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Fantaguerra: l'invasione della Svizzera
Cavallo Pazzo ha risposto a 4porri nella discussione Off Topic
Domanda: come si può far stare otto divisioni corazzate in meno di 1 km2 di spazio? -
In passato avevo letto che la musica di Mozart e Haendel, poiché contengono basse frequenze, stimolano alcune parti del cervello, migliorando le capacità in campo logico e matematico, e nella disciplina del disegno tecnico. Avevano provato a introdurre in alcune classi di una scuola la musica di Mozart come sottofondo alle lezioni, e hanno notato dei risultati superiori del 30% rispetto alle altre classi. Invece, sempre nello stesso articolo, il metal, l'hard rock e i generi simili contengono alte frequenza, e provocano l'effetto contrario.
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L'anabasi: tredicimila Greci nell'Impero Persiano
Cavallo Pazzo ha pubblicato una discussione in Eventi Storici
Correva l’anno 401 a.C. Ciro “il giovane”, figlio del defunto re Dario II di Persia e fratello di Artaserse II, nonché satrapo della Lidia, della Frigia e della Cappadocia, partì dalla città di Sardi con esercito di circa 30.000 uomini tra cui 13.600 mercenari greci, con un solo scopo: spodestare il fratello e diventare il sovrano del più grande impero che il mondo abbia mai visto fino ad allora. Ciro e il suo esercito affrontarono Artaserse II nella battaglia di Cunassa (in Mesopotamia) dove però furono sconfitti e lo stesso Ciro ucciso. I Greci però sopravvissero quasi al completo, e per loro iniziò un epico viaggio all’interno di un territorio ostile, con i Persiani alle calcagna, solo per tornare a casa. Il tutto documentato dallo storico greco Senofonte che seguì personalmente l’impresa. La fine della Guerra del Peloponneso Il grande conflitto che divise in due la Grecia per 27 lunghi anni terminò nel 404 a.C. con la sconfitta di Atene e l’inizio dell’egemonia spartana. Sparta riuscì a sconfiggere la rivale grazie all’aiuto del re Dario II che le fornì una flotta abbastanza potente. I Persiani non avevano digerito la Rivolta Ionica (in cui Atene aiutò le poleis ribelli dell’Asia Minore) e le due Guerre Greco-Persiane; e capirono che i Greci se lasciati stare si scannavano tranquillamente da soli, quindi per sottometterli bisognava dividerli. Già in quegli anni Ciro “il giovane” progettò di appropriarsi del trono persiano al posto del fratello (legittimo erede) sfruttando anche l’appoggio della madre Parisatide, di cui era sempre stato il preferito. Strinse quindi un legame di amicizia e di alleanza con il comandante spartano Lisandro, che aspirava a diventare il sovrano di tutta la Grecia. I due si sarebbero aiutati a vicenda ottenendo i loro obbiettivi. Ciro fece quindi in modo che Lisandro comandasse la flotta spartana nella battaglia di Egospotami, in cui distrusse la flotta ateniese. Dopo la sconfitta di Atene, Lisandro divenne l’uomo più influente di tutta la Grecia: ad Atene il Regime dei Trenta Tiranni fu imposto da lui, per esempio, e nel 404 a.C., alla morte di Dario II, il piano di Ciro e Lisandro prese inizio. Il tutto fu però denunciato da Tissaferne, satrapo di Caria, e il complotto fu sventato. Ciro si salvò grazie all’intercessione della madre che lo fece perdonare. La spedizione del diecimila: la preparazione Ciro non si rassegnò a questo primo fallimento ed iniziò a preparare una nuova spedizione, e per non suscitare sospetti, disse che voleva muovere guerra al popolo dei Pisidi, la cui fedeltà all’Impero Persiano era sempre stata in discussione. Grazie a Lisandro ottenne il sostegno del governo spartano, che non cambiò idea neanche quando il re Pausania offuscò il prestigio di Lisandro. Capirono infatti che se la spedizione di Ciro avesse avuto successo, avrebbero esteso la loro influenza sull’Impero Persiano. Il compito di reclutare l’armata di mercenari venne affidato a