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VolksWagen 166 SchwimmWagen I veicoli che durante la Seconda Guerra Mondiale poterono vantare una capacità realmente anfibia erano veramente pochi, spesso arrivati allo stadio sperimentale e li rimasti fino ai giorni nostri. Da un lato i cingolati fecero un notevole passo avanti, dall'altro i ruotati conobbero difficoltà progettuali non da poco. Gli alleati scoprirono le problematiche dell'ambiente continentale europeo a guerra iniziata e si apprestarono ad allestire la GPA (vedasi articolo precedente). I tedeschi possedevano già dal 1940 un mezzo che, ad oggi, rimane un cult dell'ambiente terraqueo; fu di fatto l'unico rivale della Ford GPA ma dalle prestazioni e caratteristiche totalmente diverse. Per capire la differenza rispetto all'avversaria alleata bisogna risalire ai compiti loro assegnati: La GPA partì da un'eccellente base fuoristradistica ma, la struttura dello scafo derivata da un mezzo pesante a sua volta modificato (il DUKW) ne fece invece una buona imbarcazione da acque ferme con capacità di trasporto materiale perdendo la maggior parte delle doti del fuoristrada originarie, con tutte le limitazioni del caso. La SchwimmWagen non aveva pretese sulle qualità nautiche e non doveva trasportare alcun materiale se non la pattuglia in esplorazione e l'impostazione derivò dalla VolksWagen KubelWagen e type 87, non molto ferrata in condizioni estreme. Il progetto a cui Ferdinand Porsche lavorò mirava innanzitutto a renderla un fuoristrada vero, soprattutto contemplando la conformazione degli argini fluviali e delle zone a tratti limacciosi circostanti agli alvei. A tutto ciò dovette seguire la capacità di spostarsi in acqua con sistemi facilmente sostituibili in caso di rottura e che non intralciassero i movimenti in terraferma, anche se ciò (come emerse dall'uso) penalizzò non poco le prestazioni nautiche. Il primo prototipo e gli esemplari di pre-serie vennero nominati modello 128, dove venne sperimentato il design galleggiante curato da Erwin Komenda. Approvato il progetto, nel 1941 venne prodotto su vasta scala il modello definitivo, il modello 166, da li adottato ufficialmente dalla Wehrmacht fino al 1944 in circa 15584 unità. Gli impianti produttivi principali erano la Stadt des KdF Wagen a Fallersleben/Wolfsburg e in minima parte dalla Porsche a Stoccarda; lo scafo veniva infine assemblato presso le aziende Ambi Budd a Berlino. Le unità presero parte ai combattimenti in tutti gli scenari bellici della Seconda Guerra Mondiale, tanto da venire schierata con successo (e paradossalmente per un veicolo anfibio) in Nord Africa grazie alla sua leggerezza ed efficienza. In definitiva, la SchwimmWagen si fece apprezzare per le sue doti di fuoristrada piuttosto che per le capacità natatorie (complice la bassissima velocità in navigazione e la mancanza di un timone), la quale esponeva gli operatori a bordo a grandi rischi in situazioni di combattimento. I primi mezzi equipaggiarono la 1° divisione corazzata, nello specifico il 37° battaglione pionieri. La produzione cessò a causa dei bombardamenti delle fabbriche VolksWagen e per la mancanza di materie prime e operatori all'assemblaggio, operazione questa considerata da molte fonti come più artigianale che industriale, data la complessità del mezzo. MOTORE Il motore era posteriore longitudinale 4 cilindri boxer benzina, 1131 cc di cilindrata, 24,5 cv a 3000 rpm, raffreddato ad aria, con radiatore dell'olio nel condotto dell'aria forzata e alimentazione tramite singolo carburatore. Il vano motore era completamente ermetico per non rischiare l'ingestione di acqua esterna, anche perchè il motore risiedeva sotto la linea di galleggiamento. Il consumo si attestava sui 8,5 L/100Km CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE Per la movimentazione su terra, si avvaleva di una trazione 4x4 permanente, con ripartizione agli assi di 50-50%. Il cambio era un ZF manuale non sincronizzato a 4 velocità + RM, accoppiato ad un differenziale sempre ZF centrale bloccato a doppia velocità. Al fine di evitare l'istallazione di ulteriori riduttori, soluzione pesante e che andava a penalizzare lo spazio sotto scocca, fu deciso di inserire le riduzioni direttamente nei mozzi ruota, a tutto vantaggio dello stress meccanico causato dalle risalite degli argini. L'asse sterzante era anteriore e su tutti gli assi erano presenti sospensioni a balestra. I freni erano tutti a tamburo e le ruote erano state ideate su misura del mezzo. Per la movimentazione acquea, si utilizzò un sistema ingegnoso, semplice ma molto poco efficiente. Mentre la Ford GPA si dotò della classica e molto nautica trasmissione in linea d'asse, offerta dalla PTO pescante il movimento dal differenziale centrale, sulla SchwimmWagen si istallò una PTO dal lato opposto del cambio, vincolata alla carrozzeria esterna tramite guarnizioni e tri-dentata. Il concetto di base fu vincolare un braccio ribaltabile alla carrozzeria, sostenente un'elica a tre pale in acciaio, intubata per protezione. Tale braccio veniva ripiegato verso l'alto durante la marcia in terraferma permettendo l'ottima dote fuoristradistica sopra citata; al momento dell'utilizzo, essa veniva ripiegata verso il basso e serrata in tale posizione permettendo ai denti della PTO di fare presa su una puleggia di uguale geometria dentata. All'interno del braccio, la puleggia muoveva l'elica tramite una cinghia. La soluzione aveva il preggio di essere sempre e facilmente sostituibile in pochi secondi e di non gravare eccessivamente sul peso del mezzo. Di contro, era terribilmente poco efficiente perchè, nella fase di stallo tra la risalita e l'abbandono dello specchio d'acqua, mantenere l'elica immersa avrebbe causato la sua rottura mentre l'uso della trazione gommata non assicurava affatto la presa sul terreno. Inoltre cosa peggiore, non permetteva nessuna azione sterzante, se non quella degli operatori muniti di pagaia; altro punto dolente fu che non permise l'inversione di marcia. In quanto a prestazioni, aveva una velocità massima di circa 80 Km/h, 10 Km/h con la marcia ridotta inserita; in acqua ferma poteva navigare fino a 10 Km/h. CABINA E TELAIO Il modello 166 era lunga 3,82 m, larga 1,48 m e alta 1,61 m a capote chiusa. Il peso a vuoto era di 0,91 t per un peso massimo di 1,35 t. Rispetto al modello 128 (basato sulle dimensioni della KubelWagen), fu accorciato il passo da 240 cm a 200 cm, a seguito di una riduzione di lunghezza per migliorare le prestazioni di risalita (con pendenza del 65% a 2000 rpm) e la rigidità torsionale. A differenza dello schema costruttivo tipico di quegli anni, venne utilizzata una scocca portante “a ciambella”, ossia formata da una cintura ad anello galleggiante intorno al veicolo che a differenza della GPA doveva garantire la galleggiabilità in condizioni limite. Il vano vuoto anteriore ospitava due serbatoi di carburante da 25 L l'uno e sopra di esso era alloggiata la ruota di scorta. Le fiancate non possedevano portiere e ciò permetteva il fissaggio di remi, attrezzi per il disimpegno e cavi per il traino. Dietro la cabina aperta c'era l'intelaiatura ripiegabile per la capote in tela e trasversalmente la marmitta di scarico. Lungo tutto il perimetro, ad eccezione della zona posteriore, era presente un respingente tubolare metallico raccordato ai parafanghi. Internamente, era studiata per ospitare 4 operatori armati. ARMAMENTO E PROTEZIONE Il progetto base non prevedeva armamento (al di fuori della dotazione personale dei militari a bordo) in quanto considerato veicolo da esplorazione, anche se in alcune furono istallate mitragliatrici MG42 e MG34 sul lato anteriore destro. In ogni caso era un mezzo totalmente privo di blindatura e per questo tali armi erano usate solamente a scopo difensivo. http://www.schwimmwagen.ch/italiano/story_I.html https://en.wikipedia.org/wiki/Volkswagen_Schwimmwagen
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Secondo la classificazione d'altura, assicura la tenuta al vento forza 8 e ad onde con altezza massima di 4 metri. Tenendo conto però che è stata progettata prima del '98 (e quindi con caratteristiche personalizzate dal cantiere) credo regga un pelo di più. I Cantieri Navali del Golfo sono abbastanza tirchi in fatto di informazioni al pubblico.. spero in qualche aggiornamento di qualche carabiniere imbarcato..
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Motovedetta classe 800 (Carabinieri) La classe 800 è la punta di diamante della componente alturiera in forza al Servizio Navale nell'Arma dei Carabinieri. Progettata negli anni '90 dai Cantieri Navali del Golfo di Gaeta, ed entrata in servizio effettivo nel 1994, svolge le mansioni di pattugliamento costiero, d'altura e nelle acque interne; controllo sulle attività di pesca e inquinamento; appoggio e assistenza ai carabinieri subacquei; soccorso in mare; collegamenti con i comandi dell'Arma dislocati nelle isole, in assenza o interruzione dei servizi di trasporto civili e trasporto di ufficiali comandanti e magistrati. All'attivo sono in servizio 27 motovedette. CARENA E STRUTTURA La carena è una semi-dislocante, tipica per le imbarcazioni d'altura ma che sa coniugare l'ottima tenuta a mare con l'alta velocità in planata; lunghezza fuori tutto di 17 m, larghezza di 5 m e 1,85 m di pescaggio e dislocamento di 30 t; realizzata in fibra aramidica ARAMAT 72K. La linea dell'opera viva presenta una superficie pulita, senza stabilizzatori o pattini laterali. Sul tagliamare nel dritto di prora è presente l'occhio di cubia, dalla quale spunta l'ancora hall. A poppavia sotto la carena, sono presenti due astucci e due supporti reggi-albero, due timoni semi-compensati seguono l'inclinazione della carena, con un deadrise di 20° alla base dello specchio di poppa è presente una pedana con funzione di spiaggetta/recupero. Gli scarichi motori e le prese a mare sono situate sul bagnasciuga nella sezione centrale poppiera, in linea con lo spigolo di carena. Il bordo superiore è rientrante verso l'interno orlato dal parabordo. Il ponte è piatto, con due battagliole sul fianco di dritta e di sinistra, un pulpito aperto dotato di pennone e tientibene in acciaio ai giardinetti e in poppa. Verso prora sono presenti gli organi di salpamento e i boccaporti, mentre a circondare la tuga è presente un paraonde interno, realizzato per l'evacuazione rapida di eventuale acqua imbarcata con il mare mosso senza che questa raggiunga la tuga o il pozzetto frontale (dove hanno sede i respingenti e l'affusto per le armi di bordi). A poppavia, due supporti verticali posizionati sopra il cofano d'areazione della sala motori ospitano un RIB da 4 m le cui operazioni di calata e recupero sono gestite da un derrick su affusto abbattibile al giardinetto di dritta. A fianco del cofano d'aerazione sono presenti due gavoni per lo stivaggio delle zattere di salvataggio, mentre a poppa vi sono i boccaporti d'accesso alla sala macchine e a sinistra il supporto per l'antenna VHF. La tuga in alluminio possiede la tipica conformazione frontale della componente alturiera, dotata quindi di vetratura inclinata verso l'interno. Ai fianchi sono presenti due portelli per l'accesso mentre a poppavia di essa sono presenti le prese d'aria per l'alimentazione dei propulsori. Nel retro della tuga, una scaletta porta gli operatori nel fly bridge dotato di contro plancia di pilotaggio, protetto da generose vetrature sempre inclinate rientranti verso il basso. Tramite supporti laterali strutturali, un tendalino fornisce protezione al fly bridge mentre il rollbar funge da piano per la suite elettronica e la segnalazione luminosa, la cui sommità è raggiungibile tramite una scaletta d'acciaio posta a poppavia. I locali interni sono studiati per un equipaggio di cinque operatori. APPARATO DI PROPULSIONE La propulsione è data da due motori paralleli sullo stesso piano. Ogni motore è un Iveco-AIFO 8291 SRM, V12 diesel con sovralimentazione bi-turbo raffreddati ad acqua, 1000 cv a 2100 rpm, alesaggio 145 mm x corsa 130 mm, 25800 cc di cilindrata, Pompa dell'iniezione Bosch Type P, iniezione diretta Bosch, doppio filtro carburante per bancata, distribuzione ad aste e bilancieri, raffreddamento ad acqua di mare/dolce tramite fasci tubieri e cassa di compenso. I propulsori sono accoppiati a due riduttori/invertitori ZF1900A con trasmissione V-drive, due eliche in bronzo a 3 pale a passo fisso. Sul piano delle prestazioni, l'autonomia è di 500 miglia nautiche alla velocità di crociera di 25 nodi, velocità massima di 37 nodi SISTEMI DI NAVIGAZIONE La suite elettronica è composta da un radar GEM SC1005/RDA e Supernet, un ecoscandaglio Furuno FCV-612, GPS Autohelm Navcenter 300, e radio VHF Sailor RT2048. Inoltre è presente a bordo apparato di comunicazione CB e chart-plotter per la navigazione automatica. APPARATO OFFENSIVO E DIFENSIVO Tralasciando la dotazione personale degli operatori dell'arma, la bocca di fuoco primaria è una mitragliatrice Beretta MG 42/59, montata su un affusto abbattibile sul pozzetto di prora davanti alla tuga. https://www.youtube.com/watch?v=DVJb2xHiNzg http://www.portaledifesa.it/forum/showthread.php?tid=1601 http://www.carabinieri.it/arma/oggi/mezzi/l%27arma-naviga/motovedetta-classe-800 http://www.milistory.net/forum/mezzi-dotazione-allarma-dei-carabinieri-vt9983-3.html IvecoAIFO.Pdf
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Sistemi segnalazione posizione sottomarino in emergenza
Rommel ha risposto a mark01 nella discussione Marina Militare
Che io sappia, come tutte le navi superiori ai 20 metri e che navighino senza limiti dalla costa, dovrebbero avere a disposizione una boa GPS EPIRB che si sgancia dall'imbarcazione e risale in superficie. Altro non mi viene in mente -
La storia non si fa ne con i se, ne con i ma, però se la Sikorsky non creava l'S-64 l'esercito aveva in programma la sua adozione. Come detto nell'articolo, bisogna capire il contesto nel quale gli Overland train naquero: gli aerei cargo non erano capaci come quelli odierni, le navi non portavano merci nell'entroterra in mezzo alle zone desertiche e la creazione di linee ferroviarie comportava un eccessivo dispendio di soldi ed era sempre troppo limitato. Certo, non era per nulla un veicolo destinato ad operare nell'asfalto e se solo questo era il problema gli australiani fanno scuola. Doveva attraversare in lungo tundre e deserti, senza possibilità di rifornimento dove non vi era anima viva. Il mimetismo poi non serviva, visto che non era chiamato ad operare al fronte ma nelle retrovie delle retrovie in patria. sarebbe tornato molto utile però se, in caso di conflitto, si sarebbero dovuti trasportare batterie di missili dalle fabbriche ai lanciatori, o per esempio trasportare centinaia di tonnellate di proiettili navali dalle fabbriche in Texas ai porti della California. Per il passaggio attraverso ostacoli naturali, era progettato appositamente per farlo. Per il passaggio attraverso ranch e campi beh.. erano gli anni '60 e '70. l'agricoltura non era minimamente come quella odierna e in piena Guerra fredda i problemi erano ben altri. Fraintendi le mie parole. Volevo solamente far intendere che per l'epoca in cui tutte queste cose vennero realizzate, sembrano quasi opere colossali, difficili anche solo da concepire mentalmente anni prima e che tuttora oggi, a guardarle, lasciano chiunque sbalorditi e impressionati
