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Personalmente, credo che l'impresa di Marte sarebbe uno spreco insensato di risorse in cambio di pochissimo; se si esclude prestigio per la nazione e/o l'ente, e orgoglio per il genere umano più in generale, se vogliamo metterla così (ammettendo comunque che davvero riesca ad importare qualcosa ad una percentuale relativamente elevata di popolazione, all'atto pratico). Per la Luna era diverso: un'impresa innescata da motivi di supremazia politica/sociale/tecnologica/militare nei confronti dell'altro grande Blocco del mondo industrializzato, però portata avanti in tempi quando la motivazione di un Paese intero - pur con motivi di seri contrasti tra opposti modi di pensare - era enorme, genuina, a volte quasi 'ingenua' in certi aspetti. Perdipiù la Luna è appena oltre l'uscio di casa, l'impresa era alla portata di una nazione come gli USA dei primi anni '60. E soprattutto la 'ricaduta tecnologica' sotto forma di oltre 20.000 brevetti per invenzioni e materiali che hanno portato l'uomo fin là, ha coinvolto tutto il modo di vivere di qualche miliardo di persone lungo gli anni. Inoltre, in tre giorni si andava fin lassù e in altrettanti giorni si era di ritorno a casa; una comunicazione radio impiegava 1,2 secondi per andare da Houston alla Luna. Una conversazione richiedeva il tempo che richiede il parlare qui sulla Terra, la cosa filava via quasi impercettibilmente. Per Marte: * si comincia col considerare un tratto di universo dove adesso non c'è niente perchè lì si troverà il pianeta in quella timeframe ben precisa dopo 6-7 mesi di viaggio, * non esiste soluzione al problema delle radiazioni ionizzanti che porterebbero in regalo leucemie, tumori & company all'equipaggio, * neppure si può progettare un guscio di piombo per l'astronave (da sempre si cerca di lasciare a terra anche un paio di mutande in più, se possibile, onde risolvere l'eterna grana del troppo peso da sollevare), * stessa storia per il lunghissimo viaggio di ritorno con tutti i problemi annessi e connessi, * arrivati su Marte rimaniamo in orbita (sarebbe praticamente il traguardo raggiunto; non occorre scendere giù per poter affermare che l'Uomo è giunto fin lì) oppure si atterra veramente? E in questo caso, con quale veicolo? E per quanto tempo? Fino all'apertura di una prossima e favorevole 'timeframe', prima della quale ogni pensiero di tornare a casa è fuori discussione? * E per le comunicazioni: avrebbe senso immaginare tempi di attesa di magari 10 o 12 minuti per un segnale radio, dalla Terra a Marte o viceversa? Cioè 22-23 minuti per uno scambio basico di informazioni? Cosa potrebbe succedere in un'emergenza? Ovviamente, non menzionando chissà quante altre dozzine di incognite. I motivi (per taluni, anche discutibili) che erano alla base dell'impresa verso la Luna potevano risultare ragionevoli, e i problemi non insormontabili. E difatti l'impresa è stata coronata da successo, sebbene non manchino le persone che ancora oggi non credono assolutamente nella cosa. Per Marte ritengo (personalmente) totalmente assurdo pensare di mandare esseri umani sul Pianeta Rosso, con i tempi che viviamo (ma vale anche tra parecchi anni) e con tutti i problemi che oggi si trovano a dover essere risolti qui sulla Terra.
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Un'altra serie di foto della DC-6, non 'inquinate' dal flash. DC-6 è la sigla della tuta, tradotta come standard nei caratteri dell'alfabeto latino. # 2 è la taglia (vanno dalla # 7 alla # 1, cioè dalla più piccola alla più grande). # 050084 è il numero di serie. # 30/10/2005 è la data di accettazione. # 46 all'interno del circolo è.. non lo so.
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Qui le foto della DC-6: In pratica la DC-6 è basilarmente una DC-3 o DC-4; cambia il colore da Verde ad Arancione (alta visibilità) e sono state aggiuntre le menzionate 'maniche' protettive che racchiudono i grossi tubi gonfiabili, i quali danno il giro all'esterno del corpo, dai polsi fino alle caviglie passando lungo fianchi e gambe. I tubi (e i laccetti incrociati di regolazione per far aderire attillatissima la tuta sul corpo) sono visibili aprendo le protezioni tramite apposite zip.
