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Progetto Apollo


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Il progetto del Saturn V affonda le sue radici molto più lontano di quanto si creda, e, per quanto anche questo possa suonare incredibile, il suo aspetto finale fu congelato prima ancora di scegliere quale tipo di missione avrebbe portato sulla Luna gli astronauti: per dimensioni ed esubero di potenza, era infatti in grado di portare a termine sia la missione con rendezvous in orbita terrestre, sia quella lunare.

 

 

 

 

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von Braun

 

 

Il 30 Dicembre 1957, von Braun sottopose all’ARPA (Advanced Research Projects Agency, ARPA, oggi DARPA con l’aggiunta di Defense; nel 1969, creò arpanet, l’antenato di internet), il “Proposal for a National Integrated Missile and Space Vehicle Development Plan”, che conteneva il primo accenno di un booster lunare da un milione e mezzo di libbre di spinta, chiamato Juno (poi Juno V, sarebbe diventato il Saturn I). Sette mesi dopo, nel Luglio 1958, l’ARPA concesse al team dell’US Army il contratto per procedere alla realizzazione del Juno V: si prevedeva di lanciare, contemporaneamente o in sequenza, fino a 25 Junos per assemblare un veicolo da duecento tonnellate che sarebbe poi stata utilizzato per l’atterraggio diretto sulla luna. Von Braun si rese subito conto che quel progetto era troppo farraginoso, bastava un solo lancio fallito per mandare a monte tutta l’operazione; oltre tutto, l’USAF, concorrente dell’Army per la corsa alla Luna altrettanto che dei sovietici, per il suo progetto Lunex, proponeva un booster gigantesco, noto prima come Hustler e più tardi come Nova, le cui prestazioni apparivano nettamente superiori a quelle del Saturn I.

 

 

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I limiti del Saturn I erano dovuti ai suoi motori, gli H1: benché ne impiegasse otto nel primo stadio, la spinta fornita non permetteva di inviare in orbita bassa più di nove tonnellate di carico. Si tentò di lavorare quindi sul secondo stadio, aumentandone le caratteristiche di spinta con l’aggiunta dei motori, e sommando un terzo stadio, non previsto nel disegno originale. Nacque così il Saturn A1, spinto da 8 motori H1 il primo stadio, 2 LR89 il secondo e due LR 115 il terzo. Le prestazioni miglioravano, ma il carico era ancora troppo basso, né aumentò aggiungendo un quarto stadio o aggiungendo i motori del terzo, che arrivarono a essere 6 nel Saturn C2, capace di sollevare in LEO venti tonnellate.

 

Ma l’industria motoristica venne in soccorso del team di von Braun (ricordiamo che 700, dei duemila tecnici e scienziati impiegati al Redstone Arsenal, oggi George C. Marshall Space Flight Center, di Huntsville, Alabama, provenivano direttamente da Peenemunde via Paper Clip): nel marzo 1959, la Rocketdyne, produttrice dei motori H1, aveva collaudato con successo quello che era all’epoca il più potente motore razzo disponibile, l’F1: pensato per i grandi ICBM, ai quali si chiedeva di portare testate termonucleari del peso di oltre venti tonnellate sull’URSS, apparve a von Braun ideale per riprogettare il Saturn e permettergli di mettere in orbita un carico maggiore, riducendo così la necessità di operare più lanci. Nacque così il Saturn C3, completamente riprogettato per quanto riguardava il primo stadio, che ora era spinto da 2 motori F1, con un secondo stadio dotato di 4 motori J2, un terzo stadio con 6 LR115 e due LR115 nel quarto stadio. Le caratteristiche furono ritenute ancora insufficienti, così si passò al C4, riprogettato con un terzo stadio dotato di un nuovo motore dalle caratteristiche ritenute migliori, il medesimo J2 impiegato in quattro unità nel secondo stadio. A questo punto sarebbero stati sufficienti due lanci per mettere in orbita il complesso Apollo CSM/LM, col rischio che la missione fallisse per l’avaria di uno dei due vettori. Per aumentare il carico utile si inserì dunque un quinto motore F1 nel primo stadio, che fu ridisegnato e ingrandito, come fu modificato il secondo stadio che parimenti ricevette cinque motori J2. Era il Saturn C5, che la NASA (creata nel 1958 per mettere fine alle lotte fra le varie armi nella corsa allo spazio), annunciò ufficialmente essere stato scelto per la missione lunare in data 10 Gennaio 1962.

 

 

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Le prestazioni del nuovo vettore, gli permettevano di collocare in LEO (Low Earth Orbit) 120 tonnellate, e di inviarne 45 in TLI (Trans Lunar Injection). E si scelse di testare a terra ogni singolo componente del vettore, in modo da ridurre i rischi di fallimento al suo primo test di volo. Fu studiata anche una versione con un terzo stadio dotato di NERVA (Nuclear Engine for Rocket Vehicle Application), il C-5N, con possibilità di inviare in TLI un payload di 70 tonnellate, e una versione dotata di quattro stadi con un primo propulso da otto F1, secondo da otto J2, terzo da quattro J2 e quarto da due J2; chiamata Saturn C8 e capace di piazzare 250 tonnellate in LEO e 130 in TLI, non ebbe seguito come il C5N: i costi e i problemi tecnici impedirono di andare oltre i back of a napkin.

 

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La prposta versione nucleare del Saturn V

 

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All’inizio del 1963, la NASA scelse ufficialmente il Saturn C5 come vettore del programma Apollo, con ciò affossando il Nova e il Project Lunex. A quasi cinquant’anni di distanza, non è ancor chiaro quali furono le ragioni della scelta, il Nova, sulla carta, era molto più prestante del Saturn, capace di mandare 180 tonnellate in LEO e 95 TLI. La ragione più probabile pare comunque essere quella che il Saturn poteva essere costruito in una struttura già esistente alla periferia di New Orleans, la Michoud Assembly Facility, mentre per assemblare il Nova si sarebbe dovuto costruire uno stabilimento ex novo con costi e tempi assolutamente imprevedibili.

 

Nell’occasione dell’annuncio, il nome del vettore fu cambiato in Saturn V.

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Già nel 1958, appena costituita, la NASA aveva provveduto a cercare il luogo adatto per lanciare i suoi missili. La scelta era presto caduta sull’isola di Merritt, a metà strada fra Miami e Tampa, in Florida, nei pressi della base aerea di Cape Canaveral. Nel 1962, il Launch Operation Center, come fu chiamato in un primo tempo, era già completato, ma per operare coi nuovi Saturn V fu necessario costruire un’intera serie di strutture ad hoc in quello che venne chiamato in un primo tempo MILA (Merritt Island Launch Area) e più tardi Launch Complex 39. L’astroporto per l’avventura lunare, fu costruito edificando interamente ex novo una distesa di paludi e di canneti (Canaveral deriva dallo spagnolo canareal, canneto: ai primi esploratori spagnoli del XVI Secolo ne apparve una marea). Venne speso quasi un miliardo di dollari dell’epoca per la costruzione del Complesso 39, un’area che occupa oltre trecento chilometri quadrati ed è percorsa da 160 chilometri di strade e 35 di ferrovie; il solo VAB (Vertical Assembly Building), che domina l’area, richiese un milione di tonnellate di acciaio e 17 milioni di tonnellate di calcestruzzo: lungo 218,24 metri, largo 157,89 e alto 160, copre una superficie di 34457 metri quadrati e sviluppa un volume di 5.531.740 metri cubi, sufficiente a far sì che al suo interno si formino nuvole e vi cada la pioggia.

 

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Vertical Assembly Building

 

 

Si dovette anche progettare e costruire un veicolo per trasportare il Saturn V come assemblato nell’VAB alla rampa. Il risultato furono “Hans” e “Franz”, i due cosiddetti crawler-transporter: costruiti dalla Marion Power Shovel su disegno della Bucyrus Int’l, sono stati per molti anni i più grandi veicoli cingolati del mondo. Ciascuno di essi, ha una massa a vuoto di 2721 tonnellate, e misura 39,92 metri di lunghezza per 34,75 di larghezza. L’altezza della piattaforma sulla quale viene collocato il vettore Saturn V (in seguito anche lo Shuttle e, in futuro, l’Orion), può essere variata con un sistema idraulico da 6,10 a 7,92 metri con la particolarità che ciascun lato può essere alzato o abbassato in maniera indipendente dall’altro. Il crawler viaggia su sedici cingoli appaiati due a due, ogni cingolo è formato da 57 pattini pesanti ciascuno circa 900 chili. La propulsione è assicurata tramite un sistema diesel-elettrico: 16 motori di trazione, due per ogni cingolo, sono propulsi da quattro generatori elettrici da 1341 cavalli, a loro volta alimentati da due diesel Alco da 2750 cavalli. Altri due generatori da mille cavalli, alimentati da altrettanti motori diesel da 1065 cavalli, vengono usati per le manovre, le luci e la ventilazione, e altri due generatori da 200 cavalli sono a disposizione per la piattaforma di lancio. In totale, il crawler trasporta cinquemila galloni US, pari a 18927 litri di carburante diesel, che viene consumato al rateo di 150 galloni al miglio (353 litri al chilometro). La velocità a pieno carico è di un miglio (1609 metri) all’ora, che raddoppia a vuoto. Da considerare che il mezzo, a pieno carico, deve superare una pendenza del 5 per cento dall’VAB alla rampa di lancio.

 

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Con la capsula Apollo sulla punta, il Saturn V misurava 363 (110,64 metri) piedi, e, senza le alette stabilizzatrici, aveva un diametro al primo stadio di 33 (10,06 metri). A pieno carico, la sua massa a terra era di 6.698.700 libbre, pari a 3.038.479 chili. Nelle missioni Apollo, non sfrutterà appieno le sue eccezionali capacità di carico, “limitandosi” a piazzare a una LEO di 185 chilometri e 28° di inclinazione, una massa di 260.000 libbre, pari a 117.934 chili, che scenderanno a 103.000 libbre (46.720 chili) TLI: pare assodato fosse in grado, modificando alcuni parametri di volo, di raggiungere rispettivamente le 280000 libbre (127005 chili) in LEO e le 125000 (56.690 chili) TLI.

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Come si è detto, il vettore consisteva di tre stadi, S-IC, S-II ed S-IVB; tutti e tre, costruiti da appaltatori privati su progettazione della NASA, usavano ossigeno liquido (LOX) come comburente, mentre per il combustibile, il primo stadio impiegava cherosene del tipo RP-1 (Rocket Propellant 1), mentre il secondo e terzo stadio usavano idrogeno liquido (LH2). Su tutti e tre gli stadi erano inoltre presenti dei piccoli motori a propellente solido che avevano lo scopo di separare gli stadi e di mantenere in pressione le pompe di alimentazione dei motori principali.

 

 

S-IC

 

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Costruito dalla Boeing in uno stabilimento appositamente realizzato a Wichita, KS, in base al contratto del 15 Dicembre 1961, era lungo 138 piedi (42,06 metri) e con un diametro alla base, escluse le alette stabilizzatrici, di 33 (10,06 metri). Occorrevano circa 14 mesi per completarlo. Pesante a vuoto 298.104 libbre (138.218 chili) che salivano a 5.040.245 libbre (2.286.217 chili) a pieno carico, veniva rifornito con 203500 galloni US (770.331 litri) di RP-1 nel serbatoio inferiore e 318000 galloni (1.203.761 litri) di LOX in quello superiore. C’erano anche 4000 galloni (15142 litri) di elio necessari a mettere in pressione l’LOX e a spingerlo nei motori. Particolare cura dovette essere dedicata all’isolamento dei tubi che, passando attraverso il serbatoio dell’RP-1, convogliavano l’LOX nelle camere di combustione. Essendo l’ossigeno liquido mantenuto nel serbatoio (una sorta di gigantesco thermos), a una temperatura di quasi duecento gradi sottozero, si temeva che potesse congelare il cherosene, bloccando i motori. Otto motori a combustibile solido, collocati a coppie di due nelle carenature delle alette, entravano in azione al momento della separazione dello stadio, allontanando S-IC dalla traiettoria del missile in ascesa al fine di evitare una collisione disastrosa. I cinque motori F-1 bruciavano ciascuno circa mille litri di RP-1 al secondo per i 150 secondi di funzionamento, prima della separazione dal secondo stadio. La spinta totale fornita era di 7.500.000 libbre, pari a 3.401.943 chili.

 

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Schema del motore F-1 del primo stadio, S-IC

 

 

 

S-II

 

 

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Costruito dalla North American Aviation nello stabilimento di Seal Beach, CA, su disegno e con assistenza tecnica della NASA, si sviluppava per una lunghezza di 82 piedi (24,99 metri) e un diametro di 33 (10,06). Pesava a vuoto 69.970 libbre (31.738 chili), che salivano a 1.060.000 (480.808 chili) a pieno carico. Spinto da 5 motori J2 che gli fornivano una spinta di 1.150.000 libbre (521.631 chili) per 367 secondi, bruciava idrogeno e ossigeno liquidi, rispettivamente LOX e LH2 nelle sigle usate dalla NASA. Il motore centrale era fisso, i quattro laterali potevano muoversi su un supporto cardanico.

Il serbatoio dell’LOX, era un contenitore ellissoidale di 33 piedi di diametro e 22 (6,70 metri) di lunghezza. Il serbatoio dell’LH2 era invece formato da 6 cilindri, cinque di 8 piedi (2,44 metri) di altezza, il sesto di soli 2 (0,61 metri). La loro costruzione rappresentò una sfida estrema: l’idrogeno liquido deve essere tenuto ad appena 20 gradi Kelvin (cioè a 252 gradi centigradi sottozero), perciò un buon isolamento è importante. E l’unico modo per ottenerne uno efficace, fu di spruzzare l’isolante manualmente sul serbatoio, limandone poi via l’eccesso che impediva l’inserimento dei serbatoi all’interno del missile, dove tutto era calcolato al millesimo.

 

 

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S-IVB

 

L’S-IVB veniva costruito dalla Douglas Aircraft Company nello stabilimento di Huntington Beach, CA. spinto da un solo motore J2 che veniva acceso due volte: la prima per l’inserimento LEO, e la seconda per il TLI, fu sviluppato a partire dal secondo stadio del Saturn I, S-IV, e fu il primo componente del Saturn V a essere disegnato. L’S-IV originario usava una batteria di 6 motori LR115 e fu proposto anche come quarto stadio del Saturn C4. La NASA inviò un’RFP a undici compagnie diverse, che dovevano presentare le loro proposte entro il 29 Febbraio 1960. A quella data, sembrò vincente la proposta Convair, ma Thomas Keith Glennan, primo direttore della NASA, dopo aver preso tempo, dirottò infine, il 19 Aprile 1960, la scelta su Douglas non volendo creare un monopolio dei motori a idrogeno liquido, essendo Convair già impegnata nella costruzione del Centaur.

 

 

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La NASA nel frattempo aveva scelto il Saturn C5, il cui terzo stadio era un S-IV migliorato, chiamato per questa ragione S-IVB, il quale, anziché una batteria di motori LR115, usava un solo J2. Contemporaneamente, fu deciso di dar vita al Saturn C-IB (poi Saturn IB), che avrebbe parimenti usato l’S-IVB come secondo stadio per collaudare la navetta Apollo in orbita terrestre.

 

 

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Douglas costruì due distinte versioni dell’S-IVB, la serie 200 per essere usata dal Saturn IB, e la serie 500 per il Saturn V. La differenza fra le due versioni consisteva principalmente nella minore quantità imbarcata di elio per la messa in pressione dell’idrogeno liquido, non essendo prevista la riaccensione del motore in orbita.

 

L’S-IVB era lungo 58 piedi e 4 pollici (17,78 metri) e aveva un diametro di 21 piedi e 7 pollici (6,58 metri) e la sua massa era di 29.345 libbre (13311 chili)a vuoto che diventavano 264.370 (119916 chili) a pieno carico, costituito in gran parte da 19.359 galloni US (73282 litri) di LOX e 66.770 galloni US (252752 litri) di LH2.

 

Il motore J2 forniva una spinta di 225.000 libbre (102.058 chili) per 475 secondi.

 

 

 

Durante le missioni Apollo 13, 14, 15, 16 e 17, l’S-IVB venne fatto schiantare sulla superficie lunare per effettuare misurazioni sismiche.

 

Infine una nota: il proposto Earth Departure Stage (EDS) e il secondo stadio del razzo Ares I, useranno una versione migliorata e aggiornata del motore J2, il J2X.

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Saturn V Instrument Unit

 

Il Saturn V Instrument Unit si trovava sulla sommità dell’S-IVB, immediatamente prima dell’SLA (Spacecraft/Lunar Module Adapter) e consisteva di un anello di strumenti di guida, fra i quali computers digitali, computers analogici di controllo volo, piattaforma inerziale, accelerometri e giroscopi. L’Instrument Unit, IU, fu realizzato dalla IBM su disegni e con assistenza tecnica del Marshall Space Flight Center. La cosa singolare, è che quegli strumenti non differivano molto da quelli utilizzati per la guida delle V2. L’IU aveva un diametro di 260 pollici (6,60 metri), un’altezza di 36 (.9144 metri) e una massa al lancio di 4400 libbre (1996 chili).

 

 

 

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I profili di volo del Saturn V potevano variare di molto a seconda della missione. Ciascuna, comunque, iniziava col lancio, prima del quale dovevano essere allontanati dal vettore tutti i ponti che lo collegavano alla torre di lancio con conseguente sgancio dei vari cavi e tubazioni che portavano carburante ed energia ausiliaria al Saturn e alla capsula Apollo prima dell’accensione dei motori principali. Il rilascio dei cavi doveva essere graduale e avvenire nei primi sei pollici (15 centimetri) di movimento verticale del vettore.

 

Subito dopo, il Saturn veniva preso in carico dal computer digitale di lancio (launch vehicle digital computer LVDC) che lo doveva orientare nella giusta direzione. Lo sgancio del primo stadio, S-IC, veniva comandato dal computer appena questo veniva informato dai sensori collocati nei serbatoi, che i medesimi erano ormai esauriti. La guida del secondo e, soprattutto, terzo stadio, veniva attuata con l’obiettivo di raggiungere i parametri prefissati consumando la quantità minore possibile di carburante, che doveva poi servire per la TLI.

 

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Lo sgancio del secondo stadio era comandato in maniera analoga a quella del primo, ma in quel momento il Saturn si trovava quasi ad altezza orbitale, e quindi l’S-IVB veniva azionato solo il tempo necessario a raggiungere un’orbita circolare di parcheggio.

 

Durante le missioni umane, la capsula Apollo ancora agganciata all’S-IVB, compiva da 4 a 6 orbite, mentre l’equipaggio eseguiva un controllo di tutti i sistemi di bordo. Nel frattempo, le stazioni di terra controllavano che il complesso fosse stato piazzato nella giusta orbita, e se del caso ne comandavano una piccola correzione. Venivano inoltre calcolati accelerazione e rotta necessari per la TLI, tenendo conto della posizione della Terra, della Luna e della navetta Apollo. I tempi potevano grandemente cambiare in base a questi parametri, l’accelerazione, per esempio, variava dai 2 minuti e 4 secondi di Apollo 8 ai 5 minuti e 55 secondi di Apollo 15.

 

 

 

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L’ultima manovra consisteva nell’estrarre l’LM dal suo alloggiamento. Chiamata trasposizione, essa comportava la separazione del CSM Apollo dall’S-IVB, e la liberazione dei pannelli dell’adattatore che ricoprivano l’LM. Questo richiedeva lo sgancio dell’intero CSM Apollo dall’S-IVB, la sua rotazione di 180°, l’aggancio dell’LM, la sua estrazione dall’S-IVB, un nuova rotazione di 180° e la partenza verso la Luna. L’intera manovra doveva essere eseguita manualmente, col rischio che un minimo errore portasse a un impatto catastrofico.

