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bah.. sono molto scettico a riguardo. Hai tabelle balistiche e risultati che possano confermare le tue tesi sui proiettili sferici? http://www.earmi.it/balistica/efficacia.htm
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L'idea di corazzati italiani dalla grande prestazione meccanica non mi dispiacerebbe affatto, anche se a parer mio, l'uso di quel motore con quella potenza mi sa di banco prova per una futura famiglia di MRAP e simili.. chissà
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Aggiornamento Dopo il totale rilevamento da parte dell’ MZKT della sezione pesanti militari in casa MAZ nel 1991, ci fu un profondo cambiamento dal punto di vista dei mezzi. Il 543 uscì di produzione e il compito di costituire il telaio per i sistemi radar e missilistici venne affidato al 543m, precedentemente impiegato solo con allestimenti di comando/controllo e come piattaforma per il lancia razzi Smerch. Fu affiancato dalla nuova generazione di mezzi (derivata dal MAZ 7910) quali l’ MZKT 7930, contraddistinta da una maggiore capacità di carico a conseguenza una cabina unica (quindi non più separata come tutti i precedenti modelli) e il motore collocato nel retro cabina, davanti al gruppo elettrogeno d’utilità. Attualmente (anno corrente 2016) il MAZ 543m trova impiego su batterie di fuoco costiere come vettore per il cannone d’artiglieria A222 Bereg, i missili da crociera antinave 4K51 Rubezh (SSC-3) e come stazione di comando/controllo avanzata. L’ MZKT sta progressivamente implementando i compiti bellico-logistici del MAZ 543m; a dimostrazione di questo, la scelta di utilizzare l’ MZKT come vettore lancio, unità ricarica, comando/controllo del nuovo missile da crociera antinave Bal-E (SSC-6 Sennight). I test di tale missile vennero comunque effettuati con il sistema lancio a bordo di uno chassis 543m. L'intera sostituzione di tutta la serie MAZ non è ancora prevista dall'esercito russo. MZKT sta lavorando e promuovendo l'evoluzione della serie 7930 destinata per il momento al mero trasporto, ammodernata sia come motori sia come cabina e trasmissione, il 600103 e il 6002013. http://www.volatdefence.com/en/katalog/439/ http://nationalinterest.org/blog/the-buzz/watch-out-asia-russia-tests-new-anti-ship-missile-system-12749
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Tatra T815-7 (T817) Il T815-7 rappresenta il vertice dei veicoli pesanti militari in casa Tatra, appartenente alla famiglia Force; rispetto alla serie Armax (inferiore) e ai pari classe Force spicca per un’ottima dote fuoristradistica unita ad una capacità di sopravvivenza nel campo di battaglia. Dopo il fallimento del progetto T157, successivamente ceduto alla fabbrica concorrente cecoslovacca LIAZ nel 1974, alla Tatra si concentrarono su veicoli destinati al trasporto pesante, nello specifico, con un occhio di riguardo per le esigenze militari. Nel 1983 nacque ciò che divenne la base di sviluppo della futura linea costruttiva, quale il T813, e nel 1989 si formò la famiglia di veicoli T815. Tralasciando il segmento civile e quello leggero, vorrei porre l’attenzione sulla variante altamente specializzate per fini bellici, il Tatra Force T815-7 (T817). La serie Force T815-6 (ossia quelli destinati alle implicazioni militari) divenne famosa per essere il vettore lancio dei missili da crociera supersonici indiani BrahMos e per costituire da piattaforma per l’obice DANA da 152 mm. Di base prevedevano semplici configurazioni di mero trasporto di collegamento e, per ricavarne veicoli destinati al trasporto di truppe e materiali nelle “zone calde”, si dovettero allestire telai ad hoc, come per esempio il TATRAPAN. La variante T817 costituisce un segmento a se, in cui il vettore stesso senza “customizzazioni” combina il trasporto pesante e i blindati leggeri di fanteria. Progettato secondo i parametri NATO e pensato per essere trasportato sui cargo C-130, corredato da un telaio-trasmissione specifico brevettato (che specificherò in seguito), l’allestimento di blindature allo stato dell’arte rispetto ai veicoli analoghi europei e una modularità molto vasta del parco motori. Lo studio del T817 venne avviato nel 1999 e fu presentato nel 2004, in seguito vennero apportati numerosi aggiornamenti nel 2010 e, recentemente nel 2016 (anno corrente), è diventato parte integrante come piattaforma ruotata sperimentale dell’artiglieria Caesar da 155 mm (presentata all’Eurosatory 2016) insieme alla Nexter System. Dispone di una riserva di 30 colpi da 155 mm, GPS integrato e sistema di puntamento in remoto a bordo del veicolo. Il telaio T817 è attualmente usato in Brasile come lanciatore per il sistema d’arma ASTROS (con modifiche alla cabina e una blindatura rivista), milita inoltre nell’esercito cecoslovacco, rumeno, polacco e russo, sudafricano e indiano. MOTORE Il motore è sempre multi combustibile, collocato dietro la cabina in posizione rialzata insieme a tutti gli organi ausiliari. La modularità del veicolo consente di accoppiare all’apparato trasmissione una vasta tipologia di propulsori, i quali garantiscono un range di funzionamento alle temperature da -32°C a 49°C. I più impiegati sono prodotti in casa Tatra come il V8 turbodiesel T3C-928-AO, a iniezione diretta raffreddato ad aria forzata (visibile dall’imponente compressore frontale), da 12.700 cc (alesaggio x corsa 120x140 mm), 326 cv a 1900 rpm e 1500 Nm a 1000 rpm (capace di 407 cv a 1800 rpm e 2100 Nm a 1000 rpm nella versione più performante T3C-928-90). Il turbocompressore Holset wastegate è accoppiato ad un intercooler posto direttamente sopra il propulsore, l’iniezione è meccanica controllata in linea Bosch, così come la pompa carburante; distribuzione a teste singole e bilancieri. La scelta di un motore affidato quasi esclusivamente alla gestione meccanica è dovuta all’elevata semplicità costruttiva e manutentiva dello stesso. Insieme ad un serbatoio da 420 L può garantire un’autonomia fino a 1200 Km su asfalto (dato del sito ufficiale TatraTrucks.com) e circa 700 Km in off-road. In origine il Force T815-7 prevedeva due motorizzazioni quali il V10 (da 15.800 cc) e il V12 (da 19.000 cc) completamente aspirati e raffreddati ad aria e il V12 biturbo, scartati in base alla limitazione sulle emissioni e sul consumo tutt’altro che contenuto (i quali equipaggiano la serie T815 da traino pesante come i porta carri e le versioni 10x10 e 12x12). Come case costruttrici estere troviamo la Cummins con il 6 cilindri in linea turbodiesel ISLe+350 raffreddato ad acqua a iniezione diretta gestita tramite centralina ECU. Da 8850 cc (alesaggio x corsa 114x144,5 mm), 345 cv a 2100 rpm e 1550 Nm a 1400 rpm. Il 6 cilindri in linea ISMe 420-30 con la medesima architettura del precedente ma con una cilindrata aumentata a 10.800 cc (alesaggio x corsa 125x147 mm), con 416 cv a 1900 rpm e 2010 Nm a 1200 rpm. La Deutz tedesca con il V8 turbodiesel TCD2015-V08 a iniezione diretta elettronica ECU, raffreddato a liquido, 15.900 cc (alesaggio x corsa 132x145 mm) da 598 cv a 2100 rpm e 2650 Nm a 1400 rpm. L’architettura è a teste singole con bilancieri e singolo albero a camme centrale. CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE L’intero apparato trasmissione merita un discorso a parte. Nelle classiche configurazioni meccaniche, sia motore che cambio (ed eventuale differenziale centrale), fanno cardine in uno chassis che struttura l’intero veicolo (o sono compresi all’interno di una scocca portante). Il vantaggio sta nella semplicità costruttiva e nell’elevato numero di “accessori” applicabile al mezzo. Lo svantaggio dei sistemi tradizionali si verifica in condizioni di off-road estremo, ossia quando le asperità del terreno non possono venire assorbite ne dalle sospensioni ne dall’escursioni del braccio del semiasse. Il risultato alla lunga causa fratture e profonde snervature del telaio portante, con conseguenti problemi di guidabilità e resistenza al carico successivo. Tatra ha brevettò nel 1923, e viene utilizzato tuttora su tutti i veicoli pesanti (compreso il T817), il BackBone®. Il Backbone è un unico tubo portante che si allunga da asse ad asse; all’interni di questo tubo vi gira l’albero di trasmissione supportato da sostegni coassiali. La trasmissione del moto in corrispondenza delle ruote avviene per mezzo di due segmenti perpendicolari di tubo (semiassi) con due ingranaggi conici letteralmente orbitanti intorno ad un ingranaggio elicoidale coassiale al tubo. Il limite di escursione dei due semiassi è dato solo da una struttura di rinforzo atta ad evitare un’eccessiva campanatura in situazioni limite; il bloccaggio dei singoli differenziali avviene manualmente attraverso un perno, il quale trasforma ogni singolo asse da indipendente a rigido. Il motore e il cambio sono dislocati nel retro cabina in posizione rialzata, essi comunicano con il Backbone attraverso il differenziale centrale bloccabile che, sempre coassialmente al tubo/albero, può ripartire la trazione attraverso una serie di ingranaggi concentrici; ai capi del tubo/albero vi sono istallate le prese di forza PTO. Gli elementi del Backbone costituiscono un unico asse rigido centrale, ma consentono la rotazione sullo stesso asse di ogni troncone inter assiale. Tutto ciò permette una totale eliminazione della torsione (ipoteticamente, senza sovrastrutture al telaio, ogni troncone potrebbe girare indipendentemente di 360° sull’asse unico); una eliminazione delle vibrazioni in marcia; il mantenimento di un’elevata velocità prolungata sul fuoristrada difficoltoso; la protezione naturalmente offerta dal Backbone a tutto l’apparato di trasmissione agli urti accidentali (compresa la capacità anfibia waterproof) e l’eliminazione delle componenti protettive come le piastre d’acciaio sotto gli organi vitali della trasmissione (con la conseguente diminuzione di peso complessivo). La forma del sistema Backbone consente inoltre un rapido smontaggio “da campo”, modularità con ogni tipo di cabina e vano carico e l’aumento dei tronconi per trasformazioni rapide in 4x4,8x8,6x6,8x8,10x10 e 12x12 mantenendo i medesimi organi di cambio e propulsione. Il cambio può essere manuale meccanico sincronizzato 14TS210-L a 14 marce + 2 rm, semiautomatico sincronizzato elettronico a 14 marce analogo al manuale, un automatico Allison 4560SP da 5 e 6 marce + 1 rm con convertitore di coppia e Allison 48000SPR a 7 marce + 1 rm. Su richiesta può adottare un automatico 6 marce Tatra-Norgren. Differenziale centrale Tatra 2.30 TRS 0.8/1.9, TRS0.8 con riduttore e TRK0.9/2.4 a due velocità. Le sospensioni per i due assi anteriori sterzanti (o singolo asse sterzante se 6x6 o 4x4) sono a molle e balestre fino ad 8 t per asse ed a cella d’aria (per la regolazione dell’altezza da terra) fino a 9 t. Al posteriore vengono utilizzate le molle e balestre per un carico massimo di 11,5 t per asse, celle d’aria fino a 10 t per asse e combinazione delle precedenti dalle 13 alle 15 t per asse. Sia l’anteriore che il posteriore dispongono di pistoni idraulici per l’ammortizzamento. Tutti i pneumatici sono 14.00R20 e 16.00R20 pieni antiforatura da proiettile, dotati di CTIS attuabile anche in movimento. Dotato di servosterzo e freni pneumatici a tamburo con ABS. CABINA E BLINDATURA La cabina è avanzata a 2 posti 2 porte, costruita interamente in acciaio, con ganci superiori per il trasporto aereo e botola superiore blindata per tutte le versioni. Dal punto di vista difensivo, si presenta come un apparato modulare, che vede come allestimento aggiuntivo pesanti piastre di blindatura capaci di resistere al calibro 7,62 mm (soluzione ripresa dagli spessi vetri antiproiettile e dalle gomme piene antiforatura), da griglie antisommossa e da uno scafo integrale, capace di resistere ad ordigni di 6 Kg di esplosivo in ogni punto. La scelta di creare una cabina modulare permette l’uso di livelli di protezione 2, 3A e 3B (e STANAG 4569 dal 2014) facilmente assemblabili anche al personale non qualificato. Nel veicolo presentato all’Eurosatory 2016 è stata studiata un’armatura esterna più performante, sviluppata per gli ambienti del medio oriente: particolare attenzione è stata posta per la resistenza al fuoco dei cecchini ed ai proiettili 7,62 mm perforanti, e alla dispersione dell’energia di ordigni improvvisati. Misure di protezione aggiuntive sono la schermatura da agenti NBC e un apparato jammer contro l’innesco di ordigni a distanza (in linea con le dotazioni NATO). Dal punto di vista interno, possiede un vasto scomparto-arsenale per le armi leggere in dotazione agli operatori e i vetri schermati, unità HVAC, kit per guadi profondi e riscaldamento autonomo. La cabina dal 2016 è allungata in modo da ospitare 1+4 operatori o, in alternativa, 1+1 con brandine doppie di riposo amovibili al lato posteriore; in alternativa vi è la cabina con 4 porte da 8 posti totali. Come accennato, la modularità del veicolo permette la creazione di chassis in base alle necessità come la versione 4x4 avente interasse di 4,32m, angolo d’attacco di 45° e 27° uscenti; lunghezza di 8,16m e altezza di 2,73m. Distanza dal suolo da 38 cm a sospensioni pneumatiche scariche a 41 cm. Il carico massimo trasportabile è di 8,5 t per un totale di 19 t totali, 18 t trainabili (sia rimorchi che artiglieria) per un totale combinato di 37 t. La versione 6x6 ha un’interasse di 4,09m+1,45m; stessi angoli d’attacco e uscita e altezza da terra della versione 4x4, uguale altezza ma con una portata maggiorata a 15,9 t per un totale di 29 t. La versione 8x8 ha un interasse di 2,15m+2,86m+1,45m; l’angolo d’attacco non varia ma quello d’uscita viene portato a 43°; lunghezza totale di 9,3xm e altezza costante con le versioni precedenti. Il payload viene incrementato a 24,7 t per un totale di 38 t. l’8x8 è una delle versioni più versatili della gamma in quanto può svolgere tutti i ruoli, dal trasporto truppe, al container carrier alla cisterna di rifornimento ( con passo intermedio aumentato a 3,66m; cisterna in acciaio a 2 camere da 12500 l. e 6300 l., con un gruppo pompa di carico e scarico a due velocità: 700 e 1000 l. al minuto). Una variante altamente specializzata è il T815-7 HMHD Recovery Vehicle: sviluppato per il trasporto d’emergenza di veicoli estremamente pesanti in panne o distrutti come MBT, APC e camion tattici. Lo chassis utilizzato è quello dell’unità cisterna ma con radicali modifiche strutturali e tecniche quali: la pala bulldozer anteriore amovibile (che tuttavia limita l’angolo d’attacco a 21°) per lo scavo di trincee, strade e rimozioni di barriere ed ostacoli; una gru a controllo remoto (con portata di 5,2t a 8,4m, 12t a 3,5m); due braccia di sollevamento (abbassabile fino a 90°) per l’aggancio al traino sospeso del primo asse del veicolo in panne fino ad un massimo di 14 t per asse, comandato tramite wireless da un pannello interno alla cabina (con l’uso di apposite videocamere); 2 verricelli con cavo in acciaio da 100m con capacità di 24 t cadauno e uno scafo balistico maggiorato antimine. È l’unico a montare il motore Deutz TCD2015-V08 e il solo veicolo senza carichi esterni arriva a pesare 35t. dispone inoltre di due serbatoi separati da 320 l e, all’occorrenza, di un rimorchio di carico per i veicoli distrutti. Una versione particolare è costituita dai veicoli adibiti al trasporto di imbarcazioni e ponti mobili, con passi ristretti e l’aggiunta di un quinto asse sterzante posteriore. Dati tecnici aggiuntivi Tatra 815-7 Guado – fino a 1,5 m con kit da guadi profondi Max. velocità su strada – da 100 a 115 km/h
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Mercedes-Benz Unimog 435 Nella genealogia dei veicoli Mercedes-Benz Unimog (UNIversal Motor Gerat), uno dei veicoli più apprezzati e riconosciuti è il modello 435/437. Nato come tutti gli Unimog per esigenze civili, sia cantieristiche che come componente dei reparti di soccorso; guadagnò notevoli meriti anche come veicolo da spedizione in luoghi ostili. Fu quindi breve il passo che lo portò a diventare anche uno dei veicoli da trasporto leggero militare più performante in suolo europeo. Venne creato nel 1975 come sostituto “pesante” dell’Unimog S, del quale riprendeva il layout generale e la configurazione meccanica ma aggiornato usando il know out delle sue evoluzioni. Di fatto rispetto al suo predecessore, il 435 (U1300) fu pensato per migliorare sensibilmente il confort di bordo che, sebbene molto spartano, risultò un salto epocale per la serie Unimog, avvicinando il mezzo anche a compiti stradali, prerogativa riservata all’epoca ai semplici camion da trasporto leggero. La gamma 435 aprì una nuova sezione di veicoli, i quali furono inquadrati come veicoli per l’impiego pesante, mentre la “classe” di appartenenza dell’ormai datato Unimog S passò il testimone a veicoli più leggeri. La combinazione di leggerezza, potenza, la notevole altezza da terra e passo corto gli permisero di mantenere ottime performance in tutti i terreni, da quello roccioso, fangoso a quello sabbioso. L’affidabilità meccanica ereditata dai suoi predecessori va a vantaggio di una manutenzione semplice e di una grande resistenza all’usura e allo stress meccanico. Dal punto di vista militare, fu adottato dall’esercito tedesco e, esternamente, in numero variabile da tutti gli eserciti europei. Di fatto era l’unico veicolo da trasporto leggero in grado di rivaleggiare con gli Ural russi e surclassava i veicoli analoghi americani. Come veicolo d’emergenza e soccorso militò anche negli Stati Uniti, in Canada, Cina, Australia e in Sudafrica, sia per impieghi antincendio (più usato) sia come spazzaneve e rifornimenti in aree colpite da calamità naturali. Per un breve periodo fu utilizzato anche dalle forze armate statunitensi della riserva e dalle agenzie federali. Tra i modelli più usati dalla Bundeswehr troviamo le sotto varianti U1350, U1550 e U2450. L’Unimog 435 fu la base per la creazione dell’ATF Dingo, veicolo pesantemente corazzato con specifiche MRAP prodotto dalla Krauss-Maffei Weigmann per l’esercito tedesco. Lo storico di questo mezzo può vantare numerosi riconoscimenti anche sul piano sportivo, infatti fu uno dei veicoli maggiormente impiegati nelle gare off road e nei rally raid. Per esempio la famosa Parigi-Dakar in cui vi partecipò e vinse nelle edizioni 1982, 1983, 1984, 1985 e 1986, aggiudicando alla Mercedes-Benz in titolo costruttori per cinque volte consecutive. Nel 1988 fu affiancato e sostituito dal modello 437 (U1700 e U2150), pressoché identico, eccezion fatta per la motorizzazione (più potente) e per gli assi più pesanti. La produzione del 435 e del 437 cessò nei primi anni del 1990. MOTORE Il propulsore più usato fu il Mercedes-Benz OM352, considerato uno tra i più versatili ed efficienti motori della sua categoria; esso infatti, oltre ad equipaggiare veicoli militari e civili, fu usato per impieghi marini, agricoli e industriali. Furono sviluppate due versioni. Il primo è un diesel aspirato 6 cilindri in linea, iniezione diretta Bosch in linea PES, testata singola con potenza di 130 cv a 2800 rpm e 5675 cc di cilindrata, 363 Nm di coppia a 1800 rpm. Alesaggio x corsa: 97 x 128. L’accensione è elettronica così come la gestione dell’iniezione, con apparati di pre-riscaldamento funzionanti oltre i -15°C. Poteva lavorare con un turbocompressore extra, modifica che comprendeva adattamenti per il passaggio di olio extra, radiatori maggiorati, intercooler e sostituzione della componentistica dovuta al maggior sforzo meccanico. La presenza di una sovralimentazione extra non era riconosciuta dalla Mercedes-Benz ma poteva apportare un consistente aumento di potenza fino a 200/225 cv, influendo sulla longevità del motore. La seconda versione fu accoppiata ad una sovralimentazione turbo (denominata OM352A) per equipaggiare l’Unimog 437, portando la potenza a 170 cv e 520 Nm di coppia a 1800 rpm. Il secondo propulsore utilizzato era una diretta evoluzione dell’OM352, la serie OM366. Mantenne l’architettura ma rispetto al precedente l’alesaggio e la corsa aumentarono a 97,5 x 133 e una cilindrata maggiorata di 5958 cc. Le versioni furono la normale aspirata OM366 da 134 cv a 2800 rpm e 408 Nm a 1400 rpm, L’OM366C compensato per l’altitudine (139 cv a 2800 rpm e 425 Nm a 1450 rpm), l’OM366A sovralimentata (168 cv a 2600 rpm e 560 Nm a 1450 rpm) e OM366LA sovralimentata con intercooler (201 cv a rpm e 2600 640 Nm a 1450 rpm). Come accessorio motore esterno vi era la configurazione per guadi profondi, la quale comprendeva uno snorkel d’aspirazione situato sul montante destro della cabina e l’apparato di scarico gas rialzato verticalmente, situato nel retrocabina (la versione base aveva su richiesta già snorkel ma prevedeva lo scarico sotto lo chassis all’altezza dell’interasse a sinistra). CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE La catena cinematica era il vero punto forte del mezzo: lo schema fu ereditato completamente dal più vecchio Unimog S, pur con sostanziali aggiornamenti. La trazione era integrale 4x4 permanente (a differenza degli Unimog 406/416 4x2, dove la trazione integrale era inseribile). Il cambio è un sincronizzato 8 rapporti più 8 retromarce separato dal propulsore tramite un semialbero di trasmissione, lo stesso dell’Unimog S; esso incorporava un set di marce alte, basse e ultrabasse. L’overdrive finale per le marce alte ne migliorava le prestazioni stradali e il rendimento del motore ad alti regimi in velocità (soluzione mai adottata negli Unimog precedenti), composto da due velocità sia con marcia avanti che con retromarcia e, con l’ingranaggio splitter inserito, consentiva un aumento del 22% di velocità per ogni marcia inserita. La gamma bassa e ultrabassa con riduttore underdrive potevano essere applicate per tutte le marce e retromarce. Inoltre disponeva di due prese di forza PTO (una verso il frontale del mezzo e una nel retro) con dispositivi a doppia frizione per 540 rpm; in altre applicazioni la potenza della PTO era limitata dalla potenza del motore, per la messa in opera di macchinari pesanti al quale era associabile. Il cambio poteva essere accoppiato anche ad un motore idraulico per la trasmissione idrostatica Il cambio incorporava il differenziale centrale; esso consentiva l’equalizzazione di coppia in corsa, definita “shift on the fly”, cioè portare la ripartizione di coppia tra l’asse anteriore e l’asse posteriore in configurazione 50-50 anche in corsa a tutte le velocità in ogni gamma. Per quanto riguarda gli assi, sono a ponte rigido sia anteriormente che posteriormente, nell’Unimog 437 erano maggiorati per scaricare più coppia in trazione. I freni erano a disco pneumatici con servofreno su tutte e quattro le ruote con doppia pinza sul primo asse e a singola pinza sul secondo, progettati a doppio circuito e con regolazione automatica di compensazione del carico; la presa ad innesto d’aria sul retro consentiva l’azionamento dei freni pneumatici di un eventuale rimorchio. Ad aumentare l’altezza da terra, contribuirono il mozzo ruota sfalsato e sottostante rispetto alla linea d’asse, adottando il sistema a cascata ad ingranaggi. Le sospensioni idrauliche inclinate indipendenti e non coassiali con le molle consentivano una grande escursione (amplificata anche da bracci snodati a leva). L’apparato di sterzo era assistito dal servosterzo idraulico, così come il giunto cardanico anteriore per l’utilizzo spalaneve. Nei primi anni ’90 fu realizzata una versione speciale 6x6 della più potente U2450 con funzione di carro attrezzi e impieghi speciali militari. CABINA E TELAIO La cabina e l’abitacolo prese spunto dal VolksWagen Vanagon del 1980, dal profilo squadrato (a differenza di tutti gli Unimog precedenti) con abitacolo chiuso (tranne rare eccezioni create per impieghi militari specifici) e a 2 porte 3 posti (allestito spesso anche con cabina doppia “Dokas” da 6 posti). Come accennato fu migliorato sensibilmente il confort di bordo grazie ad una migliore insonorizzazione, sedili con ammortizzamento pneumatico, climatizzatore e WEBASTO per i climi rigidi. Nella parte superiore della cabina, sopra il sedile al lato passeggero, vi era una botola d’emergenza, spesso protetta da un carter (liscio o con superficie forata per il fissaggio di materiale o gomme di riserva); nelle versioni militari era possibile montare una slitta esterna per l’impiego di armi leggere, adottando un carter superiore forato, vetri blindati e cabina con blindatura resistente a proiettili di piccolo calibro. La climatizzazione interna fu particolarmente curata, con un radiatore indipendente e una presa d’aria dedicata sul fianco sinistro del vano motore. La fanaleria principale era incassata nella barra paraurti, la quale copriva il giunto cardanico della presa PTO anteriore. La dislocazione delle frecce aiuta a distinguere il modello 435 (posizionate verso l’alto della calandra) rispetto al modello 437 (posizionate più in basso). In ogni punto della cabina era possibile accedervi per l’allestimento di componenti aggiuntive come fanalerie, roll-bar, griglie di carico, verricello ecc.. Il telaio unico, il design della cabina e della piattaforma di carico consentivano il minimo movimento torsionale, al fine di evitare lacerazioni in condizioni estreme. Esso adottava una configurazione modulare: permetteva l’istallazione di qualsiasi elemento di carico come cassoni chiusi o aperti, centine, cisterne, sistemi di gru e stabilizzatori laterali e combinazioni dei precedenti. Un giunto a campana, collegato allo chassis, permetteva il traino di tutti i rimorchi e delle bighe agricole, stradali o pezzi d’artiglieria leggera. Tra gli allestimenti particolari prevedeva l’istallazione di gruppi elettrogeni o di stazioni di controllo/monitoraggio/coordinamento e moduli abitativi (spesso in questi casi il gruppo elettrogeno era trainato), inoltre, con il montaggio di specifiche dotazioni, poteva svolgere il ruolo di ambulanza, veicolo di primo intervento e dotazioni anti-incendio, spalaneve e anti-NBC. L’Unimog 435 disponeva di punti d’aggancio per strumentazione meccanica accessoria come terne idrauliche (pompe ed elevatori), caricatori frontali e attrezzi a doppio o singolo circuito. Il peso a vuoto era di 4,4 t e 7,5 t lorde a pieno carico esclusa la strumentazione accessoria, poteva rimorchiare fino a 5,5 t. Dati tecnici aggiuntivi Mercedes-Benz Unimog 435 Lunghezza – 5,59 m Larghezza – 2,30 m Altezza – 2,62 m (2,86 m max.) Interasse – 3,25 m Consumo – Unimog 435(U1300 17,5-19 L/100 KM; Unimog 437(U1700) 20-22 L/100 Km Capacità carburante – 160 L Autonomia – 1000 Km circa (valore medio variabile, dipendente dal rapporto di gamma) Guado – da 0,8 a 1 m, 1,2m con kit da guado profondo Velocità massima su strada – 110 Km/h con overdrive e ruote maggiorate (95 Km/h di crociera); 85 Km/h con ruote standard e marcie gamma alta Velocità massima off-road – 85 Km/h con gamma bassa Angolo d’attacco – 46° Angolo d’uscita – 51° Pendenza laterale – n.d. Altezza dal suolo – 435 mm Misure/tipo di ruote – 12,5R20 (è possibile l’uso di pneumatici 13R20, 11R20, 12R20, 12R22,5, 14,5R24 e 22R20
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Praticando soft-air ti posso dare qualche dritta in merito: in una ASG, la rotazione del pallino (in ceramica) viene creata da un gommino definito hop-up e si, il suo compito è quello di stabilizzare la traiettoria di un proietto decisamente instabile. anche se non visibile nella canna di una ASG (in quanto il pallino è solo in ceramica) vengono a formarsi moltissime rigature perchè la rotazione fa costantemente rimbalzare il pallino lungo le superfici della canna, peggiorando in partenza la balistica del proietto. Per accorgersi della cosa basta caricare una ASG con pallini in metallo e dopo qualche raffica la canna è da buttare. Ora, riportando tali considerazioni in una arma da fuoco, si può capire come un proietto di Joule infinitamente superiore possa arrecare danno alla canna dell'arma, oltre ad uscire dalla bocca di fuoco già destabilizzato. Il rallentamento della velocità di un proietto (dovuto alla rotazione) a vantaggio della gittata è assolutamente negativo in quanto lo esporrebbe maggiormente a tutti gli elementi di disturbo atmosferico oltre al fatto che la precisione peggiorerebbe ulteriormente. Mentre nel soft-air la necessità è "sentire la botta", in uno scontro a fuoco verrebbe deteriorata la penetrazione del proietto, oltre al fatto che una forma sferica, se non angolata perfettamente perpendicolare, devia subito dopo l''impatto..