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Gli episodi a sè stanti - ricorrenti in forma più o meno regolare - riguardavano i casi che dovevano 'risolversi' (per modo di dire, dato che quasi mai una spiegazione plausibile veniva accertata) entro lo spazio di una serata; si sono avute, è vero, singole avventure "indipendenti" di Scully e Mulder durate lo spazio di due puntate ma se ricordo bene, sono meno di dieci. I casi cosiddetti dei 'mostri della settimana' (a volte eccezionalmente ben azzeccati, altre volte di meno) servivano ad interrompere un pò il filo continuo della mitologia di X-Files, come è nota tra i veri appassionati. E neppure questi erano sempre assolutamente indipendenti tra di loro, sovente un episodio di questa tipologia avrebbe visto in futuro un altro episodio che in qualche modo ne conservava il retaggio. La componente ufologica/aliena è stata fin da subito (ma proprio da subito, addirittura fin dall'episodio-pilota) usata in modo magnifico lungo le prime 3-4 serie, attingendo in misura discreta e intelligentissima alla ponderosa documentazione che lungo il tempo è stata messa insieme circa i casi di interazione aliena con l'ambiente e/o le persone terrestri. Da grande appassionato di queste cose ho apprezzato moltissimo gli innumerevoli riferimenti a situazioni che vanno da veri e propri classici dell'ufologia circondati da una discreta pubblicità, ad altri molto più numerosi ma molto meno conosciuti. O anche completamente sconosciuti, a chi non ha mai seguìto questo particolare argomento. E non ultima, l'ambientazione quasi sempre caratterizzata da paesaggi e luoghi poveri(ssimi) di colore e movimento; foreste dello stato di Washington o capanne isolate sui Monti Appalachi, nebbie e tanta pioggia battente, sopralluoghi nei cimiteri o nella stiva di una nave-cargo arrivata chissà da dove, o i dintorni di una base dell'US Air Force i cui responsabili negano un'evidenza che pure è stata sotto gli occhi di duecento persone. Una vera pietra miliare almeno per le prime 4-5 serie. Dopo di che una stanchezza inevitabile è sopraggiunta, questo è verissimo - ma come tipologia di un nuovissimo modo di mescolare thriller + horror + azione, prima non si era mai visto niente di così geniale e anche audace.
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La tuta d'alta quota DC-3, visibile nelle precedenti foto, e la DC-4 (praticamente identica) entrambi di colore verde, esistono anche in una variante di colore totalmente Arancione vivo, siglata DC-6. E' in effetti la stessa tuta, con l'aggiunta di 'maniche' che racchiudono e nascondono completamente i tubi esterni gonfiabili addetti alla pressurizzazione in emergenza. Il motivo potrebbe essere l'utilità di riparare questi tubi 'capstans' di per sè magari delicati (una lacerazione con conseguente perdita di pressione, significherebbe guai grossi per il pilota mentre si trova ad altissima quota in un ambiente ostile e rarefatto) da urti, abrasioni, o il pericolo di rimanere agganciati in qualche sporgenza. Perlomeno, credo sia questo - finora non ho trovato conferma nè smentita. Queste maniche, floscie, sono apribili con una zip che corre per l'intera lunghezza dei capstans; anche il corto tubo che passa sull'addome ne è coperto. Quanto al colore smagliante ovviamente si adegua (magari con parecchio ritardo) al classico 'Indian Orange' o anche 'International Orange', colore standard per indumenti da aviatore che richiedono di essere visibili in condizioni di emergenza/soccorso: in mare, sui ghiacci, e cose simili. Mi è stato promesso di poter avere a breve termine una DC-6, temporaneamente, per esaminarla da vicino e fare qualche foto. Posterò qualche dettaglio interessante appena possibile.
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Attualmente è ancora troppo presto per sgombrare il garage dall'utilitaria, onde far posto al MiG-25P - mettere le mani su quest'ultimo potrebbe risultare più difficile del previsto, oltre a tutta un'ulteriore serie di problemi.. mi sa. Da parte sua il personaggio afferma, comunque, "миссия выполнена" - missione compiuta.