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Motovedetta classe Mangusta Un deciso cambio di rotta e la volontà di riunire in una singola imbarcazione i compiti di svariate unità troppo specializzate per ricoprire ogni ruolo. Questi due punti sono la chiave per capire i perchè di una motovedetta costiera tecnologicamente al passo con i tempi e dalle ottime qualità nautiche. La classe Mangusta va a rimpiazzare ben tre classi di pattugliatori costieri, quali: la Zhuk (entrata in servizio nell'armata rossa nel 1961 e dismessa nel 1991), la Stenka (entrata in servizio nel 1967 e ritirata nel 1990) e sostituire progressivamente la classe Svetlyak, in servizio dal 1988. Il deficit dei tre citati pattugliatori fu quello di esseri ben armati e lenti, di fatto classificabili come moto-cannoniere costiere; ruolo che mal si addiceva ai compiti di pattugliamento leggero dato l'eccessivo costo operativo, l'esagerata proiezione di forza nei compiti di patroling del traffico marittimo e le scarse prestazioni, necessarie durante le operazioni di intercettazione (aspetto molto curato dal Border Guard service dell'FSB). Il non facile compito di coniugare la molteplici facce di una sola unità, che soddisfi la marina russa e l'FSB fu affidato alla Vympel, insieme alla Almaz Central Marine Design Bureau nel 2001 con la denominazione di progetto 12150. Il prototipo con compiti operativi ricevette il codice di matricola PSKA-600, seguito da una unità nel 2004, due nel 2005, una nel 2007, una nel 2008, tre nel 2009, nove nel 2010, due nel 2011, sette nel 2012, tredici nel 2013, cinque nel 2014, sei nel 2015, nove nel 2016 e infine sei nel 2017 (anno corrente). Tra i progetti non realizzati figurano la 12151 (motovedetta lanciamissili) e la 12152 (motovedetta disarmata). I compiti nella quale è chiamata ad operare in aree costiere nel monitoraggio del traffico commerciale marittimo, controllo sulla pesca, presidio di aree portuali e SAR. Il primo compito operativo assegnatogli fu il dispiegamento nel dicembre 2009 lungo i confini marittimi dell'Abcasia al largo del porto di Ochamchira in supporto alle autorità locali. Attualmente la classe Mangusta è schierata nella marina russa in tredici esemplari nella flotta del baltico, diciassette unità nella flotta del Mar Nero, un esemplare nella flotta del nord, otto nella flotta del pacifico e dieci nella flotta del Mar Caspio. CARENA E STRUTTURA Lo scafo è formato da una carena planante a V profonda, da 19,45 m fuori tutto, 4,40 m di larghezza con un pescaggio di 0,89 m a vuoto e 1,16 m a pieno carico. La prora si presenta molto slanciata in avanti, con i profili di carena che partono dal dritto di prora all'estrema poppa; Le murate sono raccordate al tagliamare con un notevole affinamento, in virtù delle alte prestazioni, con 3+1 oblò sui masconi,non apribili per l'illuminazione dei locali; sono presenti due respingenti orizzontali appena sopra lo spigolo. La parte inferiore della carena non presenta timoni e flap, mentre nella parte inferiore dello specchio di poppa sono istallati gli organi di controllo idraulici della trasmissione Arneson e gli scarichi motori soffianti, per la ventilazione delle eliche durante la navigazione in dislocamento. Sopra di esse, una lunga pedana sospesa permette le operazioni di imbarco, sbarco e alloggiamento del RIB situato nel ponte poppiero inclinato, quest'ultimo di 4 o 6 m dotato di motore fuoribordo Mercury, allo scopo di eseguire eventuali abbordaggi o compiere operazioni SAR. Il ponte è a sbalzo, dove a prua sovrasta gli alloggio (comunicanti con l'esterno tramite tre boccaporti) e dove sono presenti le bitte per la gestione dell'ancora Bruce, filata dal pulpito di prora. I camminamenti laterali collegano la prora alla poppa tramite brevi scalinate; la piattaforma centrale è rialzata rispetto ai camminamenti (protetti verso l'esterno da due pannellature a prosecuzione delle murate) per consentire maggiore spazio sottocoperta. La piattaforma è utilizzata come deposito per attrezzi di rispetto o molto più spesso come base per l'affusto di sistemi d'arma. Lungo il perimetro esterno, sono presenti tientibene ai giardinetti secondo il profilo discendente della poppa e un tientibene sul pulpito di prua; nella zona dei masconi sono presenti due battagliole raccordate al pulpito. Sul lato di sinistra prodiero inoltre è presente l'affusto dell'antenna MF e HF. Il dislocamento è di 23,6 t a vuoto per tutte le versioni, 27,2 t a pieno carico e 30,8 t per la 12150M. La tuga è incassata, situata in posizione centrale e di dimensioni molto contenute senza contro plance esterne e accessibile tramite due portelli laterali, nel cui tetto è fissato l'albero della suite elettronica. L'interno, cosa rara in imbarcazioni russe destinate a scopi militari, è molto curato e, anche come requisito costruttivo, nella sua progettazione è stata posta particolare attenzione al comfort, sia alla guida che nell'alloggio dei 3-6 operatori. In prora sono presenti le brande, i servizi igienici e un piccolo cucinino, il quale insieme ad un serbatoio d'acqua potabile di 290 l permette un'autonomia di missione di 2 giorni senza rientri in porto. Ulteriori miglioramenti rispetto alle imbarcazioni precedenti sono l'impianto di condizionamento e un elevato isolamento acustico. Al centro dell'imbarcazione sono presenti i serbatoi di carburante, per un massimo stoccabile di 2000 l di gasolio. Nella zona poppiera interna vi è la sala macchine. APPARATO DI PROPULSIONE Il propulsore è posizionato a poppavia dell'imbarcazione in posizione parallela su due linee d'asse. Insolitamente per unità russe, la scelta dei propulsori ricade per due tedeschi MTU 10V2000M93, diesel quattro tempi diesel a V10, alesaggio 135 mm per corsa 156 mm, 22300 cc di cilindrata. La sovralimentazione è bi-turbo sequenziale con intercooler, linea d'alimentazione carburante anti-fiamma, tubazioni “camiciate”, controllo di perdita in linea, iniezione diretta e doppio filtro in ingresso. Il raffreddamento avviene per scambio di calore in fasci tubieri e cassa di compenso, con pompa dell'acqua di mare integrata nel motore; lo scarico è a tripla schermatura a collettore singolo, raffreddato ad acqua; gestione e controllo elettronico del motore e del riduttore tramite ADEC. La potenza erogata è di 1522 cv a 2450 rpm continuativi con un consumo massimo a pieno regime di 288,8 l/h. L'alternativa compatibile di produzione nazionale è uno Zvezda M470 V12. Il riduttore/invertitore è un ZF 2050A, trasferisce il moto in linea d'asse a due eliche in bronzo super cavitanti a passo fisso su trasmissione di superficie Arneson ASD-14. In alternativa per le versioni A e M, sono istallati due idrogetti Rolls-Royce Kamewa FF500. I trim e le accostate di fino sono gestite tramite joystick dal sistema di controllo sviluppato dalla Vector-Stick IIC, operanti in simbiosi con il chart-plotter e navigatore satellitare. È istallato a bordo un gruppo elettrogeno diesel da 16 kw MDKAE, Westerbeke 16.0 BEDA o un gruppo elettrogeno da 26 Kw Westerbeke 26EDE5312. Come prestazioni raggiunge i 50 nodi per un'autonomia di 350 miglia nautiche; 410 miglia nautiche a 36 nodi; 430 miglia nautiche a 35 nodi; la velocità massima raggiungibile è di 52 nodi. SISTEMI DI NAVIGAZIONE Per la navigazione l'imbarcazione si avvale di radar SL-72 (PSKA-601), MR415.1 (PSKA 612 e 615) e Furuno M-1934C-BB (TS-521). Ecoscandaglio, chart-plotter e dotazione radio MF, HF e VHF, ricevitore NAVTEX, tre ricevitori portatili, una radio d'emergenza COSPAS-SARSAT. Tutto ciò è integrato da un unico sistema di controllo, il quale lavora insieme al Global Maritime Distress and Safety System, il tutto presentato in cabina di guida tramite schermi LCD. APPARATO OFFENSIVO E DIFENSIVO A dispetto della linea pulita, l'unità è stata pensata per fornire fuoco difensivo e di supporto, sia per ingaggi di superficie, aria o subacquei (sebbene tale capacità non sia primaria). Il pezzo principale è costituito da una mitragliera manuale da 14,5 mm MPTU, sostituibile con una 12,7 mm. Sono presenti inoltre due lanciagranate GS-17 da 30 mm, due missili antiaerei spalleggiabili Igla e un lanciagranate con cariche di profondità DP-64. All'interno della stiva è presente una rastrelliera di armi portatili con riserva di munizioni dedicate. http://en.portnews.ru/news/239483/ https://sputniknews.com/voiceofrussia/2010/08/12/15523558.html http://www.homelandsecurity-technology.com/projects/project-12150-mangust-fast-patrol-boats/ https://en.wikipedia.org/wiki/Mangust_class_patrol_boat http://www.vympel-rybinsk.ru/en/mangust-12150.html#tab4 http://russianships.info/eng/borderguard/project_12150.htm http://defense-update.com/products/m/mangust-mirage.htm
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Classe Brave Potenza, polivalenza e perfetta calibratura di tutti gli aspetti nautici. Se questi tre concetti per molte imbarcazioni belliche (anche odierne) è sempre stato in primis un problema progettuale, per Vosper significarono solamente classe Brave. Il 30 Novembre 1958, l'Ammiragliato inglese comunicò alla stampa:”H.M.S. Brave Borderer, the first of two Brave class patrol boat which will help to keep alive coastal forces techniques in the Royal Navy”. E non a caso, infatti la Brave doveva essere una unità che implementava tutte le soluzioni più audaci a disposizione di un pattugliatore nella praticità di una motovedetta, al fine di diventare un dimostratore punta di diamante nelle aree costiere britanniche. Questo però non avrebbe visto la Brave come un vettore dispiegato e operativo, ma come fonte tecnica per tutta una generazione di imbarcazioni medio-leggere in seno alla Royal Navy; in caso di conflitto però, tutte le linee produttive potevano costruire in pochissimo tempo e con sistemi già collaudati la classe in questione, forti del know-out tecnico e delle risorse necessarie già presenti nei cantieri per la sua realizzazione. Il progetto fu una joint venture fra l'Ammiragliato e la Messrs Vosper Ltd. Con specifiche di attacco in aree costiere nemiche e soprattutto azioni difensive lungo la costa britannica, con una velocità media di 44 nodi con picchi di velocità a 50 nodi. I compiti operativi dovevano spaziare in moto-cannoniera, moto-silurante e getta-mine, il tutto convertibile in massimo sei ore d'approntamento; stesso discorso per la sostituzione degli organi di moto. In quanto all'autonomia, 400 miglia nautiche furono considerate minime a velocità media in molte delle operazioni pianificate, ma con una buona riserva d'autonomia a velocità di dislocamento. Il contratto per la realizzazione fu sottoscritto nel giugno 1954 in tredici differenti studi che avrebbero riunito le richieste precedentemente descritte, nelle maniere più disparate, successivamente vagliate dall'Ammiragliato. Il progetto ufficiale fu approvato nel 1955 e nel gennaio 1958 fu realizzato il primo esemplare (Brave Borderer P1011), seguita dalla seconda (Brave Swordsman P1012) quattro mesi dopo, nei cantieri di Portchester. Le due imbarcazioni, unite ad una moto-silurante del vecchio tipo classe Dark, costituirono lo Special Service Squadron, con base nel porto di Gosport. Dopo un decennio operati come patrol boat e come bersagli ad alta velocità in esercitazioni, furono dismesse nel 1970. Il problema di un'imbarcazione così audace risiedeva nei costi elevati d'esercizio, ingiustificabili in condizioni di pace; fu per questo motivo che la carriera dei due esemplari britannici durò solo 10 anni. venne però costruito un esemplare “a risparmio” dotato di scafo in legno e non metallo, sotto-dimensionato, sotto potenziato in CODOG (due motori diesel per la crociera o due turbine per le planate ad alta velocità) invece della configurazione COGAG precedente. Questa versione chiamata classe Ferocity non andò oltre l'unico esemplare, in quanto non rappresentava un effettivo risparmio in termini di costi, pur mantenendo buona parte delle capacità operative della Brave. La lezione appresa dalla classe Ferocity non fu gettata al vento, da questa infatti furono realizzate versione destinate all'esportazione: alla ex Germania dell'Est in due unità (denominate Type 153) nel 1960; sei imbarcazioni per la Danimarca con il nome di Classe Søløven nel 1963, cedute successivamente al Belgio nel 1990; la Grecia ricevette le due unità tedesche nel 1967, ritirate nel 1976 e 1979; alla Malesia nel 1964 come classe Perkasa e nei Brunei in un unico esemplare; in Libia conosciuta con il nome di classe Susa (ex Scimitar britanniche) in tre esemplari . CARENA E STRUTTURA Lo scafo, realizzato in alluminio a singolo strato, aveva una carena planante a V profonda con una sezione anteriore molto affusolata, collegata alle massicce murate verticali tramite uno spigolo che si estende dal tagliamare alla sezione poppiera. La lunghezza era di 32,3 m fuori tutto 6,4 m di larghezza, un pescaggio di 1,9 m e un dislocamento a vuoto di circa 95 t, 116 t a pieno carico. La linea dello scafo presenta una superficie pulita, senza stabilizzatori, oblò e occhio di cubia. Inferiormente, vi sono tre astucci porta elica seguiti da pari numero di staffe porta elica. Per il governo sono presenti due timoni semi-compensati. Lo specchio di poppa era verticale con l'apparato flap (che descriverò a seguito), una pedana di manutenzione con funzione di supporto e tre portelli d'espulsione dei gas combusti delle turbine. Il ponte di coperta piano, anch'esso realizzato in alluminio, presenta di prora le aperture del gavone alloggio per l'ancora Danforth; davanti alla tuga era presente il pezzo d'artiglieria principale mentre, ai lati lungo i camminamenti, vi sono i supporti per l'alloggiamento e lancio dei siluri (amovibili a seconda del ruolo), di gavoni aggiuntivi o serbatoi supplementari. Lungo il perimetro e solo nelle fiancate, era presente una battagliola che termina nel mascone di prora. La classe Ferocity ebbe uno scafo fuori tutto accorciato a 27,6 m e costruito in legno al fine di risparmiare sui costi di produzione; sulla stessa scia seguirono le unità malesi ma con le dimensioni della Brave originaria; la classe Søløven aumentò la larghezza dello scafo a 2,85 m e il dislocamento a 158 t rispetto alle Brave pur mantenendo il legno come materiale di costruzione. Per tutte le versioni create, la tuga era realizzata in alluminio dalle forme arrotondate e aerodinamiche. A proravia era presente la cabina di comando e navigazione, con dei caratteristici portelli d'accesso incassati ad angolo all'interno della struttura per proteggere l'equipaggio dal controvento e dagli spruzzi delle onde in prora; una contro plancia, carenata e protetta da un basso parabrezza, era posizionata superiormente subito dietro. A poppavia della plancia, la tuga si estende con copertura carenata con quattro oblò, fornendo copertura ai due portelli d'accesso posteriori, ai lati del cofano motore. Il cofano dalla forma allungata e inclinata verso il basso permette l'accesso al vano motori dalla tuga, sopra al quale è presente un traliccio a “Y” che sorregge i segnalamenti luminosi marittimi e