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credevo anchio, ma cercando direttamente sulle aziende costruttrici cambia qualche parametro e la dislocazione degli organi ausiliari e dei compressori per fare un esempio, i Cummins V903 americani furono usati dai camion tattici H.E.M.M.T. tanto quanto dai Brandley, dai veicoli da sbarco LARC, AAV7A1 e dagli AS-90 inglesi. Per camion intendo camion da trasporto tattico. Gran parte del lavoro lo fa la trasmissione ma di fatto sovradimensionare un motore per AFV può fare una bella figura pubblicitaria ma di certo ha più svantaggi che altro.. l'adozione di un moderno 6 cilindri turbo VGT offre da solo fino a 500-600 cv se ben studiato con riduzione di consumo, rumorosità, raffreddamento minimizzato, credo essenziali su un mezzo tattico di prima linea
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Mi fa pensare il propulsore.. un Iveco Vector V8 scalda.. molto. Sarei curioso su come pensano di schermarlo e raffreddarlo in un vano motore che ricalca quello precedente in cui alloggiava un Iveco MTCA V6. Poi beh.. 700 e passa cv per muovere 30 t a me sembra esagerato, troppo consumo quando, a parità di raggio d'azione, un camion da trasporto Astra/Iveco ACTL con un Cursor 13 F3B ne muove 52 t con 480 cv..
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Certo mi ci vorrà un bel po' ma ci sto già lavorando. Stessa modalità, dal '900 a oggi.
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Il backup del backup: i coltelli multiruolo di riserva e l’entrata in guerra dei “chiudibili” Dal 1999 al 2015 si sono verificati numerosi cambiamenti nell’adozione surplus individuale del fante. Il tema di lame, così come per le armi da fuoco, maturò il concetto che ogni arma dovesse avere un’ulteriore arma di rimpiazzo in caso di rottura, perdita e per lo svolgimento di ruoli considerati secondari. E così avvenne anche per i pugnali/coltelli. L’esempio più chiaro (e il primo del suo genere) è il Colt Combat Commander. Fortemente richiesto dai Navy Seal e prodotto in grandissimi numeri da tutte le maggiori coltellerie, fu sviluppato per soddisfare un progetto ambizioso e, solo in parte, realizzato. Dunque, i Seal richiesero un coltello più piccolo e leggero di quelli in dotazione, buono per il combattimento e per la sopravvivenza basica, stabile da mano ma buono anche per poter essere lanciato, resistente all’acqua salata, che potesse essere trasportato individualmente in più unità e che non intralciasse le attività sub. La Colt si aggiudicò l’appalto di pre-produzione e il risultato fu una lama scheletrata, in cui l’impugnatura era integrata nel codolo e risultava parte attiva in tutti i campi d’uso. Di fatto fu ed è considerato il primo vero coltello multiruolo ma non senza molte critiche. Innanzitutto i suoi punti di forza sono il costo estremamente basso (circa 20 dollari), estrema leggerezza e bilanciatezza (le quali lo rendono perfetto per il lancio nei vari stili e tecniche), la resistenza alla corrosione marina e l’uso di sopravvivenza in combinazione con oggetti comuni (usabile come punta di lancia, cacciavite, supporto ecc.). La nota dolente riguarda la brandeggiabilità combat e il semplice sparring: la scheletratura non riempie assolutamente la mano e lo rende scomodissimo da usare; la mancanza di un’elsa, solo parzialmente compensata da numerose seghettature per il grip e le scanalature per le dita, lo rende pericoloso per l’operatore stesso durante la stoccata. L’acciaio usato è un Inox 440 con lavorazione di rifinitura a sabbiatura, ricoperto di opacizzante, il quale gli conferisce il tipico colore antracite. La lunghezza della lama è di 11 cm di 23 cm totali, la sezione si mantiene costante per i ¾ della lunghezza della lama per poi assottigliarsi in punta. Il filo risulta liscio e, nella dorsatura, vi è un particolare seghetto che prosegue anche lungo il falso filo. Nel codolo vi sono quattro fori svasati d’alleggerimento e nel tacco, oltre alle grip, trova posto un foro passante per il Paracord® e una scanalatura. Il fodero, completamente in nilon nero con anima in ABS rinforzato, possiede due cinghiette in gomma per l’uso sub come cosciale, e un passa cintura. Le novità non riguardarono solamente i multiruolo ma anche i multiuso come per esempio i Victorinox e i Letherman, questo genere di coltelli per ovvi motivi non verranno approfonditi in questo articolo. Particolare interesse riscossero i cosiddetti Folder Knife o “i chiudibili”. Tipici ed esclusivi del mercato civile, furono sviluppati anche per il mercato militare in quanto 1) le dimensioni e il peso erano minime, in rapporto all’utilità 2) consisteva un’ottima alternativa al pugnale 3) l’eccellente occultabilità 4) in alcuni casi poteva benissimo rimpiazzare le più blasonate lame lunghe in dotazione ai reparti. La produzione in massa, sia per il mercato civile che per quello militare, permetteva un enorme abbassamento dei prezzi d’acquisto (ricordo che i Folder vengono tuttora comprati a spese del fante e solo raramente come dotazione di reparto) e ad uno scambio tecnologico e di sviluppo. Il primo coltello Folder prodotto dalla Emerson (che diverrà la maggiore azienda produttrice per la fornitura militare americana) fu commissionato dall’U.S. Navy per le unità d’elite: l’Emerson Commander. Progettato nel 1997 e commercializzato nel 1998, rientra a tutt’oggi nella dotazione individuale opzionale delle forze speciali della marina ed è adottato come arma bianca di backup dalle unità SAS inglesi. Deriva dal disegno originario del progettista Ernest Emerson, l’ES-1M, pensato per le richieste avanzate dalla squadra Seal della West Coast. Successivamente fu ripreso e ibridato con i coltelli di Bob Taylor e Bill Moran e fu sviluppato in contemporanea (un ramo parallelo) con il CQC-8 (che specificherò in seguito). Alla presentazione, sebbene soddisfò tutte le richieste di commissione, gli esponenti dei Seal richiesero delle modifiche quali l’aumento di dimensioni della lama, una linea più aggressiva e un aumento delle seghettature sulla linea del filo, l’Emerson creo quindi l’SSRT, da considerarsi il progenitore del Commander, al quale conferì la personale forma di lama a corno di rinoceronte. Da questo dettaglio estetico, acquisì il soprannome popolare di “Rhino”. Il design risultò comunque troppo specifico per la marina, sebbene avesse raggiunto un ottimo livello di sicurezza contro le aperture accidentali, a vantaggio della sicurezza dell’operatore. A seguito dei risultati del programma di studio SERE (survival, evasion, resistance and escape) si decise di aggiungere un blade catcher sulla versione militare (ES-1M) per facilitarne l’appertura mentre ne fu sprovvista la versione civile (ES-1C). Durante i test sul campo di addestramento di Fort Bragg, Emerson si rese conto che il blade catcher apriva automaticamente la lama durante l’estrazione dalla tasca, sviluppò quello che divenne un brevetto dell’Emerson Knife, il dente “Wave”. In sostanza è costituito da un doppio gancetto solidale alla lama, dalla tipica forma a onda; il suo compito è per l’appunto, agganciare il lembo della tasca e aprire il folder il più possibile, senza l’inserzione di complicati meccanismi di apertura a scatto. Con l’inserzione del Wave il prototipo ES-1M divenne ufficialmente il Commander e, approvato, venne adottato dai Navy americani e dai SAS inglesi nel 1999. Nel 2000 si avviò la produzione di un’intera famiglia di coltelli derivati dal Commander, come il Super Commander (più grande in scala del modello base ma identico in forma e meccanica, nel 2005 sostituì il Commander), il Mini Commander (realizzato in scala del 10% rispetto al modello base). Nel 2006 venne creato il CQC-16, una versione modificata del Commander con lama diritta e un clip point maggiorato, destinato per le attività di caccia e scuoiatura. Nel 2009 Emerson Knife annunciò la collaborazione con Kershaw Knife per la realizzazione di un Super Commander dotato di apertura a scatto e, nel 2010, venne presentato il Commander UBR, un modello rimpicciolito del 10% rispetto al Super Commander. Piccola nota di merito, il Commander si aggiudicò il premio Knife Of The Year Award 1999. Finora, all’attivo, è stato testato durante la Guerra in Afghanistan e durante l’operazione “Iraqi Freedom”. La lama si presenta con un profilo ricurvo, lunga (in asse) 9,5 cm; 8,6 cm per il Mini Commander; 10,2 cm per il Super Commander. Il materiale è temprato fino ad una durezza di 57-59 HRC. Gli acciaio utilizzati sono il CPM-130V, il damascato ATS-34 e in lega di titanio, legato ad un bordo in acciaio “duro”. La sezione mantiene la stessa geometria malgrado la forma curva e presenta superiormente un falso filo; come accennato vi sono dentellature alla base del filo. Superiormente, alla base della lama, vi trova posto un dischetto con funzione di perno d’apertura e subito dietro il dente Wave. Nota caratteristica di produzione riguarda la lavorazione della lama, eseguita completamente a mano e con un taglio del metallo tramite acqua ad alta pressione (idroformata). Il perno di fissaggio è in titanio, così come il case e l’ossatura nel manico, tra la lama e il case vi sono due rondelle di separazione in bronzo o titanio (fonti incerte). Per la sicura di bloccaggio è utilizzato un liner lock Walker e un doppio arresto, meccanismi completamente in lega di titanio aerospaziale. Per l’impugnatura la scelta dei materiali varia dal G10 al G10 con elementi in fibra di vetro zigrinato, a seconda delle versioni e produzioni. I colori del manico spaziano dal nero, al verde oliva e TAN desert, mentre per la lama è disponibile una teflonatura nera opaca antiriflesso, il profilo damascato o una satinatura opacizzata. Nel retro dell’impugnatura trova posto una clip in acciaio per il fissaggio a cinture, M.O.L.L.E. e tasche. Il Commander non fu l’unico folder adottato dalla marina nel 1998, infatti il Commander nacque per soddisfare le richieste delle unità d’elite, ma moltissime delle sue caratteristiche risultavano inutili per l’equipaggio imbarcato semplice e per determinate operazioni di soccorso. Fu così sviluppato l’Emerson SARK. La progettazione e l’idea stessa di adottarlo come coltello surplus ufficiale della marina americana, nacque da un fatto accaduto nel 1999. Durante un’operazione SARC, un gruppo di elisoccorritori della marina dovette intervenire per il salvataggio di un elicottero abbattuto; a complicare le operazioni furono le imbragature con le quali erano assicurati i sei Marines e un sailor all’interno dell’elicottero (i piloti morirono allo schianto). Il risultato fu che le Ka-Bar MK II fallirono miseramente tutti i tagli delle cordature d’emergenza, causando la morte di tutti i feriti (ancora imbragati) quando esplose l’elicottero. A seguito di tale episodio, i Navy lavorarono immediatamente sul rimpiazzo generale dell’equipaggiamento degli elisoccorritori, delle unità specializzate SARC e per gli operatori della U.S.Coast Guard ( i quali avevano la dotazione simile alle unità soccorritrici della marina). Le richieste erano rivolte ad un coltello folder dalla buona resistenza meccanica, che sapesse resistere all’ambiente marino senza particolari accortezze, veloce da aprire e che si potesse maneggiare con i guanti e con una sola mano senza difficoltà; la richiesta fondamentale, in virtù del fatto accaduto, fu che la forma della lama non andasse a ferire con la punta le persone da soccorrere come avvenne con le Ka-Bar. Il progetto fu curato da Ernest Emerson, con il nome di SARK (Search And Rescue Knife); per la richiesta principale fu dotato fin da subito di una lama Hawkbill (esteticamente, ricorda il becco di falco o il becco di una testuggine), il dente Wave® (vedasi Emerson Commander) e componentistica in lega di titanio. Il SARK riscosse talmente successo che ne venne realizzata una versione per la polizia, il PSARK, per una richiesta avanzata da Derryl Bolke, un ufficiale del Dipartimento di Polizia dello Stato dell’Ontario. Il PSARK resta sostanzialmente identico, tranne per il fatto che la lama Hawkbill venne rimpiazzata con una Wharncliff (con la medesima curvatura dorsale della Hawkbill ma con un filo di lama diritto). Nel 2005 venne creata una versione ulteriormente specializzata dai Navy chiamata NSARK, caratterizzata da un piccolo cutter sul dorso. Le lame sono in acciaio CPM-130V, temprate a 57-59 HRC, dotati di semplice satinatura o con la teflonatura nero opaca. La lunghezza varia dagli 8,9 cm ai 15,4 cm dal punto al perno. L’impugnatura è identica per tutte le versioni, lunga 12 cm, con guancette in G10, case, spessoramento e meccanismi in lega di titanio. Come il Commander, possiede il dente Wave®, il dischetto di apertura e la sicura linerlock Walker a doppio arresto. Nella parte finale dell’impugnatura vi è un foro passante per il fissaggio di corde Paracord ® e, nella faccia posteriore, una clip in acciaio INOX 440 per il fissaggio su tasche, cinture o M.O.L.L.E. La popolarità del Commander e del SARK attirò l’attenzione degli sviluppatori della NASA, i quali richiesero un coltello esclusivo, non commercializzabile ne sul mercato civile, ne in quello militare. L’idea fu di dotare gli astronauti di un coltello folder che potesse semplificare la loro permanenza nello spazio e che potesse svolgere funzioni base come l’apertura delle razioni e la riparazione “al volo” di elementi danneggiati. Venne mantenuto lo stesso manico e meccanismo del SARK, ma fu utilizzata una lama di spessore è idea simile al Commander, pur con notevoli differenze, come la punta Tanto americana e uno scanso sull’angolatura del punto affilato per l’apertura di contenitori e il taglio di cavi e corde. Inoltre fu tolto il dente Wave ®. La necessità di un folder si fece sentire anche tra le unità (e tra i singoli reparti) dell’USMC, in quanto la sua dimensione ridotta unità alla versatilità d’utilizzo avrebbe consentito l’impiego operativo d’emergenza (al posto delle più pesanti e impegnative lame lunghe) e, in alcuni casi, anche la sostituzione di quest’ultime in azioni di routine e di “bassa amministrazione”. Il reparto d’elite che maggiormente richiese l’adozione di lame folder di reparto fu il neonato MARSOC, l’ordine di sviluppo e produzione venne affidato alla Strider con la denominazione SMF. Fu il risultato di un progetto di collaborazione tra Tom Davin e Duane Dwyer (co-proprietario della Strider Knives) nato nel 2002. Il primo lotto produttivo (prodotto l’anno successivo) consisteva in 300 coltelli, di cui metà destinata ai test sul campo e la restante metà fu distribuita al mercato civile con prezzi decisamente più elevati. Il successo riscontrato tra gli acquirenti portò la Strider Knives alla creazione di due modelli prodotti in serie: la versione militare denominata SMF M (o più semplicemente conosciuta come SMF) e la versione civile indicata con la lettera C. Le differenze più rilevanti tra i due modelli risiedono per esempio nella colorazione (la versione civile possiede solamente la colorazione nera nell’impugnatura, mentre quella militare dispone di camo integrali in coyote brown, verde oliva, TAN desert, tiger stripes e nero opaco). Dalla sua entrata in servizio, nel 2003, prese e continua tuttora a parte a tutte le operazioni militari come dotazione opzionale delle unità MARSOC. La lama è composta d’acciaio Inox CPM S30V (sviluppato dalla Carpenter Technologies) verniciata con le colorazioni sopracitate, con lunghezza di 10 cm. Possiede un profilo inclinato a punta di lancia ma dotato di un solo filo, inoltre ambo le parti, nel tronco di lama vicino al perno di rotazione, è visibile un perno d’apertura (maggiorato nella versione M). superiormente il controfilo è liscio, ad eccezione dei solchi grippanti nella sezione del tronco, per migliorarne la brandeggiabilità. È visibile inoltre un foro per l’apertura semplice. L’impugnatura, lunga 13 cm, costituisce il lato forte del folder, con la realizzazione dell’astuccio in titanio anodizzato a fuoco 64AVL, un perno di rotazione in titanio con boccole di slittamento in bronzo impregnato d’olio. Le guancette sono in G10 o in alternativa in fibra di vetro rinforzata. La sicura è una framelock (dove parte dell’impugnatura esterna svolge un ruolo attivo come blocca lama, garantendo una tenuta allo sforzo enormemente superiore alla linerlock). Nella seconda generazione costruttiva, la sicura framelock fu potenziata da uno stabilizzatore, costituito da un disco di titanio; questo per evitare la flessione e l’usura della sicura principale. La clip da cintura è in normale acciaio inox 440 e possiede un foro passante nella parte terminale delle guancette, questo per permettere il fissaggio e il passaggio della cordatura Paracord®. Un altro must del settore è prodotto dalla Emerson su commissione dell’U.S.Navy per le unità d’elite nei SEAL: il CQC-6 Per la selezione di un coltello folder da parte dei Navy Seal, furono presentate sei varianti derivate tutte da un progetto comune denominato Viper e successivamente “Specwar Knives”. Il sesto prototipo fu scelto nel 1989 dal neonato Team Seal Six, successivamente denominato DEVGRU (di fatto l’elite delle già blasonate unità Seal). Il primo cambiamento di tendenza della Emerson avvenne nella geometria della punta, definita a scalpello. Secondo test di penetrazione e taglio si notò che una seconda sfaccettatura sul dorso della lama (creando quindi un controfilo sfaccettato) aumentasse la capacità di penetrazione rispetto alle Tanto (allora non molto diffuse ma che riscuotevano già notevoli consensi). La Emerson fece richiesta alla commissione di studio incaricata per la selezione dell’equipaggiamento del Team Six, la quale diede il via libera. Il folder, secondo le richieste minime essenziali, doveva essere adatto all’uso combat d’emergenza, resistere alla corrosione marina, essere di facile manutenzione e funzionale nell’impiego quotidiano. Il sesto progetto prese il nome di Viper (dalla famiglia di coltelli d’appartenenza) 6 (come indicazione dei Seal Team Six), successivamente con l’entrata in produzione divenne CQC-6 (Close Quartier Combat -6). L’estrema efficienza unita ad una buona pubblicità da parte del Team Six lo portarono a divenire popolare anche tra tutti i reparti Seal e alla Delta Force dell’esercito, ma soprattutto alle forze speciali straniere quali i SAS inglesi e il GSG-9 tedesco. Il passaggio da Viper a Specwar Knives avvenne nel 1996, per l’appunto con l’intercomunicazione tra le varie forze speciali NATO e alla diffusione nel settore del CQC-6. L’adozione del CQC-6, al di fuori del DEVGRU, non è considerata ufficiale e non rientra tra l’equipaggiamento disponibile al fante, infatti viene acquistato direttamente dalle singole unità. Il “battesimo del fuoco” avvenne durante la Prima Guerra del Golfo ed è tuttora impiegato nei vari teatri bellici. La lama è costruita in acciaio ATS-34 con filo dritto e punta a scalpello, lunga 13,1 cm. Differente dagli altri folder l’affilatura è presente da un solo lato. Inizialmente progettata con un semplice grip nella dorsatura del tronco, nel 2004 fu dotata successivamente del dente “Wave” per l’estrazione e apertura rapida. Nello stesso anno furono apportati miglioramenti alle lame, disponibili sia in acciaio damasco che in lega di titanio. Nota curiosa riguarda la vendita in Giappone: essendoci leggi molto stringenti sull’uso della punta Tanto, Emerson realizzò delle lame con punta più tradizionale e affilate al lato opposto rispetto alla versione base. Del CQC-6 vennero realizzate anche versioni scalate del 10% in più ( Super Viper) e 10% in meno (Mini Viper) rispetto alla lunghezza del coltello base. L’impugnatura è costituita da un astuccio in titanio 64AVL così come la sicura, un liner lock Walker. I perni e le viti sono tutti con testa a taglio per lo smontaggio rapido con attrezzi di fortuna. Dotato di inserti grippanti e lock face smussata. Le guancette sono realizzate in lino micarta verde, ma in molte versioni furono utilizzate con legni pregiati, madreperla e in conchiglia abalone. Sulla parte terminale presenta un foro passante e posteriormente una clip in acciaio inox 440 per il fissaggio a cinture e attacchi m.o.l.l.e. La naturale evoluzione fu il CQC-7 Mentre il CQC-6 viene tuttora realizzato in modo artigianale e su misura per le unità d’elite, Emerson decise di concedere parte dei disegni dell’ex progetto Viper alla Benchmade (attualmente ProTech Knives) ma, nel 1999 Emerson riprese l’appalto e collaborò con la Kershaw per la produzione di un coltello basato sul Viper Six ma con caratteristiche e materiali più comuni e costruibili in serie, da qui nacque il CQC-7. Le differenze di base sulla lama riguardano l’adozione di una punta Tanto e di una seghettatura a passo variabile alla base del filo, inoltre, davanti al dente d’estrazione Wave vi è un dischetto per l’apertura manuale. L’impugnatura varia in geometria nella parte terminale del manico e le guancette sono realizzate in G10 o in fibra di vetro. Per la commemorazione del modello fu realizzata una versione completamente in titanio. La clip in acciaio inox 440 è reversibile da destra a sinistra, e viceversa.