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bk37 boardcannone sincronizzato con l'elica
Smersh ha risposto a mimatsu nella discussione Aerotecnica
Credo non sarebbe stato fattibile nella maniera più assoluta. Al di là di tutta la teoria sulla sincronizzazione con l'elica, se possibile oppure no, un'arma come il BK 37 avrebbe avuto meno che senso su caccia monomotori. * Non sempre un singolo colpo distruggeva un quadrimotore da bombardamento; e quando succedeva, anche i bimotori Me-410 (nella variante armata col cannone BK 50) pur potendo usufruire del collimatore telescopico, nella realtà dei fatti mettevano fuori bersaglio in media 4 colpi per ogni proiettile a segno. La realtà operativa era tristemente diversa dai test eseguiti in talune circostanze ben precise, troppi fattori entravano in ballo. * Dodici colpi disponibili erano pochissimi, a tutti gli effetti. * Il dover entrare nel raggio utile delle Browning cal. 0.50" difensive di una formazione di quadrimotori USAAF non è mai stato per la caccia tedesca il problema maggiore; non si ricorda una singola azione in cui quel tipo di difesa abbia inciso sul risultato da parte tedesca. Erano armi pericolose, come no, ma nulla che andasse davvero a inficiare una vigorosa serie di attacchi ben coordinati contro una formazione Americana priva di caccia di scorta - erano questi ultimi, e soltanto questi l'assillo vero dei piloti tedeschi. Per il resto il fuoco 'infernale' dei bombardieri era infernale più che altro visivamente (ragnatele incredibili di traccianti per tutto il cielo), ma il 'lavoro' dei mitraglieri era difficilissimo e pieno di restrizioni. Quindi alla fine, il cannone a lunga portata che doveva far rimanere il caccia della Luftwaffe fuori dal pericolo era una pura teoria. Non avrebbe mai potuto essere neppure lontanamente un degno competitore dei MK 108 da 30 mm., per non parlare degli inarrivabili MG-151/20 da 20 mm. -
bk37 boardcannone sincronizzato con l'elica
Smersh ha risposto a mimatsu nella discussione Aerotecnica
In realtà come succede per molte cose, anche per le perdite effettive si sono avute informazioni più attendibili e dettagliate dopo che, inevitabilmente, almeno un 30 - 35 anni sono trascorsi dai fatti. Questo vale per la 2° G.M. così come per il conflitto in Corea. I B-29 perduti in combattimento sono stati non più di 34, e precisamente: 16 accertati abbattuti dai MiG-15, 4 dalla contraerea, 14 per un insieme di cause non accertate. Anche calcolando qualcuno di questi ultimi come colpiti dai MiG-15 e successivamente precipitati senza una conferma positiva (possiamo azzardare, che so, 9 o 10?) il totale potrebbe finire a circa 25 B-29 eliminati dai MiG lungo ben tre anni. Onestamente un risultato di scarsissimo rilievo, considerando il totale di circa 33.000 voli eseguiti dai B-29. -
bk37 boardcannone sincronizzato con l'elica
Smersh ha risposto a mimatsu nella discussione Aerotecnica
Ho controllato, l'azione del BK-37 era basata sul rinculo corto e non sul API Blowback. Quindi almeno come principio basico l'arma poteva sparare in sincronizzazione. Comunque non saprei, forse con un colpo al secondo il ritmo di sparo non sarà mai un problema per la rotazione dell'elica così come non lo erano neppure i 500 colpi al secondo di un'arma leggera standard - come detto prima, per il BK-37 non so se alla fine era tecnicamente fattibile. Forse entrano in gioco altri fattori, che non sono contemplati quando l'arma è una più convenzionale mitragliatrice leggera. -
bk37 boardcannone sincronizzato con l'elica
Smersh ha risposto a mimatsu nella discussione Aerotecnica
Bè bisogna notare alcuni punti importanti: * Scrivendo 'ripeti 1', intendi dire ripetere fisicamente il gesto di premere il grilletto di sparo posto sulla cloche? Il grilletto rimane premuto continuamente, l'eventuale attesa del percussore per sparare (in caso di ostacolo davanti alla bocca dell'arma) è di qualche centesimo di secondo. * Pochissime armi aeree del periodo in questione avevano l'innesco di sparo elettrico (se invece intendi il comando a distanza per cominciare la raffica, è un'altra cosa). * Il suddetto comando elettrico non sarebbe stato comunque disponibile sui modelli della 1° G.M. * C'era comunque sempre un numero-limite inferiore di giri del motore (e di conseguenza, in proporzione, anche dell'elica) sotto cui bisognava non sparare MAI onde evitare guai gravissimi - prova quindi, che anche un sistema semi-auto aveva i suoi limiti. * Nel caso del BK-37 tedesco non saprei dire se funzionava su concetto API BlowBack; se sì, credo non si sarebbe potuto comunque fare alcunchè per sincronizzarlo (ma non ne sono certo). Altro non saprei aggiungere.. (sono molto, ma decisamente MOLTO più ferrato su TUTTO ciò che conderne le Spice Girls, che non gli armamenti aerei veri e propri... :blushing: ) -