funge da supporto per l'antenna radio in testa all'alberatura a base rinforzata sopra la tuga. Tutta l'attrezzatura di utilizzo generico e i dispositivi di salvataggio ed emergenza erano fissati sul cofano motore posteriore. All'interno, da prua, è presente il gavone d'alloggio dell'ancora, seguito dalle cuccette per l'equipaggio, i servizi igienici e la cabina ufficiali, per un totale di 20 operatori a bordo (27 operatori per la classe Søløven). Dalla sezione maestra a poppavia sono presenti quattro serbatoi di carburante e le riserve di acqua dolce, seguito dal vano motore. Strutturalmente, vennero inserite tre paratie longitudinali di cui la principale centrale in asse all'imbarcazione, per garantire una maggior resistenza di prora e una maggior capacità di assorbire l'impatto delle onde durante l'avanzamento in semi-planata o con mare formato. Il sistema di scarico poppiero doveva svolgere due funzioni primarie: espellere verso l'esterno i gas di scarico delle turbine e provvedere al raffreddamento delle turbine medesime. In quest'ultimo punto, l'aspetto da evitare era il pre-riscaldamento dell'aria diretta ai compressori, riscaldamento causato dal calore irradiato dai condotti di scarico nella sala motori. A tal proposito, i tre condotti furono isolati dalla sala macchine tramite una paratia stagna ad isolamento termico a poppavia di quest'ultima, il calore accumulato veniva asportato tramite delle maniche a vento; inoltre aeravano tutti i gavoni destinati al contenimento termico ricavati intorno alla sala macchine. Al fine di prevenire eventuali picchi di calore, tutta l'aerazione alle basse velocità è affidata a compressori elettrici. Con il mare mosso o con la navigazione in planata, era possibile l'ingresso di acqua negli scarichi che poteva giungere alle turbine, stallandole. Ciò fu risolto ponendo nello specchio di poppa tre (o due a seconda della motorizzazione) portelli circolari con apertura a cerniera verso il basso, realizzati tramite sovrapposizione di pannelli in acciaio e silicio, per resistere alle sollecitazioni termiche delle turbine fino a 485°C, i quali si aprivano in base alla pressione esercitata dai gas di scarico. Tali portelli erano vincolati tramite pari numero di aste al flap inferiore in modo da creare un sistema di assetto adattivo, che regoli meccanicamente e in modo semplice il regime del motore con il migliore assetto dello scafo. Onde prevenire il problema sopra elencato, tramite un giunto a gomito, il vincolo tra le aste e i portelli era forzato tramite pari numero di pistoni pneumatici, con azionamento elettro-pneumatico direttamente in console di guida: in situazioni di partenze “scramble”, l'azionamento forzato pneumatico pone il flap alla massima estensione di 35° mentre apre totalmente i portelli, consentendo alle turbine una rapida presa di giri e tenendo il pennacchio d'acqua prodotta dalle eliche lontano dallo specchio di poppa. Tale soluzione resisteva anche a mare formato con onde alte da 60 cm a 1 metro circa. APPARATO DI PROPULSIONE Tra le varie opzioni valutate, erano presenti due turbine a gas da almeno 5000 cv, tre motori diesel, due diesel accoppiati allo stesso riduttore/invertitore o più estremamente, tre turbine di derivazione aeronautica prodotte dalla Bristol Aeroplane Co. Fu scelta l'ultima opzione, in quanto l'unica a soddisfare i requisiti di coppia scaricata alle eliche unita ad una rapida presa di giri su partenze veloci, anche considerando il notevole dislocamento dell'imbarcazione stessa. Fu scelta la propulsione COGAG e le tre turbine designate furono le Bristol Proteus, istallate con inclinazione verso il basso di 5° e scarico diretto intubato verso l'esterno, l'azionamento era indipendente per tutte e tre. La combinazione di potenze da 3500 cv a 11000 rpm di picco massimo e 2800 cv continuativi l'una, unita ad un basso consumo per la sua categoria e all'accurata scelta dei materiali ne fecero una motorizzazione di tutto rispetto per l'impiego nautico: composta da un compressore assiale in primo stadio e da uno centrifugo al secondo stadio, seguito dalle camere di combustione e da quattro turbine. Una caratteristica che conferì notevole compattezza alle Proteus fu la realizzazione di turbine con le varie giranti ed elementi a stretto contatto, senza parti dell'albero assiale scoperte, ciò costrinse al posizionamento delle camere di combustione al di sopra del compressore e convergenti nelle turbine davanti al compressore e ovviamente isolate da esso, ma sulla medesima linea d'asse. L'audace scelta di utilizzare ben tre turbine ad elevate prestazioni comportò notevoli difficoltà progettuali oltre al calore prodotto, come ad esempio l'effetto “salt spray”. La salsedine e l'acqua di mare nebulizzata in sospensione nell'aria, aspirata dai compressori, creava un grave effetto di corrosione dei condotti e della palettatura del compressore, causato dalla formazione ad alte temperature di clorito di sodio e solfati di sodio, in congiunzione con le emanazioni di solfuri dai vapori del carburante; conseguenza di ciò furono rapide perdite di potenza e in gravi casi di stallo. Dopo centinaia di ore di test, emerse che la corrosione e i depositi salini erano maggiori durante i picchi termici delle turbine con temperature superiori agli 880°C, fenomeno che costringeva al costante lavaggio dei propulsori durante le fasi riarmo in porto. La prima soluzione fu la riduzione della velocità in entrata dell'aria destinata alle turbine allargando i condotti, posizionandoli più vicino possibile alla tuga (quindi distanti da eventuali getti d'acqua esterni) approfittando della copertura offerta dalla carenatura che si estendeva fino al cofano. Furono inoltre modificati gli splitter in fibra di vetro sulla bocca delle prese d'aria, originariamente pensati per silenziale il rumore emesso dai compressori, onde evitare l'ingresso accidentale di acqua. Subito dietro agli splitter furono istallate delle camere “drenanti” a tre stadi, le quali garantivano una costante deumidificazione (solamente l'8% dell'acqua nebulizzata penetrava all'interno dei compressori) dell'aria aspirata tramite un effetto depressivo. La trasmissione del moto era una V drive con inclinazione di 10° sull'asse orizzontale, ripartita su tre linee d'asse parallele. Tre alberi collegavano le turbine a tre riduttori/invertitori Messrs W.H. Allen & Sons Ltd; a sua volta collegate a tre eliche tri-pala in bronzo di piccole dimensioni ma dal passo molto accentuato. Nella parte terminale dei due riduttori/invertitori esterni, erano collegate due pompe di presa a mare, per il raffreddamento delle turbine tramite due circuiti ad acqua dolce/acqua di mare. La velocità massima continuativa era di 46 nodi, 52 nodi massimi di spunto. L'autonomia minima era di 400 miglia nautiche. Una variante significativa dei propulsori equipaggiò l'unico esemplare prototipo della classe Ferocity, in configurazione CODOG in tre turbine di produzione Rolls-Royce per un totale di 12750 cv circa da utilizzare come boost durante le planate veloci; per la navigazione ordinaria fu optato per l'adozione di due motori diesel quattro tempi general Motors da 460 cv circa l'uno. Le unità libiche seguirono la configurazione della classe Ferocity, limitando a due le turbine a gas istallate. SISTEMI DI NAVIGAZIONE E ELETTRONICA Sebbene ben progettata dal punto di vista ingegneristico, non venne dotata di particolari strumentazioni elettroniche al di là del VHF e del radar di navigazione; quest'ultimo istallato su una torretta indipendente sopra la tuga sul lato di dritta, dotazione molto variabile tra i vari stati e difficilmente identificabile da fonti ufficiali. APPARATO OFFENSIVO E DIFENSIVO Contrariamente all'elettronica, l'armamento era vasto e facilmente riconfigurabile. Una costante sulle Brave e su tutte le derivazioni fu il pezzo d'artiglieria principale a proravia della tuga, un pezzo (datato) da 40 mm Bofors L6 con 3 Km di gittata e un rateo di 120 colpi/min, utilizzato dagli USA e dall'Inghilterra durante la Seconda Guerra Mondiale. Istallato nella variante MkIII e MkVII, era montato a canna singola con raffreddamento ad acqua, su torretta chiusa e a controllo remoto. Sulle Brave danesi e libiche fu sostituito con un Mk48 dal medesimo calibro ma con un rateo aumentato a 300 colpi/min e aggiunto anche un secondo cannone gemello all'estrema poppa dietro il cofano motore, nelle unità malesi fu aggiunto invece un cannoncino da 20 mm. Oltre ad essere moto-cannoniera, svolse anche il ruolo di moto-silurante, con binari porta-siluri amovibili. Sull'imbarcazione originaria potevano essere armati quattro tubi lanciasiluri da 533 mm e due cariche di profondità alloggiate all'estrema poppa. La variante tedesca dimezzò la dotazione silurante a due tubi, incrementando la mine imbarcate a otto. Le Perkasa malesiane risultarono la configurazione più armata, con due bocche di fuoco, quattro siluri e 10 mine; dal 1971 furono riarmate come moto-missilistiche con otto missili filo-guidati SS-12, con gittata di 8 Km e una testata da 28 kg di esplosivo. Anche le Susa libiche si convertirono al ruolo di moto-missilistiche, sbarcando però la componente silurante. “The development and running of the Brave class fast patrol boat” di Peter Du Cane “The Brave class fast patrol boat” di J.T. Revans e il commandante della Royal Navy A.A.C. Gentry “Storia della Marina; profili, N°10” Fabbri Editore 1978, in collaborazione con lo Stato Maggiore della Marina http://www.worldnavalships.com/vosper_thornycroft.htm http://www.navalhistory.dk/English/TheShips/Classes/Soeloeven_Class(1965).htm https://en.wikipedia.org/wiki/Brave-class_patrol_boat https://www.rcgroups.com/forums/showatt.php?attachmentid
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Qualche novità targata 2017 per l'Hawkei https://www.rockwellcollins.com/Data/News/2017-Cal-Yr/GS/FY17GSNR26-Hawkei.aspx Inoltre la produzione a pieno regime inizierà nel 2018. Finora nessun paese oltre all'Australia ha acquistato la versione da esportazione.
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No lo escludo, considerando che il convoglio attraversava paesi soprattutto non allineati con l'Italia e con rapporti ancora peggiori con l'Europa, armi a bordo avrebbero potuto essere fraintese Leggendo ho visto che i carabinieri volontari alla causa umanitaria svolgevano ruoli di navigazione e guida, data la loro esperienza in situazioni politico-geografiche diverse e il loro addestramento in territori climaticamente ostili
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IVECO 330.30 “Spedizione Overland” Il progetto Overland Word Truck Expedition (conosciuto semplicemente come “Overland”) nasce nel 1995 con lo scopo di condurre un'esplorazione di tutti i territori del pianeta, esplorazione composta da soli italiani, con mezzi italiani e catena di collaborazioni gestita interamente in Italia. A sostegno di ciò, fu creata una partnership con la rete televisiva RAI1, al fine di rendere il viaggio un racconto a diario, trasmesso successivamente tramite montaggio in studio in 196 puntate totali. La scelta dell'equipaggio era vincolata alla tipologia di ogni mezzo impiegato ma, nella sostanza, contava la presenza di autisti esperti nel fuoristrada e in qualche occasione membri del Reggimento Paracadutisti Tuscania dei Carabinieri; a completamento del gruppo vi sono meccanici specializzati Iveco, fotografi, medici e una troupe televisiva. Overland divenne presto un'organizzazione, la quale si fece ambasciatrice Unicef in tutti i territori dove guerre, fame e povertà minano tuttora la vita delle popolazioni locali. La scelta dei veicoli impiegata fu ardua, in quanto andavano individuati i mezzi migliori per ogni situazione, capaci di interagire in caso di emergenza, sopportare situazioni climatiche e geografiche al limite. L'azienda incaricata fu Iveco-Magirus (sebbene furono di costruzione tedesca, la Magirus fa capo alla casa madre Iveco), la quale mise a disposizione quattro modelli 330.30 ANW 6x6 usati per l'impiego in cava cantiere. Dotati di un ottimo motore e di una scocca che ben sopportava le “frustate” più dure in tutti i terreni, erano equipaggiati con quattro moduli (che descriverò in seguito) attrezzati per garantire la sopravvivenza e l'autonomia di tutto l'equipaggio. Il convoglio però ebbe bisogno anche di mezzi più leggeri per i compiti di assistenza, apri-pista e ricognizione; essi variarono di volta in volta, sia a scopo pubblicitario, sia per esigenze di collaudo delle case sponsorizzatrici, accuratamente elaborati per l'off-road. Successivamente all'era dei “musoni”, furono organizzate spedizioni di soli mezzi leggeri anche di marche estere, ma sempre sotto l'egida dell'organizzazione Overland. Le varie missioni, oltre a portare assistenza medica, attraverso il progetto CinemArena portarono sotto forma documentaristica (utilizzando il fianco di un camion come telone da proiezione) i rischi e la prevenzione delle malattie locali. Per quanto riguarda gli Iveco in questione, la prima missione fu inaugurata nel 1996 con partenza da Roma e destinazione New York (US), passando per i territori siberiani, per lo Stretto di Bering, Alaska, Canada e Stati Uniti. La durata fu di 5 mesi di viaggio per una distanza percorsa di 32000 Km circa e 8 nazioni attraversate. Nel 1997, partendo dalla stessa New York vennero percorsi tutti i territori delle Americhe, attraversando la Foresta Amazzonica, la Cordigliera delle Ande, Terra del Fuoco, Patagonia e infine il Brasile. La distanza percorsa fu di 41000 Km circa in 16 paesi, affrontando le difficoltà tropicali e paludose, lontane dal freddo artico della missione precedente. La parte finale del viaggio nel 1998, senza scalo in madrepatria portò il team in Africa con partenza a Capo di Buona Speranza, costeggiò l'Africa orientale, attraversò il Medio Oriente, risalì l'Europa passando per i Balcani e terminò all'estremo nord europeo: Capo Nord. Furono percorsi 35000 Km circa in 32 stati, un viaggio che mise alla prova i “musoni” in tutte le condizioni climatiche possibili, in un unico raid, correlato oltretutto dal pericolo dei predoni locali, delle guerre e dai problemi burocratici alle dogane. La quarta spedizione segui la Via della Seta, con partenza dal Portogallo (Cabo de Roca) fino in Cina a Pechino, attraversando da ovest a est tutta l'Europa, Ucraina, Russia, Kazakistan, Urzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan. Il viaggio fu di 33000 Km circa, per una durata di di 5 mesi. Ai 4 330.30 furono affiancati due Iveco 40.10 Torpedo. In occasione del decennale sulla Convenzione dei Diritti dei Bambini, Overland rinnovò l'impegno nel sostenere, sia medicamente, sia economicamente tramite raccolte fondi in tutto il mondo, l'Unicef, dando risultati molto soddisfacenti. La quinta spedizione riprese dalla Cina come seguito della quarta spedizione, avviata il 25 agosto del 1999 e conclusasi il 24 dicembre del medesimo anno, vide il ritorno in Italia passando per il sud-asiatico, per circa 27000 Km percorsi. Particolarmente rischioso fu il rientro in Italia a Trieste passando per i territori balcanici, la spedizione temporaneamente arrestata a causa della guerra in Kosovo e dalla chiusura