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Fu creata una versione specializzata chiamata M11 Progettata e costruita per esplicita richiesta di tutti i corpi EOD americani, possiede una vera e propria sega sul dorso della lama per il taglio multi materiale, uno scola sangue maggiorato (avente anche la funzione di alleggerimento della lama) e un tacco rinforzato per funzioni di martello. L’impugnatura è in G10 e il fodero rimane lo stesso della M9. Ci sono pugnali che, come il Marine Raider, segnarono la storia americana. Non è raro quindi che numerosi progettisti rispolverino vecchi disegni di lame e le ripropongano (opportunamente modificate) sul mercato bellico, ottenendo un buon successo. Fu il caso del Gerber Mk II, venduto ai singoli reparti come pugnale after market o comunque come dotazione aggiuntiva non ufficiale. Il Gerber Mk II venne commercializzato dal 1967 fino al 2000, per poi essere ripreso dal 2008. Fu disegnato dal veterano dell’U.S. Army, il capitano Bud Holzman e prodotto dalla Gerber Legendary Blades. Per la sua realizzazione si rispose a due quesiti riportati durante una profonda analisi del pugnale della FairBairn-Sikes: Può una daga stiletto, progettata per la mera offesa, acquisire una minima capacità utility? Si può riportare il concetto della Fairbairn-Sikes nei moderni teatri bellici? Per fare ciò venne aggiornata la lama, con una forma a daga ma con chiare ispirazioni al gladio degli antichi romani: la sezione di punta è può grossa rispetto al tronco della lama. In omaggio alla ricercata dote utility fu inserita una seghettatura ambo i fili della lama nella sezione centrale. Come accennato si presenta come doppio filo con la nervatura centrale lungo tutta la lunghezza della lama, da 16,5 cm di lunghezza. L’acciaio al carbonio era rivestito da una brunitura chimica e, dal 2008, da una teflonatura e verniciatura multistrato. La caratteristica che lo diversifica dal Fairbairn-Sikes originale fu l’inclinazione longitudinale della lama rispetto al manico di cinque gradi. Tale soluzione destò molto scalpore e, durante la sua presentazione nel 1970 alle forze armate, fu rifiutato in quanto considerato “poco ortodosso”; inoltre vi era già in studio la progettazione della baionetta-pugnale M9, molto più efficiente sia dal punto di vista utility che in quello combat. L’idea di inclinare la lama rispetto all’elsa e l’impugnatura (in materiale termoplastico) fu dettata dalla presa “a fioretto” (per cui era studiato) e dalla velocità di estrazione/rinfodero del pugnale. Il Gerber Mk II trovò buon mercato nel settore civile, declassificato però a coltello utility a filo singolo e con lama accorciata a 12 cm. Tornando ai pugnali d’ordinanza, l’U.S. Navy avanzò alla fine degli anni ’70 i requisiti necessari per la sostituzione dei pugnali Ka-Bar USN Mk II. Sebbene furono considerati ottimi pugnali utility, le lame dei lotti prodotti e matricolati cominciarono a dare i segni di cedimento e usura per via della salsedine. Inoltre, con l’uso sempre più massivo delle forze speciali, la Ka-Bar si dimostrò poco efficiente in ambiente subacqueo (le lame al carbonio si usurarono troppo velocemente e all’epoca gli innovativi acciai inox non ebbero performance tali da garantire lunghe resistenze in immersione). La risposta dell’Ontario fu la USN Mk III mod 0. Entrò ufficialmente in servizio nel 1980 e viene impiegato tuttora; venne distribuito a tutti i reparti imbarcati della marina, successivamente entrò a far parte dell’arsenale dei Navy Seal. Nella progettazione della lama (lunga 15 cm) si utilizzò come base la baionetta russa AKM 59/2 ricalcandone il tronco e la sezione centrale della lama, la sezione di punta prese d’esempio la vecchia Ka-Bar Mk II. Così come la baionetta russa, la sezione del tronco è mantenuta quasi fino alla punta (il margine della sfaccettatura di taglio è irrobustita da una piccola nervatura). Il filo presenta una lieve curvatura circa a metà della sua lunghezza; nella parte superiore vi è un seghetto taglia corde, progettato con denti regolari a passo stretto per garantire il taglio delle cime nautiche e delle cinghie in nilon. A differenza della M9, la sezione dedicata al trancino non presenta affilature (non essendo stata ritenuta una funzione essenziale, fu eliminato sia il foro sulla lama che il dispositivo di taglio sul fodero), ma il controfilo presenta un’affilatura uguale a quella del filo sin dalla fabbrica, eccezione in confronto con le altre pari classe. La particolarità che lo rese popolare fu l’utilizzo dell’acciaio inox 440A, molto più economico dell’acciaio al carbonio e decisamente più resistente alla corrosione delle vecchie leghe inox, il che lo rese adatto alla produzione in massa (pagando in rigidezza, registrando valori da 49 a 54 HRC, 2 punti in meno della Ka-Bar). La lama è brunita tramite ossido e verniciata con vernice opaca protettiva, per mantenere ai massimi livelli la resistenza anche in immersione. Dopo numerose lamentele sulla fragilità della punta, nel 1990 furono apportate delle modifiche sullo spessore nella parte più rastremata. L’elsa è composta da placca piatta in acciaio inox, così come il pomolo nell’impugnatura, dotato di fondo piatto rinforzato per compiti di percussione pesante e un foro passante, per consentire il fissaggio di paracord®. L’impugnatura in ABS (e successivamente in G10), lunga 12,3 cm, fu studiata per l’impiego subacqueo: con sensibili zigrinature lungo tutta la superficie centrale, rigonfiamenti ai lati e sul palmo centrale, il modo da riempire la mano dell’operatore senza causare pericolosi “giochi” di brandeggio. L’accoppiata tra codolo di lama, pomello e impugnatura è garantita da una vite con dado ad incastro. Piccola nota, in entrambi i fianchi dell’impugnatura vi è stampata in rilievo la scritta USN al posto di OKC, tipica dei prodotti Ontario. Il fodero è progettato prettamente per le operazioni in mare, infatti comprende un’anima reggi pugnale in ottone. La guaina di copertura è in plastica ABS con un foro di scolo in punta. Possiede dei passanti sul retro per il fissaggio come gambale (nelle dotazioni sub) e un passa cintura con cinghietta reggi manico in nilon. Particolare plauso va attribuito all’anima in ottone: grazie al sistema di ritenzione a molla, il pugnale rimane nel fodero anche con forti sollecitazioni dovute al nuoto, caratteristica particolarmente apprezzata dagli incursori; infatti molto spesso la cinghietta reggi manico viene utilizzata per trattenere le CHEM-Lite o Fumogeni di segnalazione e illuminazione. Dato il suo successo in tra i Navy, riscosse molto successo anche nel mercato civile come pugnale da sub; nel mercato estero divenne parte dell’equipaggiamento standard del Counter Terrorism Response Unit della Hong Kong Police Force. Il 21’ secolo: le nuove generazioni di armi bianche Dal 2000, lo scenario dell’arma bianca mutò sensibilmente, confrontandolo con i modelli già visti in precedenza. I cambiamenti riguardarono in primis gli acciai e la geometria della lame, successivamente dei manici e dell’avvento dei “chiudibili” (o folder knife) nei teatri bellici. Andrò con ordine. Finora, per quanto concerne la forma della lama, ci fu il balzo progettuale dallo stiletto/daga al Bowie, mutando di fatto i requisiti richiesti da un pugnale o baionetta (ricordo, da mero strumento d’uccisione a utensile di supporto, ma con spiccata dote di combattimento). Con l’arrivo del 21’ secolo la funzione combattiva venne meno, anche a causa delle avanzate tecnologie utilizzate nelle armi da fuoco, le quali divennero decisamente più affidabili rispetto alle precedenti generazioni. Mentre la baionetta (M9) rimase costantemente in dotazione a tutte le forze armate, i pugnali divennero opzionali e rientrarono nell’equipaggiamento solamente a discrezione del fante. Questa scelta, condivisa da quasi tutti i corpi d’armata, era mirata principalmente al risparmio di dollari (ingenti furono infatti i tagli alla Difesa) e dallo sviluppo dei nuovi sistemi d’arma. Ciò permise di considerare perfino la baionetta stessa come un oggetto anacronistico nel progetto multi nazionale “Soldato Futuro”. Per le coltellerie (e per i fanti al fronte), l’uso di un coltello divenne puramente utility, capace insomma di svolgere i lavori di routine del soldato, senza avere nessuna particolare dote bellica. Fu così che i coltelli multi-tool presero piede e vennero ampiamente distribuiti. Ciò che non venne considerato fu “il caso estremo” in cui il fante avrebbe dovuto operare, ossia dietro le linee nemiche. L’enorme sviluppo delle forze speciali (soprattutto dopo l’11 settembre 2001) richiese nuovamente pugnali che garantissero una percentuale di sopravvivenza, sia dal punto dell’utilità sia dal punto del combattimento. Fu da qui che nacquero i coltelli-pugnali di nuova generazione. Le forme delle lame presero in prestito il disegno dell’antica spada corta giapponese: la Tanto; con dei rimaneggiamenti studiati per l’applicazione in un pugnale o in un coltello (divennero con il tempo la stessa cosa). La forma della punta prese il nome di Tanto americana, e si pose in diretta concorrenza con le classiche uncinate finora utilizzate. L’acciaio che divenne padrone del mercato diventò l’inox 440A e successivamente il 440C, il quale garantisce una tenuta meccanica paragonabile all’acciaio al carbonio ma limitandone enormemente la corrosione. Caratterizzate da un grande costo produttivo, dal 2010 cominciarono a diffondersi leghe fortificate rispetto all’acciaio inox, come gli acciai al cromo-vanadio-cobalto e similari, molto più resistenti dell’acciaio al carbonio e molto meno ossidabili degli inox. Le impugnature standard divennero in ABS rinforzato e in G10, ultimamente viene privilegiata la lega plastica Kraton®, di cui solo poche coltellerie detengono brevetti e possibilità di realizzazione. A porre concorrenza ai normali manici, entrarono in scena le impugnature Paracord®: sostanzialmente non sono impugnature, in quanto lo chassis è costituito dal codolo nudo della lama e dal tacco posteriore. Il Paracord® è la cordatura il nilon con cui vengono fabbricati i tiranti dei paracaduti, leggera, scaldabile, resistente alle trazioni e praticamente insensibile all’immersione in ambiente corrosivo come l’acqua di mare o il semplice sudore delle mani. Avvolgendolo (a misura predefinita e secondo lo schema della coltelleria) si crea una pseudo-impugnatura, la quale andrà a riempire la mano consentendo l’uso del coltello. I pregi diffusi sono il bassissimo costo di produzione (di un coltello di quel tipo, il 90% del costo è dato dalla lama e lavorazioni),la sostituzione veloce, la possibilità di rendere un pugnale un coltello da lancio (sfilando il paracord®) e l’utilizzo in singolo della corda (anche in combinazione separata ma collegata al coltello) a discrezione e uso dell’operatore. I difetti comprendono l’impugnabilità sacrificata e scomoda e lo sbilanciamento del coltello. Tornando alla storyline, il primo reparto specializzato a commissionare un coltello/pugnale dedicato esclusivamente per il loro compito furono i Navy Seal. I coltelli in competizione furono il SOG Seal 2000: La prerogativa avanzata dai Seal fu la perfetta acquaticità del coltello, quindi una grande resistenza all’ambiente marino mantenendo di fatto una buona capacità di offesa e utilità. In secondo luogo (vuoi per distinguersi dagli altri reparti Navy o per un’effettiva limitatezza dell’Ontario USN Mk III) si richiedeva un’arma che con il tempo sarebbe potuta stare al passo con le nuove tecnologie e impieghi operativi. La risposta a tali requisiti fa data dall’azienda americana SOG, sviluppatasi in seguito a studi nel campo delle armi bianche durante la Guerra in Vietnam. Sebbene americana, tutta la produzione SOG è curata in Giappone, dove furono avviati intensi studi metallurgici in collaborazione con le coltellerie locali. Il progetto SOG Seal 2000 venne avviato nel 1992 e la produzione si attivò nel 1995 fino al 2007, anno in cui venne sostituito dalla sua evoluzione: il SOG SealPup Elite. Il programma di valutazione comprendeva il grado di rottura del punti di forza, la durezza, la tenuta del filo tagliente, la torsione del manico, l’immersione in acqua salata per due settimane, tritura tura, martellatura, resistenza al fuoco di benzina ed etilene, penetrazione su lamine metalliche, taglio di sei diversi tipi di corda, basso rumore e test sulla riflettività della lama. La lama mantiene il profilo uncinato, originariamente costruita in acciaio inox 440A e successivamente in AUS-6 lunga 17,7 cm. Il tronco presenta una strozzatura dalla parte del filo e una gobba concava nella parte del dorso, questo per separare il più possibile il manico dalla parte affilata della lama, garantendo notevole sicurezza d’utilizzo. La sezione del tronco prosegue in ugual spessore fino a 2/3 della lama, sviluppandosi poi come nervatura fino alla punta. Il dorso presenta una seghettatura per tutta la sua lunghezza e una doppia incavatura per aumentare la resistenza nei punti critici della lama. Lo spessore, unito al codolo di sezione solo leggermente ridotta, ne fa uno dei coltelli più bilanciati e resistenti sul mercato. La verniciatura antiriflesso è applicata a polveri. Il filo possiede una sezione seghettata lunga da due a tre cm. Il manico, lungo 13.3 cm, era fatto in gomma, successivamente costituito da una composizione termoplastica brevettata definita Zitel® che ingloba una pseudo elsa (a differenza di tutti gli altri coltelli, non possiede un’elsa metallica dedicata, da qui la scelta di distanziare quanto possibile il filo tagliente dall’impugnatura), profondi incavi per una maggiore impugnabilità e un glip di spessore, considerato per la presa subacquea o in ambienti fangosi. È presente un foro passante per consentire l’applicazione di Paracord® o legacci. Il fodero è costruito completamente in nilon rigido per applicazioni subacquee e in nilon rigido-morbido per l’uso comune. Dispone di passa cintura reversibile, attacco M.O.L.L.E. posteriore, tasca anteriore con il necessario per la sopravvivenza (vedasi il fodero della baionetta M9), fori borchiati per consentire in passaggio di un legaccio, per il fissaggio su gambali, cosciali o sicurezza di trasporto. Il suo sostituto (o meglio, i suoi sostituti) come accennato, costituiscono la sua evoluzione. Sono state create due versioni, una più corta denominata SOG SealPup Elite, e una leggermente più lunga chiamata SOG SealTeam Elite. Nel SealPup Elite la lama misura 12,3 cm con un manico da 10,3 cm. Nel SealTeam Elite la lama misura 17,8 cm con un manico da 10,5 cm; la lama. Per entrambe la forma della lama e del manico ricalca quella del Seal 2000 ma è stato aggiornata la composizione del metallo, con l’adozione dell’AUS-8. I foderi sono pressoché rimasti invariati. Durante la selezione del coltello per i Seal, oltre al SOG partecipò anche la Mission Knives con una lama rivoluzionaria in termini di materiali, successivamente scartato per questioni di costo produttivo: l’MPK-Ti. Per la sua creazione furono prese molto seriamente sia le richieste avanzate dai Navy Seal sia quelle dei reparti artificieri EOD. L’idea cardine fu di rimpiazzare totalmente l’acciaio a favore della lega di titanio; scelta perfetta dal punto di vista chimico e fisico, ma che ne causò anche l’esclusione dai programmi di sviluppo per questione di costi, sia di produzione sia in dettaglio (la cifra stimata ad esemplare si aggira tuttora tra i 1500 e i 1600 euro ad esemplare). La lama, lunga 17,7 cm, si presenta lievemente uncinata con una piccola seghettatura nel lato del filo. Il dorso è liscio, con l’aggiunta di un controfilo tagliente per più di 1/3 della sua lunghezza. Il tronco di lama è inclinato in direzione del dorso, sfumando in sezione verso il lato tagliente. Ma la parte migliore non è la forma della lama in se, quanto il materiale. La lega di titanio è in primis amagnetica, quindi perfetta per operazioni di sminamento o manomissione di ordigni IED. Inoltre è molto più leggero del classico acciaio inox, conferendogli una leggerezza senza eguali nel suo settore. Nello specifico la lega utilizzata è costituita da Beta-Ti (evolutasi in seguito alla produzione per il mercato civile). Senza dilungarmi in elementi di metallurgia, il Beta-Ti conferisce maggiore resistenza all’ossido, mantenendo inalterata la nitidezza; inoltre resiste fortemente a scheggiature e fratture. Divenuto famoso negli attrezzi da lavoro di alta qualità, sta andando a sostituire tutto il segmento degli acciai carboniosi e tutti gli acciai inox con valore più basso del 440A. lo svantaggio principale del Beta-Ti è la bassa durezza (sensibilità alle ammaccature) ma soprattutto l’affilatura del filo tagliente: dopo la ri-affilatura, non migliorerà mai la capacità di taglio rispetto ad una normale lama in acciaio. Riportando i dati della tabella valutativa, stilata a seguito della selezione per i Seal in contrapposizione con il SOG Seal 2000, si evince che: l’MPK-Ti è superiore in capacità di taglio del filo, resistenza alla scheggiatura del filo, capacità di taglio nelle dentellature, ritenzione del bordo nelle dentellature, ergonomia, versatilità e durevolezza dell’impugnatura, resistenza alla corrosione, duttilità, resilienza, firma magnetica, forza in punta. Forono costatate prestazioni analoghe al SOG in termini di ritenzione del filo e penetrazione della punta. Il SOG si dimostrò superiore solamente in termini di compressione del filo, durevolezza delle dentellature e resistenza ad impatti. Il manico, lungo 12,7 cm, fu progettato in gomma e successivamente in in Hytrel/Kevlar®, una lega plastica brevettata dalla Mission Knives. Antiscivolo, innestata per iniezione a stampo. La forma è semplice con un’elsa integrata per la trattenuta della mano. Nel tacco è possibile legare eventuali paracord® o legacci grazie ad un foro passante. Il fodero è costruito interamente in Hytrel® con un reggi manico in cordatura nilon e del passanti per le fasce elastiche, per il trasporto come gambale. Generalmente il colore è nero ma ne furono realizzati degli esemplari prova di colore arancione, per l’uso da parte della U.S. Coast Guard. Per quanto riguarda l’U.S. Air Force, si cominciava ad avvertire un senso di confusione negli arsenali: di fatto dalla metà degli anni ’80 la baionetta M9 costituì la parte integrante nell’equipaggiamento d’emergenza ma nessuna direttiva imponeva un particolare tipo o marca di coltello . La volontà di finanziare un coltello totalmente dedicato agli scopi dell’aviazione era forte, complice il fatto di voler sempre più dissociarsi dagli armamenti della fanteria dell’esercito a vantaggio di un’autonomia del corpo d’armata). Fu nel 2003 che vide la luce l’Ontario ASEK. L’ASEK è l’acronimo di Aircrew Survival Egress Knife, considerato come “coltello progettato dall’aviazione per l’aviazione”. Esso venne elaborato presso il Fight Denvelope Aviation Center di Fort Rucker, e fu parte integrante del progetto Air Warrior, finalizzato al miglioramento della vita e supporto ai piloti . Per il suo disegno vennero considerati parametri come la capacità di combattimento, un’impugnatura e un fodero che mantengano invariate le loro capacità in ogni condizione, grandi capacità nell’uso come martello, una parte seghettata specifica per il taglio delle corde e una separata che consenta di segare i pannelli d’alluminio aeronautici, una buona tenuta del filo e una grande resistenza all’ossidazione. la somma di tutte le caratteristiche lo rende ideale e specifico per il ruolo rescue delle unità a bordo di velivoli. Nel 2004 entrò a far parte della dotazione base del personale di terra e per le unità Pararescue (PJ) dell’USAF. La lama in questione, uncinata lunga 13 cm, è costituita da acciaio 1095 al carbonio, brunita e rivestita di uno strato di teflon nero opaco. Il tronco della lama è corto ma di notevole spessore, mentre il palmo di lama mantiene la medesima sezione fino alla punta, misura che, unita alla corta lunghezza, lo rende estremamente robusto. La funzione che lo rende prettamente utility/rescue è la generosa presenza di seghettature in entrambi i bordi della lama: nel lato del filo e per metà della sua lunghezza vi è un taglia corde mentre lungo il dorso per 2/3 della lunghezza vi è un seghetto, ideato per il taglio di legname ma soprattutto di lamiere d’alluminio. La porzione del filo e del controfilo (non affilato) è abbastanza ridotta, questo perché l’impiego come cacciavite, cutter e lancia improvvisata vennero prese maggiormente in considerazione rispetto alle normali doti di taglio. Per compensare la corta lunghezza del filo si rese necessario aumentare l’angolo d’affilatura, in elogio alla funzione di cutter (permetteva il taglio netto e l’incisione del vetro acrilico e delle finestre in plexiglass degli aerei. Il manico, lungo 13 cm, in materiale termoplastico, ha un’accentuata elsa integrata e un notevole tacco finale, a bloccaggio della lama. Il tacco spesso più un centimetro è idoneo ai lavori di martellatura pesante o allo sfondamenti di superfici. Per consentire un buon grip si lavorò sulla profondità delle scanalature dell’impugnatura, consentendo una buona frizione con la mano anche in presenza di fango, olio o acqua. Il fodero ha un’anima in G10 per la ritenzione del coltello e una guaina esterna totalmente il nilon, verniciato solidale alla mimetica in dotazione, con una Digital Tiger Stripe in scale di grigio. Come da consuetudine è presente la tasca frontale con l’astuccio per il materiale di prima sopravvivenza. La presenza di fasce elastiche cucite sia sopra che sotto il fodero ne privilegia l’uso a gambale: è uso per le unità USAF indossare coltelli e pugnali a livello degli scarponi o legarlo ai polpacci. La cosa più caratteristica del fodero dell’ASEK è la presenza di un utensile multiuso chiamato “strapcutter”, stivato in una tasca ricavata nel passa cintura. L’utensile possiede una lama cutter per il taglio d’emergenza delle cinture, un disco temperino diamantato per l’affilatura di precisione (si ricorda che il filo di lama ha un angolo d’affilatura più ampio rispetto ai normali coltelli). È stato disegnato per essere adoperato con una singola mano ed è ambidestro. L’Ontario ASEK non è il solo coltello sviluppato per il programma Air Warrior, la Gerber infatti presentò una sua interpretazione ASEK considerando un parametro che nell’Ontario venne considerato “desiderabile ma non obbligatorio”: l’isolamento elettrico del manico e la capacità di tranciare i fili elettrici. Rispetto all’Ontario, ha una lama corta di tipo più convenzionale, pur considerando la costruzione nel medesimo materiale. Sebbene dalle prestazioni superiori, venne considerato una “seconda scelta” a causa della limitatezza delle seghettature e della mancata capacità di percussione. La guerra interna tra i vari reparti continua, e trova nella sostituzione dell’M9 la strada d’indipendenza dalla standardizzazione, fortemente voluta dalle alte sfere dell’U.S. Army. I Marines infatti, sebbene la M9 sia stata (e lo è tuttora) una buona e versatile baionetta, rimase sempre in secondo piano rispetto alle fedelissime e “sempreverdi” Ka-Bar, inoltre, furono i Marines stessi a chiedere all’Ontario una seconda generazione di Ka-Bar, aggiornate in termini di materiali e lavorazioni, compreso un fodero all’avanguardia e il linea con le dotazioni di nuova generazione. La decisione di emarginare le M9 ai riservisti e dotare i reparti di prima linea con una baionetta esclusiva (un po’ come per la vicenda della mimetica Marpat), fu presa nel 2003 e commissionata all’Ontario. Fu prodotta la baionetta OKC-3S. Fortemente voluta dal comandante del Corpo dei Marines James L. Jones come componente di sviluppo nel programma Marine Corps Martial Art Programm (MCMAP). Nel 2001 venne realizzato il primo prototipo e l’anno successivo venne deliberata la prosecuzione del progetto, valutato tra i migliori trentatre pugnali-baionetta di tutto il mondo. Prodotto esclusivamente dalla Ontario, è disponibile anche al mercato civile. Sebbene più leggero dell’M9, risulta invece più spessa e pesante delle vecchie M7, questo per raggiungere un ottimale rapporto di bilanciamento. All’attivo venne impiegata sia sulla Guerra in Afghanistan e sia sulla Seconda Guerra del Golfo. La lama mantiene il profilo Bowie estremizzato verso la punta, composta da acciaio al carbonio 1095 con durezza valutata tra le 53-58 HRC, annerito con trattamento antiriflesso al fosfato di zinco. Lunghezza di 20.3 cm dall’elsa alla punta. La sezione di lama si mantiene uguale dal tronco fino alla punta e, rispetto alla Ka-Bar, il grosso scola-sangue è sostituito da un sottile e lungo incavo. Lungo il filo tagliente vi è una dentellatura lunga circa 4,4 cm a passo variabile. Durante i test, grazie alla studiata forma della sezione di punta, è riuscita a forare sacchi da box rivestiti con alluminio aeronautico e giubbotti antiproiettile senza difficoltà. Il codolo della lama è pieno e l’elsa è costituita da un semplice lamierino con l’anello di fissaggio. Tutti i materiali metallici sono della medesima lavorazione della lama. L’impugnatura, lunga 13,6 cm, riprende il disegno della Ka-Bar ma con la zona del tacco molto simile a quella della M9. Il materiale utilizzato è il Dynaflex®, una elaborazione del Kraton® , un materiale antiscivolo sintetico che pur mantenendo le proprietà tipiche del Kraton® ne aumenta l’elasticità. La scelta di questo materiale riduce l’affaticamento da sforzo ripetitivo della mano e del polso dell’operatore, soprattutto durante la fase di training del soldato. I colori dell’impugnatura variano dal Coyote-Brown (colorazione tipica dei Marines), il Tan e il nero. La molletta di tenuta della baionetta, nel tacco dell’impugnatura, è uguale a quella dell’M9 ma invece di ancorare il codolo con una vite torx, viene ancorata tramite un perno di fermo. Il fodero è disegnato esclusivamente per la 3S dalla Natick Labs, costruito con anima ferma pugnale in acciaio inox e un dispositivo di ritenuta sulla gola del fodero. Viene usato il nilon in combinazione con la fibra di vetro per la costruzione della guaina-case. L’insieme di tutti gli accorgimenti lo rendono molto più leggero, resistente (meccanicamente e chimicamente) e soprattutto silenzioso rispetto a quello della M9 e della M7. Sul retro è posto un attacco M.O.L.L.E. e un affilatore il alluminio rivestito in ceramica. Come accennato in precedenza, la tendenza americana consiste nell’adozione di pugnali e coltelli a titolo individuale, non necessariamente quindi legati a forniture vincolate. Moltissimi reparti (speciali e non) infatti utilizzano come dotazione privata i coltelli e i pugnali normalmente commercializzati a uso civile. Il risultato consiste in un’evoluzione del mercato armiero e di una “reverse engineering” che gli apparati militari riportano nell’industria del mercato civile. Un esempio di tutto ciò è lo Strider BN-SS, inizialmente molto criticato e successivamente blasonato dalla maggior parte dei reparti speciali degli eserciti NATO. Progettato per iniziativa individuale dalla Strider Knives per soddisfare i massimi requisiti di utility, fu perfezionato per consentire una buona penetrazione delle nuove protezioni in kevlar come i giubbotti e gli elmetti. Inizialmente criticato per il punto di lama stile Tanto americano accentuato, segnò le basi per un ramo evolutivo dei coltelli e dei pugnali di nuova generazione, sia dal punto di vista della particolare lama, sia per la produzione massificata dell’impugnatura Paracord®. Come accennato, la lama possiede un disegno Tanto americano, di fatto, una troncatura affilata delle classiche lame uncinate Bowie: per ottenere un buon compromesso tra penetrazione e resistenza, mantiene la stessa sezione di 6,3 mm dal codolo fino alla punta, per una lunghezza di 18,4 cm. Il materiale di forgiatura è un acciaio inox S30V. l’elsa è integrata in corpo unico con il codolo e la lama e il tacco zigrinato consente la reverse grip. Il filo tagliente prosegue dalla base piatta fino e lungo tutta alla punta tronca, eventuali seghettature nel lato del filo sono presenti solo su particolari forge, commercializzate dalla Strider. Nel lato superiore è disponibile sia una seghettatura sia un dorso liscio, sempre in base alle combinazioni di forgia. Il colore della lama/codolo è personalizzato e varia dal classico grigio opaco all’antracite, dal colore Desert Tan alle striature Tiger Stripe su varie scale di colore mimetico. Aprendo una piccola parentesi sulle lame Tanto americane, fu scoperto agli inizi degli anni 2000 che la pressochè totalità delle punte uncinate o stilettate, in caso di flessione, tendevano a rompersi verticalmente con un angolo dipendente dalla sezione ultima d’affilatura. Eliminando quindi la classica punta un coltello o un pugnale poteva svolgere il lavoro da campo molto più agevolmente (ruoli non prettamente di sopravvivenza, ma anche azioni di sminamento campale o semplici usi come perno o leva). Il Tanto perde notevolmente la capacità di penetrazione e questo ne causò inizialmente la scarsa diffusione; anche accentuando l’angolo del punto la penetrazione nelle corazzature resta notevolmente difficoltosa, tuttavia, lo shock da stoccata è enormemente più forte rispetto alle classiche punte. Per quanto riguarda il manico, il disegno base del BN comprende due guancette in G10 o legno, mentre per la versione BN-SS le guancette sono sostituite dal Paracord® personalizzabile in base al colore desiderato. Il concetto vede lo Strider BN-SS come una lama estremamente bilanciata con il manico, la presenza del Paracord® deve conservare l’equilibrio in asse del coltello, oltre agli usi già precedentemente elencati nell’articolo. Questa scelta fu la seconda causa di polemica, perché per quanto utile, risulta scomodo e affaticante nel brandeggio, durante l’utilizzo comune e non riempie a sufficienza la mano dell’operatore, causando “giochi” pericolosi durante uno sparring. Il fodero è prodotto dalla Eagle in colorazione nero, Desert Tan, Coyote Brown e il classico verde oliva. Il materiale utilizzato è il nilon con inserti in Kyndex®, Possiede una tasca per gli elementi basici di prima sopravvivenza e attacchi M.O.L.L.E. posteriori.