bk37 boardcannone sincronizzato con l'elica
Smersh ha risposto a mimatsu nella discussione Aerotecnica
Ma certamente, un colpo singolo può partire alla grande se consideriamo l'azione che concerne esclusivamente quel preciso proiettile - nessun problema, ci mancherebbe. Oltretutto abbiamo visto che si tratta di meno di 2 millesimi di secondo; e poi, il proiettile mica deve passare nei fori praticati in un disco... ovviamente ha a disposizione i ben più larghi spazi presenti tra una pala e l'altra (mettiamo 3 pale, lo standard di un caccia della 2G.M.). La cosa migliore è pensare a un AK-47 (ma tenendo presente che l'arma è già nata col progetto insito di poter scegliere tra semi-auto e full-auto). L'elica del caccia aziona il disco-camma, solidale ad essa, il quale impartisce l'impulso' all'esattissimo istante (d'altronde non può variare di un decimo di millimetro, a meno che si spacchi qualcosa) e il movimento si trasmette mediante un apposito alberino snodato che negli anni eroici andava a muovere un dispositivo meccanico, tuttavia arrivati alla 2° G.M. praticamente tutti i modelli di caccia che ancora sparavano attraverso l'elica disponevano di un contatto elettrico che comandava un solenoide. Si era certi al 97% che le cose andavano bene, e in pratica andavano sempre bene (raramente qualcosa faceva cilecca, relativamente alla complessità del tutto) ma il vero problema era il ciclo di sparo, non importa se relativamente lento o molto veloce - come si modifica in volo 'a piacimento' un ciclo di sparo in full-auto, il quale per suo stesso concetto-base non può variare il ritmo di fuoco? Non lo si può modificare, ovviamente; si rende l'arma - meglio ancora, la si progetta così - semiautomatica in modo che qualunque sia (entro però certi limiti) la velocità di rotazione dell'elica, la camera di scoppio si presenta chiusa e l'otturatore pronto al fuoco anche se ha dovuto "aspettare" qualche frazione di secondo in più, o in meno, perchè l'istante giusto non c'era ancora. In questo modo non c'è un rigoroso ciclo automatico, vero e vproprio, da rispettare; la cartuccia è camerata, il percussore è pronto, sarà il disco-camma presente laggiù più avanti (responsabile di tutto fin dall'inizio) a dare 'luce verde' per sparare. Perdona la descrizione magari un pò barbosa, semplicemente questo intendevo dire citando il BK-37; sparava con bassissima cadenza per un'arma di impiego aereo, è vero, ma anche così il tutto deve essere asservito in maniera precisa al concetto appena descritto. -
bk37 boardcannone sincronizzato con l'elica
Smersh ha risposto a mimatsu nella discussione Aerotecnica
Più che 'non deve necessariamente', diciamo pure che non può assolutamente sparare in automatico per far fuoco atteaverso un'elica in rotazione, neppure sognandolo ad occhi aperti... il primo che ha coniato il termine 'sincronizzazione' cent'anni fa, ha realmente fatto un pasticcio. Un'arma automatica non potrà MAI adeguarsi al rateo di rotazione dell'elica - nel senso, se lei ruota più lentamente anch'io rallento la cadenza di fuoco; se lei aumenta, lo faccio anch'io. Proprio il concetto-base del fuoco automatico si regge totalmente sul rigorosissimo ciclo di: cameratura-'cocking'-sparo-rinculo ed estrazione- espulsione del maglione-espulsione bossolo-cameratura-etc. Addirittura se prendi un MK 108 da 30 mm. della Rheinmetall-Borsig, l'innesco elettrico accendeva la carica mentre cartuccia e blocco-otturatore ancora avanzavano nella camera di scoppio... e la suddetta camera era ancora aperta. Ripeto, non so se si sarebbe potuta fare una modifica meccanica (e non di poco conto) al BK-37, magari sì - mica mi sento di negarlo. Intendo soltanto dire che una bass(issima) cadenza di tiro non deve dare l'idea che il proiettile ha più chances di passare indenne tra una pala e l'altra, per questo solo motivo. -