 

 

 

L’IU comprendeva cinque sottosistemi chiamati comando e controllo, controllo ambientale, emergenza, comunicazioni radio e potenza.

 

Comando e controllo

Il sistema di comando e controllo comprendeva una piattaforma inerziale ST-124-M3 (punto 21) per misurare accelerazione e altitudine. L’LVDC, al 19, si occupava dei calcoli direzionali, mentre il controllo di volo, 16, comandava la rotta.

 

 

 

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Il sistema di controllo inerziale dell'IU

 

 

 

 

Controllo ambientale

L’Environmental Control System (ECS) si occupava di controllare i sistemi di raffreddamento ad acqua e metanolo e di pressurizzazione del Saturn, e di mantenerne i valori entro limiti operativi.

 

Emergenza '

L’Emergency Detection System (EDS) verificando i vari parametri di volo come rotta, velocità, quota e funzionamento dei motori, aveva il compiuto di abortire il lancio in caso di qualche malfunzionamento e veniva attivato da un timer (17) 30 secondi dopo il lancio, per evitare che, in caso di aborto automatico del lancio, il Saturn ricadesse sulla rampa di lancio, esplodendo.

 

Comunicazioni radio

I sistemi telemetrici misuravano costantemente circa 200 parametri, trasmettendo i dati a terra. Fra i parametri considerati, accelerazione, velocità angolare, posizione, pressione, temperatura e voltaggio dei sistemi elettrici. Le misurazioni venivano inviate a terra tramite due antenne FM nei punti 10 e 22.

 

Potenza

La potenza ai sistemi ausiliari dell’IU era fornita da quattro batterie argento-zinco nei punti 4, 5 e 24.

L’aborto di missione prevedeva due scenari diversi: nel primo caso, se un malfunzionamento che potesse causare la distruzione del vettore veniva segnalato prima del lancio, l’ufficiale addetto all’aborto (Range Safety Officer) avrebbe spento i motori dal bunker di comando nei pressi della rampa e, dopo dieci secondi, azionato le valvole di sicurezza che disperdevano il carburante nell’aria per minimizzare i rischi di una esplosione. In questo caso, l’equipaggio si sarebbe posto in salvo azionando la Launch Escape Tower, LET, prima che la valvola di sicurezza venisse azionata. Se l’aborto avveniva col missile già in volo e dopo il distacco dell’LET (solitamente dopo il rilascio del secondo stadio) l’equipaggio si metteva in salvo semplicemente comandando il distacco del modulo di comando Apollo e rientrando a terra con esso.

 

Quando la costruzione dei vari componenti del Saturn V era completata, essi venivano inviati a Cape Canaveral per l’assemblaggio finale. I primi due stadi potevano essere trasportati solo via mare: l’S-IC scendeva il Mississippi su una chiatta quindi circumnavigava la Florida fino a Cape Canaveral, mentre l’S-II, costruito in California, arrivava attraverso il canale di Panamà. Solo il terzo stadio e l’IU potevano essere caricati su un aereo, solitamente un Pregnant Guppy o un Super Guppy.

 

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Superguppy

 

 

 

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Pregnant Guppy

 

Appena giunti all’VAB, gli stadi venivano controllati in posizione orizzontale, quindi eretti in verticale per essere assemblati su una piattaforma mobile, consistente in un Launch Umbilical Tower (LUT), Crawler Transporter (CT), e Mobile Launcher Platform (MLP), una struttura, quest’ultima, pesante oltre quattromila tonnellate, e che supportava la torre di 120 metri alla quale era ancorato il Saturn V. Il conplesso si avviava quindi verso una delle rampe del complesso 39.

 

 

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Crawler completo di Mobile Launch Platform

 

 

 

Dopo che il vettore era stato messo in posizione sulla sua rampa, si procedeva al rifornimento di carburante quindi, cinque ore prima del lancio, l’equipaggio entrava nella capsula Apollo per iniziare i controlli prelancio.

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Sequenza di lancio

 

L’S-IC accendeva i motori 9 secondi prima del lancio, secondo una sequenza che prevedeva che il primo a essere avviato fosse l’F1 centrale, seguito dagli altri quattro a coppie diametrali distanziate di 300 millisecondi per ridurre l’affaticamento strutturale del mezzo. Appena computers di bordo confermavano l’avvio dei motori, il vettore veniva rilasciato dalla torre di lancio e quindi iniziava la salita.

 

Raggiunti i 130 metri di quota, il Saturn correggeva leggermente la traiettoria, inclinandosi di 1.25 gradi. In questa fase, la sua accelerazione era di circa 500 metri al secondo, ma aumentava rapidamente per la perdita di massa del carburante bruciato e per la migliorata efficienza dei motori nell’aria rarefatta dell’alta quota. 135 secondi dopo il lancio, il motore centrale era spento per limitare l’accelerazione a 4 g, e 15 secondi dopo, all’altezza di 68 chilometri e alla velocità di 9920 chilometri l’ora, il primo stadio veniva separato e allontanato dal resto del Saturn dai motori di carenatura. Proseguirà la sua traiettoria balistica fino alla quota di oltre cento chilometri, prima di ricadere nell’Atlantico a circa 500 chilometri dalle coste della Florida.

 

S-II bruciava per 367 secondi, portando il vettore alla quota di 176 chilometri e alla velocità di 25182 chilometri l’ora, circa duemila chilometri sotto quella orbitale. Appena i sensori indicavano l’esaurimento del carburante nei serbatoi, erano azionati i bulloni esplosivi che separavano S-II da S-IVB: anche in questo caso, dei retrorazzi a carburante solido allontanavano lo stadio inerte dal vettore in ascesa, per evitare che, proseguendo la sua traiettoria balistica in ascesa, ci fosse una collisione. S-II salirà fino a circa 300 chilometri, per ricadere poi sulla terra a oltre 4000 chilometri dalla base di lancio.

 

 

 

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Saturn V pronto al lancio

 

 

 

S-IVB solitamente funzionava per circa 150 secondi dopo la separazione da S-II, portando la navetta Apollo su un’orbita circolare, quasi sempre a 188 chilometri e alla velocità di 7790 metri al secondo (28044 chilometri all’ora), quindi veniva spento, mente l’equipaggio eseguiva gli ultimi controlli in preparazione del TLI. Nelle ultime tre missioni Apollo, la quota della cosiddetta orbita di parcheggio, fu abbassata a 150 chilometri con conseguente funzionamento del motore del terzo stadio per soli 120 secondi, al fine di poter trasportare un carico maggiore. Solitamente fra le due e le tre ore dopo il lancio, S-IVB veniva riacceso per inviare la navetta Apollo in TLI: in media il motore veniva acceso per sei minuti, sufficienti a fornire la velocità di fuga dall’orbita terrestre, che è pari a 11,2 chilometri al secondo (40320 chilometri all’ora). 50 minuti dopo avveniva la cosiddetta trasposizione del modulo lunare, manovra che impegnava gli astronauti per circa un’ora, e al termine della quale, l’Apollo si separava definitivamente dal terzo stadio, che riaccendeva brevemente il motore J2 per deviare dalla rotta della navetta ed evitare così una possibile collisione. Solitamente il terzo stadio terminava la sua “vita” in orbita solare oppure schiantandosi sulla superficie lunare.

 

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Apollo

 

Il Programma Apollo fu ideato negli ultimi anni dell’amministrazione Eisenhower, come seguito del Mercury. Fu chiamato Apollo, dal nome del dio greco della musica e della luce, da Abe Silverstein , capo della Saturn Vehicle Evaluation Committee (nota in seguito come Silverstein Committee) della NASA. “Battezzai la navetta come fosse stato mio figlio”, dirà più tardi. Ma trovare i fondi era tutt’altro che semplice, vista la tirchieria di Eisenhower verso i programmi spaziali, la cui utilità pratica gli sfuggiva completamente.

 

 

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Nel Novembre 1960, John Fitztgerald Kennedy fu eletto presidente dopo una drammatica (e controversa, almeno per quanto riguarda l’effettiva elezione) campagna elettorale, durante la quale aveva promesso che gli Stati Uniti avrebbero ottenuto in breve la superiorità nei confronti dell’URSS, sia nel campo missilistico militare che in quello spaziale vero e proprio (“noi non saremo i primi ma, i primi se, i primi e, ma i primi e basta“). Nonostante questa retorica, per i primi tempi JFK guardò con un certo distacco al programma spaziale, ignaro dei problemi tecnici e spaventato dai costi.

 

Poi, il 12 Aprile 1961, i sovietici spedirono in orbita Iuri Gagarin, forse il primo uomo a volare nello spazio, di sicuro il primo a farvi ritorno sano e salvo. Lo shock scosse l’America, ma l’amministrazione appariva ancora cauta nell’impegnarsi per la corsa dello spazio. Secondo alcuni fu il vice presidente, LBJ, a spingere per un impegno americano, secondo altri JFK si convinse che era necessario rispondere alla sfida sovietica in tempi brevi. Qualunque sia la ragione, il 25 Maggio successivo, Kennedy, davanti al Congresso, impegnò l’America con queste parole: "First, I believe that this nation should commit itself to achieving the goal, before this decade is out, of landing a man on the Moon and returning him safely to the Earth. No single space project in this period will be more impressive to mankind, or more important in the long-range exploration of space; and none will be so difficult or expensive to accomplish”.

 

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John Kennedy parla dinanzi al Congresso, 25 Maggio 1961

 

 

Perfino la NASA dubitava di poter raggiungere le ambiziose mete prefissate dal Presidente, solo venti giorni prima, l’astronauta Alan Shepard aveva compiuto un volo suborbitale di quindici minuti sulla Freedom 7. Raggiungerle, quelle mete, costò uno sforzo gigantesco e una spesa di 25.4 miliardi di dollari ai valori del 1969, circa 150 attuali: fu il massimo sforzo di una nazione in tempo di pace. All’apice della corsa alla Luna, il programma Apollo dava lavoro a quasi mezzo milione di persone, e coinvolgeva, ad ogni livello, non meno di 20 mila fra industrie e centri di ricerca.

 

Su queste spese apparentemente folli, vanno fatte alcune considerazioni. Il programma Apollo ha stimolato molti settori tecnologici. Il progetto dei computer di bordo usati negli Apollo fu infatti la forza trainante dietro le prime ricerche sui circuiti integrati. La cellula combustibile utilizzata nel programma fu di fatto la prima in assoluto. Molti astronauti e cosmonauti hanno commentato come il vedere la terra dallo spazio abbia avuto su di loro un effetto molto profondo. Una delle eredità più importanti del programma Apollo è stata quella di dare alla Terra una visione (ora comune) di pianeta fragile e piccolo, impresso nelle fotografie fatte dagli astronauti durante le missioni lunari. La più famosa di queste fotografie, è stata scattata dagli astronauti dell'Apollo 17, la cosiddetta Blue Marble (biglia blu). Queste immagini hanno inoltre motivato molte persone nella corsa alla colonizzazione dello spazio. Inoltre, si stima che le ricadute tecnologiche abbiano prodotto almeno 30 000 oggetti di uso comune e che per ogni dollaro speso dalla NASA ne siano stati prodotti tre dalle ricadute. Infine, la quasi totalità degli appalti venne vinta da imprese statunitensi e quindi il denaro speso dal governo rimase all'interno dell'economia statunitense. Dal punto di vista economico il programma fu un successo.

 

La NASA si mise rapidamente all’opera e studiò quattro possibili opzioni per la missione lunare con equipaggio:

 

DA, Direct Ascent, ascesa diretta: Prevedeva un lancio diretto verso la Luna. Secondo questo progetto l'intera navicella sarebbe atterrata sulla Luna e poi sarebbe ripartita verso la Terra. Per le masse in discussione, risultò essere fuori della portata dei vettori dell’epoca. Il solo in grado di portare a termine questa msisione, il Nova, richiedeva tempi e investimenti non prevedibili.

 

EOR, Earth Orbit Rendezvous, Rendez-vous in orbita terrestre: avrebbe richiesto il lancio di due razzi Saturn V, uno contenente la navicella, l'altro destinato interamente al propellente. La navicella sarebbe entrata in orbita e poi rifornita del propellente che le avrebbe permesso di raggiungere la Luna e tornare indietro. Anche in questo caso sarebbe atterrata l'intera navicella.

 

LSR, Lunar Surface Rendezvous: due vettori lanciati dalla terra, con il primo, automatico, a trasportare sulla superficie lunare il carburante che sarebbe trasferito più tardi sulla navetta vera e propria, atterrata con equipaggio sulla luna.

 

LOR, Lunar Orbit Rendezvous, Rendez-vous in orbita lunare: ideato da John Houbolt, fu quello poi realmente adottato dalle missioni Apollo.

In quel periodo, l’opzione preferita dagli scienziati della NASA era la prima per il timore di un disastro nel corso del rendezvous che non era mai stato tentato nemmeno in orbita terrestre. Alla fine prevalse l’LOR per la sensibile riduzione dei pesi ottenibile con quel profilo. La validità di questo profilo, fu rivelata nella sua completezza durante l’incidente Apollo 13: senza la presenza di un sistema di supporto secondario (quello dell’LM), gli astronauti sarebbero morti.

 

La decisione a favore dell’LOR, determinò anche il design basico della capsula Apollo, che sarebbe risultata formata di due principali sezioni:Command/Service Module (CSM), abitato dall’equipaggio durante la missione, Lunar Module (LM, in un primo tempo Lunar Excursion Module o LEM), che sarebbe sceso e quindi ritornato dalla superficie lunare.

 

Il disegno che conosciamo della navetta Apollo fu raggiunto in tempi relativamente brevi, e già nel 1965, gli scienziati della NASA avevano ben chiaro in mente come procedere.

 

Apollo Spacecraft

 

 

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Sotto questo nome, si intende il complesso costituito dal modulo di comando e servizio della navetta Apollo propriamente detta, e il modulo di discesa ed esplorazione lunare. Ognuna di queste componenti, si suddivideva a sua volta in altre due. Vediamole, cominciando dal modulo di comando e servizio.

Command module CM, costruito dalla North American Aviation, era formato dal modulo di comando, detto anche capsula di rientro, che alloggiava l’equipaggio durante tutta la missione, e un modulo di servizio che forniva propulsione, energia e ospitava tutto ciò che serviva per la missione.

 

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Costruito in sandwich di alluminio a nido d’ape, con una massa al suolo di 12807 libbre, pari a 5809 chili, il modulo di comando era un cono tronco misurante 10 piedi e 7 pollici (3,22 metri) in altezza, e 12 piedi e 10 pollici (3,91 metri) di diametro alla base. Il compartimento anteriore conteneva due propulsori di assetto, il tunnel di aggancio e i componenti necessari al rientro. Il compartimento pressurizzato interno ospitava i sedili dell'equipaggio, contenitori vari per l'equipaggiamento, oltre a comandi, controlli e display dei sistemi di governo. L'ultima sezione, il compartimento posteriore, conteneva 10 propulsori di assetto e i relativi serbatoi di propellente, serbatoi di acqua e i cavi di collegamento del CSM.

 

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Earth landing system

I vari componenti dell’ELS erano alloggiati attorno il tunnel prodiero di collegamento, e consistevano di tre paracadute principali, tre paracadute pilota e due frenanti.

Reaction control system

Consisteva in 12 ugelli da 93 libbre (44 kg) di spinta ciascuno, utilizzati per le manovre e la correzione di assetto; alimentati da biossido di azoto e idrazina che venivano messi in pressione dall’elio contenuto in un serbatoio sferico della capienza di una libbra.

 

Boccaporti

Erano due: quello frontale, alla sommità della capsula, metteva in comunicazione con il modulo lunare. Aveva un diametro di 30 pollici (76,2 centimetri) e pesava 80 libbre (36,287 chili). L’altro, l’Unified Crew Hatch (UCH) misurava 29 pollici in altezza (73,7 centimetri) e 34 (86,4 centimetri) in larghezza. Pesava 225 libbre (102 chili) e veniva usato per le EVAs.

 

 

 

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Il portello principale dell'Apollo

 

 

 

Sistemazione interna della cabina

La navetta Apollo era il solo compartimento abitabile del cosiddetto bus. Aveva un volume interno di 210 piedi cubi, pari a 5,95 m³, e ospitava i pannelli di controllo, i sedili dell’equipaggio, i sistemi di guida e di navigazione, oltre ai compartimenti di stivaggio del cibo e dell’equipaggiamento.

L’abitacolo era dominato dal pannello di controllo, misurante sette piedi in larghezza e tre in altezza (2,13x0,91 metri), diviso a sua volta in tre parti, ciascuna destinata a un membro diverso dell’equipaggio. Il pannello del comandante, a sinistra, comprendeva gli indicatori di velocità, altitudine e assetto, oltre ai comandi di controllo volo e agli attuatori dei razzi di manovra. Il pannello del pilota, al centro, era quasi completamente dominato dal computer di guida e comprendeva anche le varie spie di allarme (Christams Tree, nel linguaggio dei piloti americani), i controlli di propulsione, livello carburante e i sistemi di pressurizzazione e climatizzazione della capsula. Il pannello a disposizione del pilota del modulo lunare sulla destra, comprendeva gli indicatori delle fuel cells, oltre al controllo dei vari sistemi e sottosistemi elettrici.

 

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Il pannello di controllo dei sistemi di propulsione

 

Oltre a questi, erano presenti altri pannelli di controllo di dimensioni inferiori, che comprendevano i sistemi radio e le valvole di siurezza. In tutto, i pannelli comprendevano 24 strumenti principali, 566 interruttori, 40 manometri e 71 spie.

 

Il modulo di comando aveva cinque finestrini: quelli laterali, quadrati, misuravano 13 pollici (33 centimetri) di lato, altri due, triangolari (8x13 pollici, 203 per 330 millimetri) erano usati per le manovre di aggancio, mentre un quinto, di 9 pollici (229 millimetri) di diametro, era ricavato direttamente sopra il posto del pilota e veniva impiegato solo per la manovra di aggancio all’KLM dopo il ritorno dalla Luna.

 

Specifications

• Crew: 3

• Crew cabin volume: 6.17 m³

• Length: 3.47 m

• Diameter: 3.90 m

• Mass: 5,806 kg

• Structure mass: 1,567 kg

• Heat shield mass: 848 kg

• RCS mass: 400 kg

• Recovery equipment mass: 245 kg

• Navigation equipment mass: 505 kg

• Telemetry equipment mass: 200 kg

• Electrical equipment mass: 700 kg

• Communications systems mass: 100 kg

• Crew couches and provisions mass: 550 kg

• Environmental control system mass: 200 kg

• Mis. contingency mass: 200 kg

• RCS thrust: 12 x 410 N

• RCS propellants: N2O4/UDMH

• RCS engine propellants: 122 kg

• Drinking water capacity: 15 kg

• Waste water capacity: 26.5 kg

• Atmosphere cleanser: lithium hydroxide

• Odor absorber: activated charcoal

• Electric system batteries: three 40 ampere-hour silver zinc batteries, two 0.75 ampere-hour silver zinc pyrotechnic batteries

• Parachutes: two 5 meter conical ribbon drogue parachutes, three 2.2 meter ringshot pilot parachutes, three 25.45 meter ringsail main parachutes

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Modulo di servizio

 

Il Service Module, SM, era una struttura cilindrica non pressurizzata, misurante 24 piedi e 7 pollici (7,49 metri) di lunghezza, e dodici piedi e 10 pollici (3,91 metri) in diametro. Suddiviso all’interno in una sezione centrale cilindrica contenente il Service Propulsion System, SPS, coi suoi due serbatoi di elio pressurizzante, e sei settori diametrali nei quali erano stivati i serbatoi di carburante per l’SPS, sistemi di sopravvivenza, aria e acqua per l’equipaggio. Trasportava inoltre un’antenna in banda S per le comunicazioni col controllo di missione e sei scambiatori di calore Nelle ultime tre missioni Apollo, 15, 16 e 17, furono aggiunti diversi equipaggiamenti scientifici, fra i quali anche un piccolo satellite da collocare in orbita lunare.