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Storia breve del pugnale americano (U.S.Army, U.S.Navy, U.S.Marine Corp, U.S.Air Force, JSOC) Se si dovesse cercare un’arma o equipaggiamento che accomuni qualsiasi generazione di soldati, qualsiasi esercito in qualsiasi scenario tattico, la risposta è una sola: il pugnale (e le baionette in generale). Snobbato da molti e osannato da tanti, costituisce l’arma “di backup del backup”, cioè l’estrema risorsa, nel caso anche le pistole falliscano il loro compito. In questi ultimi trent’anni ha costituito parte integrante dell’equipaggiamento d’emergenza e per lo svolgimento di lavori da campo ampliando quindi il suo campo d’uso, al di fuori della pura e semplice arma. In questi articoli non spiegherò la tecnica “nuda e cruda” dell’arma bianca, ne tantomeno le baionette prima del 1900. Molti riferimenti però verranno citati (e nel caso approfonditi) per capire meglio l’evoluzione fino ai tempi moderni dei pugnali a guerra. Fin dalle sue origini, ancor prima degli egizi, costituiva l’arma degli assassini: veloce, occultabile e silenziosa. Il pugnale conservò la sua utilità fino al perfezionamento delle armi da fuoco (dalla colubrina ai moschetti ad avancarica). Va osservato che, oltre alle armi da fuoco, mutò completamente anche lo scenario bellico, il quale non prevedeva più il corpo a corpo puro e semplice, ma il combattimento all’arma bianca come atto conclusivo di lunghe salve di proiettili tra la fanteria e l’artiglieria. In quest’ottica nacque la baionetta. Innestabile sulla canna terminale dei fucili, costituiva il prolungamento di quest’ultimo. Senza filo affilato ma dotata di tronco romboidale (divaricava le ferite) ed estremità a punta; il suo uso seguiva la “carica”, dove la prerogativa non era di combattere ma di sbaragliare “a mano” la fanteria rimanente con un attacco frontale diretto. La baionetta dominò sul campo di battaglia fino alla Prima Guerra Mondiale, l’evento che cambiò nuovamente e radicalmente tattiche, armi e la concezione di guerra stessa. Dalla baionetta al pugnale, evoluzione del concetto di combattimento ravvicinato Studiando la morfologia del campo di battaglia tra il ‘900 e il ‘920, compaiono numerosi aspetti tecnici rivoluzionari che , impiegati su larga scala, andarono a neutralizzarsi vicendevolmente, creando situazioni di stallo. In parole povere, le armi da fuoco saturarono il campo di battaglia e costrinsero i soldati ad una guerra di posizione di trincea. Applicando il concetto all’arma bianca, risulta impossibile per ogni fante gettarsi nella mischia e sperare di infilzare qualcuno a kilometri di distanza, sotto il fuoco falciante di tutte le bocche di fuoco del fronte. Nel caso fortuito che si fosse arrivati alla trincea nemica, la trincea (che aveva una geometria antibomba a zig-zag) non era abbastanza ampia per poter intraprendere combattimenti con un’arma lunga circa due metri e dieci (ma, come si sa, essendo stata una guerra condotta con vecchie mentalità tattiche, tutto ciò venne eseguito comunque, con ovvie conclusioni e fallimenti). Fu proprio questo il punto di partenza che guidò gli analisti militari a rispolverare il concetto di pugnale bellico. L’arsenale americano La baionetta 16, ritenuto dall’esercito americano antiquata, fu sostituito da un’arma di forma più convenzionale, tra un coltello e uno spadino. Ciò permise un secondo utilizzo, anche dopo lo smontaggio dello stesso dal fucile. Per certi versi, si può considerare ciò come il vero punto di nascita del concetto di arma da corpo a corpo americana: nel caso il fante avesse perso l’arma primaria o avesse dovuto ovviare a inceppamenti, dopo l’ordine di attacco (o durante l’avanzata in corso) avrebbe potuto separare la baionetta dal fucile e proseguire, con presa di mano in stile “a lama retrocessa” all’assalto. Piccola nota tecnica, all’epoca la fanteria aveva un addestramento sbrigativo e finalizzato all’apprendimento della tecnica generale; quindi le odierne tecniche a uso marziale impiegabili, durante la Prima Guerra Mondiale, si riducevano a due: presa retrocessa e sfondamento di linea con la baionetta innestata. Da tutto ciò nacque la M1905. Creata nel 1905 fino al 1945 circa, dai principali produttori armieri Springfield Armory, Rock Island Arsenal, American Fork & Hoe Oneida, Ltd. Pal Blade; creata per il fucile di fanteria Springfield M1903. La lama originaria era lunga 40,6 cm e 10,1 cm l’insieme di elsa e manico. Il manico era costruito in legno ma con la sua evoluzione, la baionetta M1942, il legno fu sostituito da guancette in bakelite: questo per ridurre il costo di produzione, arrivato a cifre considerevoli durante la Seconda Guerra Mondiale. Nelle prime versioni (fino al 1918), le lame erano di metallo nudo al carbonio e tra il 1918 e il 1922 l’acciaio fu “parkerizzato”(trattamento anticorrosione al fosfato) e azzurato, con impugnature in noce nero. A tal proposito fu modificata l’anello nell’elsa per permettere la sua istallazione anche nei fucili M1 Garand. Sebbene, con l’avvento della M1905E1, la M1905 originaria passò in secondo piano, ritrovò una grande popolarità durante la Guerra del Pacifico contro i giapponesi: l’esercito nipponico infatti utilizzava la spada-baionetta Type 30 in abbinamento ai già lunghi fucili Arisaka, costringendo quindi gli americani ad una rinnovata guerra all’arma lunga. Lungo il tacco dell’impugnatura vi era incavata una guida di scorrimento e, tra l’elsa e la parte bassa del manico, vi era il pulsante di sblocco dalla canna del fucile. La M1 rappresenta l’evoluzione principale della serie 1905; sviluppata per il combattimento in ambiente europeo, mantiene le caratteristiche dell’elsa e dell’impugnatura della M1942, ma presenta una lama accorciata (fortemente voluta dalle forze armate) da 25,4 cm. Caratterizzata da una lama a punta di lancia (spear point) a doppio filo, con lo scola sangue lungo la lunghezza del dorso centrale, l’acciaio presenta una brunitura antiriflesso. Per la sua produzione, costellata da continue limitazioni al budget militare imposte della guerra, furono richiamate numerosi esemplari della baionetta M1905 per lavorazioni di accorciamento. Tali baionette presero il nome di M1905E1: la loro lavorazione comprendeva due tipi di lame, una simile alla M1 ma senza l’opacizzante antiriflesso e l’altra con il taglio di punta in stile Tanto, con lo scola sangue maggiorato e continuato aperto lungo tutta la sua lunghezza fino alla punta (eccezion fatta per il tronco di lama). Per quanto riguarda il fodero, la prima versione (destinata alla M1905 originale) era costruito in legno foderato da una guaina in pelle marrone, con passa cintura in pelle. Il suo sostituto M1910, utilizzato dagli inglesi per il Lee-Enfield, possedeva una guaina in pelle verde e, al posto del passa cintura, un gancio per accoppiamento al cinturone. Nella Seconda Guerra Mondiale venne utilizzato il fodero M3, costituito da un astuccio in vetroresina e da una gola blocca lama in metallo; furono mantenuti i ganci per il cinturone. Generalmente veniva agganciato al cinturone nella 1’G.M. e attaccato allo zaino durante la 2’G.M. Per quanto l’M1905 e l’M1 avessero costituito un notevole passo avanti per la fanteria di linea, il problema del corpo a corpo ravvicinato restava una lacuna tecnica e tattica costante; ma, con il perfezionamento delle unità definite commando, doveva evolversi anche il concetto di baionetta-spadino, per fare ciò si riscoprì un’arma medievale (adattata ai tempi moderni), nacque lo stiletto M1917. Utilizzato durante tutta la Prima Guerra Mondiale (fonti citano anche la 2’G.M., la Guerra di Corea e parte della Guerra in Vietnam come residuati bellici) e prodotto dalla Frary&Clark (L.F.&C.), fu la matrice dalla quale si sviluppò, successivamente, il Mark I da trincea. Essenzialmente si basa sulla baionetta inglese P1907 per il fucile Enfield; l’attacco dell’elsa non permise l’accoppiamento con i fucili dell’arsenale americano, pertanto l’elsa fu raccordata al fondello di chiusura dell’impugnatura, fondendosi in un blocco unico. Grazie all’aggiunta di “merletti” sul raccordo paramano e di un pomello contundente nel manico (necessario per l’assemblaggio di chiusura dell’arma), si rivelò una temibile arma corta, tanto da venire adottata non solo dall’esercito degli Stati Uniti, ma anche dagli incursori britannici, australiani e dagli alleati francesi. La lama è uno stilo in acciaio al carbonio di sezione triangolare, privo di filo ma dotato di punta; la sua lunghezza si attesta sui 25,4 cm (35,5 cm complessivi con l’elsa e l’impugnatura) con brunitura antiriflesso. Il fodero è in pelle marrone borchiato con passa cintura. L’M1917 passò però in secondo piano rispetto alla baionetta M1905: sebbene più corto, dotato di tirapugni e dalla spiccata vocazione “d’assalto”, l’assenza di filo costituiva una grave limitazione al suo utilizzo. Inoltre, sul piano tecnico, il raccordo/tirapugni costituì uno svantaggio e un vantaggio allo stesso tempo: l’utilità del tirapugni fu indiscutibile, ma l’impugnatura chiusa dovette fare i conti con la dotazione invernale del fante (in particolar modo i guanti, i quali ne rendevano difficile l’utilizzo) e con la difficoltà di diversificare le prese in ingaggio, costringendo l’operatore a combattere con la presa rovesciata (reverse grip) o con la presa classica militare (right grip). La situazione cambiò con l’entrata in scena di un pugnale destinato a rimanere impresso nell’immaginario collettivo: il Mark I da trincea. Considerato da molti analisti come il pugnale simbolo del primo conflitto mondiale, deriva concettualmente dalle esperienze maturate dai soldati americani con la M1917, risolvendone gran parte dei difetti. Fu progettato dalla Hanry Disston&Sons di Philadelphia per conto della AEF (American Expedition Force), ex branchia di ricerca e sviluppo dell’U.S. Army. Approvata dai test condotti dall’AEF nel giugno 1918, ottenne (rispetto al predecessore da cui derivò) meriti considerevoli in merito a manutenzione, “usabilità” insieme ad altri oggetti/armi, rapidità d’impiego in azione, sicurezza del grip, facilità di trasporto in posizione distesa, seduta ed eretta, forma della lama e dell’impugnatura, bassa capacità di disarmo e per le dimensioni ben proporzionate. Dopo la 1’G.M., gli ulteriori ordini per la sua produzione vennero cancellati e, sebbene blasonata, non poteva competere con le baionette e con i pugnali che entrarono in produzione (come spiegherò in seguito). L’unico difetto proprio di questo pugnale fu il costo, derivato non tanto dall’acciaio, ma dall’uso dell’ottone per la fabbricazione dell’elsa e del manico (certamente migliore del legno della M1917, ma indubbiamente antieconomico). Il difetto congenito invece, fu lo stesso del suo predecessore: la forma chiusa del tirapugni/elsa non consentiva l’esecuzione di più prese differenti in situazioni di combattimento; l’inserimento di anelli interdigitali maggiorò la capacità di controllo e impugnabilità, consentendo prese difficili in ogni condizione, pagando però la rinuncia all’uso dei guanti (impossibile quindi da usare nei periodi invernali, è l’ottone a contatto non aiutava). Ritrovò nuova giovinezza durante la 2’G.M. equipaggiando tutta la linea di fanteria americana (l’U.S. Army la sostituì successivamente con il modello M3) dei Ranger e dell’elite aviotrasportata , il Corpo dei Marines Raiders (i quali lo sostituirono con lo stiletto FairBairn-Sikes e con la Ka-Bar mk II) e i reparti scelti dell’esercito inglese (divenne l’arma simbolo delle unità commando e S.A.S.). Alla fine della 1’G.M., la maggior parte dei lotti americani furono comprati dall’esercito francese, questi pugnali sono tuttora distinguibili per l’immagine stampigliata di un leone rampante, del pomello di sfondamento quadrato e di scanalature nella parte superiore dell’impugnatura. La lama segna la differenza primaria con il modello M1917: si trattava di una lama a daga con punta di lancia, doppio filo a nervatura centrale continua, lunga 17,1 cm(dal punto all’elsa). Il materiale usato era il classico acciaio al carbonio con finitura annerita antiriflesso attraverso l’ossidazione; la sua forma fu copiata dal pugnale francese Counteau Pugnale MLE 1916, noto come Le Vengeur. L’insieme di elsa e impugnatura rese particolare ed estremamente resistente il pugnale: sviluppate in un unico blocco con lavorazione in fusione di bronzo con un annerimento chimico antiriflesso. Il pomello di sfondamento fungeva da dado blocca lama, ottimizzato per l’uso contundente nella classica presa militare. Il lungo “ponte” tirapugni che collegava l’elsa al pomello fu sostituito da quattro anelli raccordati in un blocco unico, aumentando di fatto la resistenza ai colpi diretti; inoltre, rispetto alla M1917, le merlettature furono sostituite da cuspidi piene in linea unica, posizionate sull’appice di ogni nocca: tale soluzione, oltre all’utilità di tirapugni, fungeva da impedimento, nel caso l’avversario avesse voluto afferrare/fermare la mano armata dell’operatore. La guaina in pelle fu sostituita da un fodero metallico in fusione di bronzo, senza rivestimenti esterni, anch’essa annerita chimicamente. La Seconda Guerra Mondiale: rivoluzione del concetto di arma bianca, usi e tattiche d’ingaggio. La fine della 1’G.M. sancì la fine di un’era nell’uso delle lame. Gli scenari mutarono, i combattimenti non avvennero più dentro le trincee o in spazi aperti, bensì ovunque. Da questo periodo infatti le baionette persero notevolmente d’importanza, tanto da congiungersi sempre più con il “mondo” dei coltelli e delle lame corte (eccezion fatta per l’esercito nipponico). Da un lato, le esigenze della fanteria mutarono dal puro combattimento al concetto di sopravvivenza, dall’altro, il prosperare della guerra asimmetrica condotta dalle truppe d’elite costringeva i produttori a lame sempre più compatte e bilanciate. A oggi, tali considerazioni sembrerebbero ovvie e naturali, all’epoca però portarono ad un cambiamento radicale di tutto un settore bellico; lame promosse da semplici armi di backup a elementi attivi e imprescindibili per ogni combattente. Il primo segno di cambiamento si ebbe dai numerosi tipi di pugnali/coltelli adottati dagli Stati Uniti: ogni corpo d’armata richiedeva infatti una lama con particolari proprietà dedicate, impossibile quindi proporre un modello unico che assolvesse a tutte le richieste. Ciò diede forte spinta alla ricerca bellica per l’arma bianca perfetta e portò il mondo delle lame belliche contemporanee al pari delle armi da fuoco in quanto ad importanza. Per quanto riguarda il ruolo di puro combattimento, il pugnale più rappresentativo fu il FairBairn-Sikes Marine Raider. Le prime unità d’elite del Corpo dei Marines e dei Ranger dell’esercito richiedevano un pugnale tatticamente più specializzato del Mark I da trincea (utilizzato dalla fanteria). Il loro profilo di missione richiedeva solo in minima parte in fattore sopravvivenza, privilegiando notevolmente la capacità d’attacco, quindi azioni veloci di soppressione, assalto silenzioso, profilo di lama sottile e un’impugnatura che consenta capacità di presa multiple. Per avere tutto ciò fu creata una versione nazionale del coltello inglese FairBairn-Sikes F-S. Quest’ultimo fu creato nel 1941 dalla Wilkinson Sword su disegno di William Ewart Fairbairn e Eric Anthony Sykes, utilizzato dai membri del S.A.S. e dalle truppe paracadutiste britanniche. Nella sua progettazione fu tenuto conto di due fattori, l’equilibrio e l’acume. L’impugnatura e l’elsa dovevano dare un buon grip e feeling alla mano e la lama non doveva essere pesante (rispettando un bilanciamento equo con l’impugnatura) e trascinare quindi le dita in basso, allentando di conseguenza la presa. Il primo prototipo di presentava in acciaio al carbonio nichelato e con l’impugnatura in ottone diamantato zigrinato, il fodero fu costruito in pelle marrone con un elastico di ritenzione del pugnale; il tutto per eliminare quanto possibile il rumore derivato dall’estrazione/inserimento nel fodero del pugnale stesso. Con l’inizio della produzione in massa, e con il target d’impiego molto specializzato, si decise di mantenere i materiali inalterati ma di sostituire la finitura brunita al rivestimento nichelato. La lama era lunga 16,6 cm, a daga con doppio filo, profilo piatto, dorsatura centrale corrente lungo tutta la lunghezza della lama e il filo che arrivava fino all’elsa da ambo le parti. Il manico era lungo 11,8 cm. Per dovere di cronaca, la scelta della brunitura fu molto discussa, soprattutto degli ingegneri Wilkinson Sword; riportando una frase (tradotta) divenuta celebre: "Credo che un coltello debba essere brillante e molto lucido, per la ragione che il 20% della lotta è persa, non timorando la mente della vittima con il riflesso che solo un coltello brillante sa dare. ". Per la progettazione, fu scelta una lama piatta stilettata, ad alta perforazione, questo per permettere durante la stoccata di bypassare le costole della gabbia toracica. Oltre a questo, molta attenzione fu prestata al metodo di affilatura e al filo in generale, questo perché un’arteria lacerata tende a contrarsi naturalmente fermando l’emoraggia, un’arteria recisa di netto porterà il ferito all’incoscienza e alla morte rapida. La versione americana si divise essenzialmente in tre modelli: il Marine Raider (da cui prese il nome e la notorietà), l’OSS e il V-42. Il Marine Raider fu adottato dal reparto d’elite del Corpo dei Marines (i Marine Raider per l’appunto), ricalcando il FairBairn-Sikes F-S; la differenza con quest’ultimo risiede nel manico, pressofuso direttamente nel codolo della lama. L’enorme richiesta di metalli strategici come l’acciaio costrinse l’utilizzo di una lega in zinco-alluminio; la scelta “a risparmio” del materiale si ritorse contro nel momento in cui si scoprì che, durante la guerra, la lega tendeva a lisciviare, lasciando la lama (allungata di 6,4 mm) e l’impugnatura estremamente fragile. Moltissimi soldati lamentarono di lame rotte con semplici stoccate di punta, else crepate dopo lavori di leva e fiorettature con conseguente corrosione precoce; per eliminare almeno l’ultimo problema si provò con la lubrificazione anti ionica a base di vasellina, cosa che rese impossibile l’utilizzo per il quale il pugnale fu creato. Fu sostituito definitivamente dalla Ka-bar mk II. Il fodero non fu esente da critiche, in quanto, sebbene uguale all’F-S, possedeva delle graffette in acciaio sulla bocca per evitare lo squarciamento del fodero stesso contro il filo della lama. Tali graffette però rigavano non poco la brunitura della lama e causavano percepibili sibili durante l’estrazione. L’OSS fu commissionato dall’Ufficio dei Servizi Strategici prodotto dalla Landers, Frary & Clark. Identico all’F-S ma accusato di essere mal temprato (utilizzo della lamiera a stampaggio) e sostituito nel 1944, in punto a favore rispetto alla famiglia Fairbairn-Sikes americana è l’utilizzo di un fodero con la bocca d’ingresso dotata di O-ring in gomma. Il V-42 fu un miglioramento sostanziale rispetto al resto della produzione americana: accorciato rispetto all’OSS (lunghezza della lama di 14 cm), era dotato di un pomolo “sfonda-cranio” e di una migliore capacità di penetrazione; grazie alla rivisitazione della lama, di stampo romboidale e non solamente piatta (ciò permise addirittura la perforazione degli elmetti in acciaio tedeschi). Il fodero possiede la punta con rinforzi in acciaio (obbligata dopo numerosi report di lesioni alle gambe) e un sistema d’ancoraggio ottimizzato per l’aggancio su cinture, cinturoni e all’interno di giacche e parka invernali. La sua progettazione fu curata dal maggiore Orval J. Baldwin, il quale introdusse una nuova tecnica di presa e combattimento, la presa piatta con pollice sull’elsa e la lama in posizione orizzontale: rispetto alla classica presa a martello detta classica militare, consente un movimento di polso di 60 gradi a destra e a sinistra, e di 80 gradi in elevazione. Dai maestri d’armi è considerata come un’evoluzione progressiva della presa militare, perfetta per i fendenti e soprattutto per le stoccate violente, ma di utilizzo vincolato per i duelli all’arma bianca. Creata con specifiche destinate alle forze speciali, veniva legata alle ghette degli anfibi in posizione posteriore o a ¾ anteriore. Il Marine Raider, l’OSS e il V-42 erano pugnali destinati puramente al combattimento, assolvevano appieno alle esigenze delle forze d’elite, ma erano inutilizzabili per il resto delle forze armate in quanto non rispondevano al requisito di utilità, ricercato e preferito dalle componenti imbarcate dell’U.S. Navy. Fu creato così l’USN mk I. Di fatto, ai marinai imbarcati degli Stati Uniti non veniva richiesta una particolare dote nel corpo a corpo, era essenziale tuttavia la possibilità di difesa in caso di abbordaggi ma soprattutto l’uso di utensili che assolvessero ai lavori di routine senza particolari addestramenti. Fino al 1940 l’uso dei coltelli a bordo era fortemente limitato e i primi multiuso erano abbastanza limitati come funzionalità, urgeva quindi un coltello che avesse saputo coniugare l’esigenze del lavoro imbarcato ad una minima capacità combat. Fu progettato e prodotto tra il 1940 al 1945 dalla Colonial Knife co., sostituito successivamente dalla Ka-bar mk II con specifica Navy. Fu uno dei coltelli americani più prodotti durante in secondo conflitto mondiale; per un breve periodo entrò a far parte dell’equipaggiamento di sopravvivenza dei piloti della Marina. Nella scelta dei materiali, si dovette tenere conto dell’impiego gravoso al quale era destinato, infatti la combinazione di acqua salata e condizioni meteorologiche avverse rendevano fragile e ossidabile la pressoché totalità dei coltelli prodotti a quel tempo. La lama era lunga 13 cm, al carbonio 1075 ma con accorgimenti (mutati nel tempo) per l’imitare l’azione della salsedine, quali parkerizzazione, annerimento chimico tramite ossidazione e zincatura. La forma era quella di un classico bowie da caccia, uncinata con falso filo (non sempre affilato) e dorsatura liscia; l’elsa si presentava in dischi ad anello in acciaio o alluminio. Il manico, lungo 13,9 cm, fu realizzato inizialmente in legno, successivamente fu sostituito dalla plastica con distanziali in fibra di vetro; sulle ultime versioni, fu costruito interamente in TENITE. Il tacco, collegato al codolo della lama, era fatto in acciaio, per consentirne l’uso come martello (nella brandeggiabilità, contribuiva enormemente al bilanciamento del peso della lama, consentendo una distribuzione equa del peso ed evitando spiacevoli affaticamenti al polso dell’operatore. Il primo fodero fu prodotto il pelle, produzione che durò fino al 1945 anche con l’entrata in servizio delle fondine in vetroresina. Ritornando all’U.S.Army, i pugnali Mark I da trincea avevano (come visto) numerosi difetti ed apparivano obsoleti. Il Fairbairn-Sikes in forza principalmente ai Marines aveva dimostrato quanto un pugnale specializzato costituisse talvolta un problema, sia dal punto di vista combattivo sia dell’utilità. Un altro problema da affrontare fu la sostituzione della gloriosa ma veneranda baionetta M1905E1 e M1; gli analisti dell’esercito decisero di provare ad accorpare tutte le migliori caratteristiche di ben tre armi bianche (scelta sostenuta anche sul piano economico), creando l’M3 e l’M4. La differenza sostanziale tra l’M3 e l’M4 sta nell’impugnatura e nella destinazione d’uso: la M3 ha la chiara vocazione di pugnale (avente quindi un tacco nell’impugnatura liscio e adatto a compiti di percussione, e l’elsa angolata per consentire la presa piatta con pollice sull’elsa); mentre la M4 era dotata di elsa con anello di aggancio alla canna del fucile e un tacco nel manico con un morsetto di tenuta. Il progetto dell’M3 fu scelto come proposta vincente rispetto al progetto 1218C2 dell’U.S. Marines corps (più votato all’utility). La scelta fu dettata da caratteri economici, soprattutto per l’impiego dei metalli strategici come l’acciaio e da un costo di produzione più basso. Il target iniziale infatti furono i soldati sprovvisti di baionetta o pugnale, da questo ne derivò un uso prettamente bellico, considerando secondario se non nullo l’uso come utility (scelta che fu fatta dall’U.S. Army in controtendenza rispetto al resto dei corpi d’armata). Il “battesimo del fuoco” avvenne nel 1943 e si presento come arma d’ordinanza in dotazione ai Ranger e alle unità aviolanciate dell’esercito; idealmente avrebbe dovuto essere adottato anche dalle unità d’artiglieria per i combattimenti corpo a corpo ma non ricevette il plauso dal personale combattente. Il più grande difetto di questo pugnale fu la progettazione troppo indirizzata al risparmio di materiale: per fare ciò infatti si decise di ridurre la lama al minimo, sia come spessore sia come larghezza; questo comportò l’aumento esponenziale di rapporti dal fronte, nei quali venivano presentate costanti rotture alle lame e l’inutilità del pugnale in questione nell’uso comune. Furono frequenti le “corse agli arsenali” per l’utilizzo delle venerande Mk I da trincea (quelle rimaste) nell’apertura delle casse di munizioni e rifornimenti e opere di sminamento. Molti fanti lamentarono direttamente la forma della lama, avente un controfilo molto pronunciato e affilato per solo una parte della sua lunghezza, ottimo per azioni di penetrazione ma molto limitato in fendenti