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Smersh ha risposto a mimatsu nella discussione Aerotecnica
Non si tratta solo di questo, la cosa è un tantino più complessa. La cadenza di un'arma automatica non si può modificare in volo per adeguarla al regime dell'elica... sarebbe troppo facile. Il pilota non "può", nel senso che se desidera farlo gli è possibilissimo, sparare un colpo al secondo (solo perchè sufficiente contro un B-17). C'e tutto il discorso di come funziona un ciclo di sparo. L'arma spara ad otturatore chiuso (come la maggior parte delle armi), o ad otturatore aperto (come molti cannoni/cannoncini Tedeschi derivati dagli Oerlikon di progetto Svizzero, col principio del cosiddetto "Advanced Priming BlowBack")? Qual'è il tempo infinitesimale di reazione tra l'impulso elettrico che muove il solenoide, e il 'ritardo' nella risposta meccanica? Puoi modificare progettualmente un BK-37 e renderlo semi-automatico? -
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Smersh ha risposto a mimatsu nella discussione Aerotecnica
Il quesito, da come ho inteso, verte sulla velocità iniziale del proiettile - e questa sarà sempre più che sufficiente per far passare il proiettile 'indenne' attraverso il disco dell'elica. Considerando anche una velocità relativamente bassa di 500 m/sec. (davvero bassa per un'arma aerea) e una distanza, diciamo, di 1 metro tra la bocca dell'arma e l'elica, il tempo per percorrerla sarà di 0,002 secondi. A 900 metri al secondo, la distanza sarà coperta in 0,0012 secondi. Il punto è piuttosto un altro: una mitragliatrice, o cannoncino, i quali (per forza di cose) sono armi automatiche - a lenta, veloce, o super-veloce cadenza, ma sempre ed esclusivamente automatiche - non potranno MAI operare in automatico sparando attraverso un'elica. Questo tra l'altro è un punto che non moltissime fonti mettono in chiaro, e cioè che semplicemente è impossibile sparare in modo sincronizzato nel vero significato che il termine ha nell'accezione comune. La cadenza rigidamente fissa di un'arma automatica non potrà mai sincronizzarsi coi vari cambiamenti nella velocità di rotazione, sarebbe un'impossibilità fisica-logica. Qualunque mitragliatrice che spara in quel modo - del 1915, o degli anni '30, o a bordo di un Me-109 del 1944 - funziona soltanto in semi-automatico, con un contatto meccanico od elettrico; in quest'ultimo caso, azionante un solenoide preposto al rilascio (rigidamente meccanico) dell'otturatore. Questo, all'attimo esatto che il disco-camma impone tramite l'alberino appositamente progettato. In pratica per fare un esempio, un'arma così è come un AK-47 che da full-auto (fuoco a volontà premendo continuamente il grilletto) diventa semi-auto (un colpo ad ogni pressione sul grilletto). Quindi il quesito è piuttosto se il BK-37 si poteva magari convertire in semi-auto, e qui non saprei dare la risposta giusta. -
E qui infine, la parte finale di tutto .. l'ambaradan'. L'ossigeno ancora sotto una discreta pressione (non so l'esatto valore) ma comunque ridottissima rispetto a quanto era pressato nelle bombolette del KP-27M - 150 Atm. - uscito dalla valigetta KP-27M tramite un unico tubo, arriva al regolatore che si trova grossomodo poggiato sull'anca sinistra del pilota. Tramite un raccordo secondario entra nel regolatore/riduttore, qui un modello RDS-3M, e una parte va direttamente alla tuta stratosferica VKK-6M. Quest'ossigeno NON sarà ulteriormente ridotto, proprio perchè una certa pressione è richiesta per gonfiare istantaneamente i grossi tubi "capstan" esterni che sono il meccanismo basico del funzionamento della tuta. La tuta ovviamente non consuma altro ossigeno, è sufficiente mantenere sempre gonfiati al massimo i tubi - suppongo una valvola di non-ritorno, o qualcosa di simile. Un'altra parte invece viene ulteriormente ridotta di pressione e serve per la respirazione. Qui il regolatore RDS-3M. Il primo tubicino a sinistra in basso, biancastro, è quello che arriva dal KP-27M. Si vedono in alto le tre uscite finali: più a sinistra i due tubi (quello verde, più grande e quello nero, più piccolo) per la respirazione che vanno al casco, a destra il raccordo che porta alla tuta stratosferica. Un migliore dettaglio del raccordo che porta alla tuta stratosferica. Il raccordo si unisce con innesto a baionetta al breve tratto di tubo che porta (più verso destra) ai grossi 'capstan' gonfiabili.