delle frontiere serbe. Di fatto la quinta spedizione fu per la maggior parte condotta in zone di guerra, con i conseguenti rischi che essa comportava; citando Beppe Tenti, capo-spedizione Overland: "Questo è stato veramente il viaggio più difficile tra tutti gli Overland che abbiamo fatto dall'inizio fino al 1999". Nel sesto viaggio, furono attraversati tutti i territori affacciati nel Mar Mediterraneo, per un totale di 35000 Km circa in 6 mesi in 22 stati. Fu la prima spedizione Overland a percorrere tutte le regioni della penisola italiana e la prima che vide un incidente stradale in Egitto, dove alle 23:00 una duna di sabbia invase la carreggiata danneggiando l'unico veicolo Iveco Daily aggiunto al convoglio, ferendo un membro dell'equipaggio. Le missioni continuarono ma senza la storica componente dei 4 Iveco 330.30 ANW, rimpiazzati da molti altri veicoli, ma rimasti nell'immaginario collettivo di Overland e diventandone il simbolo stesso (anche pubblicitario). Nel 2010, due di essi furono aggiornati e riutilizzati nella dodicesima edizione, percorrendo in 6 mesi e più di 50000 Km la costa atlantica africana, con partenza dal Sud Africa e destinazione Italia (Roma). I veicoli che li affiancarono furono un Iveco Daily 4x4 5.5T per il personale medico, un Iveco Trakker 6x6 allestito come officina e due Iveco Massif SW 4x4 in allestimento Grand Raid. Fino ad oggi, questa fu l'ultima spedizione che vide i “musoni” come veri protagonisti di viaggi memorabili intorno al globo. Sarà per il loro colore insolito (ma non scelto a caso), per la strana configurazione della cabina arretrata (molto poco diffusa in Europa) o per l'italianità di imprese così audaci e umanitarie sempre a favore di chi ha perso molto nelle zone più povere e martoriate del pianeta, costituiranno anche nell'avvenire il simbolo di una causa bella come il tricolore impresso nel paraurti frontale, a fianco degli anabbaglianti rinforzati. MOTORE Il motore era collocato in posizione avanzata rispetto alla cabina in posizione longitudinale. Fu un Deutz BF8L513, V8 diesel con sovralimentazione bi-turbo con intercooler, raffreddato ad aria tramite compressore assiale, corsa di 125 mm x alesaggio di 130 mm, 12763 cc di cilindrata, 1170 Nm a 1500 rpm e una potenza massima di 306 cv a 2500 rpm. L'iniezione era diretta e l'aria dell'alimentazione arrivava da due filtri esterni raccordati a due snorkel, posizionati entrambi ai lati della cabina (per una più facile pulizia e sostituzione). Il carburante è contenuto in due serbatoi da 500 l l'uno e sono connessi al motore tramite tubazioni riscaldate in Termolite al fine di evitare il congelamento del carburante stesso a -40/-50°C. CATENA CINEMATICA E TRASMISSIONE Il cambio era un manuale 8 marce più 8 ridotte ZF 4S120GP collegato tramite frizione monodisco a secco ad un differenziale centrale bloccabile. La trazione 6x6 era permanente, a differenza del differenziale anteriore, i due posteriori erano bloccabili manualmente. Tutte le sospensioni erano a balestra adottanti il sistema Cantilevel e tutti i freni avevano un azionamento pneumatico a tamburo. Nel ri-allestimento per la dodicesima spedizione, a due veicoli fu istallato un verricello a comando idraulico posizionato davanti al paraurti e non incassato tra il paraurti e il ponte anteriore come nei quattro allestimenti originali, con un cavo in acciaio da 80 m e tamburo ad innesto diretto sul motore. Il mezzo fu dotato di pneumatici “mono-traccia” Pirelli Pista PS22 14.00R20, specifiche per il fuoristrada estremo e per gli impieghi militari. Come prestazioni, la velocità massima raggiungibile su strada era di 100 Km/h e un'autonomia media di 2000 Km circa; capacità di guado di 1,5 m e pendenze superabili del 60%. ALLESTIMENTO Il telaio aveva una classica geometria a longheroni e traverse, allungato rispetto alla versione industriale. La cabina arretrata ospitava 3 operatori. Ogni veicolo disponeva tra gli assi anteriori e posteriori di due serbatoi di carburante a destra e un quadro elettrico integrato in un cassetto rinforzato sulla sinistra, il quale distribuisce l'energia elettrica prodotta dal gruppo elettrogeno da 15 Kw alle utenze esterne. Nella zona carico erano presenti i moduli abitativi, creati in cassoni rinforzati, ermetici e isolati termicamente, nei quali erano presenti un portello laterale con scaletta d'accesso abbattibile e scorrevole sotto il pianale del mezzo. Il sistema di condizionamento, Webasto e l'apparato elettrogeno erano posti sul retro, insieme alle ruote di scorta. Insieme alla scaletta per l'accesso superiore al mezzo, nel quale vi erano ganci d'ancoraggio per eventuali cinghie ferma-carico. I camion erano allestiti in quattro configurazioni per rendere il convoglio autonomo: dormitorio, mensa, officina e cisterna. I primi due furono fondamentali per l'alloggio del personale in quanto fu considerato poco sicuro e precario il pernottamento sulle locande locali (sempre che vi fossero stati posti dove passare la notte e mangiare). Nel dormitorio erano presenti sei cuccette e uno scompartimento per i servizi igienici, nella mensa era presente un fornello a tre fuochi, un tavolo da dieci posti, un lavello e una toilette. L'officina mobile comprendeva un banco da lavoro con tutti gli attrezzi necessari alle riparazioni “da campo” e un compressore d'aria. Per l'alloggio del personale meccanico erano previste quattro cuccette e toilette con doccia. Infine, nell'allestimento cisterna, era presente una cisterna supplementare di gasolio da 4000 l, sufficiente a rendere autonomo il convoglio per ulteriori 4000 Km circa; lo stesso mezzo era utilizzato per il trasporto dei pezzi di ricambio. Nella dodicesima spedizione vennero utilizzati solamente gli allestimenti mensa e dormitorio; per la ripresa del servizio furono necessari importanti revisioni e aggiornamenti, quali pulizia, verniciatura interna, ripristino dell'impianto elettrico e degli elettrodomestici e sanitari. Esternamente, i Webasto furono aggiornati e dotati di bypass interno per il pescaggio del gasolio, senza la necessità di costanti rabbocchi. La famosa e distinguibile vernice arancione (scelta in quanto ad alta visibilità e “neutrale” per tutti i paesi) fu rinnovata con migliori caratteristiche di resistenza termica e meccanica. Per quanto riguarda le misure, la lunghezza era di 9 m per una larghezza di 2,5 m e un'altezza (senza carico addizionale) di 4 m. L'altezza da terra era di 0,31 m e il passo misurava 4 m x 1,38 m. A pieno carico, scaricava a terra 18 t. Video documentario consigliato: https://www.youtube.com/watch?v=Mi91kdgbgbE http://www.overland.org/chi-siamo/mezzi/i-musoni-33030.html https://it.wikipedia.org/wiki/Overland http://www.construction-engine.com/bf8l513c280330hp.html
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Noi tutti stiamo ancora aspettando il tuo video sulle tue idee sperimentali, ma in linea di massima: Ma la finisci di cercare soluzioni a problemi che non esistono? Filosofica-concettuale?? La tecnica militare è questione di logica, calcoli ed un minimo di ragionamento ad ampio spettro, non un poema di Omero. La domanda è: perchè? che vantaggio ti porta? è così difficile guidare una Centauro II da richiedere l'assistenza di fior fior di elaboratori e cablaggi ridondanti? Per quanto riguarda i fari a scomparsa, belli per carità.. ma avrebbe senso? A parte che la Centauro II può usare i visori all'infrarosso di notte, ma all'esercito non mancano i soldi per cambiarsi due lampadine e raddrizzare una placchetta metallica.
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Ti "boccio" ben due volte perché le tue "soluzioni" portano a trasformare la centauro in un catorcio ingombrante, rumoroso e auto-distruttivo. Tutto ciò che mi hai detto fa solo fondere i motori di tutto il mondo e a rendere inservibile quel mezzo in guerra. Senti.. io ti ho dato un parere onesto con spiegazioni tecniche. Mi è sembrato corretto. Ora, se non ti piace sentire una contro analisi tecnica e motivata, la cosa non mi riguarda. Parla con vorthex che ha più pazienza di me. Anzi, visto che a delle idee deve sempre seguire un prototipo, combenta il motore della tua macchina con la ceramica e riempi il cofano di ventilatori. Metti nel bagagliaio 8 batterie x lo start & stop e fatti 2 ore in mezzo ai campi arati. Facci il video e se non fondi o se non esplode, noi TUTTI ti chiederemo immensamente scusa, e parlo sul serio. Se è vero che può funzionare, facci il prototipo
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Perchè non risolvi il problema, lo sposti solamente. Se prima era il motore da raffreddare, con il tuo sistema non sarà più il motore il problema ma il getto di aria calda che deve uscire dal veicolo. Aria calda a 150°C costante per ore e ore. Se poi aggiungiamo che un compressore così oltre all'aria aspira di tutto (non puoi mettere filtri perchè riducono la portata d'aria, aumentano la temperatura interna e se si intasano fondi il motore) e che per forza dovrai raffreddare con griglie e macchine a pompa di calore il getto d'aria bollente uscente, che cosa hai creato? una centrale termo-elettrica su ruote, rumorosa, ingombrante, ad alta probabilità che esploda da sola e con un condizionatore appeso. a questo punto: ha senso tutto ciò? No. Raffreddare i gas di scarico con il semplice effetto Venturi e lasciare alla scocca il compito di dissipare naturalmente il calore irradiato è economico, facile, leggero, SEMPLICE e affidabile. Per quello tutti i mezzi militari adottano questa soluzione non per altro.
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l'idea è buona, ma lo Start&Stop richiede batterie davvero poderose e ne accorcia la vita in modo assurdo (chiunque ha la macchina S&S a casa, la prima cosa che fa è toglierlo per non spendere ogni 6 mesi 70 e più euro di batteria). Batteria che: 1) pesano 2) ingombrano 3) se anche solo leggermente danneggiate, azzoppano il veicolo. 4) costano.. tanto.. più delle nostre anime. e se mai scoppia un conflitto il litio non lo trovi dietro casa Ripeto il concetto, è vero che la ceramica scherma e isola, ma per un certo lasso di tempo, e poi scalda. ciò che proponi (e ripeto, hai ragione ma solo in linea teorica funziona), è come creare una splendida caldaia diesel da esterni RHOSS (semovente), che sviluppa un buon calore costante e pure a risparmio energetico. Pensa che i pannelli ceramici non gli usano neanche i caccia, con turbine che scaldano a 1500°C Un raffreddamento del genere non viene adottato perchè semplicemente i motori militari, quel range di temperature lo reggono benissimo senza aiuti esterni. Tanto per dirti, un Maz 543 degli anni '70 (V12 diesel senza il turbo) si metteva in moto a -40°C solamente grazie ad un combustore a diesel che sparava fumi di scarico dentro le camere dei cilindri. Il bestione, tra l'altro, con le camere cilindri imbrattate di nafta, condensa e residui di carbonio, si metteva in moto già al primo giro di chiave anche avviandolo dolcemente, un compressore centrifugo gira sempre e comunque a 10.000 giri/min. credimi.. fa tanto tanto rumore. Richiederebbe cuscinettature a bagno d'olio e a revisione costante. Una cricca su una o più biglie a 10.000/15.000 giri (e lo so per esperienza) ha lo stesso rumore di una motosega dentro una stanza. In un veicolo militare non si può rischiare così.
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In linea puramente teorica ti darei ragione, in linea pratica.. fonderesti qualsiasi motore in 10 min. e ti spiego anche perchè. Circondare un motore con pannelli ceramici si chiama coimbentare; la coimbentazione ceramica ha due terribili difetti: 1) così come scherma il calore verso l'esterno, lo scherma anche verso l'interno, costringendo il motore ad affogare nel suo stesso calore irradiato 2) poniamo la situazione dove la Centauro dopo 3 ore di viaggio si apposta per tendere un agguato. deve essere quanto più possibile invisibile termicamente. avendo un "astuccio" metallico come ora, possiamo scommettere che (essendo il metallo un ottimo dissipatore di calore) il mezzo si raffredderà di circa la metà in 1/2 ora a grandi linee. Con la coimbentazione ceramica, (la ceramica è un pessimo dissipatore e ha la capacità di immagazzinare calore lentamente) la mole di calore verrà rilasciata moooolto lentamente e costantemente, facendo risultare il vano motore ancora bollente dopo 3 ore o più (non per nulla, i caminetti in montagna sono tutti costruiti chiusi da mattonelle e piastre di ceramica), trasformando la centauro in una stufa a diesel di buona efficienza. Ergo, necessiterebbe di un forte sistema di raffreddamento, e ce ne sarebbero di 3 tipi: a circuito aperto ad acqua di mare e fasci tubieri (trasformando la Centauro in una motovedetta costiera degli anni '90), tramite sottrazione di calore esterno (trasformando la Centauro in un Pinguino DeLonghi versione 8x8) o tramite il pompaggio di aria, forzandola non solo nei radiatori ma anche al motore, e qui siamo da punto e a capo. Ti immagini, oltre al rumore di un compressore, la vampata di calore a 150° che uscirebbe dagli scarichi per circa 3 ore in un appostamento? alle lenti di un sensore termico, la Centauro diventerebbe uno scaldabagno blindato in mezzo alla foresta. A conti fatti quindi, l'uso della ceramica peggiorerebbe a livelli distruttivi non solo l'occultabilità, ma la stessa integrità del motore