 

L’SPS consisteva in un motore Aerojet AJ10-137 alimentato con ossido di azoto come comburente e idrazina Aerozine-50 come combustibile: erogava 21919 libbre (9942 chili) per 585 secondi di spinta totale e veniva usato per l’inserimento nell’orbita lunare, la sua partenza e per le correzioni di rotta durante il viaggio da e per la Terra. I 16 jet di manovra, Reaction Control Motors o RCMs, installati in quattro gruppi a metà circa della lunghezza dell’SM, separati fra loro di 90 gradi, fornivano ognuno 110 libbre (49,9 chili) di spinta, ed erano alimentati con ossido di azoto e idrazina MMH. Ogni gruppo, misurava 8 piedi per 3 (2,44x0,91 metri) e aveva i propri serbatoi di comburente, combustibile ed elio di pressurizzazione.

 

 

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Vediamo i sei settori diametrali: il primo solitamente veniva usato come cassa di zavorra per mantenere corretto il centro di gravità dell’SM. Nelle missioni Apollo 15, 16 e 17, come abbiamo visto, questo settore avrebbe trasportato l’SIM, Scientific Instrument Module che conteneva fra le altre cose camere panoramiche e per il mappaggio della superficie lunare, spettrometri di vario genere e un satellite da immettere in orbita lunare. Il suo uso obbligava a eseguire una EVA in orbita lunare per recuperare le pellicole impressionate durante la missione.

 

Nei settori due e tre erano contenuti altrettanti serbatoi di ossido di azoto: lunghi entrambi dodici piedi e dieci pollici (3,91 metri), con un diametro di 51 pollici (1,3 metri) il primo e di 45 (1,14 metri) il secondo, contenevano rispettivamente 14000 e 11283 libbre (6350/5118 chili) di ossidante.

 

Il settore quattro alloggiava i sottosistemi elettrici e le fuel cells, alimentate da un serbatoio da 290 kg di ossigeno liquido,e due da 25 kg di idrogeno liquido. Ogni fuel cell, pesante 112 chili, forniva energia elettrica e acqua potabile all’equipaggio. Un secondo serbatoio di ossigeno liquido, sempre della capacità di 290 chili, era destinato al sistema ambientale della capsula Apollo.

 

 

 

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I settori cinque e sei contenevano altrettanti serbatoi di carburante, 3950 chili il primo, 3201 il secondo.

 

Completava l’equipaggiamento dell’SM l’antenna ad alto guadagno in banda S, che veniva dispiegata dopo l’entrata in orbita dell’Apollo ed era composta da quattro riflettori di 31 pollici (878 mm) di diametro e un quinto, centrale, da 11 pollici (279 mm), oltre a due luci di segnalazione: la prima serviva a individuare l’alloggiamento delle pellicole da recuperare prima di fare ritorno a terra, la seconda, visibile a 100 chilometri di distanza, era destinata alle manovre di rendezvuos in orbita lunare.

 

 

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Specifications

• Length: 7.56 m

• Diameter: 3.90 m

• Mass: 24,523 kg

• Structure mass: 1,910 kg

• Electrical equipment mass: 1,200 kg

• RCS thrust: 16 x 446 N

• Propellants: N2O4/UDMH

• Service Propulsion (SPS) engine mass: 3,000 kg

• SPS engine thrust: 91.2 kN

• SPS engine propellants: N2O4/Aerozine 50 (UDMH/N2H4) Aerozine 50 is a 50/50 mix of hydrazine and unsymmetrical dimethylhydrazine

• SPS engine propellants: 18,413 kg

• SPS ISP: 314 s (3100 m/s)

• Spacecraft delta v: 2,804 m/s

• Electrical System: three 1.4 kW dc/30-volt fuel cells

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Apollo Lunar Module

 

 

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Costruito dalla Grumman Aircraft Engineering, in base a un contratto da 350 milioni di dollari del Settembre 1962, e noto in origine come LEM (Lunar Excursion Module), poi LM (Lunar Module), fu per lungo tempo piuttosto impopolare a causa dei ritardi nello sviluppo che rischiarono di compromettere l’intero programma Apollo. Il primo prototipo fu lanciato il 22 Gennaio 1968 con un vettore Saturn IB allo scopo di testare i motori in orbita, motori che erano stati la causa dei ritardi del programma anche per le continue rettifiche delle specifiche del mezzo, che era partito per essere una piccola base lunare dotata di docce, cuccette e altro, per ridursi alla fine al disegno che tutti conosciamo, all’interno del quale gli astronauti non avevano nemmeno un sedile, se non il coperchio del motore di risalita da usare a turno e per il resto dovevano rimanere in piedi tutto il tempo della missione.

 

Il successivo prototipo fu lanciato il 3 Marzo 1969 con l’Apollo 9 per essere testato in orbita terrestre, e due mesi più tardi, il 18 Maggio 1969, fu collaudato in orbita lunare da Apollo 10.

 

 

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Nell’Aprile 1970, salvò sicuramente la vita dell’equipaggio di Apollo 13, fornendo energie e ossigeno a tre astronauti per 90 ore, contro le 45 ore previste di funzionamento per DUE. I moduli lunari delle ultime tre missioni Apollo, 15, 16 e 17, furono modificati per incrementare il carico e permettere una maggiore permanenza sulla superficie del nostro satellite, fino a 72 ore: il carico più interessante portato sulla Luna in queste missioni, fu sicuramente il Lunar Roving Vehicle, assicurato esternamente al quadrante 1 del modulo di discesa del modello modificato del modulo, chiamato “J”.

 

 

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L’ALN aveva una massa totale di 33651 libbre (15264 chili), la maggior parte (22782 libbre, pari a 10334 chili) appartenenti allo stadio inferiore. Quest’ultimo trasportava, oltre al carrello di atterraggio (originariamente previsto a tre zampe, quindi evolutosi a quattro), un radar altimetrico, il motore di discesa e il carburante necessario all’atterraggio oltre alle batterie all’idrossido di litio (scartate le fuel cells previste dal disegno originale) che fornivano energia ai sistemi e sottosistemi. Numerosi compartimenti stivavano il materiale necessario all’attività di esplorazione sulla superficie lunare, a partire dall’ Apollo Lunar Surface Experiment Packages, ALSEP delle prime missioni, al Mobile Equipment Cart (una sorta di carrettino spinto a mano e usato solo nella missione Apollo 14) al Lunar Rover delle ultime tre missioni. Erano presenti, inoltre, un’antenna pieghevole in Banda S (missioni Apollo 11-14), cineprese, attrezzi da lavoro, acqua e ossigeno per l’equipaggio.

 

Lo stadio di ascesa conteneva la cabina dell’equipaggio, il sistema di controllo ambientale, reaction control system, radar e luci per il rendezvous, sistemi elettronici vari, il motore di salita col relativo carburante, e una scorta di ossigeno e acqua di raffreddamento sufficiente a raggiungere l’orbita lunare e il successivo rendezvous con la navetta di comando, oltre, ovviamente, ai campioni lunari prelevati, che raggiunsero le 238 libbre (108 chili) con la missione Apollo 17.

 

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L’ALN aveva una massa totale di 33651 libbre (15264 chili), la maggior parte (22782 libbre, pari a 10334 chili) appartenenti allo stadio inferiore.

 

 

Specifications: (Baseline LM)

Ascent Stage:

Crew: 2

Crew cabin volume: 6.65 m³ (235 ft³)

Height: 3.76 m (12.34 ft)

Diameter: 4.2 m (13.78 ft)

Mass including fuel: 4,670 kg (10,300 lb)

Atmosphere: 100% oxygen at 33 kPa (4.8 lb/in²)

Water: two 19.3 kg (42.5 lb) storage tanks

Coolant: 11.3 kg (25 lb) of ethylene glycol/water solution

Thermal Control: one active water-ice sublimator.

RCS (Reaction Control System) Propellant mass: 287 kg (633 lb)

RCS thrusters: 16 x 445 N; four quads

RCS propellants: N2O4/Aerozine 50

RCS specific impulse: 2.84 km/s (290 "seconds")

APS Propellant mass: 2,353 kg (5,187 lb)

APS thrust: 15.6 kN (3,500 lbf)

APS propellants: N2O4/Aerozine 50

APS pressurant: 2 x 2.9 kg helium tanks at 21 MPa

Engine specific impulse: 3.05 km/s (311 "seconds")

Thrust-to-weight ratio at liftoff: 0.34 (twice lunar gravity)

Ascent stage delta V: 2,220 m/s (7,280 ft/s)

Batteries: two 28-32 volt, 296 ampere-hour silver-zinc batteries; 56.7 kg each

Power: 28 V DC, 115 V 400 Hz AC

Descent Stage:

Height: 3.2 m (10.5 ft)

Diameter: 4.2 m (13.8 ft)

Landing gear diameter: 9.4 m (30.8 ft)

Mass including fuel: 10,334 kg (22,783 lb)

Water: 1 x 151 kg storage tank

Propellants mass: 8,165 kg (18,000 lb)

DPS thrust: 45.04 kN (10,125 lbf), throttleable between 10% and 60% of full thrust

DPS propellants: N2O4/Aerozine 50 (UDMH/N2H4)

DPS pressurant: 1 x 22 kg supercritical helium tank at 10.72 kPa.

Engine specific impulse: 3.05 km/s (311 "seconds")

Descent stage delta V: 2,470 m/s (8,100 ft/s)

Batteries: four (Apollo 9-14) or five (Apollo 15-17) 28-32V, 415 A-h silver-zinc batteries; 61.2 kg each

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Launch Escape System (LES)

 

 

L’LES era, sostanzialmente, una torre posizionata sopra Modulo di Comando, e serviva per allontanarlo, con l’equipaggio, dal resto del razzo durante il lancio, nel caso si fosse verificata una situazione di emergenza, emergenza che poteva essere, ad esempio, un incendio sulla rampa di lancio, l’esplosione del Saturn o la perdita di controllo del medesimo nella traiettoria di ascesa.

 

Il Launch Escape System era progettato per entrare in funzione in modo automatico entro i primi 100 secondi dal distacco delle torri ombelicali, oppure dal comandante dell’Apollo in qualunque momento e fino alla quota di 295000 piedi (89916 metri), circa 30 secondi dopo l’accensione del secondo stadio S-II, quando la torre veniva abbandonata.

 

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In caso di attivazione, si sarebbe acceso un motore a combustibile solido che avrebbe allontanato il solo Modulo di Comando dal veicolo di lancio in un lasso di tempo molto breve. Il Launch Escape System sarebbe poi stato espulso e il Modulo di Comando sarebbe potuto atterrare grazie ai medesimi paracadute impiegati per il rientro dalla missione. Nel caso che l’emergenza si fosse verificata prima del decollo, e cioè con il razzo ancora fermo sulla rampa da lancio, il Launch Escape System sarebbe stato comunque in grado di portare il Modulo di Comando (con l’equipaggio) ad una altezza sufficiente affinché potesse atterrare tranquillamente fuori dalla zona di pericolo.

 

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Il Launch Escape System era costituito da 6 elementi principali per i quali userò la nomenclatura della tavola originale della NASA:

 

 

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• Nose Cone and Q-Ball—Nel cono di punta erano conteuti alcuni sensori dellam pressione aerodinamica (Q) che servivano a determinare i parametri di lancio.

 

• Canard Assembly and Pitch Motor— Funzionavano assieme per dirigere il modulo di comando lontano e il più possibile a lato del vettore in caso di emergenza.

 

• Tower Jettison Motor—Un piccolo razzo a propellente solido provvedeva all’espulsione del Launch Escape System quando non serviva più, e solitamente dopo l’accensione del secondo stadio.

 

• Launch Escape Motor—Il motore principale del sistema, aveva quattro ugelli.

 

• Launch Escape Tower—L’intero sistema come veniva monjato sulla capsula Apollo

 

• Boost Protective Cover—serviva a proteggere gli oblò del modulo di comando non solo dalla vampa del razzo che espelleva la Torre una volta esaurita la sua funzione, ma anche dal calore dell’attrito durante la salita negli strati più densi dell’atmosfera.

 

 

Specifications

 

• Total Length: 10.2 m

• Diameter: 0.66 m

• Total mass: 9,200 lb (4,170 kg)

• Thrust: 155,000 lbf (689 kN)

 

 

 

 

 

Spacecraft Lunar Module Adapter (SLA)

 

 

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Lo Spacecraft Lunar Module Adapter, SLA, era una struttura conica di alluminio montata sulla parte superiore dello stadio S-IVB con lo scopo di proteggere il modulo lunare durante il lancio e fino all’immissione in orbita. Era composto da quattro pannelli fissi di alluminio lunghi ciascuno sette piedi (2,13 metri) montati direttamente sullo Instrument Unit alla sommità del terzo stadio, collegati a loro volta a quattro pannelli mobili lunghi 21 piedi (6,40 metri) che si aprivano come i petali di un fiore. Questi ultimi, erano fabbricati in struttura di alluminio a nido d’ape dello spessore di 1,7 pollici (43 millimetri) coperti da uno strato di linoleum dello spessore di 0,03 pollici (0,762 millimetri) e dipinti di bianco per minimizzare il riscaldamento durante il lancio e la salita negli strati più densi dell’atmosfera.

 

 

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La separazione del modulo di comando avveniva attraverso un sistema di cariche esplosive ridondanti per evitare il rischio che la fallita apertura dell’SLA portasse all’aborto della missione. Successivamente, un sistema idraulico apriva l’adattatore come i petali di un fiore, ma, contrariamente a quanto si crede, i pannelli non rimanevano connessi, per evitare che un errore di manovra durante la manovra di aggancio al modulo lunare portasse a una collisione. Una volta raggiunto un angolo di apertura di 45 gradi, alcuni piccoli razzi fissati alle pareti interne dei pannelli si accendevano, spingendoli lontano abbastanza da permettere la manovra del modulo di comando in sicurezza.

 

Il modulo lunare era assicurato al pavimento dell’SLA tramite quattro bulloni esplosivi che venivano fatti esplodere appena eseguito il docking con il modulo di comando; un quinto artifizio esplosivo staccava il cordone ombelicale che collegava l’LM allo Instrument Unit. Solo a quel punto, il bus lunare era pronto a lasciare l’orbita terrestre.

 

Specifications

• Height: 8.5 m (28 ft)

• Apex Diameter: 3.9 m (12 ft 10 in) Service Module end

• Base Diameter: 6.6 m (21 ft 8 in) S-IVB end

• Weight: 1,837 kg (4,050 lb)

• Volume: 190 m³ (6,700 ft³), 140 m³ (5,000 ft³) usable

 

 

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Extravehicular Mobility Unit

 

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L’Apollo Extravehicular Mobility Unit, EMU, nacque dalla necessità di dotare gli astronauti di uno strumento con il quale potersi muovere in libertà e autonomia sulla superficie lunare, proteggendoli al contempo da diversi fattori: le radiazioni cosmiche, in particolare quelle infrarosse e ultraviolette non filtrate per mancanza di atmosfera, oltre agli sbalzi di temperatura che oscilla tra i -100 °C all'ombra e i +120 °C al sole. Doveva, inoltre proteggere dal vuoto all'esterno, che corrisponde a pressione quasi nulla (secondo la meccanica quantistica, il vuoto non esiste, per vuoto solitamente si intende una condizione di pressione talmente bassa da non poter essere misurata correttamente e concretamente dagli strumenti), ragion per cui doveva poter essere pressurizzata internamente. Ovviamente, nessuna tuta viene progettata per garantire una pressione uguale a quella della superficie terrestre, ma ad 1/3 atm; si renderebbe necessario altrimenti uno scafandro eccessivamente rigido con conseguente impedimento nei movimenti.

 

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Tre diverse industrie erano responsabili della produzione dell’EMU: la tuta a pressione vera e propria, Pressure Garment Assembly o PGA, era prodotta alla ILC Industries Incorporated (oggi ILC Dover), il Portable Life Support System, PLSS, dalla Hamilton Standard Division della United Aircraft Corporation, mentre i sistemi di comunicazione erano RCA.

 

Apollo EMU veniva imbarcato in due versioni, la prima destinata al comandante e al pilota del modulo lunare, la seconda al pilota del modulo di comandi. Entrambe dovevano essere indossate dall’equipaggio in caso di particolari manovre come il lancio, i vari rendezvous, e le attività extraveicolari in orbita terrestre o lunare (in questo caso come sistema di emergenza in caso di rottura o attorcigliamento dell’ombelicale); le differenze fra le due versioni erano in realtà minime, e riguardavano principalmente ciò che era richiesto per operare sulla superficie lunare.

 

 

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Entrambe le versioni del PGA consistevano in una sorta di scafandro, Torso-Limb Suit Assembly o TLSA, al quale si agganciavano guanti ed elmetto, ed erano costruite su misura per ogni singolo astronauta, sia dell’equipaggio principale che di quello di riserva della missione, e ogni astronauta disponeva di tre tute diverse ― una per l’addestramento e due per la missione. Il costo delle Apollo EMUs, veniva stimato a un milione e duecentomila dollari ciascuna nel 1967, circa dieci milioni di dollari odierni.

 

Dotati di ganci per appendervi gli strumenti, i guanti, fabbricati nel medesimo materiale della tuta e ricoperti da una guaina di gomma per avere miglior presa sugli oggetti, erano attaccati al polso con anelli metallici sigillati da guarnizioni di gomma siliconata. Gli astronauti inoltre indossavano guanti più fini dentro il guanto esterno per avere un maggiore comfort.

 

Sotto la tuta, e a contatto con la pelle, era indossato il Liquid Cooling Garment, LCG, tre strati che servivano per la termoregolazione del corpo ed erano costituiti da una specie di calzamaglia di nylon e spandex, intrecciata con dei tubicini di PVC lunghi ciascuno circa 85 m. All'interno dei tubi scorreva acqua afredda proveniente dal circuito interno del modulo lunare durante la permanenza al suo interno, e dal PLSS durante le cosiddette passeggiate lunari. La capacità massima di raffreddamento del sistema era di circa 2000 Btu all’ora.

 

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Il pilota del modulo di comando non indossava l’LCG, ma il Constant Wear Garment, CWG, una tuta di cotone sprovvista del radiatore, e nel quale, in caso di necessità, il refrigerante entrava dall’ombelicale dell’ossigeno. A bordo dell’Apollo, quando non c’era previsione di attività extraveicolare o manovre pericolose come i vari rendezvous, anche CDR e LMP indossavano una CWG al posto dell’LCG.

 

La tuta vera e propria era formata da diciassette strati di materiali e funzioni diverse. Dall’interno all’esterno troviamo:

 

1. Uno strato di nylon rivestito di neoprene per garantire la respirazione e mantenere la tenuta stagna

2. Uno strato di poliestere per stabilizzare la pressione, evitando che la tuta si gonfi eccessivamente intralciando i movimenti

3. Sette strati di mylar per la protezione contro calore, abrasioni e perforazioni dovute a micro meteoriti

4. Quattro strati di dacron per dare protezione e confort

5. Due strati di kapton alluminizzato e teflon per fornire protezione contro il calore

6. Uno strato di teflon trattato in maniera ignifuga

7. Uno strato di teflon ignifugo di colore bianco

 

 

Una serie di toppe di Chromel-R, una sorta di lana d’acciaio, erano applicate sui gomiti, ginocchia e sul dorso della tuta per proteggerla dalle abrasioni dovute all’attività o del PLSS; le galosce portate sulla superficie lunare erano realizzate nel medesimo materiale. In più, a partire da Apollo 13, una banda di colore rosso fu applicata sulla tuta per distinguere il comandante di missione dal pilota durante l’attività extraveicolare sul suolo lunare.