Clearco di Sparta (ex governatore di Bisanzio condannato a morte), e a Menone di Farsalo. I mercenari sarebbero stato radunati in Tessaglia e nel Chersoneso Tracico per poi partire alla volta di Sardi, dove Ciro li aspettava con le sue truppe. Assieme ai soldati venne ingaggiato anche Senofonte di Atene, in esilio volontario dalla patria, come storiografo che avrebbe lasciato per iscritto ogni particolare dell’impresa. I suoi scritti, raccolti nell’opera “Anabasi” sono giunti fino a noi. Una volta radunati, i mercenari partirono per Sardi. Da Sardi a Cunassa Arrivati a Sardi, le truppe mercenarie su unirono all’esercito di Ciro e partirono. Clearco era al comando del contingente greco, al quale poi si aggiunsero 700 opliti guidati da Chirisofo di Sparta. Solo gli ufficiali maggiori sapevano della reale destinazione della spedizione, gli altri erano convinti che si andasse a combattere contro i Pisidi. Attraversarono quindi l’Anatolia, passando da una provincia all’altra senza problemi, ma puntavano troppo a sud, e ben presto i soldati si accorsero del reale obbiettivo. Ne ebbero la certezza quando ormai erano in Mesopotamia, nel cuore dell’Impero Persiano. Lì re Artaserse II era in attesa con le sue truppe, informato ancora una volta dal satrapo Tissaferne. La battaglia di Cunassa Presso la città di Cunassa, sulla riva sinistra del fiume Eufrate, l’esercito di Ciro incontrò le truppe del Gran Re. Secondo Senofonte Artaserse II schierò 900.000 uomini, mentre Ciro 100.000 uomini più i mercenari greci (che erano 10.400 opliti più 2.500 peltasti, e in seguito altri uomini si aggiunsero). Gli storici moderni propongono diverse stime: secondo loro Ciro schierò complessivamente 30.000 uomini, mentre Artaserse circa 40.000. L’armata del Gran Re era stata composta in fretta e furia e quindi non era compatta e organizzata come quella di Ciro, però era superiore nella cavalleria e nei carri da guerra. Ciro schierò i Greci sul fianco destro, vicino al fiume, e si pose al centro con la cavalleria, che comandava personalmente. Cominciata la battaglia Ciro lanciò una serie di assalti al nemico, nel tentavo di raggiungere il fratello e ucciderlo personalmente, al contrario i Greci rimanevano compatti e la loro falange avanzava inarrestabile. Tisssaferne fece di tutto per dividere i Greci da Ciro, e ci riuscì: infatti il principe ribelle alla fine venne ucciso. La battaglia si conclude con una vittoria tattica per i ribelli, ma un trionfo strategico per i nemici. I ribelli erano riusciti a sconfiggere l’esercito di Artaserse (grazie ai Greci), ma la morte di Ciro fece perdere senso alla spedizione. Dopo la battaglia di Cunassa Morto Ciro i Greci rimasero soli nel cuore dell’Impero Persiano. Le truppe che li avevano accompagnati, guidati da Arieo, passarono quasi subito dalla parte dei Persiani, e iniziarono le trattative per una tregua. Si stabilì che i Persiani non avrebbero attaccato se i Greci fossero rimasti lì dov’erano, il che non sarebbe stato per sempre dal momento che dovevano acquistare i viveri ai mercati e sfamare 12.000 e più uomini non è proprio una cosa da nulla. Così si decise un incontro tra lo stato maggiore dell’esercito greco, comprendente Clearco, Menone di Farsalo e Prosseno da Tebe (che aveva convinto Senofonte, che gli era legato da vincoli di ospitalità, a seguire l’impresa) e quello di re Artaserse, che comprendeva anche Arieo e il subdolo Tissaferne. Ma si rivelò un’imboscata, ordita da Tissaferne: l’intero stato maggiore dell’esercito greco venne fatto prigioniero e giustiziato. I Persiani attaccarono quindi il campo dei Greci, contando sull’effetto sorpresa, ma un cavaliere che accompagnava i comandanti greci arrivò prima di loro, anche se gravemente ferito (Senofonte racconta che si teneva in mano le budella, letteralmente, mentre cavalcava) e l’attacco persiano venne respinto con successo. Iniziò quindi la parte più