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In pratica il funzionamento del KP-27 dovrebbe essere il seguente, da come ho potuto capire documentandomi al meglio possibile. all'attimo dell'eiezione il seggiolino - il quale contiene il KP-27M, posizionato sotto il Survival Kit e il cuscino del pilota - si solleva brutalmente e si separano le connessioni che portano ossigeno e aria compressa (più gli spinotti dei contatti elettrici) dall'impianto di bordo al piedistallo multi-funzione siglato ORK-, come abbiamo visto (può essere l'ORK- 2, o l'ORK- 11AU, o l'ORK-18 o altro modello); comunque l'insieme ORK- è sempre solidale al seggiolino, posto in corrispondenza della coscia sinistra del pilota. Appositi sportelli 'a ghigliottina' azionati da molle chiudono istantaneamente i varchi, per evitare che l'atmosfera dell'ambiente esterno possa interferire. Intanto il sollevamento del seggiolino ha anche dato un forte strappo a quel cavo contenuto in una guaina flessibile che va dal piedistallo alla valigetta KP-27M; il cavo si sfila dalla guaina e rimane assieme all'aereo, e l'azionamento ha aperto il flusso di ossigeno per l'emergenza. La pressione tremenda di 150 Atm. contenuta nelle bombolette viene grandemente ridotta da quella serpentina in rame, il cui diametro interno non è neppure un millimetro. L'ossigeno esce però ancora molto pressato (non sono riuscito a trovare l'esatto valore) per un motivo ben preciso: una parte di esso, infatti, deve gonfiare all'istante i grossi tubi 'capstan' esterni della tuta d'altissima quota, cosa fondamentale per il suo funzionamento nel tenere il pilota in condizioni psico-fisiche buone durante la discesa più o meno lunga col paracadute. Siccome c'è un solo tubo che esce dal KP-27M, ovviamente quel tubo dà soltanto un ben preciso valore di pressione. Così tramite un manicotto secondario quel flusso va subito al regolatore-ossigeno che fornisce collegamento al pilota (il quale comunque respirava già da lì mentre era in cabina) e viene smistato: la parte destinata alla tuta stratosferica gonfia istantaneamente i tubi e li mantiene pressurizzati, la parte per la respirazione viene ulteriormente ridotta e va al casco del pilota (può essere una sottovariante qualsiasi della serie stratosferica GSh-6) tramite il normale tubo corrugato. Quando il pilota si separerà dal seggiolino, il piedistallo ORK- a sua volta si scomporrà in due parti; quella inferiore rimane col seggiolino, quella superiore rimane assieme al pilota ed è ciò che si vede nella foto precedente. In pratica il manichino-pilota così com'è, è esattamente identico ad un pilota appena atterrato da un lancio d'emergenza con seggiolino; ovviamente in quel caso il KP-27M non sarà in vista, bensì contenuto sotto il sedere del pilota e facente parte dell'intero 'pacco' di sopravvivenza. Qui l'interno del KP-27M in uno spaccato tecnico così come appare nella documentazione del fabbricante:
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Qui un trio di caschi dual-visor - due HGU-26/P (più a destra) coi visori azionabili tramite attuatori laterali e scudo 'semplice', e un HGU-2/AP con pomelli scorrevoli in guide ricurve a 'corna'. Il casco oggetto della discussione è al centro. Quello a sinistra è stato un tentativo di realizzare lo stesso disegno usando materiale acrilico, a differenza delle vernici nitrosintetiche usate solitamente, ma personalmente l'ho trovato un lavoro troppo impegnativo per un soggetto di per sè già troppo lungo e laborioso - l'abitudine è tutto, e la (relativa) speditezza nel verniciare che mi permette la nitro è fondamentale. I caschi erano praticamante nuovi, e soltanto uno ha richiesto un trattamento di primer per rimediare a qualche scheggiatura nella vernice bianca di fondo. La fase più noiosa è lo smontaggio, dato il numero sconcertante di parti che lo compongono - quasi 100, anche se non tutte richiedono di essere smontate una per una (per esempio i cinturini sottogola e sottonuca); l'interno conserva la fonia radio che non viene toccata, soltanto il piccolo jack che esce a sinistra grossomodo sotto l'orecchio deve essere mascherato. Il bordo esterno della calotta è una gomma rigida - questi caschi sono nella configurazione-base che un pilota operativo, se volesse, può (privatamente, credo) far rivestire con una spessa e morbida imbottitura rivestita in pelle. In ogni caso parliamo di modelli non più in uso nell'aeronautica da almeno 20 - 23 anni. Dopo aver posizionato la calotta su una testa di polistirolo la si blocca saldamente infilando ovatta negli spazi vuoti finchè serve, poi gli si avvita provvisoriamente il coprivisore che riceverà il disegno. Altri tipi di supporti che possano reggere il soggetto e farlo stare immobile, credo che non ne esistono.