 

Nella parte superiore della tuta, erano presenti sei bocchettoni in due file di tre: i quattro inferiori garantivano l’entrata dell’ossigeno e l’uscita dell’ossido di carbonio, il superiore destro connetteva i sensori biomedici, quello sinistro permetteva il passaggio dell’acqua necessaria al raffreddamento della tuta.

Gli scarponi portati sulla luna, dovevano garantire il massimo della protezione contro i fattori termici e meccanici. Come la tuta erano costituiti da numerosi strati di materiali diversi. Dall’interno incontriamo due strati di kapton seguiti da cinque strati di mylar alluminizzato, ciascuno dei quali intercalato da uno strato di dacron. Infine uno strato di teflon ricoperto di Chromel-R. Le suole erano in gomma siliconata ricoperta di nomex per l’isolamento termico.

 

 

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L’elmetto era di policarbonato, resistente agli impatti e perfettamente trasparente; attaccato alla tuta tramite un anello di collegamento sigillato da una guarnizione di gomma siliconata, era dotato di una valvola di scarico per eliminare l’anidride carbonica quando fosse necessario usare la riserva di ossigeno. L’interno era ricoperto da una miscela anti appannante che doveva comunque essere rispruzzata prima di ogni uso. Per le passeggiate lunari, veniva applicato il Lunar Extravehicular Visor Assembly, LEVA, un sistema di vari filtri scorrevoli che proteggeva gli occhi dalla luce solare.

 

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In-suit drink bag, IDB, posizionata all’interno della tuta e capace di due litri d’acqua potabile che l’astronauta poteva bere durante la passeggiata lunare tramite un piccolo tubo posizionato vicino la bocca.

 

 

 

PLSS, Portable Life Support System

 

 

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Chiamato impropriamente zaino lunare, veniva in realtà usato anche durante le attività extraveicolari orbitali, e forniva l’ossigeno per la respirazione che provvedeva poi a depurare dal diossido di carbonio, inoltre si occupava di mantenere la corretta pressione e temperatura nella tuta. Un sistema separato, chiamato Oxygen Purge System, OPS, forniva ossigeno e quanto altro serviva in caso di guasto del PLSS.

 

Oxygen Ventilating Circuit, OVC, controllava temperatura e umidità all’interno della tuta.

Primary Oxygen Subsystem, POS, forniva l’ossigeno respirato dall’astronauta.

Liquid Transport Loop, LTL, controllava la temperatura corporea tramite il sistema di raffreddamento a circolazione d’acqua che veniva poi raffreddata tramite uno scambiatore di calore e, prima di tornare in circolo, era impiegata per raffreddare il motore della ventola primaria del sistema.

Feedwater Loop, FL, forniva acqua a perdere al sistema di raffreddamento recuperando l’acqua di condensa dal circuito dell’ossigeno. L’acqua riscaldata nel processo di scambio di calore, veniva poi eliminata all’esterno.

Electrical Power Subsystem, EPS, forniva energia elettrica ai vari sottosistemi della tuta.

Extravehicular communications system, EVCS, garantiva le comunicazioni a voce fra gli astronauti, fra gli astronauti e i veicoli spaziali, e fra gli astronauti e il centro di controllo di Houston. e la trasmissione delle telemetrie e dei dati biomedici). L’ EVCS, era composto da due sistemi di trasmissione FM, due sistemi riceventi AM e uno FM.

Display and control module, DCM, è la scatola nera che abbiamo visto tante volte sul petto degli astronauti durante le passeggiate sulla luna. Conteneva l’indicatore dell’ossigeno e svariate spie di allarme, oltre all’interruttore per attivare l’OPS in caso di guasto al PLSS.

Oxygen Purge System, OPS, forniva ossigeno e manteneva la pressione corretta nella tuta in caso di guasto ai sistemi contenuti nel PLSS. Montato sulla parte superiore del PLSS e dotato di batterie che gli garantivano modalità di funzionamento autonoma, era formato da due bombole di ossigeno ad alta pressione, un sistema di controllo automatico della temperatura, un regolatore di pressione, una batteria, un indicatore di ossigeno e la necessaria strumentazione. Non poteva però garantire il funzionamento del sistema di comunicazione, anche se provvedeva all’astronauta i vitali per un’ora, tempo ritenuto sufficiente in ogni condizione per fare ritorno in sicurezza al modulo lunare.

 

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Il sistema completo di PLSS, aveva sulla terra una massa di circa 240 libbre (108, 86 chili), che però si riduceva a 40 (18 chili) sulla superficie lunare.

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Lunar Roving Vehicle

 

 

Nelle parole di Harrison Schmitt, Apollo 17, "....the Lunar Rover proved to be the reliable, safe and flexible lunar exploration vehicle we expected it to be. Without it, the major scientific discoveries of Apollo 15, 16, and 17 would not have been possible; and our current understanding of lunar evolution would not have been possible".

 

 

 

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Il Lunar Roving Vehicle, Lunar Rover o Moon Buggy tout court, fu realizzato in soli diciassette mesi dalla firma del contratto. La Boeing (con Delco subfornitrice), costruì quattro modelli effettivi al costo di 38 milioni di dollari dell’epoca (circa 250 ai valori attuali); a causa della cancellazione delle ultime missioni del Progetto Apollo, solo tre furono impiegate sulla luna, la quarta venne tenuta di riserva in previsione di cannibalizzarla se si fossero presentati dei guasti.

 

In realtà, e nonostante il poco tempo a disposizione per la sua realizzazione, i problemi riscontrati nell’uso dell’LRV, furono relativamente pochi e di poco conto. Il maggiore fu l’autonomia delle batterie, che si rivelò inferiore alle previsioni, anche se si rivelarono pienamente rispondenti alle necessità delle missioni Apollo.

 

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Il Rover ripiegato per l'imbarco sull'LM.

 

L’LRV aveva, sulla terra, una massa a vuoto di 463 libbre (210 chili) e poteva trasportarne 1080 (490 chili), raggiungendo così una massa totale di 1560 libbre (708 chili), misurava 10 piedi (3,05 metri) in lunghezza e aveva un passo di 90 pollici (2,28 metri), l’altezza era di 43 pollici (1 metro e 9 centimetri), e l’aletzza minima del telaio da terra a pieno carico erano di 14 pollici (35 centimetri). La struttura dell’LRV era realizzata in alluminio e si poteva ripiegare in tre parti per renderlo trasportabile esternamente al modulo lunare. Aveva due sedili affiancati e separati da un bracciolo, realizzati in alluminio tubolare rivestito di nylon e dotati di cinture di sicurezza di velcro (i sobbalzi, a causa della ridotta gravità e del terreno impervio, si prevedevano fortissimi) e poggiapiedi regolabili.

 

 

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Estrazione del Rover dall'LM.

 

La propulsione era assicurata da quattro motori elettrici, uno per singola ruota, eroganti una potenza di un quarto di cavallo ciascuno a diecimila giri al minuto. Apparentemente poco, ma sufficiente per spingere il rover a pieno carico a dodici chilometri l’ora (durante Apollo 16 furono sfiorati i venti), con capacità di superare pendenze del trenta per cento e trincee di settanta centimetri. Dato l’ambiente in cui si trovavano a operare, le ruote erano ovviamente diverse da quelle delle auto terrestri: anziché essere in gomma con camera d'aria, avevano all'interno un anello elastico con una fitta rete di filo d'acciaio con un battistrada in tasselli di titanio. L’autonomia, di circa cento chilometri (doveva essere centosessanta nelle richieste della NASA), era assicurata da due batterie a 36 volt (capacità 121 amp/ora) non ricaricabili, che garantivano anche l’operatività delle comunicazioni e della telecamera. Quest’ultima, montata su un braccio mobile, poteva essere comandata a distanza sia dagli astronauti che dal centro di controllo di Houston, e veniva usata al ritorno degli astronauti in orbita per mostrare la partenza dello stadio ascendente del modulo lunare.

 

 

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Il rover veniva guidato con una cloche, a disposizione di entrambi i passeggeri, anche se normalmente se ne occupava il comandante di missione: spinta avanti, accelerava, indietro frenava, piegata a destra o sinistra azionava i freni di sterzo come nei carri armati. Portandola tutta indietro fino quasi al petto dell’astronauta che guidava, la cloche funzionava anche da freno da parcheggio, mentre per andare in retromarcia era necessario azionare un apposito interruttore sul cruscotto, che comprendeva un indicatore di direzione e un tachimetro con contachilometri, oltre a spie e manometri di temperatura, livello delle batterie, eccetera. Un computer, inoltre, registrava direzione e velocità del rover per permettere agli astronauti di far ritorno in sicurezza al modulo lunare. Nel caso di avaria del computer, c’era comunque la possibilità di leggere le registrazioni e dirigersi con una sorta di sestante piazzato al centro del cruscotto.

 

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Ogni rover fu usata tre volte, sulla superficie lunare, nel caso di Apollo 15, percorse in tutto 27762 metri per un totale di tre ore e due minuti; la distanza maggiore percorse fu l’ultima, 12769 metri. Il rover di Apollo 16 percorse in totale 26554 metri in tre ore e ventisei minuti, traversata più lunga 11594 metri. Apollo 17 totalizzò 35898 metri in quattro ore e ventisei minuti con la scampagnata più lunga di 20125 metri. Da tener presente che, per motivi di sicurezza, il rover non poteva allontanarsi dal modulo lunare di una distanza superiore a quella percorribile, a piedi, dagli astronauti, entro l’autonomia consentita dalle loro tute extraveicolari, distanza che veniva calcolata in cinquemila metri lineari. Solo con Apollo 17, constatata ì’affidabilità del rover nelle due precedenti missioni, furono superati questi valori, e arrivò a quasi ottomila metri lineari dal punto di atterraggio.

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Le missioni: Apollo 1

 

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Apollo 1 è il nome dato alla navicella Apollo/Saturn 204 (AS-204) dopo che fu distrutta dal fuoco in una simulazione di lancio il 27 Gennaio 1967. Il suo equipaggio era composto dagli astronauti selezionati per iniziare il programma Apollo, e cioè il comandante (CDR, secondo la definizione NASA) Virgil Ivan “Gus” Grissom, il primo pilota (CMP, Command Module Pilot) , Edward Higgins “Ed” White II, e il secondo pilota (LMP, Lunar Module Pilot) Roger Bruce Chaffee.

 

Benché non sia mai stato chiarito con precisione che cosa scatenò l’incendio, l’inchiesta stabilì diversi fattori che avevano provocato la morte degli astronauti, tra i quali l’uso di atmosfera al 100 per cento di ossigeno ad alta pressione, materiale infiammabile all’interno della cabina dell’Apollo, un portello che si apriva solo dall’interno e verso l’interno, e le tute stesse indossate da Grissom, White e Chafee.

 

 

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Da sinistra: Grissom, White e Chafee.

 

 

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Gli astronauti di Apollo 1 pregano su un modello della navetta: un presagio?

 

 

 

AS-204 doveva essere il primo volo pilotato del programma Apollo in orbita terrestre, lanciato da un Saturn I B e avrebbe dovuto prendere il via originariamente nell’Ottobre del precedente anno, 1966, con lo scopo di testare le procedure di lancio, il controllo a terra e le prestazioni del sistema, secondo un rapporto della NASA dell’epoca. La missione era prevista per la durata di 14-18 giorni, a discrezione del comandante Grissom. Apollo 1 avrebbe dovuto essere seguito da altre due missioni, rispettivamente in Aprile e Ottobre 1967, con lo scopo, la seconda, di testare il Saturn V, e la terza il modulo lunare in orbita terrestre. Entrambe furono cancellate in seguito all’incidente, e i loro obiettivi vennero raggiunti con molto ritardo dalle missioni Apollo 7 e 9, rispettivamente nell’Ottobre 1968 e Marzo 1969.

 

Il modulo di comando Apollo era molto più grande e complesso di ogni precedente capsula americana, fatto, questo, che aveva provocato diversi problemi, ripensamenti e riprogettazioni totali e parziali. La North American Aviation, che lo costruiva, per fare un esempio, aveva suggerito un portello che si aprisse verso l’esterno, dotato di bulloni esplosivi azionabili anche a mano come sugli aerei militari, in caso di emergenza, ma la NASA si oppose, temendo il ripetersi dell’incidente della Liberty Bell 7, la capsula che aveva portato proprio Grissom in un volo suborbitale di quindici minuti, il 12 Luglio 1961 e che era quasi affondata dopo l’ammarraggio per l’apertura accidentale del portello.

 

 

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C’era anche il problema dell’atmosfera respirata dagli astronauti nella cabina: la North American suggerì una miscela di ossigeno e azoto come sulla superficie terrestre, ma la NASA ancora una volta obiettò che avrebbe potuto provocare embolie o comunque la cosiddetta sindrome del cassone in caso di malfunzionamento dell’impianto di pressurizzazione. Mercury e Gemini non avevano avuto problemi nell’utilizzare un’atmosfera di ossigeno puro, si faceva notare, e si risparmiava pure peso e volume, due voci quanto mai preziose su un oggetto da lanciare in orbita. Ma c’è anche da dire che nelle Mercury e nelle Gemini c’era molto meno materiale infiammabile in giro, ed era quello che realmente preoccupava gli astronauti di Apollo 1. La NASA promise di mettere mano al problema nelle navette seguenti, ma il test del 27 Gennaio avrebbe dovuto essere portato a termine sulla CM-021 già consegnata, anche perché esso non veniva ritenuto particolarmente pericoloso, trattandosi di determinare la capacità di funzionamento dei sistemi di bordo una volta staccati i cavi ombelicali dalla torre di controllo. Se tutto fosse filato liscio, il 21 Febbraio successivo avrebbe preso il via la prima missione orbitale.

 

Alle 1300L (1800Z) del 27 Gennaio, Grissom, White e Chafee entrarono il modulo di commando con le tute di lancio, furono assicurati ai seggiolini e iniziarono a scorrere la check list, ma la simulazione fu subito rinviata alle 1442 per l’avvertimento di Grissom, che aveva percepito nella sua tuta un odore come di burro bruciacchiato. Alle 1445 l’equipaggio era nuovamente chiuso nel modulo di comando, e l’ossigeno in pressione fu immesso in cabina per sostituire l’aria umida della Florida.

 

 

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Ecco cosa apparve ai socorritori.

 

Ci furono problemi a connettersi fra la capsula, il personale della rampa di lancio, la sala di controllo nei pressi e l’MSOB, Manned Spacecraft Operations Building, dove l’equipaggio di riserva si trovava rinchiuso in una copia della navetta per aiutare i colleghi in caso di problemi. “Come diavolo pensate andremo sulla luna se non riusciamo nemmeno a parlare fra due edifici qua sotto?”, sbottò Grissom alla radio. Passarono quasi quattro ore mentre i tecnici tentavano di ristabilire le comunicazioni a terra. alle 1831 la voce di Grissom fu udita dire “Ehi”. Seguirono suoni confusi per alcuni secondi, poi di nuovo il comandante urlò “Fuoco”. Chaffee aggiunse “Abbiamo un incendio in cabina” e White “Fuoco in cabina”. Seguirono dieci secondi confusi, poi Chafee urlò “Abbiamo un incendio, sta bruciando tutto, tirateci fuori di qua”. Diciassette secondi dopo il primo avvertimento di Grissom, la trasmissione terminò bruscamente con un urlo di dolore.

 

La squadra di soccorso, allertata al primo avviso di Grissom, si trovò in difficoltà per i fumi tossici ma soprattutto per il calore sprigionato dall’incendio che si temeva potesse fare esplodere il carburante solido della torre di salvataggio sovrastante la cabina dell’Apollo. A causa della mancanza di un’apertura di emergenza esterna, occorsero cinque minuti per aprire il portello della cabina e lo spettacolo che si trovarono di fronte era raccapricciante, le tute erano praticamente fuse sul corpo degli astronauti, tutti carbonizzati in maniera quasi irriconoscibile. L’autopsia tuttavia stabilì che i tre uomini dell’equipaggio erano morti per l’inalazione dei fumi tossici, ma la vedova di Grissom, Betty, di professione medico patologo, espresse seri dubbi che l’inalazione dei gas fosse stata tanto rapida da uccidere i tre prima delle ustioni, che nel caso del marito risultarono essere presenti sul sessanta per cento del suo corpo, tutte di secondo e terzo grado, mentre la tuta risultava distrutta al settanta per cento. L’urlo udito, inoltre, faceva pensare a una persona colpita da una forte scarica elettrica, più che dalle fiamme.

 

 

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La rampa 34, oggi.

 

 

La commissione d’inchiesta si concluse senza aver individuato la vera causa dell’incendio, benché varie opinioni fossero state avanzate. Si giunse comunque alla conclusione che il modulo di comando risultava pericoloso per l’equipaggio a causa di svariati fattori, i principali dei quali furono rinvenuti nella pressione eccessiva all’interno della cabina, nell’atmosfera al 100 per cento di ossigeno, e nella eccessiva presenza di materiale infiammabile. Il programma Apollo fu bloccato in un momento in cui si temeva da un momento all’altro la bandiera rossa sulla Luna, al fine di apportare numerose e radicali modifiche sia al modulo di comando della capsula Apollo che alle procedure di lancio. Ricordiamo le principali che furono:

 

1. Al lancio l’atmosfera della cabina sarebbe stata mantenuta alla pressione del livello del mare e sarebbe consistita in una miscela al 60 per cento di ossigeno e al 40 di azoto. Dopo il lancio sarebbe stata cambiata lentamente fino al 100 per cento di ossigeno e a una pressione di 2 psi.

2. Il boccaporto si sarebbe aperto verso l’esterno, e lo avrebbe fatto in meno di dieci secondi. Soprattutto, in emergenza, avrebbe potuto disporre di un sistema a base di cartucce di azoto pressurizzato che lo avrebbe sparato via come il tettuccio di un jet militare in caso di emergenza.

3. Tutto il materiale infiammabile fu sostituito con altro inerte.

4. I cablaggi venneno parimenti ricoperti da materiale isolante non infiammabile.

5. Le tute degli astronauti furono ridisegnate in un nuovo materiale più resistente al calore.

 

Furono inoltre imposti protocolli più severi alle ditte costruttrici e subappaltatrici della capsula Apollo. Il tutto si tradusse in un ritardo del programma di 21 mesi, che avrebbe potuto costare agli americani il primato sulla Luna se i sovietici non fossero stati dibattuti da ben altri problemi.

 

Gus Grissom e Roger Chaffee furono sepolti all’Arlington National Cemetery, Ed White all’United States Military Academy di West Point, New York. I loro nomi sono anche ricordati nello Space Mirror Memorial al Kennedy Space Center Visitor Complex dell’isola di Merritt.

 

Il nome Apollo 1, previsto in origine ma sostituito dalla NASA come AS-204, fu ristabilito per volontà delle vedove, e un patch della missione fu lasciato sulla Luna dagli astronauti dell’Apollo 11. Ricordiamo anche che Virgil Grissom, e non Neil Armstrong, nelle intenzioni della NASA, avrebbe dovuto essere il primo uomo a calpestare la polvere del nostro satellite, in una data compresa fra Maggio e Settembre 1968, cioè un anno prima dello storico allunaggio di Apollo 11. 