contrari o a lama rovesciata. Ciò nonostante fu scelto come successore ufficiale dell’OSS. Il passaggio a baionetta (M4) fu inevitabile e consecutivo, visto il costo di produzione della baionetta M1905. Come citato in precedenza bastò la sostituzione dell’elsa e del tacco, adattandoli alla carabina M1 o al fucile automatico Browning BAR. Sia la produzione dell’M3 che dell’M4 terminarono nel 1944, registrando il più breve periodo di produzione tra le armi bianche di tutto l’arsenale americano. Fu comunque la matrice per tutti i successivi pugnali in dotazione all’U.S.Army quali l’M5,l’M6 e l’M7. I produttori della M3 e della M4 furono l’Utica Posate Co., Robertson Posate Co., PAN Blade&Tool Co., Kinfolks Inc., Imperial Knife Co., WR Caso&Son, Camillus Posate Co., H.Boker&Co. Entrambe le lame sono in acciaio al carbonio parkerizzato o brunito (a seconda dei produttori). La forma è a daga con punta di lancia, controfilo affilato lungo metà della dorsatura; la dorsatura prosegue da dal tallone pronunciato con una nervatura centrale fino alla punta, lunghezza complessiva 17,14 cm. L’impugnatura era composta da rondelle di pelle lavorate al tornio, rivettate al codolo di lama, poi rivestite e lucidate. Il tacco di chiusura è costituito da un tappo a fondo piatto in acciaio brunito/parkerizzato, con un perno di fermo lungo la curvatura. La prima fondina M6 fu in pelle rivettata con passa cintura per le cinture M1910, con uno schermo metallico in punta per evitare il ferimento di chi lo indossò. Con un elastico di ritenzione laterale, fu ampliamente usata con i gambali dalle unità paracadutiste. Successivamente fu creato un fodero in vetroresina verde oliva con l’anima di tenuta in acciaio, questo modello fu nominato M8 e fu il fodero rigido più diffuso per tutta la produzione della serie M, fino alla M7. Guardando la situazione degli altri corpi d’armata, un’altra rivoluzione che arrivò fino ai campi di battaglia fu dunque l’uso utility di un coltello, ma che, all’occorrenza, sarebbe diventato un ottimo pugnale bellico. Il precursore di tali concetti fu il soldato-pioniere James Bowie, al quale andarono i meriti di aver creato lame votate alla sopravvivenza, nonché dalla spiccata vocazione per la caccia. Inoltre intraprese meritevoli studi sulle tecniche di combattimento corpo a corpo, studi che vennero applicati durante gli addestramenti nelle basi militari. La sfida fu raccolta dalla Ka-Bar Knife Inc., branchia specializzata della ex Union Posate Inc. nella produzione di dotazioni da caccia e sopravvivenza. Essi produssero un coltello/pugnale destinato a diventare un cult dalla sua creazione nel 1943, la cui produzione dura tuttora (2015), diventando di fatto il coltello militare più prodotto della storia mondiale. Fornì (e continua a fornire) i concetti basici e il metro di paragone per tutte le nuove lame sia americane che internazionali. Pugnale e coltello utility: la rivoluzione Ka-bar mk II (nell’immagine è ritratta una ka-bar mk II realizzata nel 2012 per il Corpo dei Marines, sebbene cambino le composizioni dell’acciaio e i materiali del fodero, la forma e la sostanza rimangono inalterate sin dalla sua comparsa nel 1943) Derivò dal prototipo Knife Combat 1912C2 (come accennato in precedenza, fu quello scartato dall’U.S.Army in favore della M3) e fu fortemente voluto sia dal Corpo dei Marines sia dagli equipaggi dell’U.S.Navy. dopo l’esperienza acquisita con l’uso della Mk I da trincea e il Marine Raider, fu chiaro che la capacità prettamente combat non costituì veramente un vantaggio per il fante di prima linea, tantomeno per le retrovie (cosa che invece, per l’esercito, costituì il requisito essenziale). I primi ad adottare il prototipo come arma d’ordinanza furono i Marines nel 1942; con l’arrivo del modello ufficiale fu adottato anche dai Marine Raider, dalle truppe d’avanscoperta, dalle unità imbarcate e da tutto il personale (imbarcato e di terra) dell’U.S.Navy; fu utilizzato anche dai piloti nel kit di sopravvivenza e fu distribuito, non ufficialmente, anche a parte delle truppe dell’esercito in sostituzione delle M3. Dimostrò fin da subito la sua versatilità, sia nelle operazioni in mare che in terra ferma in ogni ambito; la versione destinata alla marina fu dotata di manico modificato per resistere alla corrosione della salsedine e prese in nome di specifica Navy. Dopo il 1944 fu distribuito a tutto l’organico dei Marines e a tutti i gradi di comando, comprese le reclute, alle quali venivano dedicate intense sessioni di addestramento sulle tecniche di lotta con l’arma bianca corta. Prese ufficialmente il nome di Mk II e, nel caso dei Navy, fu designato USN Mk II. Nel dopoguerra fu anche la dotazione (non riconosciuta, per via dell’eterna rivalità tra forze armate) ausiliaria dell’U.S.Army. Venne utilizzato durante la 2’G.M., la Guerra di Korea, la Guerra in Vietnam, Invasione di Grenada, durante l’Operazione “Giusta Causa”, nella Guerra del Golfo, nella Guerra in Afghanistan e nella Guerra in Iraq; è presente tuttora nella dotazione “a scelta” di tutta la fanteria americana e del JSOC. I produttori e i subappaltatori furono principalmente la l’Union Posate Co. Attraverso la Ka-Bar Knife Inc., la Camillus Posate Co. Con 1 milione di esemplari fabbricati, Robertson Posate Co., PAL Posate Co., Tidioute Posate Co. (successivamente sciolta, l’attività fu rilevata da Wallace R. Brown, che la ribattezzò la società dell'Unione Razor Co.). nel dopoguerra, la produzione proseguì con l’Utica Posate Co., Conetta Posate Co., Weske Posate Co. e Ontario Knives Co. La popolarità, anche in ambito civile, portò al nome comune il principale produttore ed ideatore, identificando semplicemente la Mk II con il nome ufficialmente riconosciuto di KA-BAR®. La lama originaria era composta d’acciaio al carbonio 1095, con brunitura anticorrosione in tutte le parti metalliche; lunghezza 18 cm. La forma fu un’uncinata Bowie, con la sezione del tallone che si fonde con la dorsatura superiore lungo la palma di lama, e si restringe come nervatura nella sezione di punta (e ciò garantisce molta resistenza sia in stoccata che in taglio verticale). Il controfilo è affilabile opzionalmente e, sotto la dorsatura, presenta uno scola sangue di grandi dimensioni. Il codolo presenta una forma cilindrica e viene bloccato, tramite perno, dal tacco del manico. Nelle versioni più recenti, a partire dal 2012 a seguito di nuove ordinazioni, viene utilizzato l’acciaio al carbonio-cromo-vanadio, dove il cromo aumenta sensibilmente la resistenza alla corrosione e il vanadio permette una tenuta di filo oltre i parametri dei semplici acciai al carbonio; di fatto la resistenza testata arriva ai 56-58 HRC. Oltre al semplice strato di brunitura anticorrosione, vengono spruzzate più mani di vernice opaca antiriflesso. Durante la produzione (e grazie alla semplice sostituzione del gruppo lama-codolo) vennero progettate più tipi di lame, in base ai vari contesti operativi: la variante più diffusa comprende una parte seghettata lunga da 3 a 5 cm lungo il filo tagliente con specifica tranciafili e trancia cavi; un’altra variante mantiene il filo lineare, ma comprende un seghetto integrato nella dorsatura e, in particolari casi, anche lungo il controfilo per metà della sua lunghezza. Una variante con lama a punto occidentale Tanto fu sviluppata dalla Ka-Bar a scopo sperimentale. La versione Navy ebbe uno sviluppo indipendente rispetto alle migliorie della versione originaria: si sostituì la lama al carbonio con lame in acciaio inox, rivestite con anticorrosione e opacizzante, la scelta di diminuire la resistenza meccanica fu però compensata da una triplicata resistenza alla corrosione, essenziale in ambiente marino. Le ultime produzioni per la versione Navy furono aggiornate con le lame al carbonio-cromo-vanadio, ma le Mk II furono presto rimpiazzate dalla Ontario Mk III mod 0. L’elsa si presenta uguale sia per la versione standard che in quella Navy, in acciaio 1095 con brunitura anticorrosione e opacizzante antiriflesso, costituita da una placca verticale ad inserimento nel codolo. Stesso acciaio e trattamento anche per il tacco, con profilo arrotondato nell’impugnatura e piatto sul fondo, per consentire l’uso a percussione come strumento da lavoro, o contundente in situazione combat. L’impugnatura, lunga 12,16 cm, nella versione standard, era costruita in rondelle di pelle lavorate al tornio e ancorate tramite perno al codolo, rivestite e lucidate. Dopo numerosi rapporti da parte dei marinai imbarcati, fu deciso l’utilizzo per la versione Navy di rondelle in plastica, mantenendo uguale l’assemblaggio e la lavorazione. A partire dal 2012, tutte le impugnature vengono forgiate con l’uso di tecnopolimeri quali il G10, l’ABS e resine termoplastiche. Il fodero originale era in pelle marrone trattata, con borchiatura di tenuta e distanziatori in legno; si allacciava al cinturone (o alla cintura nel caso dei marinai) attraverso un passante tra la bocca del fodero e la cinghietta reggi manico. Per i marinai il fodero rappresentò il vero problema, a causa della pelle che si consumava in modo anomalo dopo l’esposizione all’acqua salata. Nelle versioni recenti, il fodero in pelle ha ceduto il posto a foderi tattici completamente in vetroresina o in ABS rinforzato, con passa cintura nella medesima posizione in cordatura nilon e attacco M.O.L.L.E. per l’ancoraggio modulare nei corpetti tattici; dispone inoltre, da entrambe le parti, due coppie di passanti per elastici, nel caso si opti per l’ancoraggio come gambale. La dinastia M dell’U.S.Army Mentre l’U.S. Navy, l’U.S. Air Force, il corpo dei Marines e le neonate forze speciali di tutti i corpi d’armata americani indirizzarono la tecnica bellica lungo il rapido e progressivo abbandono del concetto di baionetta (favorendo in modo esponenziale la versatilità d’uso e il concetto di pugnale stesso), l’U.S. Army dovette gestire al “caos” di armi bianche in seno al proprio arsenale. Alla fine della 2’ G.M. dovettero essere radiate le vecchie M1917 (cosa che accadde molto lentamente), sostituite sia le M1 che le M1905E1, cedere le M1905 primo modello e migliorare la tanto criticata baionetta-pugnale M4 e M3; senza contare che per molto tempo vennero ancora distribuite le Mk I da trincea. Il risultato di questo vario assortimento si avvertì durante la Guerra di Corea, con il visibile mal assortimento tra le file di prima linea. Gli analisti decisero quindi di eliminare tutta la serie M1905, M1905E1, M1, Mk I e M1917 in favore di quella che sarà l’evoluzione della serie M3-M4: l’M5 e l’M6. Entrambi furono prodotti dal 1953 al 1960. Entrambe erano classificate come baionette, ma la loro linea d’utilizzo intersecò con il concetto di pugnale, nello specifico, con le lame corte da combattimento puro. La differenza tra la M5 e la M6 fu che la prima fu disegnata per operare con il fucile M1 Garand mentre la seconda era accoppiabile con il fucile l’M14; questo ridusse le baionette-pugnali a soli due modelli, semplificando anche la gestione dei pugnali. Nella sua progettazione si diede molta attenzione al montaggio e allo smontaggio dalla piattaforma di fuoco: si registrò infatti che le operazioni di smontaggio e (particolarmente) quelle di montaggio, richiedevano tempo e una certa perizia nelle operazioni, non sempre possibili durante le situazioni d’ingaggio. La situazione peggiora in presenza di climi estremi come quello artico, dove l’uso dei guanti crea un impedimento anche per le semplici operazioni di routine. Le ditte incaricate alla produzione furono l’Aero Posate, Jones&Dickinson Tool, l’Imperial Knife, Utica Posate e la Columbus Milpar&Mfg. La lama fu in acciaio al carbonio lunga 17,14 cm, con la forma a daga, filo continuo e controfilo affilato per metà della sua lunghezza. Il tallone si presentò non affilato e mantenne la medesima sezione fino a metà della sua lunghezza, proseguendo come nervatura centrale nella sezione di punta (M5A1) mentre fu assente nella M5 standard. Tutte le parti acciaiose vennero trattate tramite parkerizzazione, la quale gli conferì il colorito grigio scuro. La vera novità fu il manico, lungo 12 cm, ma soprattutto il meccanismo di rilascio. L’elsa, dello stesso materiale della lama, si diversificò in base ai modelli e quindi in base ai fucili, nel manico invece furono tolte le rondelle in pelle in entrambe le versioni a favole di un manico in materiale plastico stampato a guancette e rivettato al codolo della lama, per agevolare il grip furono stampate zigrinature in entrambi i lati. Il meccanismo di sblocco costituisce il cuore della M5 e della M6: costituito da un pulsante di grandi dimensioni, con azionamento a leva a gomito (tramite molla di ritorno) sul perno di bloccaggio, posizionato sotto la presa di gas del fucile. Mentre nella M5 la molla di recupero è perpendicolare al pulsante, nella M5A1 è disposta a 45 gradi d’inclinazione rispetto al tasto. Il fodero rimase l’M8 destinato alla baionetta M3 per entrambe le versioni, con anima ferma lama in acciaio, un rivestimento a guaina in vetroresina verde oliva, passante unico per la cintura e cinghietta reggi-manico in canapa. Fu successivamente rimpiazzato dal fodero M8A1, la quale mantiene tutte le caratteristiche dell’M8 ma con una clip in metallo per l’inserimento nei cinturoni M1910. Ad oggi, nel 2015, l’M5 viene tuttora utilizzata con scopi di rappresentanza durante le cerimonie, insieme all’M1 Garand. La vita operativa non durò a lungo in quanto non venne fatto nulla per risolvere i problemi progettuali delle vecchie M3 e M4 e, dopo il 1960, vennero entrambe sostituite dal modello unico, l’M7. L’entrata in servizio degli innovativi fucili d’assalto Armalite M16, sia la baionetta M5 che l’M6 risultarono incompatibili con l’attacco del nuovo sistema d’arma. Si rese necessaria quindi una riprogettazione del meccanismo di blocco/sblocco nell’impugnatura. L’entrata in servizio della nuova M7 avvenne nel 1964 e fu sperimentata direttamente durante la Guerra in Vietnam. Pur essendo stato sviluppato dall’U.S. Army, essa era associata al fucile M16 e fu quindi distribuita a tutte le forze armate, compreso il servizio di sicurezza aeroportuale dell’U.S. Air Force. Sul piano internazionale riscosse numerosi riconoscimenti, tanto da venire incorporata in piattaforme d’arma diverse da quella originale, per esempio nei fucili IMI Galil israeliani, negli Steyr AUG austriaci e nei Beretta italiani (in generale, tutti i fucili d’assalto dei paesi membri della NATO potevano essere integrati alla M7). I marchi incaricati per la produzione furono la Bauer Ord Co., la stessa Colt (produttrice dell’M16), l’Ontario Knife, la tedesca Eickhorn, la Columbus milpar&mfg, Conetta mfg, Frazier mfg, General Posate e l’Imperial Knife. Le principali nazioni produttrici (in licenza) della M7 fu Canada, Germania Occidentale, Filippine, Singapore, Israele e Corea del Sud. Della baionetta rimasero i problemi congeniti appartenenti a tutta la famiglia “M”, sin dalla M3, questo fu uno dei motivi che spinsero l’U.S. Army ad abbandonare definitivamente il concetto di pugnale-baionetta puro. Le caratteristiche della lama rimasero inalterate rispetto alla serie precedente. Come accennato fu il manico ad essere ripensato: innanzitutto l’occhiello dell’elsa fu ingrandito e fu eliminato tutto l’apparato di sblocco (pulsante, molla e camme) a favore di un codolo pieno e di nuove guancette piene, anch’esse in materiale plastico e assemblate tramite due viti con dadi autobloccanti. Il tacco dell’impugnatura comprese un sistema “a pinza” d’ancoraggio, sostituendo il perno di fermo; questa scelta aumentò decisamente la resistenza dell’impugnatura e, oltre a diminuirne la manutenzione, consentì la presa su una “crocera” posizionata sotto il delta di mira dell’M16. La baionetta M7 fu l’ultima baionetta in seno all’arsenale americano ad utilizzare il fodero M8A1 (precedentemente descritto). Il cambiamento di tendenza dell’U.S. Army Sebbene l’esercito risolse numerosi problemi con l’adozione della singola M7, fu di fatto l’unico corpo a risultare “ritardatario” nello sviluppo di una vera e propria baionetta-pugnale che potesse essere usata efficacemente come strumento utility (quest’ultima prerogativa fu considerata secondaria dagli stessi analisti dell’U.S. Army). L’orgoglio d’armata (e tutte le scelte tecniche che ne conseguirono) fu gravemente compromesso dopo che i Marines continuarono a utilizzare e trasportare i pugnali Ka-Bar Mk II insieme alla M7 (usando quest’ultima il meno possibile), l’U.S. Navy tenne la baionetta negli arsenali, l’U.S. Air Force non la usò e continuò a dotare i piloti di Mk II Navy o con le vecchie USN Mk I. gli stessi soldati dell’esercito non solo lamentarono gli stessi difetti riscontrati nella M5 e M6, ma si dotarono (attraverso “canali” di fornitura non ufficiali e contro il volere dei superiori) delle stesse Ka-Bar in forze ai Marines (aggiungendo discredito alla dispendiosa ricerca bellica dell’esercito). Fu per tali motivi che, ventidue anni dopo, venne creata ciò che tuttora (2015) viene prodotta e considerata la “rivale” della Mk II, rappresenta una delle basi per la creazione delle baionette utility moderne: la M9. La baionetta M9 fu progettata nel 1985 ed entrò in servizio nel 1986 in tutte le forze armate aventi in dotazione i fucili d’assalto Colt M16A2, M16A3 e M4, successivamente anche per i Colt/FN M4A1, M16A4, Scar-L, Scar-H, HK416 e HK417. Il suo progettista fu Charles A. Finn per conto della Qual-A-Tec, prodotta successivamente dall’Ontario, Phrobis, LanCay e Buck Knives. L’idea di base fu la creazione di una baionetta dalla pura capacità utility, pur tenendo fede al suo ruolo di baionetta. Per assolvere a questo compito fu presa forte ispirazione dalla baionetta russa destinata agli Avtomat Kalashnikova AKM, più precisamente la baionetta-pugnale AKM 59/2, scelta che risultò geniale dal punto di vista tecnico ma pesantemente criticata in patria dai sostenitori del “made in U.S.A.”. Le critiche non si risparmiarono nemmeno sul campo: avendo una “foglia” di lama più larga e, di conseguenza, più fine della vecchia M7, vennero riportati casi di rotture durante i normali lavori di utility come per esempio le azioni di leva o torsioni (il problema fu risolto pochi anni dopo con l’adozione di lame con il 20% di spessore maggiorato rispetto all’M7, causandone un lieve sbilanciamento anteriore) . A discapito dei detrattori, divenne il pugnale-baionetta tra i più diffusi al mondo e segnò nuovi standard per la realizzazione dei futuri coltelli “generazione 2000”. Viene prodotta su licenza tutt’oggi e ora (2015) resta tra la dotazione ufficiale dell’organico militare americano. Il pugnale-baionetta M9 ricevette il battesimo del fuoco durante l’Invasione di Panama, fu utilizzato anche durante la Prima Guerra del Golfo, la Guerra in Iraq e durante la Guerra in Afghanistan. Venne prodotta come arma d’ordinanza anche in altri paesi quali l’Australia, Abu Dhabi, Canada (sotto licenza dalla Diemaco) e come coltello da campo per il Jieitai giapponese. La lama è lunga 17,78 cm ed è costituita in acciaio al carbonio con trattamento parkerizzato (con fosfato color verde oliva per le produzioni Ontario Knives). La forma è una classica uncinata Bowie ma con specifici accorgimenti funzionale, che la resero avveniristica al momento della sua creazione: sul dorso detta lama vi è un segetto taglia corde e, per due centimetri nel falso filo, vi è un taglio a “trancino”, soluzione copiata dalla russa AKM 59/2. Questa soluzione, unita al foro presente nella lama, permette l’accoppiamento “a forbice” con un pignone istallato nel fodero; quest’ultimo dotato di incavatura e di una piccola lama al carbonio dello stesso tipo della M9. Ciò permette l’uso del gruppo coltello-fodero come una cesoia tranciafili (garantendo anche una discreta protezione elettrica) e rendendo di fatto il fodero una componente attiva dell’equipaggiamento del fante. Altra novità per l’U.S. Army fu l’introduzione di uno scola sangue nel palmo di lama. La rigidità gli è conferita anche dal generoso tallone di lama (in rapporto alla lunghezza della stessa) che prosegue come dorsatura per tutta la parte superiore fino alla punta. Il codolo di lama, il tacco con il sistema di bloccaggio a pinzette e l’elsa ricalcarono il modello M7 ma fu studiato un nuovo grip nell’impugnatura (lunga 12,7cm), con l’abbandono delle guancette avvitate in favore di una colatura di materiale plastico in corpo unico, inserito dal codolo e tenuto fermo dal tacco. Dopo il 2000 la plastica fu sostituita dal G10, con possibilità di colore nero o verde oliva. Il fodero M10 è creato tuttora da un’astuccio in vetroresina con anima blocca-coltello in acciaio. In punta vi è fissato il meccanismo “a trancino”, svitabile e intercambiabile in caso di danneggiamento. Le farti in nilon comprendo il passante cintura e una tasca esterna, ove vi trovano posto gli strumenti essenziali di sopravvivenza quali fiammiferi, ami con filo, uno specchietto, stoppini di cotone, un accendino, bussola per lettura carte e un ago con filo. Con l’abbandono del sistema di trasporto dell’equipaggiamento individuale A.L.I.C.E. in favore del modulare M.O.L.L.E., venne inserita una clip di sgancio rapido in plastica ABS nel passa cintura e una “bretella” a bottone rapido nel retro del fodero (compatibile con i passanti M.O.L.L.E. pe i corpetti tattici NATO). Sempre nel retro vi è incollata una pietra affilatrice per lo svolgimento dei normali lavori di affilatura.
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Quando navi e aerei corrono su strada Quando si associa la parola trasporto con nave o aereo la definizione è una sola: cargo; alludendo al fatto che i mezzi di terra vengono quasi sempre caricati su velivoli o navigli, i quali gli permettono di spostarsi in un qualsiasi punto del globo. Ma chi trasporta sia le imbarcazioni sia gli aerei via terra? Domanda scontata, ma non troppo. Trasportare aerei su strada, paradossalmente, può risultare meno complicato di quanto sembri; un distinguo però va fatto sulle dimensioni e sul peso del carico in questione. Per la movimentazione di un aereo caccia è sufficiente un pianale rinforzato, non diverso da quelli comunemente usati per il trasporto delle grandi macchine per movimento terra. Il connubio tra materiali leggeri e modularità degli aerei permette di caricare interamente un aereo di dimensioni contenute, o suddividerlo in fusoliera, ali, coda e motori a parte, quindi utilizzando una flotta di veicoli pesanti caricati a medio carico . Generalmente è sufficiente l’utilizzo di una motrice munita di rimorchio per i piccoli aerei da turismo, mentre generalmente per il trasporto degli aerei militari (o comunque jet di pari classe in quanto a peso/dimensioni) vengono utilizzati camion pesanti dotati di ralla e semirimorchi con pianale a collo d’oca, quindi non solo militari ma anche civili. L’uso dei pesanti trattori d’artiglieria e dei camion porta-carri è decisamente sconsigliato visto il consumo degli stessi, la tipologia del carico e il lavoro che sono chiamati ad eseguire. Un discorso a parte va fatto per il trasporto di navi e imbarcazioni in generale. Il rapporto dimensione/peso costringe non solo al ripensamento degli itinerari stradali, ma a tutto l’apparato logistico di trasporto. Nelle imbarcazioni civili leggere il fattore chiave riguarda la dimensione, problema risolvibile dotando l’unità motrice di rimorchi ribassati e sagomati “fuori standard” dedicati alla classe nautica trasportata. il concetto si complica per lo spostamento di grandi battelli come navi da guerra o sottomarini. Per poter spostare unità navali sull’ordine delle 600 tonnellate minime sono necessari mezzi particolari come i moduli SPMT (self propelled modular transporter). Essi hanno un telaio a griglia componibile per l’utilizzo di più piattaforme mobili SPMT in contemporanea, con accoppiamento fianco-fianco o testa-coda. Le ruote possono essere singole o gemellate, ruotanti attorno ad un asse centrale verticale (ciò gli permette di ruotare indipendentemente di 360° in ogni direzione); il movimento di ogni singolo comparto ruote segue istruzioni computerizzate dedicate; ogni linea ruotata può essere costituita da 4 fino a 8 assi per una soglia di carico di 44 tonnellate per linea d’asse. L’insieme di telaio e apparato ruote costituisce un modulo, al quale è possibile istallare una cabina di guida o l’utilizzo in remoto, un propulsore e i sistemi d’aggancio ad una motrice trainante. Il sistema di ammortizzazione e sospensione consente un’escursione di 60 cm per le operazioni di carico e scarico, oppure per bilanciare l’inclinazione in beccheggio e in rollio del mezzo, in base al fondo stradale. Nota particolare è la capacità di sterzata a raggio 0, ponendo le ruote centrali (designate e gestite dal computer anche in caso di associazione con altri moduli) a cerchio, e le ruote intorno a formare un angolo con incidenza variabile. La propulsione (per i moduli autopropulsi) è affidata a dei motori elettrici situati in ogni apparato ruota, dotati di un’efficiente sistema di convertitori di coppia e gestiti elettronicamente, l’alimentazione tramite generatori è fornita da uno o più motori diesel. L’attuale record del mondo di spostamento, raggiunto nel 2010, per l’SPMT è di 15000 tonnellate (ottenuto dalla ditta Sarens). Da notare una fregata FREMM della Marina Militare Italiana sopra un veicolo SPMT.