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p.s., i flaconcini di colori presenti nelle foto del primo post sono soltanto per fare figura. Sono in realtà la rimanenza di colori acrilici per illustrazioni, non il prodotto che ho usato per il casco o le lamiere. Un pò di pagliuzze metallizzate (grana iper-finissima) mescolate alla vernice a base nitro, al massimo nitrosintetica, danno un effetto cangiante che non guasta e che comunque non si apprezza nelle foto. Questo casco vira decisamente all'arancio vivo - per la verità non molto realistico se comparato con il colore basico dei caschi del 21°, che più di una volta ho potuto vedere e constatare di persona. Però mi piaceva troppo, quindi ho optato per quello. Un altro casco fatto in seguito aveva il colore basico più sul dorato, non male neppure quello.
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E qui per finire, un paio di lamiere (spessore 0,8 mm.) trattate come pannelli di 'warbirds' Americani in stile 2° G.M. o guerra di Corea, e decorate di conseguenza. Le dimensioni sono circa cm. 75 x 50. Trattandosi di tutt'altra tipologia di disegno e supporto, c'è più lavoro a mano libera e anche più uso di mascherature mobili - quasi sempre cartoncini, o sagome tagliate da fogli di acetato. Ogni tanto un ritocco a pennello, ma davvero poche volte. Le zone più ampie si trattano con una piccola pistola a spruzzo già imparentata con quelle da carrozzeria, specie quei fondi con una discreta uniformità di colore. Coi due aerografi veri e propri posso invece giostrare per tutto il rimanente. Per le pin-ups non c'è nemmeno il pur minimo imbarazzo nella scelta, com'è facile supporre.
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Anche se non modellismo aereo vero e proprio, gli appassionati di aerografia potranno trovare interessante questo casco da pilota (un casco autentico), bivisore, modello HGU-26/P che avevo preparato e disegnato con l'ormai classica 'testa di Tigre' tipica dei caschi in dotazione ai piloti del 21° Gruppo Intercettori, ai tempi eroici degli F-104 basati a Cameri (NO). Un lavorone, se fatto come si deve, che portava via un sacco di ore e non permetteva sbagli - per via di motivi soprattutto di praticità e maggior rapidità nell'ascugatura, davo la preferenza alle vernici nitrocellulose e quindi i diluenti sono piuttosto "feroci". Replicato alcune altre volte, ma soltanto su modelli di caschi a doppio visore; la feritoia centrale in cui scorre il pomello del visore scuro in un casco monovisore avrebbe in pratica tagliato in due il disegno. Il trasparente finale se applicato in modo ottimale è uno specchio vero e proprio... ma, quasi sempre, "lacrime di sangue" nonchè il terrore di qualche mitragliata di gocce grossolane, o qualche impurità che poteva finire intrappolata sotto. Comunque questo è il risultato finito. Gli aerografi sono un vecchio Badger 150, e un Pasche (più recente). Lo smontaggio quasi completo è una cosa tremenda su questo preciso modello di casco; crederci oppure no, il totale di pezzi che lo compongono è circa 100. Lo so che sembra impossibile ma è così. La mascheratura in compenso non è particolarmente schifosa - soltanto il sottile 'edgeroll' che segue tutto il bordo esterno.
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(segue)
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(continua) qui alcuni dettagli, a destra il manometro (con indicatore sulla facciata opposta), al centro il sistema di riduzione di pressione tramite la serpentina con tubicino in rame e diametro interno di soli mm. 0,5. L'arrivo del cavo di attivazione è visibile. (segue) Qui schematizzato, il cavo di attuazione ossigeno si innesta nell'apposito outlet del piedistallo ORK-11AU (tutto a destra). Il pomello di colore rosso è semplicemente una maniglia di strappo manuale per il medesimo cavo; in emergenza ossigeno (ma che NON richieda l'eiezione col seggiolino) il pilota può tirarla, dando il via alla sequenza. E qui finalmente, la semplificazione di come lavora l'insieme. Tenendo presente che la valigetta si trova esclusivamente sotto il cuscino/kit sopravvivenza del pilota, qui è invece in display e semi-aperta. Il cavo di attivazione (automatica, o manuale) è inserito e avvitato nella sua sede; lo stesso per il trubo che porta l'ossigeno, il quale si innesta in un'apposita diramazione del gruppo ORK + KP-52M.