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LeTourneau Overland Train Ci sono invenzioni difficili da credere, cose realizzate e finanziate dagli stessi governi che sembrano uscite dalla mente di un bambino piuttosto che da esigenze militari e civili ben specifiche. Dagli aerei cargo mostruosamente grandi a piattaforme petrolifere off-shore come palazzi in una metropoli. Ma nessuno avrebbe mai immaginato un treno che corresse fuori dai binari lungo gli spazi sterminati dell'America. O almeno.. nessuno prima del 1950. l'Azienda LeTourneau texana, specializzata in attrezzature pesanti per il movimento terra, ideò nel 1950 la trasmissione diesel-elettrica multi ruota; in poche parole, l'applicazione pratica della trazione ferroviaria a veicoli concepiti per operare al di fuori dei binari. La richiesta di tali veicoli era dettata da diversi fattori: il trasporto pesante via nave era lento e limitato alle destinazioni costiere, il trasporto via treno non era per nulla capillare e suscettibile alle condizioni stagionali e atmosferiche (ghiaccio nei binari, cumuli di neve lungo la linea, tempeste e interruzioni di corrente ecc.) e il trasporto aereo non aveva un'efficienza tale come ai giorni nostri, oltre che al vincolo ferreo dei limiti di peso. Il trasporto di grandi strutture doveva essere frazionato e distribuito tra i vari mezzi fino al raggiungimento della destinazione. L'insieme delle idee portarono alla creazione del primo Overland Train, il VC-12 “Tourna Train”. Fu sviluppato in 3 anni e nel 1953 iniziò la fase di test; conobbe una certa celebrità nelle distese dell'Alaska, dove percorse piste non battute lontane dalla linea ferroviaria, con il medesimo carico di un treno ma con i costi d'esercizio di un'intera flotta di camion. Dopo il successo ottenuto fu presentato ai rappresentanti dell'US Army del TRADCOM (Transportation Corps Research and Denvelopment Command), fu seguito della soddisfazione generale ma il mezzo, costruito in un solo esemplare, non fu scelto dall'esercito sebbene i test proseguirono per tutto l'anno seguente. Nella tecnica, il convoglio era costituito da una motrice (il cuore energetico di tutto il treno di rotolamento), caratterizzata da un chassis a longheroni, una cabina avanzata ospitante 4 persone, un'imponente cisterna di diesel nel retro cabina che andava ad alimentare il gruppo elettrogeno principale. L'elettricità prodotta andava ad alimentare i motori elettrici, posizionati nei singoli mozzi delle ruote, tramite ingranaggi riduttori. I 3 rimorchi che seguivano avevano tutti 2 assi e pesavano 20 t l'uno, essi avevano un ruolo attivo in quanto la trasmissione elettrica alimentava ogni singolo rimorchio nella stessa modalità in cui alimentava la motrice. Il risultato fu che il convoglio iniziale (una motrice più tre rimorchi) lavorava come un unico pianale, garantendo una trazione 16x16 costante senza complessi cardani meccanici e perdite di potenza; ma la genialità del progetto fu che, più rimorchi si potevano agganciare, più la capacità trattiva aumentava, non ponendo limiti ne alla lunghezza ne al numero di rimorchi agganciabili, fatta eccezione per la “sete” di energia elettrica. Alla luce di ciò il VC-12 venne allungato con ulteriori 4 rimorchi e potenziato il gruppo elettrogeno. Il “Tourna Train” definitivo arrivò ad essere un 32x32 capace di trasportare 140 t. Il primo motore utilizzato fu un Cummins VT12 da 500 cv a 1800 rpm, il secondo fu sempre un Cummins portato a 1000 cv. Contemporaneamente venne creata una macchina ottimizzata per l'impiego sulla neve, avente la stessa tecnologia ma senza la trasmissione dell'energia elettrica ai rimorchi, di fatto svolgendo il puro ruolo trattivo. Il modello in questione fu il TC-264 “Sno-Buggy”, di fatto una mostruosa motrice avente 4 ruote maggiorate gemellari, per un totale di 8 pneumatici dal diametro di 3 m dedicati al suolo innevato. Sebbene ingombrante e molto poco maneggevole, fu inviato in Groenlandia per una sessione di test. La trasmissione elettrica rimase invariata rispetto al VC-12, il gruppo elettrogeno venne sostituito con Allison V-1710 a butano. Anch'esso fu proposto, apprezzato ma respinto dalle forze armate, al pari del primo veicolo. L'US Army non restò insensibile all'idea di sviluppare e dotarsi di un Overland Train per vari motivi: durante i primi anni della Guerra Fredda fu istallata la DEW (Distant Early Warning), una catena radar da ben 78 siti in grado di rilevare qualsiasi intrusione aerea o attacco nucleare nel suolo americano e canadese. Tutti i siti in Alaska erano difficili da raggiungere e necessitavano di costanti rifornimenti in ogni condizione climatica, i tratti di mare erano spesso ghiacciati ostacolando i rifornimenti via nave; avere un lanciatore multiplo per i missili Caporal, in grado di spostarsi per il paese senza grandi problematiche geografiche; Un veicolo che recuperasse i natanti da sbarco lungo la costa e li trasportasse in siti manutentivi anche distanti dai porti; avere un trattore capace di recuperare i bombardieri strategici accidentati atterrati fuori dalle piste. Venne deciso il finanziamento alla LeTourneau del programma da parte dell'esercito, più precisamente per un veicolo che sapesse integrare le soluzioni tecnologiche all'avanguardia del VC-12 con la brutale potenza dello “Sno-Buggy”. A pesare sulla decisione ci fu la commissione di un mezzo da parte della Alaskan Freight Lines Inc., a sua volta incaricata per la gestione dei trasporti e rifornimenti dalla Western Electric Co., la prime contractor per la realizzazione della linea difensiva DEW. Il problema consisteva proprio nel far transitare lungo tutto il Canada fino in Alaska 500 t di materiale, necessario alla costruzione degli impianti. I requisiti dettati alla Letourneau combaciavano con le specifiche geografiche del nord-canadese: capacità di trasporto di 150 t nette, affrontare salite montane senza particolare sforzo, guadare corsi d'acqua profondi 1,2 m a temperature di -68°C. Il 17 febbraio 1955 fu realizzato il VC-22 “Sno-Freighter”, dopo soli 43 giorni dalla commessa e con tutte le fasi di verniciatura finite entro il mese. Esso fu il primo veicolo estremamente pesante a raggiungere l'oceano artico partendo dagli Stati Uniti. Noto anche come Cross-Country Freighter, ha servito bene per tutto l'anno finchè, l'anno seguente, si incendiò distruggendo il generatore centrale, a causa di una discesa impostata male dal pilota (senza l'ausilio dei freni, i motori elettrici hanno funzionato da generatori sovraccaricando il sistema; l'inerzia dei rimorchi ha fatto il resto) causandone la distruzione. I resti della motrice furono comprati da un privato (Bobby Miller) nel 1968 per 25000 dollari, successivamente rivenduto ad un altro privato (John Reeves) ed esposto ai turisti. L'unità termica era costituita da due motori da 400 cv Cummins NVH-12BI, con trazione 24x24, 5 rimorchi per un totale in lunghezza di 84 m e 170 t di carico netto. I risultati incoraggiarono l'esercito americano ad andare avanti con i finanziamenti, arrivando a stabilire le prerogative del mezzo che prese il nome ufficiale di LCC-1 (Logistical Cargo Carriers) o YS-1 “Army Sno-Train”. Se la versione precedente poteva avere le fattezze di un mostro su ruote, l'LCC-1 riusciva a far impallidire anche i più audaci monster truck odierni. Allo scopo di aumentare la mobilità (nota dolente di ogni mezzo fin qui costruito) si decise di dividere in segmenti l'unità motrice tramite un giunto cardanico, quello che a posteri verrebbe definito “dumper multi-trailer”. I requisiti iniziali imponevano un trasporto di materiale pari a 45 t in ogni condizione, compresa quella desertica; fu creato nel 1956 e, una volta approvato, fu collaudato nel Michigan e successivamente inviato in Groenlandia fino al 1962, anno della fine dei lavori per la DEW Lines. Il mezzo si componeva di una cabina primaria ospitante 3 operatori con i relativi scomparti per il riposo, cucina (grezza) e servizi igienici. Dall'altra parte del cardano vi erano tutti i gruppi generatori e i serbatoi di carburante. La configurazione a 3 rimorchi prevedeva la trazione 16x16, con le stesse ruote dello Sno-Freighter dal diametro di 3 m uguali per tutta la linea di trasmissione. Per l'aggancio del pesante timone dei rimorchi, la motrice fu dotati di un argano posizionato su un telaio a L, alimentato e comandato dalla cabina. L'alimentazione era fornita da 2 gruppi elettrogeni, costituiti da motori Cummins VT-12 da 600 cv l'uno. Fu abbandonato a fine servizio vicino al polo nord-canadese, ora in mostra al Yukon Trasportation Museum in Canada. La leggenda degli Overland Train però non finisce qui: i requisiti dell'US Army aumentarono chiedendo un mezzo sempre più grande, sempre più lungo e sempre più folle. E la LeTourneau il mezzo più folle glielo diede. Il TC-497 Mark II. Tuttora detentore del record per il mezzo gommato più lungo della storia, fu costruito nel 1958 con modifiche che gli permisero di non avere limiti alla lunghezza e al peso complessivo trainato al costo di 3,7 milioni di dollari. Innanzitutto, la centrale energetica non era più vincolata alla motrice come in tutti i mezzi precedenti: infatti nell'unità di testa vi era la cabina di guida e un gruppo elettrogeno principale. In un rimorchio “tender”, agganciabile in ogni punto del convoglio, c'erano ulteriori 3 gruppi elettrogeni. I 4 gruppi di energia non consistevano più nei classici motori a benzina, diesel o butano, ma in turbine a gas Solar MC-10 (CAT) da 1170 cv l'una. Per raggiungere un buon rapporto di peso e potenza, tutta la struttura fu realizzata in alluminio saldato. L'altra grande innovazione fu il sistema di sterzo: nell'LCC-1 si notò come i rimorchi viravano in maniera passiva, cioè se la motrice schivava un ostacolo era possibile che parte dei rimorchi non seguissero la scia andando a collidere. Nel MKII fu risolto dotando ogni rimorchio, composto da 4 ruote, di 2 organi di sterzo controllati direttamente dalla cabina; questo per consentire a tutto il convoglio di ruotare nel medesimo punto e con il medesimo grado in cui avrebbe virato la motrice, stile “serpente”. Il limite del sistema consisteva nell'effettuare questa manovra a basse velocità e la si poteva attuare solamente in maniera manuale. La motrice ora contava su 6 ruote non articolate, in quanto il complesso sterzo sostituiva in maniera ottimale eventuali collegamenti cardanici. La compattezza dei gruppi elettrogeni permise l'alloggiamento di 6 persone con servizi dedicati, zona notte e cucinino. Essendo studiato per operare nei deserti e nelle lande gelide, particolare cura fu posta nel sistema di climatizzazione/riscaldamento. Data l'imponenza del mezzo, per la navigazione terrestre furono istallate antenne radio e un radar sopra la cabina. La cisterna era divisa tra motrice e tender, per un totale di 30000 l di combustibile e un'autonomia da 560 a 640 Km circa a 32 Km/h (nulla esclude però che altri eventuali rimorchi cisterna potessero essere agganciati al convoglio, togliendo limiti all'autonomia). In quanto a dimensioni, il convoglio presentato possedeva 11 rimorchi, una motrice e un tender, per una trazione 54x54, una lunghezza di 174 m, 300 t di peso più ulteriori 150 t trasportabili. L'esercito confermò le specifiche nel 1960, l'assemblaggio iniziò nel '61 e nel 1962 cominciò la fase di test; venne inserito nell'ambito del progetto LONTRA come “Overland Train Terrain”. Presto sarebbe entrata in servizio una tra le più straordinarie macchine belliche se non che.. il “nemico arrivò dal alto”. In quegli anni infatti, la Sikorsky, nota azienda produttrice di elicotteri, presentò il sorprendente S-64, la cosiddetta “gru volante”. Le sue doti di flessibilità, velocità, potenza, costi ridottissimi di esercizio e (non di meno) la capacità di volare, non solo resero obsoleto l'Overland Train “dal giorno alla notte”, ma segnò nuovi standard per il trasporto pesante tattico anche nei decenni a venire. Il TC-497 fu battuto all'asta ad un privato per 1,4 milioni di dollari, restaurato ed esposto in Arizona; tutti i rimorchi vennero demoliti. Fu così che si concluse la breve ma curiosa storia di questi giganti appartenuti alla fantasia di un tempo in cui nulla poteva ostacolare la corsa al sempre grande, sempre più potente e sempre più folle. Eric C. Orlemann 2001 “ LeTourneau Earthmovers ”, https://it.wikipedia.org/wiki/Overland_train http://www.unusuallocomotion.com/pages/locomotion/letourneau-land-trains.html https://www.warhistoryonline.com/military-vehicle-news/the-gigantic-180-meter-long-us-army-land-trains-of-the-1950s.html/3 http://www.huffingtonpost.com/john-geoghegan/off-the-railspart-ii_b_2450444.html http://www.taringa.net/posts/autos-motos/4080855/LeTourneau-Overland-Train-el-mayor-ferrocarril-con-ruedas.html
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Classe Komar Un ringraziamento per la gentile collaborazione, Gian Vito. Davide contro Golia. Forse è così che si può immaginare metaforicamente la creazione di questa imbarcazione sovietica, un'unità minore derivata da un'unità antiquata ma che ha saputo tenere sulle spine navi del calibro di un cacciatorpediniere, grazie all'uso di una “fionda” che rivoluzionò il warfare del Patto di Varsavia. Tutto ebbe inizio dopo il 1950 nella marina dell'Unione Sovietica, con la dismissione della motosilurante classe P4 e la progettazione della classe P6 (progetto 183), ottimizzata per l'intercettazione di fregate e cacciatorpediniere. Inizialmente armata con 4 tubi di lancio per siluri Type 53 da 533 mm con l'appoggio di due torrette binate con pezzi da 25 mm 2M3, con l'aggiunta di 12 cariche di profondità o due mine antinave. La produzione fu subito elevata sia in URSS sia nei paesi alleati, arrivando a superare le 622 imbarcazioni. Per quanto ben armate e con discrete prestazioni, risultava chiaro che l'avvento di nuovi radar e il miglioramento prestazionale dell'artiglieria avrebbe reso vana l'azione delle piccole unità, impedendo il lancio dei siluri alle distanze abituali, riducendo drasticamente le possibilità di colpire. L'era d'oro per le motosiluranti sembrava volgere al termine. Ciò che l'Unione Sovietica cercava era un'arma capace di eludere i sistemi radar nemici o, perlomeno, riuscire a tenersi a debita distanza dai cannoni americani, da usare principalmente a scopo difensivo ma con ottime possibilità in attacco. La svolta arrivò con la creazione dei missili da crociera SS-N-2 Styx (P15 Termit) e il loro vasto utilizzo sulle navi della marina. Detti missili, istallati in piccole unità veloci, avrebbero potuto costituire una grande potenza di fuoco dal rapido dispiegamento e dal basso profilo. Nel 1957 venne creata dalla ALMAZ una versione ad hoc della P6 denominata Progetto 183R, successivamente nominata “Komar”, con un armamento ridotto ad una sola torretta binata da 25 mm ma con l'istallazione di due voluminosi case per i missili antinave sulla parte poppiera. Ogni reparto di moto-cannoniere lancia missili comprendeva 6 unità, in quanto venne calcolato in linea teorica che sarebbe servito lanciare 12 missili contro un cacciatorpediniere NATO, con 1 sola possibilità su 3 di colpirla. Secondo un documento de-secretato dagli archivi CIA del 17 novembre 1967 (N°00796/67B) sull'impiego dei missili guidati sovietici, il profilo di ingaggio prevedeva l'identificazione del target da parte di unità maggiori o radar costieri. Seguiva l'invio delle motocannoniere lanciamissili Komar per l'aggancio del bersaglio attraverso il radar di bordo, distanza stimata sulle 20 miglia nautiche, attraverso il quale i missili acquisivano la telemetria e i rilevamenti del bersaglio. Lo stesso acquisiva poi il feedback sull'avvenuto attacco ed eventuali danni all'unità nemica. Per il massimo effetto, il missile doveva essere approntato e lanciato sulla base dei dati forniti dal radar della nave madre o tramite sistemi ottici imbarcati nella Komar. Dopo l'inserimento delle necessarie informazione nel sistema di guida del missile, un booster lo avrebbe portato fuori dai case ad una quota operativa tra i 92m e i 300 metri ad una velocità di 0,9 mach, costringendo le forze di difesa alla reazione in un solo minuto. Il progetto si rivelò vincente in quanto l'utilizzo di una motosilurante alleggerita costituiva un bersaglio sfuggevole date le elevate velocità in navigazione, che, unite al basso profilo dello scafo e alla sezione ristretta e minimale della tuga, ne rendeva molto difficile l'individuazione per i radar contemporanei. La Komar però non era esente da difetti, derivati dalla mancanza di corazzatura del ponte e dalla mancanza di efficienti pezzi contraerei, il che la rendeva molto vulnerabile agli attacchi aerei. Il secondo problema era costituito dagli stessi missili Styx, suscettibili alle contro-misure elettroniche. Inoltre non era possibile ingaggiare un bersaglio ad una distanza di 5 miglia nautiche, in quanto essa era la distanza minima oltre la quale non poteva attivarsi il meccanismo puntamento e innesco della testata. Inoltre, nel caso