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Apollo 7

 

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Ventuno mesi dopo la tragedia dell’Apollo 1, la Nasa lanciò Apollo 7 che fu la prima missione con equipaggio nel programma Apollo, il primo lancio con equipaggio del vettore Saturn IB, e la prima missione spaziale americana con tre uomini.

 

Apollo 1, come abbiamo visto, doveva essere la prima missione umana del programma, mandando in orbita Grissom, White e Chaffee che poi moriranno nell’incidente del Gennaio 1967. L’equipaggio di riserva della missione, al quale attingere in caso di indisponibilità di uno o più astronauti della missione principale, era composto dagli astronauti Walter Marty Schirra, Jr. (già nello spazio con Mercury 8 e Gemini 6), Donn Fulton Eisele e Ronnie Walter "Walt" Cunningham, che furono quindi “promossi” ad equipaggio principale della nuova missione, la cui navetta Apollo beneficiava di tutti i miglioramenti scaturiti dall’inchiesta seguita all’incendio del 1967. Poiché si trattava di una missione di collaudo dei sistemi del modulo di comando, nel corso della quale non era previsto l’impiego del modulo lunare, la partenza avvenne con un vettore Saturn IB, anziché col V che sarebbe stato impiegato per tutte le successive missioni lunari. Schirra avrebbe voluto per la missione il radio call “Phoenix” in memoria dei colleghi morti quasi due anni prima, ma la NASA bocciò l’idea, così come la successiva, "Lucky Seven", il che sicuramente non piacque al comandante.

 

 

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Da sinistra: Eisele, Schirra, Cunningham.

 

Per la missione venne utilizzata la versione della capsula dotata di tutti i miglioramenti scaturiti dalle considerazioni sull’incidente all’Apollo 1. Denominata CSM-101, fu consegnata al KSC assieme alle varie parti del vettore Saturn IB denominato AS-205, nella primavera del 1968. Vari problemi di natura tecnica e la necessità di controllare ogni singolo componente per evitare un’altra tragedia che avrebbe potuto mettere la parola fine a ogni ulteriore speranza di raggiungere la luna prima dei sovietici, fecero sì che il vettore non uscisse dall’VAB che il 9 Agosto 1968 per essere inviato verso la rampa di lancio.

 

 

 

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Il lancio di Apollo 7.

 

 

 

La missione aveva tre obiettivi principali:

 

1. Dimostrare le capacità della navetta in generale

2. Dimostrare le capacità e il rendimento di un equipaggio umano in una missione di lunga durata (per i parametri delle’poca)

3. Dimostrare l’effettiva capacità di compiere manovre di rendezvous della navetta Apollo.

 

Apollo 7 fu lanciato da Cape Kennedy l’11 Ottobre 1968, immettendosi in orbita circa 10 minuti dopo. Trascorse alcune ore la navicella si staccò dal secondo stadio del razzo vettore, si girò, ed esegui la manovra rendezvous. Con ciò venne simulato come le future navicelle Apollo avrebbero dovuto eseguire l'apposita manovra per estrarre il modulo lunare dal terzo stadio di un razzo vettore del tipo Saturn V, manovra che fu ripetuta diverse volte nei giorni successivi, navigando sia a vista che col radar. Secondo gli astronauti, lo stadio S-IVB risultava visibile, in orbita, anche a distanze dell’ordine delle 1000 miglia (1609 chilometri).

 

Durante la missione i vari sistemi di propulsione dell’Apollo furono accesi diverse volte da un minimo di mezzo secondo a un massimo di dodici minuti, provocando cambi di orbita e permettendo alla capsula di raggiungere la quota di 452 chilometri. Inoltre, per la prima volta nella storia dell'esplorazione spaziale americana, gli astronauti trasmisero in diretta immagini a terra, servendosi di una telecamera, la cui presenza a bordo dei precedenti voli era sempre stata scartata per problemi di peso e di spazio.

 

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Le prime immagini in diretta.

 

 

 

 

Non tutto filò però liscio. Al malumore per il diniego a usare il radio call “Phoenix”, si aggiunse il primo caso di “mal di spazio”, una sindrome non dissimile al mal d’auto o d’aereo, provocato probabilmente dalla relativamente grande capsula (rispetto alle anguste Gemini e alle sacrificantissime Mercury) che colpì il comandante Schirra dal primo momento in orbita; subito dopo, Schirra prese il raffreddore, seguito a breve distanza da Cunningham ed Eisele. Ciò nonostante fu programmata l'esecuzione di un programma di test alquanto vasto (si trattava in fondo della prima missione di un nuovo tipo di veicolo spaziale) che causò non poche polemiche e fu oggetto di forti divergenze tra direzione di volo ed equipaggio. Il fatto che la secrezione nasale non scolasse verso il basso autonomamente a causa della condizione di microgravità, obbligava gli astronauti a pulirsi il naso continuamente. Pertanto, con largo anticipo sulla data di rientro della missione, gli astronauti iniziarono ad insistere sul fatto di voler eseguire la manovra di rientro senza indossare gli appositi guanti ed il casco della tuta spaziale. Motivarono tale insistenza con la paura che l'enorme pressione che viene a crearsi durante questa fase avrebbe potuto causare lo scoppio dei loro timpani. La NASA dovette dunque valutare accuratamente i rischi di una tale decisione. Solo dopo lunga ed accurata discussione la direzione del volo si piegò alla pressione degli astronauti e consentì di svolgere la manovra accogliendo la richiesta.

 

Altro motivo di malumore, fu la qualità del cibo, definito “blasphemous” dal comandante Schirra.

 

Dopo 10 giorni di volo gli astronauti accesero i retrorazzi frenanti per 12 secondi. Quattro minuti dopo il modulo di servizio venne staccato dal modulo di comando. Durante la fase di rientro nell'atmosfera terrestre gli astronauti dovettero sopportare una decelerazione fino a 3,3 G. Durante gli ultimi sei minuti la discesa venne frenata da appositi paracadute. Dall'accensione dei retrorazzi fino all'effettivo atterraggio nel mare caraibico era passata mezz'ora. La capsula dell'Apollo atterrò capovolta, cioè con la punta sott'acqua; poté comunque immediatamente essere rialzata mediante il gonfiaggio di appositi airbags. Gli astronauti vennero recuperati da un elicottero della portaerei Essex (CV9) e quindi portati a bordo della medesima per il rientro in Florida.

 

A causa delle tensioni scaturite durante la missione, nessuno dei tre uomini di Apollo 7 avrebbe volato mai più nello spazio, e solo nell’Ottobre 2008, quarant’anni dopo, l’amministratore della NASA, Michael Douglas Griffin, consegnò all’unico membro dell’equipaggio ancora vivente, Cunningham, la NASA Distinguished Service Medal, a riconoscimento dei meriti cruciali della loro missione nel programma Apollo. Per la cronaca, gli uomini di Apollo 7 erano gli unici di tutto il programma a non averla mai ricevuta.

 

Apollo 7 fu l’unica missione umana Apollo a essere lanciata dalla rampa 34, tutte le seguenti missioni partiranno dalle rampe del gruppo 39.

 

Apollo 7 dimostrò l’idoneità di volo della navicella spaziale, e la correttezza di tutte le procedure collegate, come l'assemblaggio del razzo vettore, i preparativi di lancio e la direzione di volo. Fu dunque il primo passo nella giusta direzione per mantenere la promessa fatta dal Presidente Kennedy sette anni prima.

 

Come tappa successiva era stato programmato da tempo che l'equipaggio dell'astronauta comandante James McDivitt avrebbe volato su Apollo 8 in una missione per testare il modulo lunare nell'orbita intorno alla Terra, anche se, i ritardi nella messa a punto del Lunar Module fecero slittare la missione alla fine del 1968, considerando anche che prima di volare in orbita sarebbero in ogni caso state necessarie diverse esercitazioni a terra.

 

Secondo una voce apparsa di recente e smentita peraltro senza troppa convinzione all’epoca (fine anni 80) dalla NASA, nella primavera del 1968 la CIA rivelò che, secondo le sue informazioni, i sovietici sarebbero riusciti a inviare una capsula con uno-due uomini per un sorvolo lunare probabilmente nel Gennaio-Febbraio 1969; la notizia, oltre a costituire un autentico shock per i vertici dell’Agenzia Spaziale americana, scombinò grandemente e ulteriormente le carte, costringendo a rivedere il calendario delle missioni già programmate.

 

Così, l'equipaggio dell'astronauta comandante Frank Borman, previsto per la missione Apollo 9, Marzo 1969, e già perfettamente addestrato a una missione in orbita lunare, fu anticipato, invertendo le due missioni: il Saturn V, anche senza avere a bordo il modulo lunare poteva essere programmato per un volo verso la Luna e battere così i sovietici sul tempo. Ai primi di Agosto fu presa la decisione di modificare il piano originario e di mandare la missione, ora rinumerata Apollo 8, verso la Luna. Della cosa, non fu avvertito il pubblico se non poche ore prima del lancio, benché numerose indiscrezioni fossero circolate nelle settimane precedenti senza trovare conferma, e questo inclinerebbe a favore della voce sull’informazione della CIA a proposito delle intenzioni sovietiche.

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Apollo 8

 

 

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Apollo 8 fu la seconda missione con equipaggio del Programma Apollo ad essere lanciata, la prima a raggiungere la Luna. La prima volta in cui degli esseri umani attraversarono le Fasce di Van Allen e la prima in cui arrivarono nei pressi del nostro satellite. Missione, per importanza, seconda solo all'allunaggio del 20 luglio 1969.

 

La genesi non ufficiosa della missione è stata spiegata nel capitolo precedente, quindi non la ripeterò, quella ufficiale parla di un semplice cambiamento di programmi dovuto ai ritardi di messa a punto del modulo lunare.

 

L’equipaggio era composto dal comandante (CDR), Frank Frederick Borman II, dal CMP James "Jim" Arthur Lovell Jr. (entrambi avevano già volato tre anni prima su Gemini 7 stabilendo quello che all’epoca resisteva come record di permanenza nello spazio, 330 ore e 35 minuti), e dall’LMP e matricola dello spazio, William Alison Anders. Lovell prese il posto in origine assegnato a Michael Collins, all’epoca considerato il più esperto conoscitore del modulo di comando Apollo, che si era dovuto sottoporre a un intervento chirurgico per un’ernia del disco (infortunio che rischiò di compromettere la sua carriera di astronauta).

 

 

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Da sinistra:Lovell, Anders, Borman.

 

 

 

Per il lancio si decise di utilizzare il vettore e la navicella già scelti per la missione di collaudo del modulo lunare, e pronti a Cape Kennedy assieme al primo ed al terzo stadio del razzo dal Dicembre 1967. Si dovette però attendere nove mesi perché giungesse il secondo stadio e fosse assemblato nell’VAB. Solo il 9 Ottobre Apollo 8 venne infine trasportato sulla rampa 39A. Trattandosi del terzo Saturn V prodotto, ricevette il seriale AS-503, il modulo di comando e servizio divenne di conseguenza CSM-103, mentre al posto del modulo lunare venne caricato un mock-up, il Lunard Test Article, LTA-1, che pesava però solo la metà dell’originale. Per la cronaca, il primo Saturn V, AS-501 Apollo 4, e il secondo, AS-502 Apollo 6, furono lanciati per testare i propulsori senza equipaggio rispettivamente il 9 Novembre 1967 e il 4 Aprile 1968. Esiste anche un Apollo 5, lanciato senza equipaggio, con un Saturn IB il 22 Gennaio 1968 per collaudare il modulo lunare in orbita terrestre.

 

 

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S-IVB dopo il distacco della navetta Apollo.

 

Apollo 8 fu finalmente lanciato il 21 Dicembre 1968, alle ore 12 e 51 dalla rampa 39A come previsto da mesi. 11 minuti dopo, la capsula entrò in orbita di parcheggio, dove rimase i successivi 158 minuti, mentre l’equipaggio eseguiva i test di controllo dei sistemi e sottosistemi, particolarmente cruciali per il motore dell’S-IVB, che durante il volo Apollo 6 aveva fallito la riaccensione in orbita. Questa volta invece filò tutto liscio e alle 1540 (gli orari delle missioni spaziali sono sempre GMT, o Zulu, se preferite il codice militare), il motore J2 dell’S-IVB fu acceso per la seconda volta per una durata di 5 minuti e 17 secondi, portando la velocità dell’Apollo al valore di 35505 piedi al secondo (10,82 chilometri al secondo, 38959 chilometri all’ora) necessari a sfuggire all’orbita terrestre, la velocità più alta finora sopportata da un equipaggio umano. Per motivi di sicurezza venne comunque scelta e calcolata una traiettoria tale che, in caso di malfunzionamento o disfunzione totale dei congegni propulsori, la navicella avrebbe compiuto un service sorvolo della Luna, il cosiddetto fly by o giro di boa, per ritornare poi autonomamente sulla terra. L’ S-IVB fu infine sganciato, e Apollo 8 venne ruotato di 180 gradi usando il Reaction Control System per simulare la manovra di aggancio del modulo lunare. I i due mezzi volarono in formazione per cinque ore, durante le quali l’equipaggio prese diverse foto del terzo stadio del Saturn V. Per evitare collisioni con la navicella, il motore fu acceso una terza volta e l’S-IVB deviato su un’orbita solare, dove tuttora si trova, con un periodo di 340 giorni.

 

 

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Una delle prime immagini della Luna.

 

Il compito principale di Lovell, come CMP, era quello di calcolare la rotta: in un’epoca in cui i computers erano ai primordi e, comunque, le loro dimensioni non permettevano di imbarcare i meglio performanti su una navicella spaziale, si dovette ricorrere a un sestante col quale misurare l’angolo fra alcune stelle scelte come guida e l’orizzonte terrestre o lunare. La lettura dei dati veniva poi trasmessa al centro di controllo di Houston, dove i calcolatori provvedevano poi a valutare la traiettoria e se, del caso, segnalare le correzioni. Altro compito che gli astronauti si trovarono ad affrontare, con l’ausilio del Reaction Control System, fu quello di far ruotare la capsula: nel vuoto, una superficie esposta alla luce sale in pochi minuti a 200 gradi centigradi e oltre, mentre la parte in ombra scende altrettanto velocemente a meno cento, col rischio di incendiare le tubature del carburante o di congelare sensori e parti mobili. Per non esaurire il carburante, l’RCS veniva azionato per qualche secondo ogni mezzora, manualmente, non essendo previsto un automatismo di questo genere: e questa fu una delle ragioni per la quale fu deciso che uno dei tre membri dell’equipaggio fosse sempre sveglio durante la missione.

 

 

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In orbita lunare.

 

55 ore 40 minuti dopo il lancio, gli astronauti dell’Apollo 8 furono i primi esseri umani a entrare nella sfera di influenza gravitazionale di un altro corpo celeste: in altre parole, in quel punto, a 62377 chilometri dalla luna e alla velocità di 1216 metri al secondo, gli effetti dell’attrazione gravitazionale del nostro satellite superarono quelli della terra dalla quale Apollo 8 era partita. Nove ore più tardi, l’equipaggio iniziò la manovra per il Lunar Orbit Insertion, LOI, che doveva essere eseguita alla perfezione, e, quel che preoccupava maggiormente Houston, sul lato nascosto della luna, in totale black out delle comunicazioni radio.

 

 

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La foto più famosa della missione: la Terra che spunta dietro la Luna.

 

 

 

69 ore, 8 minuti e 16 secondo dopo il lancio da Cape Kennedy, il motore principale del modulo di servizio, SPS, fu acceso per quattro minuti e tredici secondi, piazzando Apollo 8 in un’orbita di 111,8x311,1 chilometri attorno alla luna. Più tardi, i tre uomini descrissero quel tempo come i quattro minuti più lunghi della loro vita: un errore anche minimo nell’accensione, poteva lanciare la navicella in orbita solare senza più nessuna possibilità di fare ritorno a terra (si dice, ma non ci sono prove, sia accaduto a una navicella sovietica con due cosmonauti nel 1965) oppure schiantarla sulla superficie del satellite.

 

Con gran sollievo dei tecnici di Houston, la navicella alla fine apparve da dietro la luna e cominciò a trasmettere a terra le prime impressioni degli astronauti: “Laggiù è tutto grigio, sembra plastilina”, disse Lovell.”Un pieno di niente dimenticato da dio”, la descrisse Bormann. Gli astronauti passarono l’ora successiva a descrivere quello che stavano sorvolando (la missione doveva servire anche da ricognizione per i punti di atterraggio dei moduli lunari). Prima di scomparire nuovamente dietro la luna, l’SPS fu riacceso per undici secondi per immettere la navicella in un’orbita circolare di 112,7 chilometri.

 

All’uscita dalla nona orbita lunare, e prima di iniziare i controlli per la riaccensione del motore principale in previsione della Trans Earth Injection, TEI, i tre astronauti fecero gli auguri di buon Natale a tutti “laggiù sulla buona terra”. 89 ore, 28 minuti e 39 secondi dopo il lancio da Cape Kennedy, l’SPS fu riacceso, come previsto e in perfetto orario, per cinque minuti e nove secondi. Apollo 8 cominciava il ritorno verso casa la mattina di Natale del 1968. Il viaggio fu senza storia e si concluse con l’ammaraggio, nei pressi dell’isola Christmas a sud dell’arcipelago della Hawaii e a meno di due miglia dalla CV10 Yorktown, l’alba (ora locale) del 27. Come per l'Apollo 7, la capsula entrò in mare con la punta sott'acqua, ma anche in questo caso non sorsero problemi a raddrizzarla mediante il gonfiamento degli airbags. Per motivi di sicurezza, i sommozzatori vennero inviato solo dopo il levar del sole, 43 minuti dopo l’ammarraggio.

Time scelse i tre uomini dell’equipaggio dell’Apollo 8 come Men of the Year for 1968, la sovietica Pravda li mise pure in prima pagina assieme a una dichiarazione del direttore del programma spaziale Intercosmos, Boris Nikolaevitch Petrov che definiva la missione “un grandissimo successo per la scienza e la tecnologia”. Ma quello che Borman ancora oggi ricorda con piacere, fu il telegramma che ricevette da uno sconosciuto, che lo ringraziava per avere salvato il 1968.

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Apollo 9

 

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Apollo 9, fu una missione di dieci giorni in orbita terrestre per testare il modulo lunare. Si svolse senza particolari problemi o emozioni, e forse questa è la ragione per la quale è praticamente scomparsa dalla storia. L’equipaggio era composto dal comandante, James Alton McDivitt, veterano di Gemini 4, dal pilota del modulo di comando, David Randolph Scott, già secondo di Armstrong sulla Gemini 8 (tornerà nello spazio come comandante di Apollo 15 nel 1971), e dal pilota del modulo lunare Russell Louis "Rusty" Schweickart.

 

Per semplificare le comunicazioni con il centro di controllo a terra, furono reintrodotti i radio call per il modulo di comando (in questo caso Gumdrop, un tipo di caramella gommosa) e quello lunare (Spider, ragno, ma anche calesse), tradizione interrotta dopo che l’equipaggio di Gemini 3 aveva battezzato la propria capsula col nome di un personaggio dei fumetti.

 

 

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Da sinistra: McDivitt, Scott, Schweickart.

 

Il lancio avvenne il 3 Marzo 1969, alle 1600 GMT e l’immissione in orbita avvenne senza problemi di sorta. Tre ore dopo il lancio, gli astronauti eseguirono quella che era ritenuta la manovra più rischiosa della missione: lo sgancio del modulo di comando dal terzo stadio S-IVB, la sua rotazione di 180 gradi, il ritorno verso il vettore e l’aggancio al modulo lunare, quindi la sua estrazione e infine il distacco completo dal terzo stadio. Tutto avvenne senza problemi di sorta.