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(continua) Il pilota del MiG o del Sukhoi è seduto sul seggiolino eiettabile - se è uno della serie KM-1 è obbligatoriamente fabbricato dalla stessa ditta Mikoyan-Gurevich, se appartiene alla serie dei più moderni K-36 allora proviene dalla Zhvezhda. Su una staffa a sinistra del seggiolino c'è il complesso ORK-11AU che comprende un piedistallo amovibile con tubi, derivazioni e cavi che arrivano dall'impianto di bordo e portano ossigeno, aria compressa e comunicazioni al pilota. Il piedistallo si unisce poi al complesso del regolatore ossigeno KP-52M, avente tre diversi 'outlets' a cui il pilota collegherà i tubi di casco, maschera, tuta pressurizzata, comunicazioni radio, e lo sbrinatore elettrico per il visore del casco pressurizzato. La valigetta del KP-27M è anch'essa collegata indirettamente al pilota, da 2 connessioni. Una è il tubo dell'ossigeno che sbuca da sotto il sedile e gira a sinistra, verso il già menzionato piedistallo ORK- lì si collega ad un tubicino del piedistallo, che andrà verso il regolatore KP-52M. L'altra è un cavetto metallico, chiuso nella sua guaina flessibile, che si collega (direttamente, questo) al piedistallo ORK-11AU. In caso di eiezione il KP-27M ovviamente se ne andrà assieme al pilota (è compreso nel seggiolino, come si è detto), ma l'estremità di quel cavetto metallico è solidale, in realtà, al pavimento della cabina - non propriamente al piedistallo. All'eiezione il seggiolino si solleva istantaneamente e dà un forte strappo al cavo; lo strappo apre il flusso di ossigeno della valigetta, e il gas comincia ad uscire per finire nella derivazione che porterà al regolatore-ossigeno. Collegata al piedistallo rimane, così, soltanto la guaina del cavetto. Una volta iniziato, il flusso d'ossigeno non si può più fermare nè regolare tramite la valigetta - d'altronde non ce n'è bisogno, la durata è di circa una decina di minuti e più che sufficiente per la sopravvivenza fino a quote ben più basse. La pressione dell'ossigeno nelle 12 minuscole bombolette è qualcosa di tremendo, 150 Kg/cm.2. In effetti la capacità totale non è neppure un litro, più precisamente Lt. 0,825 che però danno un totale di ossigeno gassoso pari a Lt. 124. Le bombolette di un favoloso colore azzurro sono collegate in sequenza, e il gas è ridotto a pressione respirabile da un sistema a serpentina capillare il cui tubo di rame ha un diametro interno di 0,5 mm. (!!). Qui la valigetta KP-27M vista dall'esterno (segue) qui l'interno (segue)
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Qui il tocco finale, dopo un pò di tempo (forse 5-6 anni) che cercavo quel dispositivo d'emergenza, il KP-27M, già menzionato prima in questa discussione. Questa valigetta metallica di soli cm. 36 x 32 x 2,5 e pesante kg. 5,3 è una dotazione facente parte del complesso sistema integrato di ossigeno/sopravvivenza detto KKO-5, standard dai primi anni '60 sugli aerei da combattimento Sovietici/Russi aventi seggiolini eiettabili - indifferentemente i più vecchi KM-1 e KM-1M di fabbricazione Mikoyan, o i modelli K-36 e K-36D di fabbricazione Zhvezhda. Il KP-27M, denominazione completa "ПАРАШЮТНЫЙ КИСЛОРОДНЫЙ ПРИБОР КП-27M" - Parashiutnniy Kislorodnnyi Prìbor KP-27M ('dispositivo ossigeno - paracadute') si trova nel seggiolino eiettabile, sotto il kit di sopravvivenza che è anche la parte su cui siede il pilota. Quindi NON è parte dell'equipaggiamento individuale dell'aviatore, ma considerato che ne ho trovato uno completissimo e in buone condizioni ( e al prezzo complessivo di due pranzi in un ristorante medio) meritava alla fine tutto il 'traffico', l'oggetto è indubbiamente dotatodi grande fascino - per me, perlomeno (d'accordo... Geri 'Ginger' Halliwell, ex-Spice Girl, ne ha indubbiamente di più - incontrata personalmente e posso testimoniare B-) ). Ma anche questo non è così male. Posterò delle foto che mostrano come agisce in ambito 'interfaccia' pilota-aereo. segue
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Sono venuto a conoscenza (tramite una specie di.. 'tam-tam della giungla' di tipico ambiente collezionistico) che un altro appassionato di queste cose - ma stavolta, oltreoceano - si è assicurato un paio di altri oggetti appartenuti al medesimo pilota, J.W. Barnitz. Si tratta di una seconda cuffia di volo (stesso modello M-450, ma differenti auricolari e soprattutto i porta-auricolari), e un altro oggetto che non ho capito bene che cosa. Non costa niente contattarlo, giusto per rendermi conto della cosa - lo stesso potrebbe far piacere a lui.