di bersagli multipli, il radar imbarcato non poteva discriminare il bersaglio prioritario. Il range di temperature per l'utilizzo del sistema d'arma Styx apparentemente non poteva essere effettuato in condizioni inferiori di -15°C e superiori a 40°C. Inoltre non era possibile ingaggiare bersagli entro 4 miglia dalla riva dal lato del mare in quanto il disturbo radar causato dalla costa avrebbe alterato le rilevazioni; vennero riportati casi di ingaggio in esercitazione con la prora dell'imbarcazione tenuta parallela alla linea costiera. La Komar fu prodotta in serie negli URSS fino al 1965 nella versione R in 58 unità e 52 unità dotate di turbina a gas ausiliaria (identificata come TR), di cui si sommano 2 prototipi utilizzati per il collaudo dei missili Styx, le 183 A furono ottimizzate per operare nell'artico, la versione T le rendeva un bersaglio teleguidato. Per le esportazioni fu commissionata dall'Algeria in 6 unità nel 1966 (radiate nel 1987), dalla Cina in 23 unità acquisite dal 1960 al '67, alla Corea del Nord nel 1962 in 6 unità più ulteriori 4 prodotte in licenza, a Cuba in 18 unità dal 1963 al '66, Etiopia in 2 unità, Guinea in 3 unità successivamente affondate, Indonesia in 12 unità tra il 1962 e il '64 (radiate nel 1980), Iraq con 3 unità nel 1971, Vietnam del Nord in 4 unità tra il 1972 e l'80, 6 unità siriane nel 1966 (di cui 2 affondate nel 1973) e 7 unità per l'Egitto dal 1962 al '67 ritirate negli anni '90. In URSS la Komar servì da base per la realizzazione della successiva classe Osa, caratterizzata da una capacità d'attacco raddoppiata (da 2 a 4 missili) e da dimensioni maggiorate. In Cina venne prodotta sotto licenza come classe Houku in 6 esemplari, caratterizzata da dimensioni maggiori e l'inserimento di una seconda torretta binata poppiera (come previsto nell'originaria P6). Le unità egiziane, dopo il 1980, crearono una versione nazionale dotata di armamento europeo, definita classe October, armata con missili antinave OTOMAT, di gran lunga più versatili, prestazionali e affidabili. La prima vera prova di forza per la Komar ebbe luogo il 21 ottobre 1967, quando 2 unità egiziane affondarono il cacciatorpediniere israeliano Eilat. Al momento dell'attacco, l'Eilat stava pattugliando fuori dalle acque territoriali egiziane con lo scopo di evitare infiltrazioni nel Sinai. A tutt'oggi è acceso il dibattito sulla posizione del cacciatorpediniere, dove non è effettivamente chiaro se si trovasse ad operare appena dentro o appena fuori le 12 miglia nautiche dal confine egiziano. Dal rapporto CIA risulta che l'equipaggio dell'Eliat fosse in stato di pre-allarme per l'individuazione da parte di un radar costiero egiziano; viene riportato che il comando ignorasse di essere sotto attacco, fino a quando i radar della nave inquadrarono un missile in rotta d'intercettazione a 6 miglia di distanza, il primo attacco ebbe esito negativo. Alcuni minuti dopo ricevette un secondo missile che distrusse la sala macchine; mentre la nave imbarcò acqua e si prestò ad affondare nelle 2 ore successive, ricevette un terzo attacco andato a segno. Resta ancora non accertato il lancio del quarto missile. Nello scenario della Guerra in Vietnam, 4 Komar vennero schierate contro la flotta americana lungo i fiumi dell'entroterra e in appostamento negli estuari. Il 19 aprile 1972, ingaggiarono il cacciatorpediniere americano USS Sterett durante la battaglia di Dong Hoi; l'esito dell'attacco fu negativo, con l'intercettazione di tutti i missili Styx lanciati (la vicenda non fu confermata dalla documentazione ufficiale). Vennero tutte neutralizzate da attacchi aerei il 19 dicembre dello stesso anno. Un'altra battaglia che vide schierate le Komar fu combattuta tra Israele e Siria il 7 ottobre 1973 (Battaglia di Latakia), con l'obbiettivo israeliano di distruggere le moto-cannoniere lanciamissili siriane in risposta alle ostilità iniziali. Alle 23:30, alla prima salva di missili Styx seguirono le contromisure elettroniche e i chaff lanciati dalle navi Miznak, Ga'ash, Hanit, Mivtach e Reshef. In risposta all'attacco, andato a vuoto, seguì l'abbattimento di una Komar e delle Osa siriane con missili Gabriel. La Komar superstite, danneggiata, fu affondata da un colpo da 76 mm. Va detto che le moto-cannoniere erano ormeggiate al porto di Latakia durante l'attacco e della salva di missili sparati dalle medesime, 2 colpirono per errore due vascelli mercantili alla fonda. CARENA E STRUTTURA Tutta l'imbarcazione, come accennato, ricalcava le forme interne ed esterne della motosilurante classe P6. Lo scafo aveva una struttura in legno stratificato con carena semi-planante, successivamente realizzata in acciaio dopo i primi 100 esemplari costruiti, con lunghezza fuori tutto di 25,5 m, larghezza di 6,4 m per un pescaggio di 1,4 m. Il dislocamento (senza i missili imbarcati, si aggirava sulle 70 t, con un dislocamento a pieno carico di circa 81 t. Le murate presentavano un profilo basso senza interruzioni, eccezion fatta per gli scarichi dei motori e le prese a mare lungo la linea di galleggiamento, in posizione centrale-poppiera. Nella parte poppiera dello scafo erano presenti 4 assi porta elica e due timoni semi-compensati; lo specchio di poppa seguiva la linea del ponte ed era inclinato verso l'esterno di 18/20°. Il ponte si presentava continuo, interamente calpestabile; lungo tutto il perimetro era presente una battagliola dal basso profilo; a prora vi erano le bitte e le aperture del salpa-ancora e, subito dietro, la torretta per il pezzo d'artiglieria. In posizione centrale era presente la tuga di dimensioni molto contenute e stretta, munita di 3 oblò frontali con apertura a compasso per la navigazione e la totale assenza di aperture lungo i fianchi (il portello d'accesso era situato nel retro tuga sotto l'albero-traliccio, dove era sistemata la suite elettronica). Particolare dell'alberatura a traliccio era la possibilità di abbatterlo lungo la linea di mezzavia, al fine di contenere il riflesso radar e navigare in fase di attacco solamente attraverso l'uso del radar dell'imbarcazione di testa o con quello della nave madre. Nel ponte poppiero venne rimossa la seconda torretta artigliera e l'armamento leggero, per far posto ai 2 voluminosi case KT-67 per i missili, istallati su rotaie e un traliccio inclinati di 12°, originariamente lunghi 4,5 m e successivamente ridotti a 2,75m; ogni lanciatore con i vari sistemi di lancio arrivava a pesare 1,1 t e consentiva il lancio in velocità tra i 15 e i 30 nodi fino alla condizione di mare forza 4. Le ricariche dei missili dovevano avvenire solamente i porto per un tempo di 30 minuti a missile. All'interno, la motocannoniera era studiata per l'imbarco di 17 operatori (di cui 3 ufficiali), con un'autonomia in mare di 5 giorni. Nel gavone di prora c'era la stiva per l'ancora; subito dietro la paratia prodiera erano presenti le brande, il locale cucina e i servizi igienici. Centralmente la scaletta di accesso alla tuga superiore e la saletta del comandante. Nello spazio restante regna l'imponente sala macchine e i serbatoi di carburante. APPARATO DI PROPULSIONE Per la spinta, le Komar si avvalevano di 4 motori posizionati in modo sfalsato, con la coppia laterale arretrata rispetto alla coppia centrale. Ogni motore consisteva in uno Zvezda V12 M50F6 ottimizzato per l'impiego navale, diesel con compressore centrifugo collegato direttamente all'asse motore, singolo ma di grandi dimensioni; 1204 cv a 1854 rpm, 62400 cc di cilindrata con alesaggio di 180 mm per corsa 200 mm. La trasmissione era in linea d'asse, composta da 4 alberi e 4 eliche a 3 pale in bronzo a passo fisso, che garantivano una velocità massima di 38 nodi continuativi e 43 nodi di spunto, un'autonomia di 885 miglia nautiche a 11,8 nodi, 480 miglia nautiche a 26 nodi, 450 miglia nautiche a 27,5 nodi o 400 miglia nautiche a 30 nodi. Per l'alimentazione elettrica dispone inoltre di generatori diesel, rispettivamente da 22 Kw, 15 Kw e 7 Kw. SISTEMI DI NAVIGAZIONE La suite elettronica era composta da un radar MR-331 Rangout e un sistema di riconoscimento/identificazione IFF Nikhrom, ereditati dalla precedente P6. In aggiunta furono stallati un radar di scoperta “Square Tie”e un IFF “High Pole-A” ottimizzati per l'unità Komar. Il sistema di elaborazione P.U.S. “Klen” otteneva i dati dal radar Rangout e, tenendo conto di dati come il tempo di volo del missile e il rollio della nave, calcolava il momento esatto più proficuo per il lancio. Il puntamento dell'apparato missilistico era assistito anche da un telemetro ottico PMK-453. APPARATO OFFENSIVO E DIFENSIVO L'arma di autodifesa primaria consisteva in un pezzo d'artiglieria binato da 25x218 mm 2M-3, uno dei più usati dalla marina sovietica. Basato sul precedente KM-84 con lo stesso calibro, si avvaleva di due cannoncini 110-PM da 270/300 c/min, tiro massimo fino a 2,5 Km orizzontali e 1,7 Km verticali, con puntamento ottico, azionamento a gas e martinetti idraulici per lo spostamento manuale in torretta. La torretta si componeva di un posto a sedere a sinistra per l'artigliere, il munizionamento sulla destra e i cannoni in posizione centrale. In normali condizioni d'utilizzo o nelle raffiche brevi, erano raffreddati a d aria; con l'uso intensivo o con lunghe raffiche, una pompa provvedeva al raffreddamento tramite acqua. Il ciclo di vita della canna, dotata di spegnifiamma, era di 12000 colpi, la riserva di munizioni era contenuta in caricatori sganciabili, ognuno con 65 colpi. Lo stesso pezzo d'artiglieria equipaggiava sia le motosiluranti P6 sia le precedenti P4, usato prevalentemente come (blanda) soluzione antiaerea piuttosto che per scopi antinave. Progettato tra il 1945 e il 1949, fu prodotto in unione sovietica dal 1953 al 1984. Ii sistema di difesa passivo consisteva in fumogeni realizzati tramite l'iniezione di gasolio dentro lo scarico gas dei motori. FOCUS SUL MISSILE ANTINAVE SS-N-2 Il missile P-15 Termit (SS-N-2 Styx), era un’arma grande e poco sofisticata. La variante iniziale pesava oltre 2,5 tonnellate e con una lunghezza di quasi 6 metri e un diametro di 76 cm, non avrebbe presentato alcun problema per una difesa antimissile che, all’epoca dell’adozione, sfortunatamente ancora non esisteva. Il Termit veniva guidato sul bersaglio in base ai dati forniti dal radar di puntamento sulla nave, ad una distanza di lancio massima di 40 km, fino ad 80 nei modelli più avanzati, ma pratica molto inferiore per le limitazioni dei radar di puntamento. Proseguiva il volo subsonico (0,95 Mach) su traiettoria bassa, tra i 100 e i 300 metri di quota con guida inerziale. A 11 km dal bersaglio attivava il proprio radar MS-2 e si auto guidava fino all’impatto in planata poco accentuata (1-2°). La testata HEDP (alto esplosivo a doppio uso) di 450 kg RDX, al contrario di quanto viene spesso pubblicato, non era a carica cava, pur avendo un liner di rame. Lo scoppio era meno concentrato e, pur mantenendo buone capacità perforanti, mirava a provocare danni estesi alle sovrastrutture e all’interno, coadiuvato in questo dal combustibile rimanente nel missile. Il radar, in banda I, impiegava la scansione conica, era quindi disturbabile con numerose tecniche di guerra elettronica. Studiato per colpire bersagli di grandi dimensioni, come portaerei e incrociatori, presto superato dal progresso tecnologico, è rimasto comunque in servizio presso numerosi paesi con molti modelli aggiornati. Pur con tutte le limitazioni, il missile ha segnato una svolta epocale nella guerra navale. https://www.cia.gov/library/.../docs/DOC_0000886761.pdf http://weaponsystems.net/weaponsystem/II02%20-%2025mm%202M-3.html http://russianships.info/eng/warfareboats/project_183r.htm https://books.google.it/books?id=jd08AgAAQBAJ&pg=PA313&lpg=PA313&dq=komar+class&source=bl&ots=pGMp5qVi8n&sig=WgDwrmB2A_e4B2IoR-lc1tOsLoo&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjj1Ia54MfVAhXIyRoKHXGeA9c4ChDoAQgvMAI#v=onepage&q=komar%20class&f=false https://en.wikipedia.org/wiki/Komar-class_missile_boat http://www.russianwarrior.com/STMMain.htm?1947vec_Komar.htm&1
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Ok. Poniamo per ipotesi che il sistema funzioni, che tu sia ascoltato da qualcuno della Iveco, che la cosa vada in porto. Cosa abbiamo ottenuto? Abbiamo ottenuto un mezzo con la medesima corazza, con il medesimo armamento, con le medesime prestazioni ma che sterza meglio. Praticamente quindi "le dà" alla stessa maniera, "le prende" alla stessa maniera, con la stessa velocità ma... sterza meglio. Un parere da chi la meccanica militare la mastica senza essere un militare è che una eventuale modifica ad un mezzo militare non è la tipica modifica fatta su un mezzo civile. nel senso: Un up-grade militare va pensato sulla base delle parole "distruggere", "incassare" e/o "sfuggire". Queste Dragon sono le parole intorno alle quali orbita tutta la tecnica e la fisica del mondo militare. Una modifica allo sterzo può offrire vantaggi a veicoli stradali.. a veicoli civili o movimento terra, ma tale modifica al fine bellico risulta un costo in più che non ha influenza su quelle tre parole (forse è questo che Fabio 22 Raptor voleva dirti). E poi c'è il concetto espresso da Vorthex, per cui gli eserciti, le marine e le aviazioni talvolta non ragionano sempre a scopo migliorativo, semplicemente e haimè si accontentano. Il Signore solo sa quante volte lo abbiamo visto succedere e continuiamo a vederlo (solo per farti capire, ci son voluti decenni interi di ritardo per far capire all'EI che il Beretta 70/90 è antiquato come una sputafuoco nell'antico West, ma qui sfociamo nell'off-topic). Tornando alla Centauro 2, la EI ha già fatto la sua scelta, non ammette altre innovazioni perchè semplicemente.. non sono vitali per la sopravvivenza del mezzo. Senza contare poi la ripercussione di dovere aggiornare TUTTO il parco mezzi Centauro in giro nella penisola con annessi costi. Purtroppo se è l'illustrare la tua idea/invenzione il motivo per cui sei entrato nel forum, mi spiace ma non ci sono pezzi così grossi qui dentro, e non basterebbe un forum a cambiare le sorti di una decisione costata cifre a 6 zeri firmate orsono. Qui tutti possono dire la loro e così deve essere ma in parti uguali, senza favoritismi. Consideralo un gigantesco scambio culturale tra appassionati, senza alcun fine tangibile se non quello di tornare a casa più istruiti e aggiornati Comunque sia, l'invito che ti avevo fatto su un articolo di contattare un forum della casa Iveco non era campato in aria, giacchè le cose si risolvono meglio dall'interno di una comunità di appassionati (Iveco in questo caso) o chissà, magari di altre case con possibilità maggiori. Loro poi saprebbero indicarti con chi parlare o addirittura come migliorare. Noi di Aereimilitari abbiamo altre competenze e siamo più improntati all'analisi che al miglioramento, questo lo lasciamo fare a ingegneri molto più capaci (e pagati) di noi. Noi analiziamo, scremiamo le voci di corridoio e facciamo chiarezza su una galassia vasta come la militaria, a 360°. Invito e chiedo tutti da semplice utente/articolista a tenere un comportamento consono al luogo al quale ci troviamo, in modo che il nostro sapere, il sapere di tutti, non vada disperso, bensì diffuso.