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MZKT-Volat 741351 Il 741351 è stato realizzato e presentato al pubblico dalla MZKT-Volat Bielorussa (distaccamento pesante militare della Maz) nel 2016, al fine di partecipare alla selezione per il nuovo veicolo da trasporto pesante militare destinato agli Emirati Arabi Uniti. Se verrà selezionato, andrà ad affiancare ed a sostituire progressivamente l’MZKT 74135 (vedasi articoli precedenti), già in dotazione al settore da trasporto pesante degli Emirati in 40 esemplari. Forte dei suoi 812 cv capaci di trainare 136 tonnellate (6 tonnellate in più dell’MZKT 74135 e 18 tonnellate in più del americano Oshkosh M1070) più 44 tonnellate del gruppo semi-rimorchio-rimorchio, si classifica come il più potente camion da trasporto pesante militare moderno. I motivi della sua creazione risalgono da alcune lacune emerse dal suo predecessore: l’adozione del “musone” da parte del veicolo di punta fu una nota in controtendenza nella filosofia costruttiva dell’MZKT-Volat, scelta comunque obbligata per la necessità di raffreddare l’imponente motore V12 biturbo Mercedes-Benz. Tuttavia ciò implicava la notevole riduzione delle capacità off road (non è raro che si siano verificati casi di impantanamento del muso nei guadi fangosi), uno sbilanciamento all’anteriore del mezzo, la mancanza di blindatura contro le armi leggere e nessun’arma (o supporto) in grado di garantire la minima capacità difensiva. Si ritenne necessario quindi tornare alle origini costruttive, di conseguenza riportare il motore in posizione centrale rialzata, dietro la cabina. Per fare ciò alla MZKT-Volat decisero di ripartire sul telaio ampliamente collaudato del veicolo da traino pesante civile MZKT-Volat 7429 e dalla versione militare in dotazione all’esercito russo e bielorusso, l’MZKT-Volat 742960 (prodotto nel 2015). Fu scelta una motorizzazione dedicata, in quanto il BF8M1015C Deutz del 742960 non soddisfò le ambizioni di creare un propulsore superiore a quello del 74135 e il Mercedes-Benz 444LA richiedeva consumi più elevati e un delicato sistema di raffreddamento. La scelta ricadde (e curiosamente per un veicolo dalla tradizione russa/bielorussa) per il Caterpillar C18 Acert T4F Stage IV (che approfondirò in seguito). Il veicolo può essere aerotrasportato tramite gli aerei cargo C-130, C-17, A-400m, An-22 e An-124. MOTORE Il propulsore scelto per equipaggiare il mezzo deve garantire affidabilità, consumi ragionevoli e una grande riserva di potenza. A tal scopo l’MZKT 741351 adotta un Caterpillar C18 Acert T4F Stage IV: erogazione di potenza regolabile da 750 a 812 cv, a 1800-1900 rpm, coppia di 3300 Nm a 1900 rpm. Diesel, 6 cilindri in linea, 18100 cc di cilindrata, alesaggio x corsa 145mm x 183mm, iniezione diretta MEUI. I sistemi di controllo del propulsore sono gestiti tramite centralina ECU, con compensazione automaticamente dell’altitudine, comando del raffreddamento a distanza, compensazione della potenza per la temperatura del carburante, cablaggio annegato in schiuma, controllo e trasmissione SAE J1939 del sistema di monitoraggio del motore. La sovralimentazione avviene tramite turbo VGT unito ad un doppio post-refrigeratore (TTA), il turbocompressore è montato centralmente per consentire la reversibilità della turbina e degli apparati di scarico. Dispone di una presa di forza anteriore SAE N1 per applicazioni speciali, carter dell’olio reversibile, collegamento idraulico tramite tubi flessibili e dispositivi per l’abbattimento delle emissioni CEM (modulo emissioni pulite) SCR (riduzione catalitica selettiva) catalizzatore (DOC) e filtro antiparticolato (PDF). Gli imponenti apparati di raffreddamento sono situati nel retro cabina sul fianco destro. L’accensione senza pre-start è elettronica fino a -10°C. Lo stesso motore equipaggia perforatori da miniera, gru, draghe, scava trincee, propulsori marini e gruppi elettrogeni industriali. CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE Il veicolo dispone di trazione integrale 8x8 permanente. Il cambio proposto è un automatico Allison M6620AR, sei marce più RM in alta e bassa gamma, controllo elettronico comunicante con il propulsore e sistema “soft shift”. Dispone di un retarder idraulico integrato, controllo di velocità LS-TTL a 39 impulsi a rotazione sul terminale del albero, una presa di forza PTO con riduttore per l’alimentazione dei servizi elettrici ausiliari. L’albero di trasmissione collega il cambio al differenziale centrale bloccabile/ripartitore di coppia MZKT MWTP, dotato anch’esso di PTO posteriore, lo stesso che equipaggia il vettore-lanciatore MAZ/MZKT 79221, il Typhoon-U, il BAZ Tiger e l’MZKT 74291. Dal differenziale centrale la coppia viene trasferita ai differenziali intermedi degli assi, e ai mozzi. Gli assi sono totalmente articolati, disposti a quadrilateri sovrapposti, dei quali i due anteriori sterzanti. Utilizza all’anteriore sospensioni idrauliche indipendenti ammortizzate a molle; al posteriore ha un sistema di ammortizzazione rinforzato idro-pneumatico e doppie molle per braccio ammortizzante (questo per poter gestire il peso gravante sulla ralla). I mozzi ruota sono lineari con impianto frenante pneumatico. Dietro il motore vi è istallato su un’incastellatura un doppio argano indipendente, alimentato dalla presa di forza del cambio e attuato esternamente attraverso due dispositivi elettro-idraulici con 60 metri di cavo d’acciaio e 25000 N di trazione l’uno, per la movimentazione di carichi sul rimorchio e sul semi-rimorchio. Tutte le ruote dispongono di sistemi CTIS e controllo del gonfiaggio remoto in cabina. CABINA La cabina si presenta avanzata rispetto al motore, ammortizzata con celle d’aria e con quattro porte d’accesso più una botola superiore per emergenza/controllo/sorveglianza. Può ospitare 7 operatori, all’occorrenza i sedili posteriori possono essere ripiegati e costituire 1+1 branda a castello per il riposo. Il design prende ispirazione dal trattore 8x8 civile MZKT 74298 ma con profonde rivisitazioni al telaio, reso notevolmente più resistente dalla blindatura. I gradini d’accesso sono più ampi così come la passerella laterale. È presente un carter di protezione delle luci superiori, griglie sulla fanaleria principale e il motore è protetto da un cofano, avente anche la funzione di deflettore per il convogliamento dell’aria ai radiatori. Nel lato destro del cofano motore vi è un pannello a saracinesca, per la manutenzione del veicolo e l’accesso ai tecnici, al di sopra vi sono tre prese d’aria per l’alimentazione del motore. Sopra l’incastellatura posteriore è presente una gru elettrica centrale per l’abbassamento della ruota di scorta situata al lato destro. Uno dei punti di forza rispetto all’MZKT 74135 è per l’appunto la presenza di un minimo esoscheletro balistico per garantire la sopravvivenza durante attacchi con armi portatili leggere. L’abitacolo è completamente schermato contro gli NBC, vetri blindati e con protezione anti esplosione. Lo scafo a V consente la protezione contro ordigni leggeri IED. È disponibile come accessorio una corazzatura balistica aggiuntiva applicabile alla cella di guida e agli apparati motore. Inoltre sulla botola corazzata superiore vi è una slitta semicircolare per l’istallazione di una mitragliatrice. Unità di trasporto: il semi-rimorchio e il secondo rimorchio Il primo semi-rimorchio è il MZKT 999421, il medesimo dell’MZKT-Volat 74135 ma con 6 assi e con importanti modifiche strutturali, come l’aggiunta di longheroni rinforzati e la capacità di allargarsi a scorrimento di 1 metro. Queste modifiche (che lo portano ad un peso tara di 26 tonnellate) permettono il trasporto di 76 tonnellate contro le 70 tonnellate del 83721. Come il predecessore è completamente autonomo grazie all'unità di potenza ausiliaria, anche operativa dalla cabina di guida, la quale attiva il CTIS dedicato a tutte le ruote del treno di rotolamento (progettate per il fuoristrada) e il suo sistema idro-pneumatico. Il semi-rimorchio è dotato di una sospensione che permette una facile sostituzione dei pneumatici interni. Il “collo d’oca” maggiorato di aggancio su ralla, oltre a stivare le ruote di scorta del traino e la gru per la gestione delle medesime, gli stabilizzatori di posizione, permette notevoli escursioni di angolazione sia in beccheggio che in torsione e rollio. Le pedane di carico e scarico sono perfettamente combaciabili con il frontale del rimorchio (agganciabile al semi-rimorchio tramite un giunto a campana), questo per permettere il carico e lo scarico dei carri armati e dei veicoli senza in bisogno di sganciare le singole unità di carico, costituendo di fatto un pianale unico. Il payload del singolo semi-rimorchio è costituito da due BMP-3, da un ARV Leclerc e un BMP-3, da un MBT Leclerc e un BMP-3, un obice Denel G6, un container da 12 metri o due container da 6 metri. Il secondo rimorchio è l’MZKT 837211 è composto da un telaio portante a longheroni a Z collegati da tubolari e traverse con staffe di rinforzo per aumentare la resistenza alla flessione, rimane invariato anche il payload di 60 tonnellate e 18 tonnellate di peso tara. A differenza del trattore e del semi-rimorchio, il rimorchio non è dotato di CTIS sebbene comprenda un treno di gomme per terreni off road. A differenza del precedente però dispone di 6 assi di cui 2 sterzanti (quelli appartenenti al gruppo timone di sterzo) mentre l’83721 disponeva solo di 3 assi di cui uno sterzante. I gruppi di elevazione idraulica ricalcano quelli del semi-rimorchio MZKT 837211. Il payload del singolo rimorchio è costituito da un MBT Leclerc, da un BMP-3 o da un container da 6 metri. DATI TECNICI AGGIUNTIVI MZKT-Volat 741351 Lunghezza – 10,30 metri Larghezza – 3,10 metri Altezza – 3,88 metri Interasse ruote – 2,25 + 2,75 + 1,70 metri Consumo – n.d. Capacità carburante – n.d. Autonomia – 700 / 900 Km Guado – 1 metro, 1,60 metri con preparazione Velocità massima su strada – 70 Km/h Velocità massima off-road – da 30 a 50 Km/h Angolo d’attacco – 30° Angolo d’uscita – 60° pendenza laterale – 30% Altezza dal suolo – 0,48 metri Misure/tipo di ruote – Michelin 23.5 r25 XLB TL188E (trattore), Michelin 525/65 r20,5 XS TL (semi-rimorchio e rimorchio)
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Il LARC-5 (Lighter Amphibious Resupply Cargo da 5 tonnellate) è un veicolo da trasporto anfibio utility sviluppato nel 1950 dalla Borg Wamer Corporation e successivamente dalla Condec, LeTorneau-Westinghouse. Il prototipo valutativo fu realizzato nel 1959 ed entrò in servizio negli Stati Uniti nel 1961; fu adottato dall’Argentina. Australia, Portogallo, dalla Marina americana e dal Corpo dei Marines. Dismesso dal servizio i Navy iniziarono un programma di aggiornamento per l’allungamento della vita operativa (come riporterò in seguito). Il suo scopo primario era di fare la spola tra le grandi navi militari (da trasporto e non) e la terraferma, o almeno fino ai porti accessibili; altro ruolo fu lo sbarco dal mare su terraferma di uomini e rifornimenti per un massimo di 5 tonnellate (valore massimo basato sull’occhio di plimsoll). Nella sua storia operativa, vide il suo massimo utilizzo nella Guerra del Vietnam, guerra in cui ne andarono distrutti circa 200 per autoaffondamento. Nel 1982 servì sotto bandiera argentina nella Guerra delle Falkland contro l’Inghilterra e nel 2010/2011 in Australia nel corso della missione OFA (Operation Flood Assist) per il soccorso delle zone alluvionate. Durante il ritiro del servizio, il NAVFAC (Naval Facilities Engineering Command) avvio il programma SLEP (Service Life Extension Program) per importanti aggiornamenti di produzione e perché non si era ancora trovato un veicolo che riuscisse a rimpiazzarlo. I LARC-5 SLEP furono la base per la realizzazione degli innovativi Hydro-LARC (come riporterò in seguito). Un ramo del progetto LARC SLEP si sviluppò indipendentemente con il nome di LARC-15, prodotto in piccoli lotti e utilizzato solamente dalla Riserva dell’U.S. Navy. Il LARC-15 differisce da tutti gli altri LARC per le dimensioni leggermente più grandi, il maggior carico esterno portato a 15 t, la motorizzazione (basata su un turbodiesel Jonh Deere, 6 cilindri in linea da 375 cv) e dalla disposizione della cabina di guida: mentre nel LARC-5 la prora del veicolo coincide con la cabina vetrata, li la cabina è posta sopra il vano motore (a sua volta sopra l’elica), quindi in poppa. Nel complesso, l’insieme dei meccanismi di propulsione, trasmissione, governo e scocca portante in alluminio rendono questo mezzo robusto ed efficiente, anche se limitato alla sola navigazione costiera. Sebbene progettato per essere trasportato sulle navi da sbarco anfibio come le LCC,LPH, LHA, LHD, LPD e LSD o rimorchiato su base piatta galleggiante. Può essere trasportato anche da unità cargo aeree quali C-130 Hercules, C-141 Starlifter e C-17 Globemaster III. MOTORE Il propulsore è un motore con specifiche nautiche Cummins V8-300 diesel, V8 a quattro valvole per cilindro, 12.900 cc di cilindrata, 300 cv a 2600 rpm di potenza e 1166 Nm a 1800 rpm. Da fonti certe, a seguito di una riprogettazione fu adottato suo successore: il Cummins V-903 v8 diesel bi-turbo, a quattro valvole per cilindro, 13.400 cc di cilindrata, 811 cv a 2600 rpm di potenza e 2362 Nm a 1800 rpm di coppia. Per entrambe le motorizzazioni vi è la gestione elettronica dell’accensione e dell’alimentazione (gestita tramite centralina ECU per il V-903), con la differenza che nel primo motore (più datato) l’iniezione è indiretta, mentre nel secondo adotta la più moderna e efficiente iniezione diretta. Particolare attenzione fu posta nella concezione marina del motore, formato da ghise più resistenti e trattate con vernici anti-salsedine, filtri dell’aria e dell’olio maggiorati, impianto di raffreddamento nautico (vedasi documenti di ingegneria motoristica navale) e i “piedini” antivibrazione per l’ancoraggio allo chassis. CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE La peculiarità del veicolo è la semplicità di adattamento (inteso in termini di catena cinematica) da acqua a terraferma e viceversa. (Lo schema si riferisce ad un LARC-15 e il motore è presente in una sola unità, ma la trasmissione rimane invariata) Innanzitutto nel LARC-5 il motore è posizionato a poppa del mezzo, dietro l’asse posteriore e sopra l’elica. Accoppiato all’unità propulsiva vi è un convertitore di coppia per diminuire i giri motore in funzione di una maggior coppia torcente. Il semialbero va ad un differenziale centrale bloccato, il quale è a corpo unico con un ripartitore e con una presa PTO collegata all’elica; da esso infatti si sviluppa un “sotto-differenziale” trasversale che porta la potenza a due differenziali di distribuzione paralleli e indipendenti. Da essi tramite quattro alberi si giunge ai mozzi delle ruote consentendo la trazione 4x4 permanente e bloccata. Dal ripartitore/PTO un albero porta la trazione maggiormente ridotta all’elica, composta in lega a tre pale fisse. Questa configurazione meccanica permette il passaggio da acqua/terra semplicemente azionando la levetta della presa di forza, con la possibilità di azionarle contemporaneamente in fase di risalita/discesa. Da notare che il sistema frenante dell’apparato “terra” non è agli estremi dei mozzi ruota, bensì interno, attaccato in testa ai quattro alberi, in giunzione con i differenziali di distribuzione paralleli; questo per proteggere l’impianto dalla corrosione marina e, allo stesso tempo, concentrare le masse al centro del veicolo. Lo sterzo è sull’asse anteriore (sotto la cabina di guida) con servosterzo ma per motivi di cavità nella chiglia è molto limitato; esso costituisce un unico impianto idraulico con il timone, ergo, sterzando le ruote sterza anche il timone. Sebbene il mezzo sia anfibio, non eccelle in terraferma essendo sprovvisto di apparato sospensione e ammortizzazione. L’assorbimento di eventuali colpi, così come la stabilità in acqua, è garantita da speciali pneumatici a mescola elastica antiforatura, non provvisti però di sistemi CTIS (controllo e gonfi aggio centralizzato della pressione). CABINA Il corpo del veicolo prende spunto dal suo predecessore, il DUKW; presenta una carenatura molto simile ad una imbarcazione litorale, mantenendo però i passaruota liberi da carter idrodinamici. Lo scafo e la cabina sono costruiti in alluminio, la scocca rinforzata permette di resistere alle onde marine costiere e alla corrente di un fiume in piena (rendendolo idoneo come veicolo di salvataggio o rifornimento nelle zone alluvionate). La cabina è aperta posteriormente e dotata di vetri blindati, è posizionata in prora al veicolo. Il governo di terra/acqueo è gestito completamente da un volante e da una manetta per il controllo dei giri motore. Una seconda leva determina la selezione della trazione. Il vano carico è costituito da tutto il corpo centrale, ai lati possono venire installate delle sponde blindate o più semplicemente dei teloni cerati abbattibili, per la protezione del carico durante il trasporto/navigazione. La tipologia di carico spazia da merce generica sfusa, merce pallettizata, piccoli container o personale militare; gli operatori necessari sono il pilota, il comandante o il responsabile alla navigazione e l’addetto al carico. A differenza degli altri mezzi di terra (e in similitudine con le piccole imbarcazioni) possiede le pompe di sentina e dotazioni d’emergenza obbligatorie per il soccorso in mare; è sprovvisto di sistemi d’ancoraggio al fondale. Versioni Hydro-LARC l’Hydro-LARC si presenta come il risultato di spicco del programma SLEP; progettato e prodotto dalla Power Dynamic. Come già citato le modifiche riguardano la trasmissione, il propulsore, l’apparato elettrico e un miglioramento dei sistemi di bordo, tra qui la digitalizzazione degli apparati di navigazione, adozione di dispositivi satellitari per il tracking della rotta e della posizione del mezzo. Le consegne iniziarono nel 2006 per un totale di 42 mezzi; furono impiegati in servizio attivo nel MBU (Main Beach Units), BDT (Building Diving Team) e MPF (Maritime Prepositioned Force) dell’U.S. Navy. Motore Il primo step di modifiche riguardano il propulsore, ridimensionato per una nuova trasmissione. Il motore designato è un Caterpillar C12 Marine, 6 cilindri in linea turbodiesel con intercooler; sempre quattro valvole per cilindro, 12.000 cc di cilindrata, 526 cv a 2300 rpm di potenza e 3020 Nm a 1650 rpm di coppia (dati ufficiali da grafici fonte Caterpillar.com). La gestione del carburante tramite ECU e l’iniezione diretta common-rail, uniti all’architettura del motore, permettono un deciso risparmio di carburante rispetto al Cummins mantenendone inalterata la potenza erogata, sia in terraferma che in acqua. La disposizione del motore rimane inalterata. CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE L’innovazione più grande riguarda la trasmissione, non più meccanica a cascata di ingranaggi ma attraverso circuiti idraulici ad alta pressione, sia per il comando delle ruote sia per l’elica. Tale soluzione fu adottata per consentire lo stivaggio di carichi più ingombranti, alleggerire (e non di poco) la tara del veicolo, limitare al massimo gli interventi di manutenzione (dapprima soggetti alla normale e inevitabile usura marina) pur mantenendo le prestazioni al medesimo livello, se non aumentate. Tale traguardo fu raggiunto accoppiando al riduttore motore una pompa d’olio ad alta pressione. Attraverso semplici tubi in pressione il fluido raggiunge direttamente i turbo-motori disposti su tutte e quattro le ruote ad una pressione di 54,43 atmosfere, garantendo la coppia necessaria anche su fondi sterrati o sdrucciolevoli. La conversione da “terra” a “acqua” avviene tramite elettrovalvole e, con la stessa pressione, il fluido in conduttura prende il posto dell’asse rigido; la geometria dell’elica rimane inalterata. Un circuito idraulico secondario a bassa pressione garantisce il funzionamento degli organi di governo e controllo, quali servofreno, servosterzo e le pompe di sentina. La variazione di coppia è ottenuta con l’adozione della pompa principale a corsa variabile, consentendo un rapporto di trasmissione a variazione continua in entrambe le velocità del motore (avanti, indietro e costante). Di fatto la trazione resta una 4x4 ma senza l’equalizzatore di coppia agli assi. LARC 60/ LARC LX/ BARC Il LARC-LX portò al massimo esponente il concetto espresso al LARC-5. Mentre quest’ultimo si occupava dello sbarco/imbarco di materiale generico e uomini, il LARC-LX aveva il compito di sbarcare e imbarcare intere compagnie di uomini in completo equipaggiamento, attrezzature di preparazione, punti di trasferimento interni e principalmente di traghettare cingolati o veicoli pesanti gommati da 60 t massime; dalle navi da sbarco oltre la linea costiera. La geometria del mezzo fu completamente ripensata in funzione del suo ruolo primario. La commissione del progetto e la sua realizzazione furono commissionati alla LeTorneau inc., specializzata nella realizzazione di piattaforme petrolifere off-shore. Il mezzo fu prodotto e presentato nel 1952 e nello stesso anno prese il nome di BARC (Barge Anphibious Resupply Cargo). Il profilo di missione del BARC consisteva nell’essere caricato su navi mercantili per assicurare lo sbarco a lunga distanza; oppure sbarcare da grandi navi da trasporto, le SeaTrain, ancorate al largo dalla riva. Esso avrebbe trasportato un carro pesante da combattimento M-60 oppure due APC M-113 fino alla riva e, valicata la linea costiera, avrebbe aperto il portellone posteriore sbarcando i veicoli pronti al combattimento. Il BARC era essenzialmente l’unico veicolo della sua categoria in forze alla U.S. Navy e prestò servizio fino all’ottobre del 2001, anno del suo ritiro dal servizio. Il suo vano carico poteva ospitare (nel dettaglio) due camion militari, due M-113, un carro da 60 t massime e un container da 12 metri o due container da 6 metri. Poteva sopportare sovraccarichi per un totale di 100 t ma solo in particolari condizioni e solo con le dovute tecniche di stivaggio. Il caricamento poteva avvenire con gru, carro-ponti, rulli o carrelli, analogamente agli aerei cargo. Il suo trasporto era permesso solamente da grandi navi da sbarco, sul ponte di navi commerciali, LSD, navi antisommergibile e SeaBee. Il veicolo che andava a sostituire fu il LACV-30, risolvendo molti dei problemi che affliggevano quest’ultimo: quali il carico pagante aumentato di 30 t, il costo di produzione e la maggiorata capacità di sterzata e di manovra, dovuti alla difficoltà di superamento degli ostacoli costieri. Ciò che colpì maggiormente i militari fu la resistenza e l’affidabilità del mezzo, infatti bastava pulire e revisionare solamente il sistema di filtraggio dell’aria, carburante e dell’olio per garantirne la funzionalità. Ulteriore prova di questo fu l’assegnamento del mezzo anche a militari non specificatamente addestrati, cosa impensabile con il LACV-30 data la sua delicatezza e costo. Nel 1960 il nome fu cambiato in LARC-60 (Lighter Amphibious Resupply Cargo da 60 t). prese parte alle operazioni anfibie durante la Guerra in Vietnam, supportando la 101° divisione aviotrasportata nel 1967 e la 1° divisione di cavalleria nel 1968. Successivamente concluse la carriera con la 309° rifornimenti e la 11° battaglione trasporti dell’U.S. Navy. MOTORE Il veicolo è propulso da quattro motori diesel marini a due tempi GMC 6-71. Ogni motore era un sei cilindri in linea dotati di compressore volumetrico (essenziale per i diesel due tempi), quattro valvole per cilindro, accensione elettronica e iniezione indiretta; 7.000 cc di cilindrata, 216 cv a 2100 rpm di potenza e 911 Nm a 1200 rpm di coppia. La scelta di tali motori marini (chiamati Grey-Marine) fu dettata dall’ottima affidabilità e diffusione; fu il motore di punta della Diesel-Detroit fino al 1995. Essi sono disposti ai lati del mezzo nella parte centrale sopra la linea di galleggiamento. Sebbene indipendenti, gli apparati di aspirazione/scarico e raffreddamento sono comuni, posizionati a poppa del veicolo. Ulteriori dati non sono reperibili su tali motori. CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE Rispetto al LARC-5 e all’Hydro-LARC, tutto il sistema di trazione cambia radicalmente. Ogni motore infatti trasmette il moto ad ogni singola ruota, per mezzo di quattro convertitori di coppia/riduttori, risultando di fatto indipendenti ma gestiti da un sistema di comando e controllo centralizzato. Per quanto riguarda la propulsione marina i motori sono collegati meccanicamente a coppie (una coppia per bancata) attraverso un differenziale disinseribile con equalizzatore di giri motore; accoppiato ad un ulteriore riduttore (sempre uno per bancata) movimentava un albero di trasmissione, che a sua volta permetteva il funzionamento dell’elica. A tal proposito, per motivi di stazza e resistenza all’avanzamento, le eliche vennero sdoppiate in maniera da permettere l’indipendenza dell’una e