 

Il giorno successivo si procedette alla messa in pressione dell’abitacolo del modulo lunare e all’apertura del boccaporto di collegamento, ma gli astronauti McDivitt e Schweickart non poterono passare da un veicolo all’altro perché entrambi sofferenti di mal di spazio. Si dovette attendere il terzo giorno, e fu la prima volta nella storia dell’astronautica che si passava da un veicolo spaziale all’altro utilizzando un boccaporto interno, senza dover, cioè, uscire nello spazio. Dopo i controlli di routine, i motori del modulo lunare vennero accesi per sei minuti senza staccarlo dal modulo di comando.

 

Il 6 Marzo avvennero le prime attività extraveicolari, intese a testare le procedure di emergenza per la manutenzione del modulo di comando e di quello lunare. Schweickart uscì dal portello del modulo lunare, Scott da quello della capsula Apollo. In origine era previsto lo scambio fra i due, Schweickart sarebbe dovuto rientrare dal portello dell’Apollo e Scott da quello del modulo lunare, ma i due risentivano ancora del malessere che li aveva bloccati il primo giorno della missione, quindi l’EVA fu bloccata.

 

 

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Scott affacciato al portello dell'Apollo 9.

 

L’8 Marzo, McDivitt e Schweickart passarono nuovamente nel modulo lunare e si staccarono dal modulo di comando per allontanarsi a 180 chilometri dallo stesso. Dopo circa quattro ore venne staccato lo stadio di discesa ed acceso quello di risalita per effettuare la manovra rendezvous con la capsula Apollo. Dopo 6 ore e 22 minuti dal distacco, Spider venne riagganciato a Gumdrop. Non si trattò comunque del primo aggancio in orbita di veicoli spaziali con equipaggio, dato che tale manovra era riuscita con successo dagli equipaggi di Soyuz 4 e Soyuz 5 due mesi prima.

 

McDivitt e Schweickart tornarono sul lodulo di comando pilotato da Scott ed in seguito venne staccato definitivamente il modulo lunare. Venne comunque eseguito un ulteriore esperimento: i congegni propulsori del modulo lunare vennero riaccesi a distanza e fatti bruciare fino a quando il carburante fu consumato completamente. Grazie a questa manovra Spider rimase nell'orbita terrestre fino al 23 Ottobre 1981, quando si distrusse rientrando nell'atmosfera. Il terzo stadio del vettore Saturn, fu invece spedito in orbita solare, dove si trova tuttora con un periodo di 329 giorni.

 

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La trasposizione del modulo lunare.

 

 

A causa del cattivo tempo nella zona prevista per l'atterraggio l'accensione dei retrorazzi frenanti avvenne dopo una ulteriore orbita intorno alla Terra rispetto a quelle originariamente previste. Dieci giorni dopo il lancio, per la precisione il 13 marzo, alle 1700 GMT, Apollo 9 atterrò senza problemi 290 chilometri a est delle Bahams, e l’equipaggio recuperato dalla portaelicotteri Guadalcanal (LPH7). Al contrario delle precedenti missioni, Apollo 7 e 8, la capsula era ammarata nella posizione corretta e non dovette essere rialzata dagli airbags.

 

 

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Il modulo lunare sullo sfondo della Terra.

 

Apollo 9 fu un pieno successo. Oltre che il modulo lunare e l'apposita tuta spaziale del programma Apollo furono collaudati gli ultimi oggetti dell'equipaggiamento necessario per un allunaggio. Vennero inoltre eseguite tutte le manovre rendezvous e di aggancio necessarie per tale missione. La malattia dello spazio di Schweickart aveva sì comportato un accorciamento della durata delle attività extraveicolari, ma tale rischio veniva valutato sostenibile. Infatti l'indisposizione venne riscontrata esclusivamente all'inizio di un volo nello spazio, tanto che un astronauta affetto da tale inconveniente sarebbe guarito prima di giungere sulla Luna.

 

All'interno della NASA vennero dunque addirittura avanzate delle proposte con l'intenzione di far allunare la successiva missione Apollo 10 e pertanto di portarvi il primo uomo sulla Luna. La direzione, visti anche i rapporti della CIA che davano ormai per fallito ogni tentativo sovietico, decise comunque di mantenere i programmi concordati, fatto che venne espressamente sottolineato il 24 marzo quando venne dato l'annuncio che la missione successiva sarebbe stata la combinazione dei test eseguiti nelle missioni dell'Apollo 8 ed Apollo 9: un volo verso la Luna con collaudo del modulo lunare nell'orbita lunare.

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Apollo 10

 

 

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Apollo 10 è un’altra missione senza storia, benché sia stata la seconda a portare un equipaggio umano intorno alla luna e la prima a testarvi in orbita il modulo lunare, che scese fino a meno di 10 miglia dalla sua superficie.

 

L’equipaggio era composto dal comandante, Thomas Patten Stafford (Gemini 6 e 9, Apollo Soyus), dal pilota del modulo di comando, John Watts Young (Gemini 3 e 10, Apollo 16, STS1 e 9), e dal pilota del modulo lunare, Eugene Andrew Cernan (Gemini 9 e Apollo 17). Anche in questo caso, fu adottato un radio call per il modulo di comando e quello lunare, ma i nomi scelti dall’equipaggio (Charlie Brown e Snoopy), non piacquero affatto alla NASA, che obbligò la successiva missione ad adottare nomi più “seri”.

 

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Snoopy sullo sfondo della Luna.

 

Il lancio avvenne il 18 Maggio 1969 alle 1649 GMT. Il 22 Maggio successivo, alle 2035 GMT, il modulo lunare Snoopy si staccò dal modulo di comando Charlie Brown e iniziò la discesa verso la superficie lunare, raggiungendo il punto più basso alle 2129 GMT, 15,6 chilometri sulla verticale del punto di atterraggio previsto per l’Apollo 11. Questa era l'altezza minima sotto la quale non si poteva scendere in quanto non sarebbe più stato possibile una manovra di ascesa diretta. Ad un'altezza di 15 chilometri era previsto che lo stadio di discesa del modulo lunare venisse staccato per avviare il procedimento di risalita. Immediatamente dopo il pilotaggio automatico guidato dal computer di bordo si guastò provocando un forte movimento di avvitamento. Cernan spense il pilotaggio automatico e riposizionò il modulo lunare correttamente mediante pilotaggio manuale. Pure l'azionamento del congegno propulsore principale dello stadio di ascesa del modulo lunare non riuscì al primo tentativo, poté comunque essere eseguito in un secondo momento senza particolari problemi per l'equipaggio. Lo stadio di discesa di Snoopy si fracassò successivamente in un punto sconosciuto della superficie lunare, quello di ascesa, abbandonato dall’equipaggio dopo il rendezvous con Charlie Brown, fu sparato in orbita solare dove si trova tuttora.

 

L’ammaraggio avvenne il 26 Maggio, alle 1652 GMT, nei pressi dell’isola Christmas, nel Pacifico e l’equipaggio fu recuperato dalla portaerei Princeton, CV37. Da notare che Apollo 10 trasmise le prime immagini televisive a colori della storia dell’esplorazione spaziale.

 

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Cernan, Stafford, Young.

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Apollo 11

 

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Fu la prima missione a portare un essere umano sulla superficie della luna, e fu la quinta missione con equipaggio del programma Apollo.L’equipaggio era composto dal comandante, Neil Alden Armstrong (già comandante della Gemini 8), dal pilota del modulo di comando Michael Collins (pilota della Gemini 10), e dal pilota del modulo lunare, Edwin Eugene "Buzz" Aldrin Jr (pilota della Gemini 12).

 

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Armstrong, Collins, Aldrin.

 

Dopo Apollo 10, la NASA impose, come si è detto, dei radio call “seri”, così il modulo di comando dell’Apollo 11 fu chiamato Columbia (secondo alcuni dal nome femminile usato talvolta nelle canzoni e nelle poesie per rappresentare gli Stati Uniti, ma secondo altri da columbiade, il cannone che spara gli astronauti nel romanzo di Jules Verne) e quello lunare Eagle, con chiaro riferimento allo stemma americano.

 

Apollo 11 fu lanciato dalla rampa 39A di Cape Kennedy il 16 Luglio 1969 alle ore 1332 GMT (0932 locali) per entrare in orbita 12 minuti più tardi. E quarantacinque minuti più tardi, il terzo stadio S-IVB fu accesso per la TLI. Tre giorni dopo, Apollo 11 entrava in orbita lunare e iniziarono i preparativi per la discesa sulla superficie. Il punto scelto per l’atterraggio, una località del Mare della Tranquillità circa 20 chilometri sudovest del cosiddetto cratere Sabine D (0.67408N, 23.47297E), era stato scelto dopo attente analisi delle foto e delle mappe inviate a terra dalle sonde Ranger, Surveyor e Lunar Orbiter per il fatto di essere relativamente piatto e privo di ostacoli superficiali che potessero mettere a rischio e la discesa e successiva risalita del modulo lunare, e l’attività extraveicolare dei due astronauti.

 

Il 20 Luglio, Eagle si staccò da Columbia e, dopo aver fatto un giro attorno a quest’ultima per permettere a Collins di controllare che non vi fossero danni, iniziò la sua discesa verso il Mare della Tranquillità. Quasi subito, Armstrong e Aldrin scoprirono che il computer di bordo che stava guidando la discesa funzionava male e li avrebbe portati a superare di qualche chilometro il punto previsto di atterraggio, perciò lo esclusero e passarono al pilotaggio manuale, con Armstrong ai comandi e Aldrin ad aggiornargli le letture della quota e velocità. La discesa proseguì senza rischi, anche se si dovette modificare il punto di atterraggio, spostandolo a ovest di qualche centinaio di metri rispetto il previsto a causa di alcuni massi che non era possibile rilevare dall’alto e quindi erano sfuggiti ai Lunar Orbiter.

 

Eagle si posò sulla superficie lunare il 20 Luglio 1969, alle 2017 GMT con soli venticinque secondi di carburante ancora disponibili causa le manovre diversive che si erano dovute intraprendere per non finire sui massi. Le prime parole degli astronauti dalla superficie lunare non furono quelle storiche tramandate ai posteri, ma puro gergo tecnico come si è scoperto dalle registrazioni della missione.

 

Aldrin: “Contact light.. OK, engine stop. Cut the engine, out of détente.”

Armstrong: “Out of détente, roger. Engine killed.”

Aldrin: “Mode control, both auto. Descent engine command override off. Engine arm off. 413 is in”

Armstrong: “Roger that. All’s been killed off”. E solo a quel punto pronunciò la storica frase: "Houston, Tranquility Base here. The Eagle has landed." Quello che molti non sanno è che quella frase provocò un attimo di panico al centro di controllo missione nel Texas: secondo la procedura Armstrong avrebbe dovuto usare il radio call del modulo lunare, “Eagle”, non “Tranquillity Base”, poi tutti capirono ed esplose la gioia che quelli della mia età hanno visto da bambini in televisione.

 

Alle 0256 GMT del 21 Luglio (2256 del 20 Luglio sulla costa atlantica americana), esattamente sei ore e mezzo dopo l’atterraggio sul Mare della Tranquillità, Armstrong mise piede sulla luna pronunciando le famose parole: "That's one small step for [a] man, one giant leap for mankind", questo è un piccolo passo per l’uomo, (ma) un balzo gigante per l’umanità. Aldrin lo seguì poco dopo, descrivendo ciò che vedeva come una splendida desolazione.

 

Naturalmente, non andò tutto liscio. Entrambi gli astronauti ebbero difficoltà ad attraversare il boccaporto del modulo lunare per le dimensioni del PLSS (il boccaporto era più piccolo di quanto previsto in origine per una riprogettazione dovuta a motivi tecnici, peccato nessuno avesse pensato a ridisegnare pure l’ingombrante “zaino” lunare ― fu fatto subito dopo la missione), che resero così difficoltosa l’uscita e l’entrata nel modulo lunare. Inoltre, l’RCU, Remote Control Unit, posta sul casco, impediva agli astronauti di vedersi i piedi e, di conseguenza, dove li stavano mettendo.

 

 

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Le prime impronte umane sulla Luna.

 

Prima ancora di essere il sogno di Kennedy realizzato, Apollo 11 fu un test per tutte le successive missioni lunari. Le foto scattate al modulo, per esempio, servirono ai tecnici per verificarne le condizioni dopo l’atterraggio. Furono anche testati i modi migliori per muoversi sulla superficie del satellite, che si rivelò comunque meno difficoltosa del previsto (non erano ben chiare le conseguenze di una gravità ridotta a un sesto di quella della superficie terrestre): si scoprì che il modo più efficiente di procedere, era muoversi a balzi lunghi, il cosiddetto two-footed kangaroo hop, anche se ciò comportava programmare attentamente i movimenti, se non altro a causa del terreno particolarmente sdrucciolevole. Aldrin rilevò che il muoversi dalla luce all’ombra non creava cambiamenti significativi di temperatura all’interno delle tute, mentre il casco risultava essere più caldo se esposto al sole. Infine il PLSS: lo zaino contenente i sistemi di sopravvivenza della tuta tendeva a far cadere l’astronauta all’indietro.

 

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Aldrin, ripreso da Armstrong, visibile nel riflesso del casco.

 

Gli astronauti piantarono insieme la bandiera degli Stati Uniti, ma la consistenza del terreno non permise di inserirla per più di 20 cm. Parlarono brevemente col Presidente Nixon che si congratulò con loro per il grande successo, quindi si misero al lavoro.

 

Il Modular Equipment Storage Assembly (MESA) si rivelò di uso complesso, inoltre era all'ombra, e questo rallentò ulteriormente il lavoro. Muovendosi, gli astronauti alzarono della polvere grigia, che andò a sporcare la parte esterna delle loro tute. Posizionarono l'Early Apollo Scientific Experiment Package, EASEP, che includeva un sismografo passivo e un laser retro-riflettente. Successivamente Armstrong si allontanò a grandi passi di circa 120 metri dal Modulo Lunare per fotografare il Cratere Orientale mentre Aldrin iniziò la raccolta di materiale lunare. Usò il martello geologico, e questa fu l'unica situazione in cui venne usato dall'Apollo 11. Gli astronauti iniziarono la raccolta di rocce lunari con le palette, ma poiché l'operazione richiedeva molto più tempo del previsto, furono costretti ad abbandonare il lavoro a metà dei 34 minuti previsti.

 

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Il percorso degli astronauti di Apollo 11 sulla Luna.

 

 

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Il medesimo percorso raffrontato a un campo di calcio.

 

Aldrin rientrò nell'Eagle per primo, dopo 2, 24 minuti e 7 secondi passati sulla superficie lunare. Con non poche difficoltà, gli astronauti caricarono i film e due sacchi contenenti 21,5 chili di campioni del suolo dallo sportello del Modulo Lunare, grazie ad un sistema a puleggia chiamato "Lunar Equipment Conveyor". Poi Armstrong saltò sulla scaletta ed entrò nel modulo lunare, al termine di un’EVA di 2 ore, 31 minuti e 40 secondi. Gli astronauti ripressurizzarono Eagle, quindi lo alleggerirono in vista della risalita di ogni peso inutile, gettando all’esterno le tute, gli zaini, le scarpe, e la maggior parte delle apparecchiature, comprese le macchine Hasselblad usate per riprendere le foto della cosiddetta passeggiata lunare. Nel farlo, Aldrin urtò con un gomito il pannello di controllo del motore di risalita, rompendo l’interruttore di accensione, fatto che provocò una certa apprensione a Houston: se quel motore non veniva riacceso, i due astronauti erano condannati a morire sulla Luna quando l’ossigeno e l’energia del modulo lunare fossero finiti. Per fortuna si riuscì ad azionare ugualmente l’interruttore con la punta di una biro, e così, dopo aver riposato sette ore, alle 1754 GMT, Armstrong e Aldrin lasciarono la superficie del Mare della Tranquillità.

 

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Il Presidente Nixon si congratula con gli astronauti, chiusi nel modulo di quarantena.

 

Il 24 Luglio, alle 1650, Apollo 11 ammarò nell’Oceano Pacifico, 380 chilometri sud dell’atollo di Johnston, e 24 chilometri dalla nave recuperto, la portaerei Hornet (CV12), dover trovarono ad accoglierli il Prersidente degli Stati Uniti, Richard M Nixon. Gli astronauti furono immediatamente rinchiusi del modulo di quarantena che era stato predisposto per le missioni lunari al fine di evitare l’arrivo sulla Terra di qualche microorganismo alieno dalle potenzialità sconosciute, e quindi trasferiti al Lunar Receiving Laboratory del Manned Spacecraft Center (oggi Lyndon B Johnson Space Center) di Houston, dal quale poterono lasciare l’isolamento il 13 Agosto, per ricevere dalle mani del Presidente Nixon la Presidential Medal of Freedoma. A essa fece seguito un tour in 25 nazioni, mentre molte alte, URSS compresa, stamparono emissioni postali per ricordare la storica data.

 

 

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La targa lasciata sulla Luna dagli astronauti di Apollo 11.

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Apollo 12

 

 

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"Whoopie! Man, that may have been a small one for Neil, but that's a long one for me” sono le prime parole che Pete Conrad, comandante la missione Apollo 12 (parecchio più basso di statura di Armstrong), disse appena sceso sulla Luna. Era il 19 Novembre, 1969, ore 1132 GMT, la capsula Apollo 12 (radio call Yankee Clipper) e il modulo lunare Intrepid erano partiti da Cape Kennedy cinque giorni prima, il 14, apparentemente sotto un cattivo auspicio: il razzo Saturn V venne colpito da due fulmini mentre attraversava l'atmosfera, rispettivamente 36 e 51 secondi dopo il distacco dalla rampa. I fulmini mandarono off-line per alcuni secondi la strumentazione del modulo di comando, ma l'alimentazione delle celle a combustibile riprese a funzionare regolarmente. Risultarono guasti solamente 9 sensori di minore importanza, ciò non influenzò la missione in quanto tutto il resto era a posto e funzionava alla perfezione. Comandante, come si è detto, Charles "Pete" Conrad jr. (Gemini 5 e 11, poi Skylab 2), pilota del modulo di comando Richard Francis Gordon Jr. (aveva già volato con Gemini 11) e pilota del modulo lunare Alan LaVern Bean (tornerà nello spazio con Skylab 3). Per un errore nel calcolo dei tempi di accensione del motore J2 del terzo stadio, quest’ultimo, dopo aver immesso Apollo 12 in TLI finì, anziché in orbita solare, in un’orbita terrestre caratterizzata da un fortissimo allungamento che lo ha portato a essere scambiato, al suo riavvicinamento, per un asteroide del tipo NEO.

 

 

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Conrad, Gordon, Bean.

 

A parte questo, il resto della missione fu piuttosto preciso, a cominciare dall’atterraggio sulla luna: la discesa fu automatica, solo con piccole correzioni manuali da parte di Conrad. L'allunaggio, avvenuto nell'Oceano delle Tempeste, portò Intrepid a meno di duecento metri (182,88 per la precisione) dal Surveyor 3, atterrato sulla luna il 20 Aprile del 1967. Conrad e Bean prelevarono alcune parti del lander automatico e le riportarono sulla Terra per le analisi che dovevano stabilire come la permanenza per una durata di quel tipo potesse influire sui metalli e sulle leghe impiegate nei veicoli spaziali (era ancora il tempo in cui si prevedeva di continuare le missioni lunari con l’impianto di stazioni di lunga permanenza, era quindi necessario sapere come i metalli reagivano alle condizioni estreme di temperature e di radiazione presenti sul nostro satellite). Si dice, ma non è mai stato confermato dalla NASA, che un comune microorganismo, lo Streptococcus mitis che può provocare alcune infiammazioni cardiache, e che aveva accidentalmente contaminato la camera piazzata sul braccio telescopico della sonda prima del lancio da terra, era sopravvissuto alle condizioni estreme e fu trovato in animazione sospesa.