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E tu che ne sai? C'eri nel 1850? Non metto in dubbio che anche la FIAT la adoperi, ma non a quei livelli. Il V8 Vector dell'Iveco è un comunissimo V8. Non ha nulla di eccezionale. Il raffreddamento ad aria ormai ha raggiunto gli stessi standard di affidabilità dei raffreddati a liquido. Certo ovvio che il liquido ha più vantaggi, ma fin qui chiunque ha un auto o un motorino lo sa. 700 cv in più? briciole in confronto ai CAT C16 da più di 800 cv (6 cilindri in linea) o i Man da 1200 cv. Ma è inutile ipotizzare quale motore stia meglio in quel chassis, visto che gli ingegneri Tatra hanno di meglio da fare che leggere su forum stranieri cosa sarebbe meglio per il loro "non plus ultra" del trasporto tattico militare. Backbone® è un prodotto Tatra, brevettato. Errore. Stiamo parlando di veicoli speciali concepiti a scopo militare e ragionati per condizioni estreme. Questo è un altro mercato, dove regnano i milioni per un solo mezzo. Unimog ce l'ha, MZKT ce l'ha, Oshkosh ce l'ha. E la lista continua.. Alfa Romeo non fa camion militari. Maserati non fa camion militari. Ferrari non fa camion militari, Lancia non fa camion militari, Isotta Fraschini è fallita da molti anni e resta viva la divisione motori marini, tra l'altro di propietà di Fincantieri. E allora di che stiamo parlando? fiducia uno ce l'ha nei risultati. Risultati che all'Iveco al momento son distanti mille miglia da un Man SX, HX e allegra compagnia. Ma questo è un forum prettamente di armamenti e vettori d'armamento, non di strategie di marketing. Senza mancarti di rispetto, ma queste cose scrivile nel forum dedicato alla casa Iveco, con la speranza che qualcuno di grosso le legga. A me, personalmente, di strategie aziendali, marketing e carenze dei manager non mi interessa niente. Come neanche al resto del forum.
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Ciao Il Tatra ha sempre seguito per tradizione il concetto per cui "quello che non cè non si rompe", per cui l'uso di un motore raffreddato ad aria è una scelta ponderata attentamente da un'azienda nata nel 1850 (quindi con un know-out tecnico non indifferente). Beh.. la centauro 2 ha un comunissimo V8 alla fine quindi non ne vedo particolari vantaggi.. Per quanto riguarda il Backbone, è vero, è un sistema che richiede un'attenta progettazione, una soluzione audace e poco usata ma il cad si usa su qualsiasi mezzo industriale e su qualsiasi pezzo sottoposto anche al minimo stress meccanico/termico/idraulico (un differenziale presenta lo stesso impegno progettuale di un pneumatico). Per quanto riguarda il software di controllo di trazione..un sistema di quel tipo è assolutamente alla portata della Tatra (ricordo che questa casa non fa più carrozze a motore e berline ferri da stiro come nel 1930, sono passati molti anni credo). Parlando di Iveco e inteso come camion tattici, non ha mai avuto una cultura del timbertruck privileggiando il trasporto su strada e cava cantiere. Si, avrebbe le possibilità visti il Freccia, il Lince e il Centauro, non ne dubito. ma riuscirebbe a tenere testa alla Man tedesca (leader del settore) o raggiungere la storicità e la spurorata ed efficiente grezzità dei Maz anni 70? non credo
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benvenuto vedrai che questo forum saprà soddisfarela tua curiosità
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Special Operation Craft MK VI L'uso da parte del US Navy di molteplici unità leggere specializzate ha permesso l'accumulo di notevoli esperienze tecniche di sviluppo. Per citare un esempio, le MK V destinate ai Navy Seal o le Combat Boat 90H svedesi, adottate per l'uso fluviale; in comune queste imbarcazioni hanno la polivalenza in molteplici missioni, dal patroling all'appoggio al fuoco in situazioni di sbarco/imbarco in territorio nemico. Ciò si è tradotto in un parco nautico specializzato ma variegato, con tutte le relative complicazioni logistiche e dispendio di dollari. l'opportunità arrivò con l'uscita di servizio della MK V (vedasi articolo precedente) con i suoi difetti di progettazione e la mancanza di unità fluviali di progettazione nazionale. L'idea di base era di dotare le forze speciali di mezzi che superassero le carenze delle imbarcazioni precedenti, creare un buon prodotto per l'esportazione e che contemplasse le filosofie costruttive ampliamente collaudate dalla CB90H, creando quindi una motovedetta polivalente di nuova generazione. Lo studio della sostituta della Mk V fu portato avanti parallelamente nel 2006 dalla Maine Marine Manufacturing in collaborazione con l'università di Maine, la quale portò allo sviluppo del “Mako”, costruito su stampo della Mk V ma con l'uso di materiali esotici in sostituzione dell'alluminio. Sebbene il miglioramento fu notevole, il progetto venne scartato (poi successivamente utilizzato per compiti di polizia marittima) in quanto non riusciva a soddisfare tutti i requisiti avanzati dall'US Navy. L'imbarcazione scelta fu la seconda, quella in competizione con il “Mako”, la MK VI sviluppata dalla Safe Boat International. La maggiore spaziosità interna , l'alto livello tecnologico uniti alla compatibilità di trasporto nelle stive delle navi anfibie LHD, LPD e LSD hanno pesato notevolmente sulla scelta tra i due prototipi. La marina americana firmò un contratto iniziale, compreso di ricerca e sviluppo, di 36,5 milioni dollari per 6 unità nel 2012, successivamente incrementando l'ordine di ulteriori 4 imbarcazioni per 34,5 milioni di dollari nel 2014 con l'opzione di 2 unità aggiuntive (confermate nel 2015), per un piano d'acquisizione totale di 48 unità per ulteriori 52,2 milioni di dollari. La fabbricazione delle Mk VI trovò base nel porto LCPF di proprietà della marina a Tacoma, a Washington. Nel agosto 2014 fu autorizzata la produzione del primo lotto di 12 esemplari successivamente affidati alla forza NECC per le valutazioni operative nel 2015. l'entrata in servizio delle 12 motovedette è previsto entro il 2018. A titolo di prova e addestramento dell'equipaggio, 2 Mk VI sono state schierate a fianco delle CB90H nel Coastal Riverine Group 2 dell'US Navy nel settembre 2015, a supporto della 5° flotta nel Golfo Persico. 4 Mk VI seguirono un'intensiva fase di test e addestramento dell'equipaggio con l'appoggio della portaerei CVN 70 “USS Carl Vinson” nell'operazione addestrativa COMPTUEX. I molteplici ruoli a lei assegnati spaziano dal patroling in aree litoranee, sorveglianza, intelligence e counter-intellicence, comando, ricerca e soccorso medico, sbarco e imbarco di operatori in assetto bellico, appoggio al fuoco, difesa dei porti strategici e scorta alle unità maggiori della marina in mare aperto, dimostrando quindi un'operatività in ogni scenario bellico acquatico. Le buone prestazioni ne consentono l'utilizzo anche come intercettore nella lotta al traffico clandestino, con l'appoggio dei Seals può svolgere attività coordinate con i caccia-mine per la bonifica di tratti di mare minati. Sottolineando l'ultimo punto, la USN presentò la Mk VI in Bahrain in concomitanza con l'International Mine Countermeasures Exercise (IMCMEX) nell'aprile 2016. CARENA E STRUTTURA Lo scafo è planante con geometria a V profonda in alluminio blindato, con lunghezza fuori tutto di 26m, larghezza di 6,7 m, pescaggio di 1,2 m per un dislocamento di 65 t più 5 t di carico addizionale. Possiede uno spigolo accentuato dal tagliamare superiore fino alla parte centrale della linea di galleggiamento, adottando un profilo a pattino, per poi proseguire come sfaccettatura raccordata all'opera viva. Questo disegno permette di raggiungere una buona stabilità durante la planata ad alta velocità pur mantenendo un'ottima stabilità con il mare mosso. Sul dritto di prua spicca un'apertura rettangolare a dividere le murate, rinforzata con paracolpi e dotata di scalino integrato, questo per permettere la salita e la discesa degli operatori dalla parte frontale. A differenza della Mk V le murate sono verticali a vantaggio di un dislocamento aumentato ma penalizzando la riflessione radar. Sui masconi di prora sono presenti tre ombrinali per il deflusso di eventuale acqua imbarcata oltre la soglia del paraonde. Al centro delle fiancate è presente (sia a dritta che a sinistra) un'apertura ad altezza sfalsata, la quale espone a mare una pedana accessibile da poppa e da prua tramite due scalette. Durante la presentazione dei prototipi, lungo tutte le fiancate era presente un bordo rinforzato al fine di migliorarne la protezione e la stabilità, successivamente abbandonato sulle unità di serie. La poppa conserva la polivalenza d'utilizzo della progenitrice, presentando una superficie nell'opera viva a specchio ma carenata lateralmente con un profilo a volta; la parte superiore presenta una superficie piana inclinata direttamente sul mare al fine di caricare o scaricare RIB d'assalto ed eventuali UAV, USV o UUV da ricognizione. Il ponte, come accennato, è protetto frontalmente da un paraonde e prosegue per tutta l'imbarcazione sotto il livello delle murate. Al fine di consentire il passaggio e le attività degli operatori, due passerelle amovibili bypassano i due pozzetti ricavati sulle fiancate. Creando di fatto due passavanti di continuità intorno alla tuga. Nella parte poppiera è possibile effettuare operazioni di manutenzione, riparazione e armamento di RIB, istallare postazioni armate o allestire una rampa a telaio per il lancio di UAV da ricognizione. Lungo il perimetro, ad accezione della prua, vi sono battagliole fino ai giardinetti, dove due gavoni laterali fungono da deposito d'utilità. La tuga, anch'essa in alluminio e dotata di blindatura, si mostra con un frontale aggressivo dall'inclinazione accentuata e multi-sfaccettata, migliorando la visibilità attraverso i vetri blindati. La vetratura è di ispirazione aeronautica, per consentire la visibiltà orizzontale al timoniere fino a 180° e un'ampia visibilità verticale grazie alla seconda linea vetrata superiore. Nella struttura principale a proravia trova posto la cabina di comando e navigazione. La sezione di poppa, dotata di portello di dritta e di sinistra, anch'essa vetrata, pone rimedio alla carenza di protezione della Mk V isolando gli operatori imbarcati o la squadra di Seal dall'esterno mantenendo l'accesso a tutti i locali di bordo. Un eventuale protezione a poppa, esterna alla tuga, è costituita da un tendalino su un telaio sospeso, estensibile all'occorrenza. Nella parte superiore della tuga si estende un fly bridge, protetto da battagliole, dove trova posto l'armamento contraereo, la postazione di vedetta, una contro plancia (accessibile direttamente dalla cabina di comando di prora) e l'albero con la suite elettronica. Anche nel fly bridge è possibile l'istallazione di un telaio tendalino o di una postazione di tiro blindata, entrambe abbattibili rapidamente. La cabina interna pone l'accento su una dotazione tecnologica molto sofisticata, con schermi LCD in per la visione perimetrale, guida notturna e all'infrarosso, controllo remoto delle armi, visione di tutta la suite elettronica di navigazione e condivisione dati con tutta la flotta americana. Dietro ai piloti, le workstation sono integrate nei sedili. L'imbarcazione ospita 10 operatori più 8 persone imbarcate; tutti i sedili sono ammortizzati e molta cura è stata posta al confort, all'isolamento acustico e termico interno. Sotto coperta a prua è presente il gavone contenente il salpa ancora e successivamente il modulo abitativo. Centralmente i serbatoi di carburante sono corazzati con piastre balistiche, al pari della sala macchine a poppavia, al fine di garantire la sopravvivenza degli apparati di movimento sotto il fuoco nemico. A poppavia della tuga è possibile l'istallazione di apparecchiature mediche, diventando di fatto una postazione avanzata di soccorso. APPARATO DI PROPULSIONE I propulsori sono situati centralmente a poppavia dell'imbarcazione, su piattaforme parallele. Essi sono due MTU 16V2000 M94, ognuno diesel quattro tempi bi-turbo con intercooler, 16 cilindri a V, distribuzione a quattro valvole per cilindro, 35700 cc di cilindrata, alesaggio 135 mm x corsa 156 mm, 2600cv a 2450 rpm per un consumo medio di 502,8 L/h. Raffreddamento a fasci tubieri, con cassa di compenso acqua dolce/acqua di mare e pompa di presa a mare integrata. L’iniezione è diretta tramite apparato common rail e centralina programmabile ECU (la quale gestisce la velocità di rotazione all’asse, il timing e la pressione d’iniezione, la sovralimentazione sequenziale, livelli multipli di sicurezza come il taglio della potenza erogata e l’arresto d’emergenza). I collettori di scarico sono a tre vie in modo da limitare le alte temperature e pulire i flussi, aumentando il rendimento nei turbo; sono inoltre raffreddati ad acqua. La gestione del motore è affidata ai sistemi MCS (Monitoring Control System) e RCS (Remote Control System), i quali gestiscono anche la sicurezza e la diagnostica di tutto l’apparato di spinta grazie l’FMEA (Failure Mode and Effect Analisys). Al fine di evitare possibili incendi, tutte le parti sono annegate in agenti schiumogeni ignifughi. Tutti i parametri e la gestione dei controlli motore è affidata a un pannello LCD in plancia quale il LOP (Local Operating Panel) e un’interfaccia modulare SPU (Systembus Processing Unit). I due motori sono collegati a due riduttori e successivamente a due idrogetti Hamilton HM651 tramite linea d'asse, dotati di sterzo a comando idraulico HFRC, presa a mare in alluminio e inversore di spinta “a cucciaio”, incernierati all’ugello; la girante interna eroga una potenza massima intermittente fino a 2991 cv a 1304/1407 rpm e una potenza massima continua di 2379 cv a 1220/1316 rpm (valore comprendente anche di fenomeni di cavitazione interna). A livello di prestazioni permette una velocità massima a pieno carico di 30 nodi, 45 nodi in configurazione standard; l'autonomia è di circa 750 miglia nautiche a 25 nodi, 690 miglia nautiche a 30 nodi. SISTEMI DI NAVIGAZIONE Come la precedente MK V, dispone di una suite elettronica “allo stato dell'arte”: radio VHF, HF, UHF, radio CB in AM/FM e SatCom (tutte collegate a criptatori di segnale). Radiogoniometri, radar Furuno 1715, LORAN-C e GPS gestiscono la navigazione anche in automatico tramite Plotter e pilota automatico. Trasponder IFF associato al sistema d'arma e sistemi informatici per la guerra Network-Centrica, elaborazione dati e sopravvivenza C4SI. APPARATO OFFENSIVO E DIFENSIVO La piattaforma difensiva primaria consiste in 2 torrette remote sopra al fly bridge (a poppavia e a proravia) Kongsberg Sea Protector MK50 (versione navalizzata in dotazione all'US Navy del M153 Protector), girostabilizzate sui tre assi, con videocamere diurna a colori VIS95, telemetri laser LRF e videocamere termiche IR. Il puntamento e la stazione di controllo sono su schermi LCD integrati nei sedili, a loro volta collegati all'elaboratore dati centrale della motovedetta. Il processore dati del Sea Protector elabora autonomamente il tracking (in collaborazione con l'IFF dell'imbarcazione) e i calcoli balistici. Il sistema di scoperta è indipendente dall'arma da fuoco consentendo la continuazione della ricerca a 360° anche mentre l'arma sta aprendo il fuoco sul bersaglio designato. Le mitragliatrici remote sono da 12,7 mm. La bocca di fuoco principale è un cannoncino leggero a catena Bushmaster MK38 da 25mm, con un rateo di 200 c/min, anch'esso remoto gestito direttamente nella plancia principale, con dispositivi di puntamento opto-elettronico e capacità di auto-tracking del bersaglio. Ulteriore dotazione basica comprende 6 mitragliatrici cal. 12,7mm Browning M2HB, sostituibili con mitraliatrici FN M240 da 7,62 mm, mitragliatrici a canne rotanti M134 Minigun o lanciagranate MK19 da 40 mm. Nell'arsenale della Mk VI, all'occorrenza, è possibile l'istallazione di batterie di missili guidati BGM 176B Griffin, a guida laser o GPS. La MK VI come accennato può ospitare due RIB d'assalto Zodial Milpro MK V, oltre a tutta l'attrezzatura necessaria ai Navy Seal per lo svolgimento delle loro missioni. https://www.kongsberg.com/en/kog/news/2013/september/the-sea-protector-mk50-supporting-the-us-navy/ http://www.navy.mil/navydata/fact_display.asp?cid=4200&tid=2600&ct=4 http://www.naval-technology.com/projects/mk-vi-patrol-boats/ https://en.wikipedia.org/wiki/Mark_VI_patrol_boat http://navaltoday.com/2016/11/10/mark-vi-patrol-boat-in-first-drill-with-aircraft-carrier/ http://www.defensenews.com/story/defense/naval/ships/2016/04/13/us-navy-patrol-boat-mark-vi-debuts-arabian-gulf/82985870/ http://www.militaryaerospace.com/articles/2015/07/navy-patrol-boats.html www.safeboats.com,