dell’altra (aumentandone la manovrabilità), le pale passarono da tre a quattro. Due prese PTO garantivano l’alimentazione elettrica ai sistemi di controllo, comando e all’attivazione dei gruppi elettrogeni d’emergenza per le pompe di sentina. Il comando dello sterzo e dei timoni era centralizzato e unico, tramite una semplice barra, e azionato attraverso pistoni idraulici. Questa configurazione non convenzionale permetteva un estremo bilanciamento dei pesi durante la navigazione, ma soprattutto ha permesso la creazione di un enorme vano carico piatto, essenziale per l’impiego richiesto. Anche il LARC-60 non era dotato di sospensioni e ammortizzatori, basando la sua capacità di assorbimento degli urti a terra sui pneumatici, appositamente progettati. Le ruote sterzanti erano tutte e quattro, in combinazione al comando di servosterzo; soluzione obbligata vista lo scarsissimo raggio di sterzo del mezzo. CABINA La cabina era posizionata a poppa del veicolo nel lato sinistro e completamente chiusa, lasciando ampio spazio agli organi di raffreddamento e gestione delle unità propulsive. Gli operatori erano cinque. Come nei LARC minori, lo sterzo a barra comandava insieme sia i timoni di direzione sia lo sterzo delle ruote; l’inversione/direzione di marcia era affidata ad un “manettino” di stampo nautico, così come il comando degli attuatori per l’inserimento/disinserimento dei differenziali, durante il passaggio da terra a acqua e viceversa. Sul lato di prora vi era il portellone del carico e scarico merce/veicoli. Per facilitare tali operazioni era dotato di rulli nel pavimento per consentire l’imbarco di container o merce pallettizzata. DATI TECNICI LARC-5, Hydro-LARC, LARC-60 Anno entrata in servizio: 1962 (LARC-5) 2001 (Hydro-LARC) 1957 (LARC-60) Fabbricazione: Borg Wamer Corp., poi Codec (LARC-5) Power Dinamics (Hydro-LARC) LeTorneau inc. (LARC-60) Tipo cabina: avanzata rispetto al motore (LARC-5 e Hydro-LARC) a motori avanzati (LARC-60) Operatori: 3 (LARC-5, Hydro-LARC) 5 (LARC-60) Codice motore: Cummins V8-300 poi Cummins V903 (LARC-5) Caterpillar C12M (Hydro-LARC) GMC 6-71 Layout motore: 1x V8 diesel, quattro valvole per cilindro 1x V8 diesel. Bi-turbo, quattro valvole per cilindro (Cummins) 1x L6 diesel, turbo, quattro valvole per cilindro (Caterpillar) 4x L6 diesel 2 tempi con compressore volumetrico, quattro valvole per cilindro (GMC) Accensione primaria: elettronica Avviamento minimo senza pre-start: circa -10 gradi Cilindrata: 12.900 cc (Cummins V8-300) 13.400 cc (Cummins V903) 12.000 cc (Caterpillar C12M) 4x 7.000 cc (GMC 6-71) Potenza: 300 cv a 2600 rpm (Cummins V8-300) 811 cv a 2600 rpm (Cummins V903) 526 cv a 2300 rpm (Caterpillar C12M) 4x 216 cv a 2100 rpm (GMC 6-71) Coppia: 1166 Nm a 1800 rpm(Cummins V8-300) 2362 Nm a 1800 rpm(Cummins V903) 3020 Nm a 1650 rpm (Caterpillar C12M) 4x 911 Nm a 1200 rpm (GMC 6-71) Alessaggio per corsa: 139 mm x 120 mm (Cummins V-903) 130 mm x 150 mm (Caterpillar C12M) 108 mm x 127 mm (GMC 6-71) Lunghezza: 11,66 m (LARC-5, Hydro-LARC) 19,10 m (LARC-60) Larghezza: 3,05 m (LARC-5, Hydro-LARC) 8,10 m (LARC-60) Altezza: 3,10 m (LARC-5, Hydro-LARC) 5,94 m (LARC-60) Dimensione ruote Interasse: (dato non trovato per LARC-5, Hydro-LARC) 8,53 m (LARC-60) Consumo: (dato non disponibile) Multi carburante: si (LARC-5, Hydro-LARC) no (LARC-60) Cap.carburante: 545 L in due serbatoi (LARC-5, Hydro-LARC) 2271,2 L in due serbatoi (LARC-60) Autonomia: 400 km, 250 miglia nautiche (LARC-5, Hydro-LARC) 240 KM, 75 miglia nautiche (LARC-60) Trasmissione: 4x4, riduttore avanti/dietro (LARC-5) 4x4 idraulica, pompa motore a passo variabile (Hydro-LARC) 4x4 riduttore, avanti/dietro (LARC-60) Navigazione: 7,5 nodi (LARC-5, Hydro-LARC) 7,5 nodi (LARC-60) Max Velocità su strada: 48 Km/h (LARC-5, Hydro-LARC) 24,5 Km/h (LARC-60) Max Velocità Off-Road: 20-30 km/h (LARC-5, Hydro-LARC) 5-10 Km/h (LARC-60) Max angolo d’attacco: 35 gradi (LARC-5, Hydro-LARC) 30 gradi (LARC-60) Max angolo d’uscita: 25 gradi (LARC-5, Hydro-LARC) 35 gradi (LARC-60) Inclinazione laterale: 30 gradi Ostacolo verticale: (dato non trovato) Altezza dal suolo: (dato non trovato) Peso max. totale: 13,5 t (LARC-5) 157,5 t medio o 217,5 t max sovraccarico (LARC-60) Peso tara: 8,5 t (LARC-5) (dato non trovato per Hydro-LARC)) 97,5 t (LARC-60) Misure ruote: (dato non trovato) Tipo assi: nessuno Ponte di trasmissione: a cascata di ingranaggi, riduttori, PTO e differenziali/convertitori di coppia (LARC-5) idraulica con motori-pompa (Hydro-LARC) a cascata di ingranaggi, PTO, riduttori, giunti innestabili con equalizzatori di coppia (LARC-60) Freni: idropneumatici, interni alla trasmissione
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Alla nascita del sistema d’arma Scud, si rese necessaria la progettazione di un vettore trasporto-lancio per tale razzo. La scelta sovietica ricadde sul concetto di alta mobilità e rapido spiegamento di forze. Ergo: doveva essere un vettore gommato, modulare e capace di trasportare qualsiasi tipo di carico. La fabbrica bielorussa/russa MAZ (Minsk Automobile Plant) seguì la linea iniziata dallo ZIL 135, implementandola con la meccanica eccellente e ben collaudata del camion-trattore d’artiglieria MAZ 535, ampliandone contemporaneamente i volumi e la capacità di carico. Fu creato il MAZ-543/7310. Il trasporto di un razzo balistico obbligava i progettisti a ripensare al sistema cabina, quindi dalla tre posti unica ebbe la doppia cabina in tandem. Da allora resta il più modulare, resistente, usato e dispiegato camion-trattore d’artiglieria del Blocco Sovietico e della Russia moderna. Progettato nel 1960, il MAZ-543 fu presentato il 7 novembre 1965 durante la parata militare nella Piazza Rossa come parte del sistema d’arma SS-1 Scud (9K72 Elbrus). MOTORE Identico a quello del MAZ-537. Il veicolo è alimentato da un 38,8 litri D12A-525 diesel che produce circa 525 cavalli a 2100 rpm, e dà una velocità massima su strada 37 mph (59,5 chilometri all'ora). Coppia massima a 2100 rpm 2206 Nm. Codice motore D12A-525. La distribuzione è composta da 4 valvole per cilindro, V12 aspirato. Così come il MAZ-537, è dotato di sistema di pre-riscaldamento* alimentato da un serbatoio da 60 L di carburante, indipendente dal serbatoio principale. La prontezza in coppia, l’elasticità con qualsiasi tipo di carico/traino e l’architettura resistente lo rese uno dei motori sovietici di maggior successo in ambito sia civile che militare. Venne sostituito durante il “passaggio del testimone” alla MZKT con il diesel biturbo YaMZ-8401.10.14 da 650cv (molte fonti citano il D12A-525 operativo per tutti i timbertruck KZKT nei primi anni di produzione). * Per il funzionamento del bruciatore di pre-riscaldamento, leggere all’articolo MAZ-535/537. CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE Il MAZ-543 deriva meccanicamente dal predecessore MAZ-535/537. Quindi per riferimenti si adotti lo stesso schema in figura. La differenza sostanziale risiede nella lunghezza dell’albero di trasmissione riduttore-cambio e differenziale centrale, in quanto il motore, mentre nel 535/537 è collocato subito dietro i sedili, nel 543 è in posizione nettamente avanzata al treno di rotolamento, situato all’altezza tra il primo e il secondo sedile. È dotato di trazione integrale 8x8 permanente con riduttore, giunto centrale bloccabile a due velocità. Il cambio è un sequenziale 3 marce a leva sul volante. In alcuni modelli è disponibile una presa di forza PTO nel ripartitore di coppia/giunto centrale. Lo schema sospensioni fu dapprima balestrato in tutti gli assi, e solo recentemente (KZKT) con l’inserzione di collegamenti idro-pneumatici (mantenendo comunque le balestre); braccia a quadrilateri sovrapposti. Due su quattro assi sterzanti all’anteriore con servosterzo. Dotato di CTIS per il mantenimento della corretta pressione dei pneumatici. Nello specifico i pneumatici furono realizzati in esclusiva per questo modello, leggermente più larghi del suo predecessore. CABINA Nato in origine con due cabine parallele, entrambe avanzate rispetto al motore, a due posti in tandem (4 posti in totale). Questa fu una scelta obbligata per poter stivare al meglio l’ogiva del razzo Scud. I leveraggi delle marce e del bloccaggio del giunto centrale sono ai lati del volante. Nella postazione posteriore il navigatore o il capomissione detenevano l’attrezzatura antincendio, le comunicazioni tra le cabine avvenivano tramite interfono. Molto spesso si può intravvedere nel radiatore centrale una scaletta, necessaria per la salita anteriore alla calandra per la manutenzione ordinaria. Le cabine potevano alzarsi indipendentemente in avanti tramite meccanismi idraulici manuali per il completo accesso al motore centrale. Dotazione extra della cabina, l’aria condizionata per la versione destinata ai paesi tropicali e il WEBASTO per il riscaldamento nei climi artici. Nelle prime versioni presentava solo la schermatura elettromagnetica, ma solo successivamente furono introdotti numerosi (quanto blandi) accorgimenti anti NBC. MAZ-543A Nato essenzialmente come mezzo vettore per razzi e missili, disponeva (in configurazione lanciatore Scud) di un gruppo elettrogeno indipendente subito dietro la cabina, dispositivi idraulici per l’elevazione della rampa di lancio e per gli stabilizzatori di posizione. La necessità di abbassare quanto possibile la sagoma del missile (a vantaggio di una maggiore occultabilità) si può notare dal profilo delle sottostrutture, come la cabina di controllo al tiro, pagandone in mobilità in ambienti difficoltosi. Al centro dei quattro assi vi è la cabina controllo del sistema d’arma. Completamente schermato da agenti NBC e fonti elettromagnetiche. Dispone anche di decriptatori in fibra ottica per le comunicazioni via cavo. La rampa di lancio era di concezione molto semplice, così come il sistema di stabilizzatori a pistone verticale. Il lancio doveva avvenire completamente in verticale e ciò semplificò la progettazione dello “zoccolo duro” della rampa (composto da tubolari saldati). Particolare attenzione fu resa al comando idraulico, agli apparati di attuazione come le elettrovalvole e agli attuatori, e a tutto i cablaggio di trasmissione dati. Oltre alla “versione Scud”, fu allestito anche come pianale da trasporto e come trattore d’artiglieria. Esso è servito anche come base per diversi veicoli civili, tra cui l'AA-60, il veicolo antincendio aeroportuale AA-70 e il KS-5571 come gru per spostamenti pesanti. Nel 1974 presso il Salone dei successi dell'economia nazionale, fu presentato un nuovo prototipo modificato (MAZ-7310) ed è rimasto in produzione dal 1976. Il MAZ-7310 può funzionare con il semirimorchio MAZ-8385 come autotreno (lunghezza totale 205,5 m). E 'stato utilizzato in Siberia per il rilevamento del petrolio e anche come trattore per aeroporti militari. Nel 1981 a completamente sostituito il precedente modello 543, tra cui l’autocarro ribaltabile MAZ-7510, il veicolo antincendio aeroportuale AA-60 e la gru KS-5573. Nel gennaio del 1983, la capacità di carico è stata aumentata di 1 tonnellata in più con lo stesso peso tara (MAZ-7313). In particolare, questo modello è stato utilizzato come evoluzione allestibile con la gru KS-5576 e KS-6571, e come nuovo veicolo aeroportuale antincendio AA-60 (7313). Mentre per l’adozione dell’apparato gru si rese necessaria l’istallazione di un piatto girante bilanciato, per la configurazione antincendio furono rivisti alcuni punti meccanici come il rapporto di cambio leggermente allungato e l’accoppiamento di una pompa idraulica nella presa PTO del ripartitore di coppia/giunto centrale (disinseribile tramite una seconda frizione). L’ugello dell’acqua era orientabile manualmente e faceva fulcro su un’incastellatura bullbar saldata davanti al veicolo, solidale allo chassis. MAZ-543M La versione MAZ-543m è stata progettata inizialmente per trasportare il sistema lanciatore multiplo a 12 tubi del BM-30 Smerch. Per il controllo del tiro e traiettoria del sistema d’arma fu collocata una cabina indipendente dalla cabina di guida. Dotata di vetratura blindata, apparati di comunicazione avanzati, criptatori e computer di calcolo. Completamente schermata da agenti NBC ed elettromagnetici. Ciò che caratterizza il mezzo è la diversa configurazione della cabina (singola due posti in tandem): questo perché, essendo il sistema SS-1 Scud più vecchio da dispiegare, necessitava di più personale. Con il miglioramento della tecnologia di calcolo, basata su computer più efficienti e miniaturizzati, non vi era più la necessità di personale oltre al comandante di missione, il pilota, il responsabile al tiro e l’addetto alle comunicazioni. Lo spazio libero ricavato dall’eliminazione della seconda cabina ha consentito l’istallazione di apparati di raffreddamento maggiorati e di riposizionare il gruppo elettrogeno posteriore in posizione avanzata, nella “gobba” dietro il cofano motore, migliorandone la ripartizione del peso e consentire una più vasta gamma di configurazioni di carico. Nel corso degli anni fu leggermente modificato il frontale: eliminando il piccolo incasso in basso a sinistra del radiatore, destinato ad un faro di serie. La fanaleria fu spostata quasi interamente nel paraurti/piastra, in posizione incassata. Una delle configurazioni vettore d’arma più famosa (oltre al BM-30 Smerch) comprende il sistema missilistico di difesa costiera 4K40/4K51 (SSC-3). Le migliorie apportate hanno contribuito notevolmente allo spostamento di tutto l’apparato, comprendente una cabina di comando/controllo/comunicazioni completamente isolata da impulsi elettromagnetici e NBC, pesantemente corazzata contro il fuoco di proiettili a punta esplosiva. Al di sopra vi è l’apparato idraulico di sollevamento del braccio radar. Nella sezione posteriore vi è il doppio case corazzato dei missili. È elevabile per un angolo massimo di 35-40° e, grazie ad un piatto girante a controllo remoto, ruotare di 180° massimi (90° + 90°). I case sono accessibili anche posteriormente per la ricarica campale, compiuta da altri veicoli logistici. La particolare forma del case era dovuta alla forma stessa del missile da crociera, sagomata tenendo conto delle alette stabilizzatrici e del motore sottostante. Ulteriori allestimenti ampliamente usati sono la cabina di comando e controllo delle operazioni e la rampa vettore dei missili S-300. Nello specifico si utilizza un sistema analogo a quello dell’apparato SS-1 Scud ma più semplificato e con l’aggiunta di una cabina blindata per il controllo di tiro. L’incastellatura laterale fu sostituita con un pianale semplice e la rampa elevatrice fu rinforzata a longherone unico, con l’opzioni di aggancio/sgancio dei quattro grandi tubi-case contenenti i missili. Attualmente la versione M sta progressivamente sostituendo la serie A nella maggior parte dei ruoli, ampliandone la modularità. MAZ-543P/ 7910 La versione MAZ-543M, con portata di 19,6t e una profonda rivisitazione della rampa di lancio (compreso il potenziamento dell’apparato di sollevamento idraulico), è stata utilizzata per sistema d’arma 9K76 Temp-S. MAZ-547 /7916 La versione MAZ-547 è caratterizzata da 6 assi, utilizzata come elevatore-trasportatore per il missile balistico SS-20 Saber. Il motore venne portato dietro la cabina e mantiene il D12A-525. dotato di 3 assi sterzanti, trazione 12x10 (nella versione successiva, la 7916, acquisì la trazione 12x12 e perse 40 cm in altezza) con riduttore permanente, potenziato il sistema idraulico di elevazione. La sezione di sinistra della cabina costituisce una zona cava, dove vi trovano alloggio i pannelli di manutenzione del veicolo e il vano d’accesso per il motore. L’evoluzione del 7916 portò alla realizzazione del BMS 7917. Realizzato esclusivamente per il trasporto e il lancio dell’imponente missile balistico intercontinentale RT-2PM “Topol-M” e l’RS-24 “Yars”. Fu riaggiunta la seconda cabina (somigliante al 543A ma con un cofano motore più basso) e fu riprogettato completamente sia il sistema silos di contenimento e trasporto, sia la meccanica. Furono aggiunti due stabilizzatori centrali e due assi trainanti, rendendolo di fatto un 16x16 con riduzione permanente. Il lancio (così come per il 547 e il 7916), non avviene in loco tramite una cabina di controllo ma a remoto dal comando di coordinamento centrale della base, tramite linee di trasmissione protette e comunicazioni satellitari. Vi sono numerose schermature dorsali per il calore provocato dall’accensione del missile, sottoscocca rinforzato, rimozione di parte dello scudo anteriore, nuova fanaleria e un sistema centralizzato antincendio (oltre all’ampliamento della stiva estintori). Gli assi sterzanti sono i primi due assi all’avantreno e gli ultimi tre assi al retrotreno. Una versione identica, il MAZ-7912 (MZKT 79221), è equipaggiata con una trazione 14x12 e svolge il ruolo di “nave cisterna”, sostituendo il silos con una cisterna compartimentata. Sia nel 7916 che nel 7917, il propulsore D12A-525 è sostituito dal diesel YaMZ-847 V12 a quattro valvole per cilindro, 800 cv e 25.860 cc di cilindrata. Alesaggio 140mm x140 mm. Iniezione diretta e gestione carburante tramite ECU, sovralimentazione bi-turbo con intercooler. MAZ-79100 Questa variante viene utilizzato per trasportare il complesso missilistico di difesa aerea S-300 PMU-2, S-400 e S-500. Si distingue dalle precedenti versioni dal ritorno all’uso della cabina a cubatura unica, mantenendo comunque invariato lo chassis. Appurato che la configurazione a doppia cabina o la singola in tandem risultavano superflue per le future dotazioni, si accorciò la lunghezza oltre il primo asse, a vantaggio della mobilità e della manovra. Il motore fu riportato come anticamente figurava nel MAZ 535/537, quindi posteriore sopra il primo asse; fu ripensato quindi tutto il sistema di raffreddamento e il gruppo elettrogeno fu reso mobile (posizionato tra il segmento del radar (anch’esso scarrabile) e la cabina posteriore di controllo. Venne aggiornata la fanaleria e riprogettato l’accesso alla cabina di guida. Gli stabilizzatori laterali anteriori vennero mantenuti come in tutti i modelli, ma quelli posteriori, maggiorati, vennero inseriti direttamente nell’apparato radar (comandi idraulici compresi) e non solidali allo chassis del veicolo. Dopo lo “svincolo” della fabbrica MAZ alla mera produzione di veicoli pesanti civili (in collaborazione con MAN), la sottosezione MZKT bielorussa utilizzò questa versione come base di partenza per tutta la generazione 7428 (l’allestimento a doppia cabina, anteriore e posteriore unica, venne applicato solamente ai mezzi destinati al traino pesante, anche per compensare il peso al posteriore). MAZ-74106 Il traino di imponenti apparati di difesa costrinse i progettisti MAZ ad un miglioramento del sistema trattore-semirimorchio, modificando l’apparato di trasmissione (il quale gli consentiva di scaricare a terra maggiore coppia) e implementando migliorie all’apparato elettrico, in modo da risultare indipendente da fonti energetiche esterne. Questa soluzione permise di ottenere una buona capacità di dispiegamento sul campo e, contemporaneamente, garantire l’approvvigionamento elettrico ai sistemi di sorveglianza/difesa anche in ambienti estremi. Questa variante è usata principalmente per il trasporto del radar di ricerca aerea 64N6 BIG BIRD per l' S-300PM; l’unità motrice utilizza da due a quattro gruppi elettrogeni all’interno di case blindati aggiuntivi, connessi al semirimorchio. Alcune cabine furono sostituite con quelle del modello 79100, successivamente vennero aggiornate come dotazione dalla MZKT, infine venne totalmente sostituito dal MZKT 7428. DATI TECNICI MAZ-543 Anno entrata in servizio: 1967 (modello base A) Fabbricazione: MAZ, MZKT Tipo cabina: Avanzata rispetto al motore Operatori: 2+2 (543A, 7912, 7917), 2 (543M, 547/7916), 3-4 (79100) Codice motore: D12A-525 (543A, 543M, 547) YaMZ-847 (547/7916, 7912, 7917) Layout motore: V12, 4 valvole per cilindro (543A, 543M) V12, 4 valvole per cilindro, iniezione diretta+ECU, biturbo (547/7916,7912, 7917) Accensione primaria: Bruciatore ad aria compressa Avviamento minimo senza pre-start: Meno di 5 gradi Cilindrata: 38,880 cc (543A, 543M) 25,860 cc (547/7916, 7912, 7917) Potenza: 525 CV a 2.100 rpm 800 CV a 2.100 rpm Coppia: 2.206 Nm a 1400 rpm (543A, 543M) 3.090 Nm a 1400 rpm 547/7916, 7912, 7917) Alessaggio per corsa: 150 mm x 150 mm (543A, 543M) 140 mm x 140 mm (547, 7912, 7917) Lunghezza: 11,7 m (543A, 543M) 10,8 m (74106) 18,4 m (7917) 17,3 m (7912) 16,4 m (547) Larghezza: 3,0 m (543A, 543M, 547) 3,2 m (547/7916, 7912, 7917) Altezza:: 3,4 m (543A, 543M) 3,3 m (547, 7912, 7917) 2,9 m (547/7916) Dimensione ruote interasse: 2.2 m + 3.3 m + 2.2 m (543A, 543M) 2.2 m + 2.6 m + 1.7 m (74106) Consumo: 85-120 L / 100km (543A, 543M) 200 L/ 100km (547 e 7917) Multi carburante: si Cap.carburante: 850 L + 60 L per bruciatore Autonomia: 650 km (543A, 543M) 500 km (7917) Trasmissione: Semi-auto con O/D a 3 marce + RM, trazione integrale 8x8, 12x10, 14x12, 16x16 Guado: 1,8 m Max Velocità su strada: 60 km/h (543A, 543M) 40 km/h (547, 7912, 7917) Max Velocità Off-Road: 50 km/h (543A, 543M) 20 Km/h circa (547, 7912, 7917) Max angolo d’attacco: 30 gradi Max angolo d’uscita: 55 gradi Inclinazione laterale: 38 gradi Ostacolo verticale: 700 mm Altezza dal suolo: 450 mm Peso max. totale: 32,3 t (543A, 543M) 40 t (543P) 105 t (7917) 83,9 t (547) Peso tara: Max carico rimorchiabile: 17,3 t (543A, 543M) 21 t (543P) 25,0 t (543A, 543M) 32,0 t (543P) Misuse ruote: 1500, 600, 635 Tipo assi: a cascata di ingranaggi nei mozzi ruota Ponte di trasmissione: riduzione con bloccaggio del giunto centrale a 2 velocità Freni: aria/idraulico con servofreno