 

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Il tragitto lunare dell'Apollo 12.

 

 

 

Conrad e Bean eseguirono due EVAs di quasi 4 ore ciascuna, per raccogliere campioni ed eseguire esperimenti sul flusso del vento solare e sul campo magnetico, mentre Gordon, a bordo dello "Yankee Clipper" in orbita lunare, fece delle fotografie multispettrali della superficie lunare. Furono lasciati anche dei sismometri che riservarono qualche sorpresa: dopo il rientro sull’Apollo 12 dell’intero equipaggio, il modulo ascendente di Intrepid fu fatto schiantare sulla Luna, e i sismometri registrarono scosse per oltre un’ora.

 

 

 

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Conrad nei pressi sel Surveyor. Sullo sfondo, il modulo lunare.

 

 

L'equipaggio rimase un giorno supplementare in orbita, per scattare altre fotografie, quindi Apollo 12 rientrò sulla Terra, ammarando il 24 Novembre alle 2058 GMT a circa 500 miglia ad est delle Samoa. La missione era durata 10 giorni, 4 ore, 36 minuti e 24 secondi. Conrad e Bean rimasero sulla Luna 31 ore e 31 minuti, eseguendo due EVAs: la prima di 3 ore e 56 minuti, la seconda di 3 ore e 49.

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Apollo 13

 

 

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“ Okay, Houston, we've had a problem here”.

 

Sono le 21 e 08 del 13 Aprile 1970, quando le parole di Jack Swigert scuotono i tecnici del centro di controllo di Houston.

 

Apollo 13, radio call (quanto mai appropriato) Odyssey, è in viaggio da due giorni verso il cratere Fra Mauro e si trova ormai a 321860 chilometri dalla terra. La composizione dell’equipaggio è quanto mai improvvisata: in origine il comandante doveva essere Alan Shepard, ma si beccò un’otite e fu sostituito da Jim Lovell (lo abbiamo già incontrato su Apollo 8), mentre a pilotare il modulo di comando venne in un primo momento designato Ken Mattingly. Cinque giorni prima del lancio, il pilota di riserva del modulo lunare, Charles Duke, si ammalò di rosolia, Mattingly fu l'unico degli astronauti a non risultarne immune. Per evitare che si ammalasse durante la missione, il 9 Aprile venne reso noto definitivamente che sarebbe stato sostituito dal pilota di riserva del modulo di comando John Leonard "Jack" Swigert Jr. In realtà, Mattingly non contrasse mai la rosolia, e giocò un ruolo fondamentale durante la crisi dell'Apollo 13, compiendo numerosi test al simulatore e aiutando l'equipaggio a tornare a terra. Il pilota del modulo lunare, Fred Wallace Haise Jr, era l’unico dell’equipaggio originale.

 

 

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Lovell, Swigert, Haise.

 

 

 

Pure il lancio dell’Apollo 13, avvenuto l’11 Aprile alle 1913 GMT, presentò degli inconvenienti, uno dei quali risultò abbastanza pericoloso: il motore centrale del secondo stadio dovette essere escluso a causa delle forti vibrazioni dovute a una non corretta messa in pressione delle pompe del carburante (il problema è piuttosto comune e noto come “oscillazioni pogo”). I motori rimanenti del secondo stadio, dovettero rimanere in funzione più a lungo per immettere Apollo 13 nell’orbita di parcheggio, ma l’inconveniente non ebbe effetti sulla successiva TLI.

 

Va inoltre ricordato l'esperimento di far precipitare il terzo stadio del razzo Saturn sulla luna, il cosiddetto Saturn-Crash: poco dopo che il modulo di comando si era staccato ed aveva effettuato con successo la manovra d'aggancio del modulo lunare, venne riacceso il motore J2 per portarlo su di una traiettoria di collisione con la Luna. Tre giorni più tardi, lo stadio, avente una massa di circa 14 tonnellate precipitò sulla luna 120 chilometri a nord-ovest del punto di atterraggio dell’Apollo 12 alla velocità di circa 2,5 chilometri al secondo (9000 km/h). L'impatto liberò un’energia pari a circa 10 tonnellate di tritolo. Dopo circa 30 secondi il sismografo lasciato dall'Apollo 12 registrò l'impatto e il conseguente terremoto lunare che durò per oltre tre ore. Già prima dell'impatto vero e proprio, il misuratore della ionosfera - anche questo montato durante la missione precedente - registrò la fuga di una nube gassosa visibile e dimostrabile per oltre un minuto. Si presume che l'impatto abbia scagliato delle particelle della superficie lunare fino ad un'altezza di 60 chilometri, dove furono ionizzate dalla luce del Sole.

 

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Ricostruzione dell'incidente di Apollo 13.

 

Poi, a 321860 chilometri dalla terra, il “problema”: il controllo di missione chiese all’equipaggio di miscelare i serbatoi di ossigeno per impedire la stratificazione del liquido e rendendone più omogeneo il contenuto, migliorando così la lettura degli strumenti. All'apertura dell'alimentazione, i cavi che collegavano il motore al miscelatore interferirono, probabilmente per un danneggiamento della guaina di teflon che li ricopriva, andando in corto. La scintilla nell’ambiente saturo di ossigeno si trasformò in una fiammata che causò un aumento di pressione sopra il massimo consentito nel serbatoio, che esplose danneggiando diverse parti del Modulo di Servizio, incluso il serbatoio dell'ossigeno numero 1. All'epoca del fatto, però, la causa non fu subito chiara, e ci fu chi ipotizzò l'impatto con un meteorite.

 

Fortunatamente, il modulo lunare Aquarius era intatto, ma era anche studiato per sostenere due persone per due giorni, non tre per quattro giorni. L’ossigeno non era un problema, il modulo lunare ne trasportava a sufficienza per ripressurizzare l’abitacolo dopo ogni EVA ma, diversamente dal modulo di comando, la sua energia elettrica proveniva da batterie all’argento zinco e le scorte di acqua erano solo quelle necessarie agli astronauti sulla luna: due persone per due giorni, non tre per quattro giorni. Per risparmiare le batterie, tutti i sistemi di bordo non essenziali furono spenti e gli altri mantenuti al minimo livello di efficienza ¬― e consumo. Fu scelto di utilizzare Aquarius come modulo di salvataggio perché il Modulo di Comando (che sarebbe stato preferibile) aveva subito gravi danni al sistema di alimentazione e quindi sarebbe stato impossibile renderlo operativo. Le batterie di emergenza avevano una durata di dieci ore, e quindi il Modulo di Comando sarebbe stato utile solo nella fase di rientro nell’atmosfera.

 

Un altro serio problema venne dai filtri all’idrossido di litio per il ricambio dell’ossigeno nel modulo lunare, presenti in quantità insufficiente per garantire la sopravvivenza dell’equipaggio fino al ritorno sulla terra, mentre quelli del modulo di comando non erano compatibili. Una sorta di adattatore fu costruito in poche ore con i materiali presenti nell’Apollo secondo le istruzioni da terra (se avete visto il film, c’è una scena molto bella per descrivere questa “invenzione”, che gli astronauti battezzarono “cassetta delle lettere”). Si temeva inoltre che lo spegnimento del sistema di condizionamento del modulo Odyssey, andato fuori uso dopo l’esplosione e non riattivato per risparmiare le batterie del modulo lunare, potesse danneggiare i sistemi elettrici a causa dell’abbassarsi della temperatura, che portò alla condensa dell’umidità. Per fortuna, i miglioramenti apportati al disegno della navetta dopo la tragedia di Apollo 1, permisero agli impianti di essere riattivati al momento opportuno senza problemi.

 

Per far ritornare Apollo 13 sulla Terra, fu necessario modificare la traiettoria della navicella. Non sapendo l’entità precisa dei danni al modulo di servizio, si dovette usare il motore di discesa del modulo lunare, anche se dopo lunghe ed estenuanti discussioni fra i tecnici a terra. Così il motore di Aquarius fu acceso una prima volta dopo il sorpasso della luna per acquistare velocità e una seconda per correggere la traiettoria. Il fatto destò non poche preoccupazioni perché il motore era studiato per essere usato una volta sola.

 

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Il modulo di servizio danneggiato fotografato dopo la separazione dal modulo di comando e lunare.

 

 

 

 

Il rientro nell’atmosfera richiese una manovra complessa: prima si sganciò il modulo di servizio, in modo che gli astronauti lo potessero fotografare per documentare i danni e permettere una ricostruzione almeno ipotetica dell’accaduto, quindi si sganciò Aquarius. L'equipaggio ritornò incolume a terra, anche se Haise ebbe un'infiammazione all'apparato urinario, causata dalla mancanza di acqua potabile e dalla difficoltà di espellere urina in quelle condizioni.

Successivamente venne osservato che l'equipaggio fu anche stato fortunato nell'avere avuto il problema all'inizio della missione, cioè con il massimo di rifornimenti, attrezzature a alimentazione da usare nell'emergenza. Infatti, se l'esplosione del serbatoio si fosse verificato nella fase di ritorno, molto probabilmente non si sarebbero mai salvati, soprattutto perché non avrebbero avuto la possibilità di usare il modulo lunare. E la fortuna, in un certo senso, fu dovuta al malfunzionamento del sistema di alimentazione dell’ossigeno, che richiedeva all’equipaggio di intervenire con frequenti miscelazioni. Non avesse dato problemi, probabilmente sarebbe esploso proprio nel ritorno…

 

 

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La manovra di rientro.

 

 

 

 

Dopo questa missione, ci fu una lunga indagine sulle cause dell'incidente, e la navicella Apollo venne modificata per evitare lo stesso problema in seguito.

Il 17 Aprile 1970, dopo una lunga ansia a causa della prolungata interruzione del contatto radio durante la fase di rientro (di norma tale fase non superava i 3 minuti - per l'Apollo 13 durò oltre 6), alle ore 1804 GMT, quello che restava del l'Apollo 13 ammarò quattrocento chilometri a sudovest delle Samoa, e l’equipaggio venne recuperato dalla portaelicotteri Iwo Jima (LPH2).

 

La NASA definì la missione un fallimento di grande successo.

 

Come già l’equipaggio di Apollo 11, anche gli astronauti dell'Apollo 13 rinunciarono all'indicazione dei loro nomi sull'emblema della missione, volendo cosi sottolineare che un allunaggio era sempre merito di un gran gruppo di persone e non di tre soli astronauti. Pertanto non fu necessario modificare lo stemma quando venne deciso di far volare Swigert al posto di Mattingly, e quindi sull'emblema della missione Apollo 13 sono raffigurati solo tre cavalli che volano, il motto 'Ex luna, scientia' (dalla Luna, conoscenza), che ricalca quello dell’Accademia navale dalla quale si era diplomato Lovell, "Ex scientia tridens," (dalla conoscenza, potere navale) e il numero della missione in carattere romano. Solo gli equipaggi delle missioni successive insistettero sul fatto di voler avere indicati i loro nomi sull'emblema della missione.

 

 

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Sulla Iwo Jima, dopo il recupero in mare.

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Apollo 14

 

 

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Comandante Alan Bartlett Shepard Jr. (primo astronauta americano col volo suborbitale Freedom 7), pilota del modulo di comando Stuart Allen Roosa, di quello lunare Edgar Dean Mitchell, entrambi matricole dello spazio. Destinazione lunare l’altopiano di Fra Mauro, meta originaria di Apollo 13.

 

Apollo 14 non partì sotto i migliori auspici, il 31 Gennaio 1971, oltre nove mesi dopo la tragedia sfiorata dell’Apollo 13: il lancio dovette essere rinviato per un fortunale (si voleva evitare che il vettore venisse colpito da fulmini, come era accaduto per Apollo 12), e, una volta in orbita, al modulo di comando (radio call Kitty Hawk) occorsero sei tentativi per riuscire ad agganciare correttamente il modulo lunare Antares. Oltre tutto, il computer di Antares, appena collegato alla navetta Kitty Hawk, cominciò a inviare il segnale ABORT, come se, in fase di discesa, vi fosse un malfunzionamento del motore. Il segnale portava al distacco dello stadio di discesa e all’accensione del motore di risalita in automatico, fatto che avrebbe costretto ad abbandonare il modulo lunare per non essere sparati fuori dell’orbita terrestre. La probabile causa era qualche granellino di polvere che mandava in corto l’interruttore del segnale, problema che fu risolto, temporaneamente, assestando un calcio al pannello di controllo, mentre i tecnici, da terra riprogrammavano il computer per escludere il contatto, riprogrammazione che dovette poi essere eseguita manualmente nel modulo lunare dal pilota Mitchell.

 

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Roosa, Shepard, Mitchell

 

 

 

 

Ancora: durante la discesa effettiva sulla luna, il 5 Febbraio, il radar altimetrico smise di funzionare in un momento cruciale, vista la natura del terreno sul quale si andava ad atterrare, il che avrebbe portato l’automatico a ordinare l’aborto della missione. Si tentò di escludere il radar per proseguire visualmente, ma l’interruttore non funzionava, così Mitchell lo dovette strappare, letteralmente, dal quadro per bypassare i cavi di comando, mentre Shepard scendeva in visuale utilizzando il sistema inerziale per determinare la posizione approssimativa del modulo. Mitchell scoprì che il radar non funzionava per un banale fusibile, che venne sostituito freneticamente mentre Antares continuava a scendere. A meno di quindici chilometri di altezza, il radar riprese a funzionare e fu possibile terminare l’atterraggio col suo ausilio.

 

Una volta scesi, gli astronauti eseguirono due EVAs con l’ausilio di quello che venne battezzato “risciò lunare”, il "Modular Equipment Transporter", secondo il burocratese NASA, o MET. Con una massa di trenta libbre (13,61 chili) si riteneva ne potesse trasportare 150 (68,04 chili), ma si rivelò difficile da usare, faticoso da muovere, più impiccio che aiuto.

 

 

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Il Modular Equipment Transporter.

 

 

 

Uno degli obiettivi della missione, era il prelievo di campioni dal fondo di un vicino cratere, il cosiddetto Cone, distante poco più di trecento metri dal punto di atterraggio. Ma gli astronauti persero l’orientamento, nel corso della seconda EVA, e non furono in grado di raggiungerlo, benché dall’esame delle foto, i tecnici della NASA ritengono si siano avvicinati a meno di venti metri dal bordo. Questo, e le difficoltà riscontrare nell’uso dell’MET, accelerarono la necessità di disporre di un veicolo lunare, che sarebbe stato trasportato nelle successive tre missioni, il Lunar Roving Vehicle.

 

Gli astronauti comunque non persero il loro buon umore per quegli inconvenienti. Prima della partenza, Alan Shepard Shepard tirò fuori due palline da golf e le lanciò, utilizzando una piccola asta, per diverse centinaia di metri. Mitchell, invece, lanciò l’asta di riserva della bandiera che veniva piantata accanto al modulo lunare come un giavellotto. “Ecco le prime olimpiadi lunari”, commentò.

 

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Il ritorno fu senza storia e l’ammarraggio avvenne il 9 Febbraio 1971 nel solito Pacifico a sud delle Samoa, dove gli astronauti furono recuperati dalla portaelicotteri New Orleans (LPH11). Portavano con sé quasi cinquanta chili di rocce lunari, e furono l’ultimo equipaggio a essere posto in quarantena al ritorno dalla luna nel timore di avere portato con sé microorganismi alieni.

 

Concludo con due note: gli astronauti, prima di iniziare la loro missione, compirono un breve ciclo di addestramento, un cosiddetto field training nel Nördlinger Ries in Germania. La zona è particolarmente ricca di cave e composta in gran parte da roccia del tipo Suevit. Cosi questa zona si adatta per la sua particolare similitudine con la superficie lunare dell’altopiano Fra Mauro. Come piccolo gesto di ringraziamento la NASA regalò nel 1972 alla città di Nördlingen una pietra lunare prelevata con la missione di Apollo 16. Tale pietra può essere ammirata nel museo del cratere Ries della cittadina tedesca.

Gli astronauti Mitchell e Shepard furono gli unici ad aumentare di peso durante il volo nello spazio.

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Apollo 15

 

 

 

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Apollo 15 fu la prima delle cosiddette missioni J, che prevedevano una durata maggiore dell’equipaggio sulla Luna e una cura maggiore per gli aspetti dell’attività svolta dagli astronauti. In origine, questo tipo di missione, non ancora chiamata J, che doveva essere lanciata con Apollo da 21 a 30, presumeva una permanenza di diverse settimane sulla superficie del satellite, con lancio di due vettori Saturn V, il primo dei quali, Apollo 21B, doveva trasportare una sorta di piccola stazione spaziale da mettere in orbita attorno alla Luna e alla quale avrebbe attraccato l’Apollo per trasferirvi il suo equipaggio in condizione di maggiore confort, mentre sulla Luna sarebbe sceso un modulo più grande e capace di trasportare quantità maggiori di equipaggiamento, mentre, successivamente, sarebbe scesa sulla luna una stazione vera e propria. Gli alti costi di questi progetti, e del programma Apollo in particolare, e l’aver battuto i sovietici, avevano però fatto perdere alla NASA, e, soprattutto, all’establishment politico, ogni interesse per la prosecuzione dell’avventura lunare.

 

 

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Scott, Worden, Irwin con le novità della missione: il rover e il subsatellite.

 

Già nel 1967, in effetti, le missioni “prolungate” erano pratica,mente sparite, comparivano solo vagamente, nella nomenclatura adottata dalla NASA in Aprile, come I e K, poi sarebbero state cancellate, anche se si era convenuto di dare un maggiore contenuto scientifico, e quindi una maggiore permanenza sula luna per le ultime tre, 18, 19 e 20, che avrebbero semplicemente fatto scendere sulla luna un modulo lunare maggiorato per permettere all’equipaggio di soggiornare fino a una settimana sulla superficie del satellite. Nel Gennaio 1970 venne cancellata la missione 20 per motivi economici (ogni missione lunare costava circa l’equivalente attuale di due-tre miliardi di dollari). Nel Settembre dello stesso anno vennero cancellati altri due ulteriori voli, cioè la missione originaria di Apollo 15, nonché Apollo 19. I rimanenti tre voli dal 16 al 18 vennero dunque rinumerati da 15 a 17, e Apollo 15 divenne dunque una missione J.

 

Per una migliore comprensione delle sigle usata dalla NASA, aggiungo questo breve specchietto riguardante le missioni Apollo:

 

A: test del modulo di comando senza equipaggio

B: test del modulo lunare senza equipaggio

C: volo umano in orbita terrestre bassa

D: volo umano con collaudo del modulo lunare in orbita terrestre bassa

E: volo umano con collaudo del modulo lunare in orbita terrestre alta

F volo umano con collaudo del modulo lunare in orbita lunare

G: sbarco sulla luna, breve durata, con una sola LEVA (Lunar EVA)

H: sbarco sulla luna, breve durata, con più LEVAs

I: missioni esclusivamente in orbita lunare con moduli modificati per creare una piccola stazione

J: sbarco sulla luna, tre-quattro giorni di permanenza, diverse LEVAs, uso di rover, pacchetto scientifico avanzato

K: missioni avanzate sulla luna, con creazione di habitat permanenti o semi-permamenti

 

Le missiomi E, I e K non furono mai volate.