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Special Operation Craft MK V Nel contesto delle forze speciali, l'inserzione via mare del personale combattente in territorio nemico fu oggetto di notevoli studi in tutti i paesi dove esse operano. Nello specifico, fino agli anni '90, i Navy Seal americani poterono sbarcare sulle spiagge nemiche attraverso l'appoggio di sottomarini transitanti al largo e raggiungere la destinazione attraverso gli SDV in modo totalmente stealth, in alternativa all'avio-lancio seguito da un avvicinamento effettuato con i RIB. In effetti quello che venne a mancare fu una piattaforma in mare stabile, polivalente, dove poter pianificare le ultime fasi della missione, fungere da rendez-vous, avvicinarsi perlomeno alla fascia litoranea e da essa allontanarsi a fine missione con un buon potere difensivo. Fino a quel momento, simili compiti erano affidati a motoscafi veloci o natanti veloci, perfetti per i raid ma totalmente inadatti nelle operazioni di acquisizione obbiettivi, sorveglianza e infiltrazione silenziosa. Urgeva quindi un progetto sviluppato ad-hoc che contemplasse ogni filosofia bellica delle forze speciali della marina e che fosse dotato delle migliori tecnologie in seno al US Navy. Il progetto fu avviato nel 1995, con l'USSOCOM come primo contraente, e portò alla creazione di tre diversi e opposti prototipi: un monoscafo in alluminio, uno in kevlar e un catamarano con scafo in alluminio. Valutando le doti di resistenza in uno scenario bellico fu preferito il primo e in 18 mesi dall'avvio del programma si arrivò alla realizzazione della prima MK V da parte della VT Halter Marine Inc., per un costo ad imbarcazione di 3,7 milioni di dollari, raggiungendo la piena capacità operativa nel 1999. Furono affidate allo Naval Special Warfare Grup 3 e 4 (precedentemente denominati SBS 1 e 2, Special Boat Squadron 1 e 2), con 12 unità per il primo e 8 per il secondo. Tutte inquadrate all'interno del NSW. La MK V si dimostrò un'imbarcazione tuttofare, dotata di grande velocità unita ad una buona tenuta a mare anche in condizioni di mare agitato, la buona autonomia gli permise di svolgere ruoli di pattugliamento e polizia marittima, la ricca dotazione elettronica consentì lo svolgimento di operazioni di sorveglianza e svolse il ruolo di centro di coordinamento per le operazioni in terra e in mare, costantemente collegata a tutte le unità navali della marina. L'ottimo arsenale a disposizione permise l'estrazione dei Seal anche in situazioni di combattimento rischiose. La forma volutamente semi-stealth garantì un certo grado di occultamento durante gli avvicinamenti e durante le operazioni di recupero, che in alcuni casi raggiungevano le 12 ore di missione consecutive. L'uso intensivo a cui furono sottoposte queste imbarcazioni ne fece emergere i difetti di navigazione non contemplati in fase progettuale. Il problema più grave era costituito dallo stesso scafo in alluminio, certamente più resistente in caso di collisioni ma dalla naturale propensione a non scivolare sull'onda, bensì a impattare sulla cresta della medesima senza ammortizzare il colpo, con valori di accellerazione verticale pari a -4/-5 G. Tali ripetute sollecitazioni portarono a malesseri fisici non solo a tutto il reparto d'assalto ospitato (in cui si registrarono contusioni agli arti, ai denti, al collo e alla schiena, ma anche agli operatori di bordo. Nel gennaio del 2006 la US Navy presentò una versione migliorata nella quale fu tentato di porre rimedio al problema sopracitato (invano) con l'utilizzo di sedili specifici dotati di doppio ammortizzatore ad olio; fu ampliato l'arsenale di bordo e aggiornata l'elettronica. Nel 2006 inoltre venne commissionato alla Maine Marine Manufactoring LLC e all'università di Maine uno studio sull'utilizzo di materiali compositi, destinati a costituire la struttura di quella che doveva diventare la sostituta della MK V: la MK V.1 Mako. Nel 2008 venne realizzato il primo prototipo, sottoposto a test a Norfolk, Virginia. Rivoluzionaria rispetto alla progenitrice, risolveva completamente i disagi e dimostrava doti acquatiche migliorate grazie alla nuova motorizzazione; il programma di aggiornamento fu però cancellato in favore della più avanzata MK VI, entrata ufficialmente in servizio nel 2014. Attualmente le MK V Mako svolgono un ruolo di pattugliamento costiero, sebbene demilitarizzate e con un armamento ridotto alle sole mitragliatrici da 7,62 mm e 12,7 mm. Attorno alle MK V fu organizzato una struttura operativa, la Naval Air Station North Island a San Diego in California. La base funge da manutenzione, addestramento e riparazione. Le unità da li possono venire dispiegate in tutto il mondo tramite un pacchetto logistico a blocchi di due imbarcazioni, costituito da due Oshkosh M916 A1 per il trasporto su terra (poi rimpiazzato dal Oshkosh M1070), quattro humvee M1097, due veicoli da trasporto medio su PLS M1083 per la distribuzione di parti di ricambio, carburante e munizioni, un team di otto tecnici e un carrello elevatore da 5 t. Il tutto trasportato via aerea da due cargo C5 Galaxy dell USAF. Le unità trasportate raggiungono lo status di operatività in 24 ore dall'arrivo del pacchetto logistico. Per il mercato estero fu commissionata nel 2009 in 10 esemplari dalla marina del Kuwait per la cifra di 61,6 milioni di dollari sotto il programma FMS, con ruoli di pattugliamento costiero e interdizione; divennero operative dal 2013. La Royal Bahrain Naval Force commissionò agli Stati uniti cinque MK V (di cui due fornite nel 2014 e tre nel 2016). Nel 2013 la marina saudita fece richiesta di acquisizione di 30 unità per 1,2 miliardi di dollari comprese di tutto l'apparato logistico, addestramento del personale, manutenzione e armamento nel ruolo di patrol boat. CARENA E STRUTTURA Come citato sopra, la Mk V si basa su uno scafo planante con carena a V profonda in alluminio 5086, con lunghezza fuori tutto di 25 m, larghezza di 5,25 m, pescaggio di 1,5 m per un dislocamento di circa 57 t più 3 t di carico addizionale. Le murate sono inclinate verso l'interno dalla linea di bagnasciuga per diminuire la riflessione radar. Tutta la carena non dispone di stabilizzatori o redan sebbene l'imbarcazione sia studiata per l'elevata velocità, aumentando però la stabilità in condizioni di mare agitato. La poppa presenta un profilo inferiore a volta, permettendo l'alloggio degli ugelli degli idrogetti; la poppa è affinata orizzontalmente e raccordata al ponte poppiero da una rampa inclinata, utilizzata per l'imbarco e lo sbarco di gommoni utilizzati dalle forze speciali. Nei due gavoni poppieri a bordo della rampa vi sono due boccaporti per la rimessa di materiale di rispetto, attrezzature per il personale imbarcato o riserve di munizioni per l'apparato difensivo. Lungo il perimetro calpestabile del ponte centrale e poppiero vi sono quattro affusti fissi per le armi in dotazione (più uno di prora di dimensioni ridotte) e battagliole di ritegno; due tientibene contornano il ponte chiuso di prora. Per la costruzione dell'Mk V.1 “Mako” furono risolti i problemi sopracitati con l'introduzione di un doppio scafo realizzato esternamente in fibra di carbonio e internamente da un contro scafo in Kevlar, riempito nel mezzo con uno strato di schiuma facilmente riparabile dall'esterno, consentendo un'ottima dote di galleggiabilità anche in caso di collisione o fori da proiettile. Il nuovo disegno prevedeva una lunghezza maggiorata di due metri e il ponte rialzato di 0,6 m per disporre di più spazio sottocoperta, l'aggiornamento l'apparato elettronico una nuova motorizzazione (che, annullato il progetto “Mako”, fu adottata dalle Mk V destinate al pattugliamento) e una nuova plancia di guida. Sotto la carena furono testati e realizzati due canalizzazioni per convogliare l'acqua più facilmente agli idrogetti, aumentando leggermente la velocità dell'imbarcazione. Nelle “Patrol” inoltre è possibile istallare dei pannelli corazzati sul perimetro esterno del cassero centrale e nelle vetrature, consentendo una maggiore capacità di difesa la plancia semi chiusa occupa centralmente tutta la larghezza della MK V (fatta eccezione per due piccole passerelle laterali) e costruita anch'essa con un occhio di riguardo allo steathness. Le ampie vetrature frontali e laterali sono blindate, resistenti fino al cal.50 nei modelli più aggiornati; dietro il cassero di plancia è presente un roll-bar coperto da un tendalino avvolgibile per la protezione dalle intemperie e dagli schizzi d'acqua ai Seal imbarcati (non conferendo però alcuna protezione balistica). In coda al roll-bar è presente un traliccio carenato ancorato al bordo superiore delle murate, con funzione di sostegno per la suite elettronica, pensato per schermare lateralmente la strumentazione dal riflesso radar. Il ponte centrale presenta una superficie piana, con la capacità di carico di quattro unità d'assalto RIB Zodiac Milpro Mk V con motore fuoribordo istallato, ed altri due motori fuoribordo di riserva e serbatoi di carburante pallettizzati a tenuta stagna per le unità RIB; è inoltre possibile istallare una rampa provvisoria per il lancio di mini-UAV Scan-Eagle da ricognizione. Lungo il perimetro del ponte possono essere alloggiati dei contenitori a tenuta stagna per la detenzione delle armi di riserva. La Mk V è disegnata per 4/5 operatori più una squadra di 16 Navy Seal (o 10 operatori e 2 ufficiali nella versione da pattugliamento); nella cabina di guida e comando due postazioni gestiscono la timoneria/navigazione e l'analisi della suite elettronica. Sia i sedili dei piloti sia quelli degli uomini imbarcati sono ammortizzati, al fine di resistere alle grandi sollecitazione derivate dall'alta velocità in mare agitato. All'interno nel gavone di prora trova alloggio l'ancora CQR e il salpa ancora elettrico, nella sezione prodiera vi sono 4 cuccette per gli operatori di bordo e nella sezione centrale ci sono i servizi igienici e un cucinino. Sotto la tuga verso la zona poppiera vi sono il serbatoio di acqua potabile e il serbatoio carburante da 9850 litri. https://www.navysealmuseum.org/home-to-artifacts-from-the-secret-world-of-naval-special-warfare/exhibit-mark-v-special-operations-craft-soc http://www.military.com/equipment/mark-v-special-operations-craft http://www.hisutton.com/World%20survey%20of%20Special%20Operations%20Craft.html http://www.globalsecurity.org/military/world/gulf/rsns-pb.htm http:/discoverspecialforces.com/special-force-vehicles/mark-V-special-operation-craft/ APPARATO DI PROPULSIONE L'apparato di propulsione è affidato ad una coppia di motori MTU 12V396-TE94 entrobordo, disposti parallelamente nella zona centrale a poppavia dell'imbarcazione. Ognuno è un diesel quattro tempi, con doppia sovralimentazione turbo; possiede 12 cilindri a V, alesaggio 165 mm x corsa 185 mm, 47520 cc di cilindrata, erogante 2284 cv in full power a 2000 rpm. L'iniezione è diretta common rail, il raffreddamento è a fasci tubieri e cassa di compenso, con circuito acqua dolce/di mare, lo scarico è raffreddato. L'Mk V.1 “Mako” e successivamente le versioni per il pattugliamento e sorveglianza costiera furono motorizzate con due MTU 12V4000-M90, sempre bi-turbo diesel quattro tempi, con 2735 cv a 2100 rpm, alesaggio di 165 mm per una corsa aumentata a 190 mm e una cilindrata aumentata a 48700 cc. La linea d'asse utilizza un invertitore/riduttore dedicato ZF 4650. Il miglioramento rispetto al 396-TA94 comprende la presenza di un doppio filtro dell'olio a valvole divergenti e uno ad azione centrifuga, così come il filtraggio del carburante. L'iniezione è elettronica diretta common rail con pompa ad alta pressione, linea d'alimentazione “camiciata” antincendio. Raffreddamento a cassa di compenso e fasci tubieri, con circuito dell'acqua dolce in comune con il riduttore; l'impianto di scarico si compone di tre collettori per bancata, raffreddati ad acqua di mare. L'unità di controllo (RCS-5) e gestione (MCS-5) elettronica del motore è gestita da unità MDEC, pannello d'interfaccia remoto in cabina e pannello diagnostica e manutenzione LOP in sala macchine. Collegati ai motori vi sono due riduttori/invertitori e, tramite albero di trasmissione, trasmettono il moto a due idrogetti Kamewa S3-50, dotati di elica ad alta pressione da 10000 mm e case in acciaio inox, per un range di potenze da 1000 a 3500 cv. Il comando di direzione è idraulico, con rotazione dei deflettori di direzione sia lateralmente sia verticalmente (auto-stabilizzante in condizione di planata), con i controlli disposti in cabina su schermi touch screen e gestiti tramite sistemi Can-Bus. Il SOC Mk V è capace di un'autonomia di circa 770 miglia nautiche alla velocità di crociera di 18 nodi una velocità a regime di crociera standard tra i 35 e i 38 nodi; per un massimo di 50 nodi circa e 47 nodi a pieno carico. http://www.mtu-online.com/italy/applications/marine-defense/index.it.html https://www.rolls-royce.com/products-and-services/marine/product-finder/propulsors/waterjets/steel-waterjets.aspx#section-product-search SISTEMI DI NAVIGAZIONE Dal punto di vista della navigazione e radiocomunicazione, dispone delle migliori tecnologie elettroniche disponibili per le piccole unità dell'US Navy, quali radio VHF, HF, UHF, radio CB in AM/FM e SatCom (tutte collegate a criptatori di segnale). Radiogoniometri, radar, LORAN-C e GPS gestiscono la navigazione anche in automatico tramite Plotter e pilota automatico. È inoltre istallato il trasponder IFF e sistemi informatici per la guerra Network-Centrica. APPARATO OFFENSIVO E DIFENSIVO Tutto l'armamento disponibile è configurabile a seconda della missione svolta. Nell'arsenale della MK V sono presenti combinazioni di mitragliatrici leggere FN M240 e Browning M60 da 7,62 mm, mitragliatrici pesanti Browning M2 da 12,7 mm e lanciagranate Mk19 da 40 mm. Con aggiornamenti successivi furono introdotte mitragliatrici a canne rotanti M134 Minigun, mitragliatrici binate Mk95 da 12,7 mm e cannoncini leggeri a catena Mk48 da 25 mm e Mk88. Per la difesa aerea sono presenti su contenitori stagni lanciatori e missili antiaerei FIM-92 Stinger, spalleggiabili dagli operatori. Nei gavoni stiva è inoltre presente una riserva di munizioni e caricatori per il supporto delle forze speciali a terra.
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Nemmeno io ad essere onesti, moltissime con il kit-A (prese d'aria laterali schermate e piastre corazzate sulle portiere ecc.) ma in effetti nessuna con il Kit-B. In effetti la dottrina d'impiego dei porta carri USA non richiede mezzi per operazioni di prima linea ma con funzione di collegamento, quindi pur essendo predisposto per l'istallazione, non viene montato (tale mole di corazze limiterebbe troppo il peso complessivo trainabile). la predisposizione comunque è presente, testimone il 5° settaggio del CTIS in "armatura". sarei anch'io davvero curioso di vedere qualche dimostratore allestito con il Kit-B