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La Ford GPA è un veicolo anfibio, divenuto famoso nella seconda Guerra Mondiale ed entrato nell’immaginario collettivo dei veicoli bellici “terracquei”. Sebbene la sua creazione fu fortemente voluta tra i paesi Alleati, il suo impiego operativo portò a non poche critiche. Fu presentato e prodotto dal 1942 ed era di fatto una elaborazione della famosa Ford GPW. Quando gli Stati Uniti progettarono gli sbarchi nel continente europeo, dovettero scontrarsi innanzitutto con terreni spesso paludosi, ma soprattutto con una vasta quantità di fiumi e terreni limacciosi, specialmente dopo un’esondazione. Risulta chiaro quindi che i classici veicoli a ruote strette, seppur efficienti, avrebbero trovato troppi ostacoli all’avanzamento e una semplice modifica con snorkel non sarebbe bastata; l’utilizzo dei Marines nell’entroterra era fuori discussione da parte dell’U.S. Army e utilizzare gli AMTRAC su terreni difficoltosi non avrebbe apportato nessun vantaggio in termini di logistica. L’unico veicolo che impressionò i militari dell’esercito fu il DUKW, camion anfibio totalmente carenato: sebbene di considerevole stazza, garantiva il trasporto truppe e merci sia su terra che su mare. Il difetto operativo del DUKW era la limitatezza dei compiti, ristretti a semplice spola e sbarco; ciò che serviva era un veicolo simile ma di dimensioni ridotte, capace di guadare fiumi e paludi, utilizzabile per il collegamento tattico di personale, sorveglianza e ricognizione in ogni ambiente. La base di partenza su cui doveva svilupparsi il progetto era l’affidabile Ford GPW “Willys” e le ditte incaricate di realizzarla furono la stessa Ford e la Harmon-Herrington (specializzata nella produzione di veicoli a trazione integrale). Il progetto Ford risultò più conveniente rispetto alla concorrenza e, per l’ulteriore sviluppo, fu incaricato Roderick Stephens (progettista del DUKW) di creare il design finale del mezzo. Il supporto della progettazione fu garantito dalla Sparkman & Stephens inc. yacht designer. Inizialmente il progetto congiunto fu nominato QMC4-1/4 t Light Truck Amphibius, successivamente GPA o “Seep” (Sea Jeep). Già dopo la produzione (frettolosa per motivi bellici) dei primi 5000 modelli iniziarono a diffondersi le prime critiche negative sul mezzo, tra cui il peso, la scarsa acquaticità e le scarse performance su terraferma. Inizialmente i calcoli di progettazione dello scafo vennero fatti sul peso e sul bilanciamento della Ford GPW, ciò che venne omesso di calcolare furono le migliorie interne meccaniche per salvaguardare gli organi di trasmissione e la carena, le quali gravavano di ben 400 Kg sui 1200 Kg della Willys (1600 Kg lordi). Il risultato fu un veicolo veramente poco prestazionale su terra che mise a dura prova il motore compatto, e dalla guidabilità difficoltosa. Sull’acqua, l’eccesso di peso si tradusse in un bordo libero veramente molto basso, limitando quindi il carico e lo stesso movimento su acque appena più agitate (arrivando ad inabissarsi e affondare con le onde marine o torrenti agitati). Bisogna dire però che le richieste avanzate dall’esercito parlavano solamente di un veicolo anfibio leggero su base Ford GPW, non si era mai parlato di sbarco su spiagge o di particolari doti nautiche, ma solamente della capacità di guadare fiumi e di navigare in territori paludosi o con acque stagne (alcune voci in ambienti militari affermano che, in fase di risalita dopo un guado, vi sia una “zona franca”, dove le ruote non hanno abbastanza aderenza per risalire e l’acqua che tocca l’elica non è sufficiente allo sforzo, bloccando il mezzo. Il peso non aiutava). Il risultato fu che nel 1943 cessò di essere prodotta, dopo 12.778 esemplari e il governo americano cancellò i successivi ordini alla Ford. Le azioni più memorabili però avvennero durante lo sbarco in Sicilia (nel territorio italiano diede il meglio di se), in Olanda, in Normandia, nel Sud Pacifico e in Nord Africa; furono utilizzati anche dalla resistenza francese e dall’esercito canadese. Contrariamente agli americani, i russi rimasero pienamente soddisfatti del mezzo e, nel dopoguerra, copiarono il layout della “Seep” e lo istallarono su base GAZ 67 e sulla GAZ 69, successivamente esportate in tutti i paesi del blocco URSS. Da riportare, la curiosa citazione di un ufficiale che ebbe modo di comparare la Ford GPA con la sua diretta antagonista: la VolksWagen Tipo 166 Schwimmwagen. “La Schwimmwagen è una macchina che va in acqua, la GPA è una barca che va in terra”. MOTORE Il mezzo è equipaggiato con un Willys L134 “Go Devil” montato all’anteriore, le stesso motore che spinse la Ford GPW; per la sua creazione, il suo ideatore, Delman Barney Roos, utilizzò come base di sviluppo la versione a media potenza dei motori costruiti dalla MB Willys e vi applicò sostanziali modifiche in termini di prestazioni e durata. Calcolando uno scarico di potenza completamente al retrotreno, il motore risultò al vertice della sua categoria all’epoca, con l’applicazione della trazione integrale riuscì a mantenere alti livelli di performance, sebbene lo sforzo richiesto fu nettamente maggiore. Esso è un quattro cilindri benzina, carburato, con testa a L e al due valvole laterali parallele ai cilindri (rispetto alle classiche valvole in testa, rendeva il motore più basso e stivabile); 2200 cc di cilindrata, 61 cv a 4000 rpm di potenza e 142 Nm a 2000 rpm di coppia. Molte fonti citano come problema l’aspirazione dell’aria durante la navigazione. Durante e dopo lo scivolamento in acqua, le prese d’aria laterali venivano chiuse in favore di una ventilazione forzata sopra il cruscotto e, sebbene lo scarico fu posizionato anteriormente al cofano motore sopra il “ponte di coperta”, ciò causava comunque un forte surriscaldamento del motore. CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE La maggior parte della catena cinematica è la stessa della sua controparte di terra; il cambio è lo stesso manuale GPW 7000 a tre velocità più RM, attraverso un semialbero trasmette il moto ad un ripartitore di coppia a due velocità GPW 7700, garantendo quindi la trazione 4x4 permanente. Lo stesso ripartitore è integrato insieme al riduttore della presa di forza, la quale alimenta in primis l’elica per la propulsione acquatica e in secondo luogo gli apparati “nautici” come la pompa di sentina. L’elica era una tre pale fissa con supporti cuscinettati reggi mozzo dedicati. Il veicolo disponeva inoltre di un argano elettrico da recupero/risalita anteriore e di un’ancora motorizzata posteriore. Spesso per l’ormeggio si usava attraccare con l’argano e usare la fune come cima, in combinazione con l’ancora (avente funzione pressoché stabilizzatrice). Nell’apparato trasmissione, l’aumento di peso che apportò numerosi problemi riguardava (in minor parte) il sistema di astucci cuscinettati per l’albero elica in un tunnel apposito, la presenza della presa di forza e i tubi impermeabili contenenti gli assi di trasmissione, sigillati allo scafo da ghette flessibili per consentire un normale movimento della sospensione. Gli assi erano a ponte rigido con sospensioni a balestra e ruote a camera d’aria, l’impianto frenante si basava su tamburi, senza servofreno. Lo sterzo a tiranti e cremagliera comandava contemporaneamente sia le ruote anteriori sia il timone, in posizione posteriore. Per quanto riguarda i comandi, la leva principale al centro del tunnel di trasmissione comandava il cambio, le due leve a fianco governavano i valori di velocità del ripartitore e le due levette subito dietro inserivano/disinserivano le funzioni nautiche quali l’elica e (separatamente) la pompa di sentina. CABINA Lo scafo fu la causa principale dell’aumento di peso. Per la realizzazione della struttura portante si proposero la Harmor-Herrington con una carena monoscocca portante di chiara ispirazione nautica e lamiere d’acciaio saldate in stile veicolo blindato. La Ford presentò una struttura di stampo automobilistico a longheroni e tubolari di rinforzo, con pannelli a lamiere saldate per lo scafo. La seconda proposta risulto più conveniente per la semplicità costruttiva e per il risparmio di peso di 180 Kg. Il veicolo poteva trasportare 2 operatori + 4 ed era sprovvisto di porte. Come la jeep aveva mantenuto il parabrezza abbattibile, ma con l’aggiunta di un motorino aspirante antipioggia per il lato guidatore e un tergicristallo manuale al lato passeggero. Nella prua vi era uno scudo antispruzzo, ribaltabile all’indietro su terraferma (proteggeva anche l’apparato luci anteriore), la dotazione d’emergenza comprendeva una ruota di scorta e 1-2 taniche di benzina, entrambi stivate nel posteriore per bilanciare il peso. Una volta a terra poteva ospitare 6 soldati con equipaggiamento completo e, all’occorrenza, era possibile istallare sopra il parabrezza (su un’apposita guida) una mitragliatrice cal.30. Il suo utilizzo però era vincolato a terra, per salvaguardare la stabilità del mezzo in acqua e la sicurezza dell’equipaggio. DATI TECNICI Ford GPA Anno entrata in servizio: 1942 Fabbricazione: Ford, Sparkman&Stephens yacht design Tipo cabina: a motore anteriore Operatori: 2+4 Codice motore: MB Willys L134 “Go Devil” Layout motore: 4L aspirato benzina, testa a L a due valvole laterali parallele Accensione primaria: starter elettrico Avviamento minimo senza pre-start: da 0 a -10 gradi circa Cilindrata: 2200 cc Potenza: 61 cv a 4000 rpm Coppia: 142 Nm a 2000 rpm Alessaggio per corsa: 79,4 mm x 111,1 mm Lunghezza: 4,62 m Larghezza: 1,63 m Altezza: 1,75 m (con parabrezza alzato) Dimensione ruote Interasse: 2,13 m Consumo: (dato non trovato) Multi carburante: no (benzina) Cap.carburante: 45 L Autonomia: 321 Km Trasmissione: 4x4, cambio manuale GPW7000 a 3 velocità, ripartitore di coppia a 2 velocità, PTO per elica e pompa di sentina Navigazione: 4,34 nodi Max Velocità su strada: 95 Km/h Max Velocità Off-Road: 25-30 Km/h Max angolo d’attacco: 39 gradi Max angolo d’uscita: 37 gradi Inclinazione laterale: 30 gradi Ostacolo verticale: 200 mm Altezza dal suolo: (dato non trovato) Peso max. totale: 1,6 t Peso tara: 1,1 t Misure ruote: Firestone 200/121 R16 Tipo assi: a ponte rigido Ponte di trasmissione: a cascata di ingranaggi: ripartitore, riduttore e PTO, differenziali Freni: a tamburo, idraulici
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Il Komatsu type 96 (96式装輪装甲車kyuu-roku-shiki-sourin-soukou-sya) è un APC 8x8 giapponese progettato nel 1996. Il requisiti principali della sua realizzazione furono un’alta mobilità unita ad un basso costo di produzione: esso infatti era chiamato a sostituire parte della componente cingolata in dotazione al JGSDF (Forza di Autodifesa Giapponese di Terra). Il progetto fu commissionato alla Defence System Division, settore bellico specializzato della Komatsu Industries nel 1996 ma il sistema d’arma fu messo in servizio solamente nel 2001. Per la sua realizzazione fu utilizzato il know-out accumulato con i veicoli 6x6 type 82 e type 86, ma la vera “ispirazione” arriva con lo studio dell’americano LAV-25, con ovvie applicazioni tattiche. A causa delle restrizioni dovute al Controllo Internazionale degli Armamenti, la produzione del veicolo è composta da piccoli lotti (la legge nipponica vieta la vendita all’estero degli armamenti nazionali). Il “battesimo del fuoco” avvenne nel 2003 supportando le truppe del JGSDF nella base di Semawa e nel 2004 come supporto medico umanitario nella missione NATO in Iraq. Per il trasporto a medio-lungo raggio può essere trasportato dai cargo Kawasaki C-2 e navi veloci da sbarco. MOTORE Il veicolo è equipaggiato con un motore Mitsubishi 6D40 posizionato anteriormente, lato sinistro; ampiamente usato anche nei veicoli industriali civili Fuso. È un 6 cilindri in linea turbodiesel con intercooler, 4 valvole per cilindro, iniezione elettronica diretta e gestione ECU dell’iniezione. 12.023 cc di cilindrata. Capace di 360 CV a 2200 rpm e 1470 Nm a 1200 rpm. CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE La trazione è integrale 8x8 con differenziale centrale bloccabile a due velocità. Sulla tipologia di cambio non vi sono fonti certe. Primo e secondo asse sterzante, sospensioni a barra di torsione, idro-pneumatiche indipendenti con bracci a triangoli sovrapposti. Le ruote sono dotate di CTIS (gonfiaggio centralizzato e regolazione della pressione dei pneumatici). CABINA Gli operatori del veicolo sono due: il pilota e il comandante, seduti in tandem sul lato anteriore destro del mezzo. Nel retro vi trovano posto 8 soldati con equipaggiamento completo. Per l’accesso vi sono cinque botole superiori (di cui una dedicata al pilota e una al comandante) e un portello singolo posteriore, integrato in una rampa abbattibile. Per l’osservazione alla guida, il pilota è dotato di tre piccoli periscopi; nel vano trasporto vi sono delle piccole finestrelle oscurabili per consentire la visione esterna da parte dell’equipaggio. Vi sono tre versioni del mezzo, corrispondenti a tre diverse configurazioni della cabina: Type 96 A - versione base del mezzo, dotato solamente di lanciagranate automatico da 40mm e granate fumogene. Type 96 B - sostanzialmente identica al tipo A, ma con la possibilità di installazione di una mitragliatrice cal.50 BMG e armamento secondario leggero. Aggiornamento dell’apparato di guida e difensivo. Type 96 NBC – dotato di schermatura completa da agenti NBC e impulsi elettromagnetici. La cellula si avvale di filtri per la depurazione dell’aria e vani per tute e kit di decontaminazione. Una sottovariante chiamata NBC Reconnaissance Vehicle ha sostituito gli APC da ricognizione tattica del JGSDF; è equipaggiato con sensori meteo e apparati di auto-decontaminazione, è utilizzato come forza d’intervento rapido in zone contaminate. ARMAMENTO E CORAZZATURA Le armi primarie spaziano dal lanciagranate automatico da 40mm o in alternativa una mitragliatrice Browning M2HB (cal.50 BMG), nell’anello della terza botola è possibile istallare una mitragliatrice da 7,62mm. Per azioni diversive e/o di disimpegno è dotato di due batterie da quattro granate fumogene ciascuna. Per quanto riguarda la componente difensiva, lo scafo è costituito da acciai alto-resistenziali contro mitragliatrici di grosso calibro (fino al 14,5mm) ma non vi è certezza sulla presenza di uno scafo a “V”, rendendolo di fatto sensibile agli IED. La suite elettronica è composta da jammer e disturbatori di frequenze, nonché di allarmi anti-puntamento laser. Sebbene oramai tutti gli APC adottino un sistema di periscopi all’avanguardia per il comandante, il type 96 utilizza le ormai datate cupole blindate (così come il pilota) con visione periferica di 360°. Solo nelle versioni più recenti si possono istallare periscopio passivo, ma esclusivamente per la visione notturna. DATI TECNICI Komatsu Type96 Anno entrata in servizio: 2001 Fabbricazione: Komatsu Tipo cabina: A motore avanzato Operatori: 2 + 8 Codice motore: Mitsubishi 6D40 Layout motore: 6 cilindri in linea, turbodiesel con intercooler, 4 valvole per cilindro Accensione primaria: elettronca Avviamento minimo senza pre-start: -10 gradi Cilindrata: Potenza: Coppia: Alessaggio per corsa: 135 mm x 140 mm Lunghezza: 6,84 m Larghezza: 2,48 m Altezza:: 1,85 m Dimensione ruote Interasse: (dato non trovato sulle fonti) Consumo: (dato non trovato sulle fonti) Multi carburante: si Cap.carburante: (dato non trovato sulle fonti) Autonomia: 500 km Trasmissione: 8x8, (dati sul cambio non trovati) Guado: 1,5 m Max Velocità su strada: 100 Km/h Max Velocità Off-Road: 55 km/h circa Max angolo d’attacco: (dato non trovato sulle fonti) Max angolo d’uscita: (dato non trovato sulle fonti) Inclinazione laterale: (dato non trovato sulle fonti) Ostacolo verticale: (dato non trovato sulle fonti) Altezza dal suolo: Armamento: (dato non trovato sulle fonti) 1x lanciagranate automatico da 40mm o 1x mitragliatrice ca.50 BMG 1x mitragliatrice 7,62mm 2x4 lanciafumogeni Peso max. totale: 14,6 t Peso tara: 12,5 t Misure ruote: (dato non trovato sulle fonti) Tipo assi: indipendenti a barra di torsione Ponte di trasmissione: differenziale centrale bloccabile a 2 velocità, a cascata di ingranaggi Freni: idropneumatici
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Ho avuto modo di vederla dal vivo come componente attiva in un G36, gran bell'ottica.
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HPBT ti riferisci per caso alla Elcan Spectre?
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Vorrei potervi dare informazioni più precise ma, piuttosto di dire cialtronerie, aspetto di avere/trovare qualche dritta in più.
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Ebbene si, esiste e deriva concettualmente dal dispositivo Trophy Active Protection System della Rafael (per info http://www.rafael.co.il/Marketing/349-963-en/Marketing.aspx).L'unica differenza è che la versione nipponica utilizza (o dovrebbe farlo) lo stesso veicolo come unità polarizzata, ottenendo di fatto un campo magnetico. alcuni dubbi mi sorgono dalla mole di energia richiesta per l'utilizzo ma da molte voci si ritiene che sia in fase di test sul campo. La portata del campo magnetico, l'interazione di tale sistema con altri dispositivi elettronici e la sua reale efficacia rimane ancora top secret. Se qualcuno trovasse maggiori informazioni ne sarei più che felice. Rispondendo a Vorthex, il Jieitai ha già una componente MBT nel suo organico, ma essi fanno base direttamente in madrepatria e non possono essere dislocati nelle isole per motivi logistici. Ricordo inoltre che le isole Senkaku non possono essere occupate militarmente via terra e costituiscono una zona "neutrale" sotto giurisdizione nipponica (e stiamo parlando di isole non più grandi di due città al massimo). Quindi l'idea cardine in casi di emergenza è svolgere attacchi via mare con conseguenti sbarchi di veicoli blindati ruotati).
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Il Mitsubishi MHI MCV ( 機動戦闘車 kidou-Sentou-sha? ) è il frutto di un requisito strategico della Difesa giapponese. Lo si può inquadrare come caccia-carri di chiara ispirazione all’italiano B1 Centauro. Per capire i perché della sua progettazione e costruzione è necessario approfondire i problemi strategici giapponesi. Fra il Giappone e la Cina vi sono tuttora forti tensioni militari per la questione delle isole contese. In vista di un improbabile ma possibile attacco cinese, la Difesa giapponese protende logicamente per una capacità di reazione e intervento rapido in un qualsiasi punto dell’arcipelago orientale, in modo da contrastare la forza d’invasione direttamente in mare, sul territorio isolano o sbarcando con i Marines per il ripristino del controllo litorale. Le isole disabitate di Senkaku in questione fanno parte dell’arcipelago Ryukyu, il quale comprende le isole di Ishigaki e Naha. Dopo il ritiro americano nel 1972, furono poste sotto l’amministrazione giapponese; la proprietà (e relativo sfruttamento della pesca, petrolio, gas naturale e rotte nautiche) di tali isole è tuttora rivendicata dall’RPC (Repubblica Popolare Cinese) e dalla RDC (Repubblica Della Cina) ossia Taiwan. Secondo la decisione dell’ONU del 1972, dal Trattato di pace di San Francisco e del Trattato di Revisione delle Okinawa, il controllo delle isole fu affidato al governo nipponico, il quale assegnò la giurisdizione al comune di Ishigaki e, per non turbare il Consiglio cinese, ne fu proibito lo sfruttamento petrolifero e delle risorse in generale. I diritti di Tokyo sulle isole non furono riconosciuti dall’ RPC e da Taiwan, le quali non avevano firmato il trattato di San Francisco. I cinesi sostennero che, dal punto di vista storico, farebbero parte di Taiwan; dal punto di vista geologico le isole non farebbero parte delle Ryūkyū, dalle quali sono separate dal canale di Okinawa. Il governo di Taiwan protestò ufficialmente con gli Stati Uniti definendo un errore l'assegnazione delle Senkaku al Giappone. Nello stesso periodo si registrarono diverse manifestazioni di espatriati cinesi negli Stati Uniti per la restituzione a Taiwan delle isole. Il governo americano ribatté che aveva restituito il diritto di amministrazione delle isole a Tokyo, ma non si era pronunciato sul diritto di sovranità. Nel 2005 il Giappone firmò un accordo che prevede la risoluzione di eventuali conflitti sotto completa responsabilità nipponica, senza che il governo americano ne venga in alcun modo coinvolto. La situazione precipitò nel 2012 con l’attacco nipponico ad una nave di attivisti anti-giapponesi scortata da 5 vedette della Marina di Taiwan, l’arresto di 14 attivisti sbarcati nelle Senkaku e movimenti di protesta violenti in Cina e a Taiwan contro “l’occupazione” giapponese. Nel 2013 il governo cinese dichiarò le Senkaku "zona di identificazione" dell'aeronautica militare cinese, provocando le ire del governo giapponese. Tale decisione, che farebbe ricadere l'arcipelago nella zona di pattugliamento militare di Pechino, ha spinto gli Stati Uniti a schierarsi con il Giappone: due bombardieri B-52 americani hanno sorvolato le isole il 26 novembre, sfidando il governo cinese, secondo il quale tale operazione è una violazione dello spazio aereo nazionale. Ritornando al veicolo, risulta chiaro che, in supporto alla fanteria, l’utilizzo degli MBT risulta non solo lento, ma tatticamente sconveniente visti i tempi, le risorse e lo scenario in cui si va ad operare. La richiesta del Ministero della Difesa è quindi un veicolo “leggero”, ad alta mobilità ma pesantemente armato e soprattutto facilmente trasportabile via mare e via aria, di costo contenuto rispetto ad un MBT e dalla logistica semplificata. Per lo studio di tale progetto l'istituto di ricerca e sviluppo giapponese e il Ministero della Difesa si è affidato alla divisione pesante della Mitsubishi quale la MHI. L’avvio del programma MCV iniziò nel 2008 e fu presentato al pubblico dell’Eurosatory il 9 ottobre del 2013. Attualmente (2015) sono in corso le prove di valutazione ed entro la fine del 2016 inizierà l’acquisizione del sistema d’arma. Veicolo considerato anche per l’esportazione (dovuto all’apertura militarista del governo giapponese); insieme al caccia-carri fu presentata anche una versione APC e di soccorso medico. Può essere trasportato via aria dai cargo Kawasaki C-2 e via mare tramite aliscafi e navi da sbarco veloci. Con la sua produzione si prevederà il pensionamento della componente MBT più vecchia in servizio, stimata in 200/300 veicoli, entro il 2018 e i nuovi mezzi del lotto di produzione verranno disposti nelle isole del sud come difesa primaria di pronto impiego. La componente di carri armati pesanti sarà ridotta da 760 a 390 veicoli e saranno dislocati nelle maggiori isole: quella di Hokaido e quella di Kyushu MOTORE Il propulsore è un diesel Mitsubishi MHI-4VA, sovralimentazione turbo, quattro cilindri in linea a quattro valvole per cilindro. Con potenza di 543 CV a 2100 rpm. Attualmente (2015) non sono pervenute fonti su ulteriori dati, né risultano esistenti immagini di tale motore. I dati in questione provengono dalla MHI (Mitsubishi Heavy Industries) e da fonti di presentazione ufficiali. Il power unit è posizionato all’anteriore del veicolo nel lato sinistro, lasciando quindi in vano destro per gli organi di guida del conducente. CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE Anche a questo proposito non sono al momento disponibili molti dati. Per quanto riguarda la trazione è un 8x8 con differenziale centrale bloccabile a due velocità. Dotato di sospensioni idro-pneumatiche indipendenti con braccia a triangoli sovrapposti, prodotte dalla Daikin Industries. Il controllo della pressione dei pneumatici è centralizzato CTIS. Il primo e secondo asse sono sterzanti. CABINA Il veicolo necessita di quattro operatori (un pilota, comandante, caricatore e cannoniere/mitragliere in torretta). La geometria interna ricalca quella del Centauro, con la differenza che il pilota si trova al lato destro del vano motore. Il pilota dispone di periscopio subito sopra alla sua postazione a destra del cannone e di una botola d’uscita dedicata a scorrimento. La cellula garantisce la sopravvivenza dell’equipaggio in condizione NBC e antincendio, utilizza schermature elettromagnetiche. ARMAMENTO E CORAZZATURA La torretta è collocata in posizione centrale posteriore dello scafo; ha tre operatori: comandante cannoniere/mitragliere e caricatore. Il comandante ha accesso ad un periscopio indipendente dalla torretta, dotato di zoom ottico 24x, girostabilizzato, con visione a 360 gradi, anche a visione infrarossa e termica. Utilizzato in combinazione al sistema di puntamento principale consente l’ingaggio selettivo manuale degli obiettivi. Nel lato posteriore della torretta vi sono gli apparati radio, antenne (una per lato), parte della riserva di munizioni, termocamere esterne, calcolatori di tiro digitali, telemetri laser e il sensore ambientale sviluppato dalla Thales. L’MCV è armato principalmente con un cannone ad anima rigata da 105mm con freno di bocca, manicotto termico e estrattore di fumi (si prevede in futuro la dotazione a 120mm) ed è compatibile con il munizionamento nato da 105mm e Sabot. Il caricamento/estrazione avviene manualmente ma in vista dei nuovi progetti di munizionamento, è prevedibile l’adozione del più moderno sistema di ricarica/espulsione automatica. Il dispositivo di puntamento prende ispirazione dall’americano MBT M1 Abrams e prodotto dalla Goodrich Corp. Alcune fonti attribuiscono la capacità di trasporto delle munizioni analoga a quella del C1 Centauro: 40 colpi nello scafo e 15 in torretta Il cannone deriva dall’inglese L7 da 105 ma con un basso rinculo e un più facile sistema di armamento; prodotto dalla Japan Steel Work Ltd. Le armi secondarie comprendono una mitragliatrice 7,62mm coassiale al cannone accoppiato ad un FCS computerizzato e una mitragliatrice cal.50 BMG sul rail presente nel tetto (o in alternativa un’altra mitragliatrice da 7,62mm). L’armatura è costituita da una cellula di sicurezza in acciaio alto-resistenziale, resistente contro i proiettili perforanti da 14,5mm. Sopra alla cellula vi è una piastrellatura balistica modulare facilmente sostituibile in caso di danneggiamento. L’MCV si avvale di difese reattive e scafo anti IED. La componente di difesa elettronica usa campi elettromagnetici semisferici per la detonazione a distanza degli RPG e avvisatori di puntamento laser. DATI TECNICI Mitsubishi MCV 8x8 Anno entrata in servizio: 2016 (teorica) Fabbricazione: Mitsubishi MHI Tipo cabina: A motore avanzato Operatori: 4 Codice motore: MHI4VA Layout motore: 4 cilindri in linea, turbodiesel, 4 valvole per cilindro Accensione primaria: elettronica Avviamento minimo senza pre-start: (dato non disponibile) Cilindrata: (dato non disponibile) Potenza: 543 CV a 2100 rpm Coppia: (dato non disponibile) Alessaggio per corsa: (dato non disponibile) Lunghezza: 8,45 m Larghezza: 2,98 m Altezza:: 2,87 m Dimensione ruote Interasse: 1,60 m + 1,45 m+ 1,45 m Consumo: (dato non disponibile) Multi carburante: si Cap.carburante: 500 L circa Autonomia: 400 km Trasmissione: Armamento: 8x8, (dati su cambio non disponibili) 1x Cannone ad anima rigata da 105mm, con freno di bocca, manicotto termico ed estrattore fumi 1x mitragliatrice coassiale da 7,62mm 1x mitragliatrice agg. Da 7,62mm o .50 BMG Guado: 1,5 m Max Velocità su strada: 100 Km/h Max Velocità Off-Road: 55 km/h circa Max angolo d’attacco: 42 gradi Max angolo d’uscita: 38 gradi Inclinazione laterale: 30 gradi Ostacolo verticale: 600 mm Altezza dal suolo: 417 mm Peso tara: Peso totale: 25 t 28 t Misure ruote: Michelin 395/5 R20 Tipo assi: indipendenti Ponte di trasmissione: a cascata di ingranaggi, differenziale centrale bloccabile a 2 velocità Freni: idro-pneumatici
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Avrebbero dovuto esserlo ma, come scritto nell'articolo, nessuno vuole andare incontro a certi costi per un veicolo a scopo tattico. In risposta si, cash permettendo avrebbero tutte le potenzialità per superare la tecnologia americana.
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figurati però è un vero peccato che nessun altro stato abbia scommesso sul SEP.. come piattaforma di sviluppo avrebbe potuto dare una spinta notevole all'uso dell'ibrido, oltre ai dimostratori si intende.