2).
La macchina, dalle ottime caratteristiche di carico e di autonomia e dotata di buone prestazioni, consentì agli aviatori italiani di effettuare veri bombardamenti e importanti incursioni su obiettivi lontani di interesse strategico. I successi riportati al fronte dai Ca.1, indussero ben presto le autorità militari a chiedere di trasformare il trimotore, aumentando la potenza installata da 300 a 450 cavalli con l'adozione di tre Isotta Fraschini V.4B da 150 cavalli l'uno, ed elevando contemporaneamente di 300 chili il carico di rottura. Tale richiesta non era certamente di facile e rapida attuazione e contribuì a ritardare di quasi un anno la comparsa dei Caproni 450 cavalli (Ca.3 o Ca.33). Le consegne dei 250 Caproni 450 cavalli ordinati furono soddisfatte tutte entro il 1917. Nel novembre di quell'anno il Commissariato Generale ordinò altri 20 Ca.3 in aggiunta al contratto in corso: ne erano stati proposti 50, ma non vi erano motori in quantità sufficiente. Le consegne di questa commessa supplementare vennero esaurite nel febbraio 1918.
Nel frattempo il 450 cavalli vedeva la luce anche in Francia, dove venne costruito su licenza dalla R.E.P., fondate dal pioniere Esnault-Pelterie, e successivamente anche dalla S.A.I.B. L'industria francese riuscì a produrre 86 Ca.3, che differivano dal modello originale Italiano per l'adozione, talvolta, di motori francesi come un Canton-Unnè da 130 cavalli centrale. Uno dei primissimi tentativi fatti durante la guerra per adibire aeroplani al trasporto rapido di feriti fu compiuto utilizzando un Ca.3. Negli apparecchi così adattati c'era posto per due feriti gravi su barelle fissate sopra le due fusoliere e completamente chiuse da apposite carenature, mentre altri due feriti leggeri potevano trovar posto nella navicella centrale assieme all'equipaggio.
Su un esemplare di Ca.3 (che non ebbe seguito) venne anche sperimentalmente montato in prua un cannoncino da 25,4 millimetri Fiat (vennero invece utilizzati con esito incoraggiante cannoncini da 37millimetri). Dal Ca.3, mediante modifiche strutturali della cellula che ne consentivano il facile montaggio, e smontaggio delle sezioni alari esterne, lasciando fissa la parte centrale che restava così solidale con la navicella e le due fusoliere, derivò il Ca.3 modificato (o Ca.3 Mod.). La produzione del nuovo modello, iniziata durante la guerra dalle Offìcine di Savigliano, venne ripresa alla Caproni dal 1923 al 1926, con una produzione di 153 Ca.3 Mod. (poi Ca.36) di cui 144 furono consegnati alla Regia Aeronautica. Queste macchine, seppure sorpassate, fornirono buona prova nelle operazioni di riconquista alla Tripolitania e Cirenaica, durante le quali si rivelarono preziose per le loro doti di semplicità, sicurezza e resistenza alla fatica. Anche del Ca.3 Mod. venne realizzata una versione sanitaria. Mediante alcune modifiche ed adattamenti interni si riuscì a sistemare otto feriti nella navicella, quattro dei quali su barelle al posto dei serbatoi ed altri quattro seduti. II secondo componente dell'equipaggio era un medico o un infermiere.
II Caproni 450 cavalli subì anche una trasformazione civile per trasportare sei passeggeri. Alcuni esemplari così adattati furono impiegati per il trasporto del corriere ufficiale fra Padova e Vienna. Ricevettero poi, con carattere retroattivo, la designazione Ca.56a. Con maggiori dimensioni e potenza fu poi realizzata la serie Ca.5.