 

Numerose modifiche erano state comunque apportate sia al vettore Saturn V che alla capsula Apollo nei suoi vari componenti, a partire dalle tute lunari, che permettevano una permanenza superiore delle precedenti sulla superficie lunare, oltre a movimenti prima non previsti, come sedersi o piegarsi in avanti, così come il modulo di atterraggio, nel quale i serbatoi erano stati ampliati, il motore potenziato, aggiunte altre batterie e pannelli solari per aumentare la quantità di energia a disposizione degli astronauti. I miglioramenti portarono complessivamente a un aumento della massa di circa 4000 libbre (1814 chili), facendo lievitare il modulo lunare a 36000 (16330 chili).

 

 

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SIM di Apollo 15.

 

La novità più visibile sarebbe stata comunque l’LRV, Lunar Roving Vehicle: sviluppato dalla Boeing sulla base di un contratto del 1969, aveva una massa, a vuoto, di 460 libbre (209 chili) e poteva trasportarne 1500 (680) fra astronauti ed equipaggiamento vario; veniva trasportato esternamente al modulo lunare, e, ripiegato, occupava uno spazio di 5 piedi per 20 pollici (1,52x0,51 metri); la propulsione era assicurata da quattro motori elettrici indipendenti da un quarto di cavallo, uno per ogni ruota. Benché avesse i comandi ridondanti, solitamente era guidato dal comandante di missione, e poteva raggiungere una velocità di 8 miglia (12 chilometri) l’ora, permettendo così agli astronauti di muoversi anche a considerevole distanza dal punto di atterraggio senza correre i rischi emersi nelle precedenti missioni.

 

L'addestramento geologico degli astronauti fu più spinto delle missioni precedenti per sottolineare la funzione scientifica di questa missione. Apollo 15 venne lanciato il 26 Luglio 1971, 1334 GMT per entrare in orbita di parcheggio 12 minuti dopo. Compiute due orbite complete, venne riacceso il motore J2 del terzo stadio S-IVB per la TLI. Comandante della missione era David Randolph Scott (Gemini 8, Apollo 9), pilota del modulo di comando (radio call Endeavour, dalla nave di Cook, che i giornali americani scrissero, appunto, all’americana, Endeavor) Alfred Merrill Worden matricola dello spazio come il pilota del modulo lunare (radio call Falcon, dalla mascotte dell’Accademia aeronautica di Colorado Springs ― tutti i membri dell’equipaggio provenivano dall’US Air Force) James Benson Irwin. Il terzo stadio S-IVB fu mandato a schiantarsi sulla luna per le solite misure sismiche.

 

 

 

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Il subsatellite immesso in orbita lunare.

 

 

 

 

Endeavour fu anche il primo Apollo a portare il modulo strumentale SIM, Scientific Instrument Module, che comprendeva, fra le altre cose, una camera cartografica, una panoramica, diversi spettrometri, un altimetro laser e un sub satellite da rilasciare in orbita lunare.

 

Le camere panoramiche erano una versione modificata delle KA80A usate nei satelliti spia, 610 mm di focale a 3,5, non dissimili da quelle usate sugli U2 e sugli Habu, in grado di distinguere un oggetto di un metro di lato sulla superficie lunare. Durante la missione avrebbero raccolto 1529 foto, su quasi 2 chilometri di pellicola per un peso di 25 chili.

 

la camera cartografica, che lavorava associata al radar altimetrico, risolveva oggetti di 20 metri completi di altitudine con un margine di errore di 30 centimetri e altri parametri cartografici. Durante la missione riprese 2240 immagini.

 

Gli scienziati erano molto interessati nella ricerca dei KREEP (la pronuncia è la stessa di creep, verme, ma acronimo per Potassium, simbolo atomico K, Rare Earth Elements and Phosphorus), un tipo di roccia che era stato riportato a terra da Apollo 12 e 14, ma non da 11. Si voleva capire la sua esatta distribuzione sulla superficie lunare, e quello fu compito dei vari spettrometri imbarcati, che, rivelandone la varia distribuzione, aiutarono a chiarire alcuni interrogativi sulla formazione della luna.

 

Un altro obiettivo di particolare interesse, era il cratere Aristarchus. Nel 1963, Jim Greenacre vide delle luci, osservandolo, e altri astronomi confermarono la cosa in tempi diversi aprendo la porta alle ipotesi più varie, UFO compresi. Apollo 15 fu il primo veicolo pilotato a passargli sopra, ma non fu fotografato né rivelato nulla di anomalo. Naturalmente, i contattisti sostengono che le pellicole sono state ritoccate, ça va sans dire, dai cattivissimi MIBs.

 

Falcon rimase tre giorni sulla luna, e il suo equipaggio passò oltre diciotto ore sulla superficie del satellite, raccogliendo 77 chili di campioni. Come già successo con Apollo 14, gli astronauti ebbero difficoltà ad orizzontarsi lontano dal modulo lunare, soprattutto ora che il rover gli permetteva di spostarsi per numerosi chilometri. D’altronde, l’LRV disponeva di un’antenna ad alto guadagno che consentiva il collegamento diretto con la terra, e questo aiutò la navigazione verso gli obiettivi della missione. Gli astronauti si diressero il cosiddetto gomito", un dirupo con una larghezza di 1 km per una profondità massima di 300 m, di chiara origine vulcanica.

 

 

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Il viaggio verso la valle fu particolarmente movimentato, con solo un sesto di forza di gravità in confronto di quella sulla Terra, l’LRV provocò diversi salti ed in parte ebbe contatto con il suolo lunare per più volte su di una sola ruota. Una curiosità: durante tale missione furono pronunciate le uniche parole italiane sulla Luna. Scott, infatti, sorpreso dalla particolare lucentezza di una roccia, esclamò:"Mamma mia!". La prima EVA durò 6 ore e 32 minuti.

 

Al ritorno, gli astronauti montarono l’ALSEP (Apollo Lunar Surface Experiments Package), che comprendevano un sismometro passivo, un rilevatore di polvere lunare, magnetometri, spettrometri per il vento solare, quindi rientrarono sul modulo lunare dopo oltre 6 ore di attività extraveicolare.

 

La seconda EVA durò 7 ore e 12 minuti, la terza 4 ore e 50 minuti, quindi Falcon ritornò in orbita per ricongiungersi con l’Endeavour. Dopo che i campioni lunari raccolti (quasi 80 chili) e quelli medici (comprese le urine e le feci degli astronauti per le analisi mediche) furono trasferiti sul modulo di comando, Falcon fu fatto schiantare sulla superficie lunare, a circa 90 chilometri dal punto di atterraggio, per le solite misure sismiche.

 

Apollo 15 rimase in orbita attorno alla luna un’altra intera giornata, necessaria all’equipaggio per prelevare le pellicole e le altre registrazioni scientifiche dall’SIM, compito che richiese un’EVA in orbita lunare, mentre per mettere in orbita il sub satellite trasportato parimenti nell’SIM, si ricorse a bulloni esplosivi per liberare il pannello che lo copriva, poi a un meccanismo a molla per spingerlo lontano dall’Endeavour. Il satellite, destinato a studiare il campo gravitazionale e la magnetosfera della luna, era di forma esagonale, lungo 31 pollici (79 centimetri) e col lato di 14 (36 centimetri), pesava 78 libbre e mezzo (35,61 chili), e sarebbe rimasto in orbita un anno, alimentato da pannelli solari durante il giorno lunare e batterie all’argento cadmio per la notte.

 

 

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Quindi, Apollo 15 riaccese il motore principale per fare ritorno verso la terra, dove sarebbe arrivato il 7 Agosto, ammarando 530 chilometri a nord di Honolulu e a dieci dalla nave incaricata del recupero, la portaelicotteri Okinava (LPH3).

 

GLI SCANDALI

Tanto fu perfetta la missione dal punto di vista tecnico e scientifico, tanto pessima si dovette rivelare sul fronte delle pubbliche relazioni a causa di alcuni scandali che coinvolsero i tre membri dell’equipaggio, in particolare per degli annulli filatelici eseguiti da Scott su una serie di buste consegnateli da un collezionista americano, H. Walter Eiermann, e per le quali ricevette un compenso di 7000 dollari (Eiermann rivendette poi le 398 buste annullate da Scott sulla luna a 1500 dollari l’una). Si scoprì inoltre che Scott aveva portato con sé sulla Luna due cronometri allo scopo di valutarne la funzionalità per conto del produttore. Infine la scultura lasciata dal comandante di Apollo 15 sulla Luna, Fallen Astronaut, che doveva commemorare gli astronauti americani e i cosmonauti sovietici caduti fino a quel momento. Partita come iniziativa personale di Scott, che la commissionò allo sculture belga Paul Van Hoevdonck, divenne uno scandalo quando quest’ultimo, dopo il ritorno di Apollo 15, espose e mise in vendita le copie non autorizzate.

 

Come conseguenza, nessuno dei tre volò più nello spazio. Irwin date le dimissioni dalla NASA, fondò una chiesa in Colorado, la High Flight Baptist Ministry (non è riconosciuta dalla Baptist Convention americana).

 

Sic transit gloria mundi.

 

 

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Apollo 16

 

 

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Lanciato il 16 Aprile 1972, 1754 GMT, dalla rampa 39A, con comandante John Watts Young (già Apollo 10), CMP Thomas Kenneth "Ken" Mattingly II (volerà altre due volte con lo Shuttle, nel 1982 e 1985), LMP Charles Moss Duke Jr. Tre giorni dopo il lancio, ci fu il primo problema, quando il sistema di navigazione computerizzato smise di funzionare correttamente, quindi si dovette procedere a vista, letteralmente, con un semplice e banale sestante. Altra grana, ben più grave, avvenne per un malfunzionamento del sistema di propulsione del modulo lunare Orion, che minacciò seriamente di far abortire l’allunaggio. Il centro di controllo di Houston stabilì comunque che l’atterraggio poteva essere compiuto in sicurezza, e così Orion raggiunse l’altopiano Descartes alle prime ore del 21 Aprile, con cinque ore di ritardo sul piano di volo originario. L’atterraggio sulla luna, per la prima volta, non poté essere trasmesso in diretta perché l’unità trasmittente di Orion si era guastata, e si dovette quindi attendere che venisse montato il trasmettitore del rover lunare per avere le prime immagini.

 

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Mattingly, Young, Duke.

Il pacchetto ALSEP comprendeva esperimenti sismici passivi e attivi, magnetometri di flusso, misurazione del calore, della radiazione cosmica, del vento solare e dei campi di gravità. Furono inoltre eseguite per la prima volta foto astronomiche UV.

 

Vennero eseguite tre EVAs: .

 

• La prima, il 21 Aprile, della durata di 7 ore e 11 minuti, servì all'installazione dell’ALSEP e ai relativi esperimenti, come sempre in prossimità del modulo lunare. Venne comunque eseguito il primo breve viaggio con il rover lunare, verso i crateri Flag e Ray per una distanza di circa quattro chilometri.

 

• Il giorno dopo, 22 Aprile, gli astronauti viaggiarono verso i crateri Cinco, Stubby e Wreck. Durante questa escursione venne utilizzato un nuovo tipo di trapano, in grado di estrarre un campione del suolo lunare da una profondità di tre metri. L'attività extraveicolare durò 7 ore e 23 minuti, cioè poco più della prima, ma la distanza percorsa fu di 11 chilometri.

 

• Il 23 Aprile vi fu l’ultima EVA lunare, che portò l'equipaggio verso il cratere North Ray, durò solo 5 ore e 40 minuti, ma furono percorsi 11,4 chilometri.

Durante le uscite, gli astronauti condussero anche dei test sul rover, spingendolo a una velocità di punta di 17,7 km/h, “Just like my Vette”, scherzò il comandante Young. Vennero raccolti diversi campioni di rocce lunari, di cui uno da 11,3 kg, che rappresenta il più pesante campione lunare raccolto dagli astronauti fino ad oggi.

 

 

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Il 24 Aprile, dopo che Young e Duke era nuovamente passati sul modulo di comando (radio call Casper, altro personaggi dei fumetti dovuto alla vena ironica del comandante Young), lo stadio ascendente del modulo lunare andò fuori controllo, e non fu quindi possibile farlo schiantare sulla superficie lunare come programmato. Rimase in orbita circa un anno ed è ignota la sua sorte. Prima della TEI, vennero ritirate le pellicole e le altre registrazioni scientifiche dall’SIM del modulo di comando con una quarta EVA eseguita da Mattingly (con Duke in stand up al portellone di Casper) della durata di 1 ora e 23 minuti, e fu messo in orbita un sub satellite simile a quello rilasciato dall’Apollo 15. Il suo scopo era quello di eseguire misurazioni relative ai campi magnetici terrestri, nonché il vento solare in vicinanza della Luna e l'influsso di quest'ultimo sui campi magnetici lunari. La traiettoria fu scelta in una maniera tale che il satellite si schiantò sulla superficie lunare al termine della sua missione.

 

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L'SIM di Apollo 16.

 

Tutto il viaggio di ritorno procedette senza particolari problemi, e il 27 Aprile 1972, alle 1945 GMT, Casper ammarò nell’Oceano Pacifico, presso l’arcipelago Kiribati. Equipaggio recuperato dalla portaerei Ticonderoga (CV14).

 

 

"I mean, I haven't eaten this much citrus fruit in 20 years! And I'll tell you one more thing, in another 12 fucking days, I ain't never eating any more," John Young, protestando per la pretesa dei medici del centro di controllo di far bere quantità extra di succo d’arancia agli astronauti per una supposta carenza di vitamina C riscontrata negli astronauti delle precedenti missioni Apollo.

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Apollo 17

 

 

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Quando Apollo 17 partì, il 7 Dicembre 1972, ore 0533 GMT (mezzanotte e 33 minuti in Florida) fu il primo lancio in notturna di un equipaggio americano. E fu l’ultimo lancio del programma Apollo e l’ultimo di un equipaggio umano sulla luna.

 

 

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Comandante, Eugene Andrew Cernan (già Apollo 10), CMP Ronald Ellwin Evans Jr., LMP Harrison Hagan "Jack" Schmitt, di professione geologo il primo scienziato in senso stretto a partecipare a una missione spaziale, e il primo astronauta americano a non avere pregresse esperienze militari (benché non sia il primo civile in senso lato, Neil Armstrong si era già dimesso dall’Air Force, e quindi era un civile a tutti gli effetti, quando scese sulla Luna).

 

Cernan e Schmtt atterrarono l’11 Dicembre 1972 nei pressi del cratere Littrow, parte della omonima valle Taurus-Littorw del cosiddetto Mare Serenitatis. La prima EVA, quel giorno stesso, per una durata di 7 ore e 12 minuti, fu passata in gran parte per l’installazione dell’ALSEP, che prevedeva, oltre i classici esperimenti, anche un contatore di impatti meteorici, misurazione della quantità di energia elettrica nel suolo lunare, sensori per la misurazione della radiazione cosmica, neutroni e campi gravitazionali lunari.

 

SchmittCernansedutoeEvans.jpg

Schmitt, Cernan, Evans.

 

 

 

Il giorno successivo, gli astronauti esplorarono diversi crateri, fra i quali il Shorty, dove Schmitt raccolse delle palline di colore arancione di un materiale simile al vetro e la cui esatta composizione, a quasi quarant’anni di distanza, non è stata ancora completamente determinata. In questa e nella terza EVA, furono inoltre piazzate delle cariche esplosive che sarebbero poi state fatte esplodere a comando per effettuare misurazioni sismiche.

 

L’ultima EVA, della durata di 7 ore e 15 minuti, il 13 Dicembre,, portò l’equipaggio nuovamente in perlustrazione di diversi crateri.

 

In totale, l’equipaggio aveva percorso coi il rover oltre trenta chilometri, raccolto 111 chilogrammi di campioni lunari, scalato crateri e montagne. Con una permanenza di 74 ore e 59 minuti stabilì la massima durata di un equipaggio umano sul suolo del nostro satellite. Eugene Cernan è l’ultimo uomo ad avere lasciato la luna, alle 0540 GMT del 14 Dicembre 1972.

 

 

Moon-apollo17-schmitt_boulder.jpg

Una delle foto più famose dell'esplorazione lunare: Schmitt accanto al masso nei pressi del cratere Shorty.

 

Il modulo lunare, radio call Challenger, fu fatto schiantare sulla luna a circa 10 chilometri dal punto di atterraggio per le solite misurazioni quindi si procedette al recupero delle pellicole dell’SIM con una EVA del CMP Evans (Schmitt stand up) della durata di 66 minuti.

 

Il modulo di comando di Apollo 17, radio call America, ammarò nei pressi delle isole Samoa il 19 Dicembre 1972, ore 1924 GMT, e fu recuperato dalla portaerei Ticonderoga, come il precedente Apollo 16. Il programma lunare americano era terminato.

 

 

 

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Nelle prossime ore aggiungerò la bibliografia e altre immagini. Ora, se me lo consentite, vado a pranzare.

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Nelle prossime ore aggiungerò la bibliografia e altre immagini. Ora, se me lo consentite, vado a pranzare.

 

Niente da eccepire, complimenti per il lavoro :adorazione:

 

Solo una curiosità; Buzz Aldrin (Buzz è il suo nome, legalmente riconosciuto dagl'anni '80) in diverse interviste ha dichiarato di aver lasciato sulla luna dei medaglioni con i nomi dei Cosmonauti Sovietici deceduti (assieme a quelli dei tre suoi sfortunati colleghi). Ho cercato di trovare chi fossero i cosmonauti Sovietici ma non ho mai trovato un riscontro, tu ne sai qualcosa in più? Uno era sicuramente Vladimir Michajlovič Komarov purtroppo passato alla storia come il primo essere umano ad avere ufficialmente perso la vita in una missione spaziale ma non riesco a capire chi possano essere gl'altri.

 

Qui la dichiarazione di Aldrin: As we left the surface to re-enter the spacecraft, we performed a brief ceremony. I reached into my shoulder pocket, pulled out a packet, and tossed it out onto the surface. It contained a patch commemorating the three American astronauts who had perished when their spacecraft was engulfed in an explosive fire during the simulation test for the first Apollo flight. Next there were two medallions in memory of Russian cosmonauts who had also died. And then there was a disc containing messages from the heads of state of 72 countries.

 

Tratta dal suo magnifico sito: buzzaldrin.com

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Ospite intruder

Questo è l'elenco lasciato da Scott, i cosiddetti Fallen Astronauts:

 

Theodore Freeman (October 31, 1964, aircraft accident)

Charles Bassett (February 28, 1966, aircraft accident)

Elliott See (February 28, 1966, aircraft accident)

Gus Grissom (January 27, 1967, Apollo 1 fire)

Roger Chaffee (January 27, 1967, Apollo 1 fire)

Edward White (January 27, 1967, Apollo 1 fire)

Vladimir Komarov (April 24, 1967, Soyuz 1 re-entry parachute failure)

Edward Givens (June 6, 1967 automobile accident)

Clifton Williams (October 5, 1967, aircraft accident)

Yuri Gagarin (March 27, 1968, aircraft accident)

Pavel Belyayev (January 10, 1970, disease)

Georgi Dobrovolski (June 30, 1971, Soyuz 11 re-entry pressurization failure)

Viktor Patsayev (June 30, 1971, Soyuz 11 re-entry pressurization failure)

Vladislav Volkov (June 30, 1971, Soyuz 11 re-entry pressurization failure)

 

 

Oltre a Komarov, Dobrovolski, Patsayev e Volkov sono caduti in missione, Gagarin morì in un incidente aereo, Belyayev di malattia. Non ci sono prove, anche se i sospetti sono fortissimi, di altri cosmonauti sovietici morti in missione (i cosiddetti Lost, oppure Phantom Astronauts).

 

 

Questa è la targhetta lasciata sulla Luna:

 

Fallen_Astronaut.jpg

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