drammatica del viaggio: in mezzo ad un immenso paese ostile, con la necessità di sfamare più di 10.000 uomini e il nemico alle calcagna che non lascia neanche un attimo di tregua. I nuovi comandanti Dopo un simile evento l’esercito si avviò sulla strada del panico, ma a quel punto intervennero Chirisofo e Senofonte che riportarono l’ordine. Tutti i soldati vennero chiamati a votare per eleggere dei nuovi comandanti che sostituissero quelli uccisi dai Persiani. I nuovi comandanti si chiamavano Timasione, Santicle, Cleanore e Filesio, ad essi si aggiungevano Chirisofo come generale e Senofonte in qualità di comandante della retroguardia. La terra dei Carduchi Andare via da lì era indispensabile: i Persiani non avevano rispettato i patti, e non c’era modo di procurarsi cibo. Era però molto problematico in quanto i Persiani avevano cavalleria, fanteria leggera e molti arcieri, quindi gli opliti greci, armati con un pesante equipaggiamento, non potevano superarli in velocità. In più i Persiani si tenevano alla larga, scagliavano giavellotti e frecce, scappando appena i Greci si organizzavano per contrattaccare. Come uscire di lì? La risposta la trovarono alcuni peltasti di origine tracica, che prima facevano i pastori. Consisteva in pratica di muoversi di notte alternando marce e riposo, e camminando con i piedi fasciati apposta per non far rumore. I Persiani non si sarebbero aspettati una cosa del genere. Occorreva anche decidere la direzione in cui viaggiare: o percorrere a ritroso il viaggio tornando in Anatolia, o affrontare le regioni montuose a nord della Mesopotamia. Quest’ultime erano abitate dai Carduchi, un popolo nemico del Gran Re. Quella era la via più breve, e l’unica che permettesse di levarsi i Persiani dai piedi, e i comandanti greci ritenevano che fosse possibile trattare con i padroni di casa e ottenere il permesso di attraversare il loro territorio rifornendosi ai villaggi di ciò di cui avevano bisogno. Lo stratagemma dei Greci funzionò per alcuni giorni, tempo sufficiente a portarsi all’inizio della Gordiene, dove abitavano i Carduchi. I Persiani però si accorsero che un intero esercito era sparito sotto il loro naso, quindi si misero alla ricerca per trovare il mago che ha fatto sparire l’armata reclutarlo per il compleanno di re Artaserse II, magari facendo fuori anche qualche greco. Riuscirono a raggiungerli e iniziò un autentico inseguimento: davanti i Greci che abbandonavano anche i carri per arrivare al più presto nella terra dei Carduchi, dietro i Persiani che cercavano di raggiungerli. I Greci però riuscirono nel loro intento e i Persiani gettarono la spugna. Loro erano al corrente di una cosa che i Greci non sapevano: che i Carduchi erano nemici non solo del Gran Re, ma di tutti gli eserciti che si fossero addentrati nel loro territorio. Erano selvaggi, ma mica stupidi e avevano capito che, creandosi una reputazione di distruttori di eserciti, non avrebbero avuto seccature. I Greci cercarono di trattare, ma invano. Inizialmente i Carduchi osservavano, ma all’improvviso si misero a far rotolare massi e a scagliare frecce, non le comuni frecce, ma pesanti e grosse, alle quali gli scudi greci non riuscivano a resistere, e che i soldati potevano riutilizzare come giavellotti. La preoccupazione principale era quella di mandare la fanteria leggera ad occupare i passi prima dei nemici, in modo da permettere il passaggio della fanteria pesante, e trovare cibo. I Carduchi abbandonavano i villaggi al passaggio dei Greci e facevano trovare ben poco cibo, ma molto vino forte, nella speranza che i soldati si ubriacassero. In più agivano con tattiche di guerriglia, senza venire a contatto con gli opliti greci che li avrebbero sbaragliati, ma ogni loro attacco faceva vittime. I Greci invece non distruggevano i villaggi, trattavano bene gli occasionali prigionieri e si limitavano a prendere ciò di cui avevano bisogno. I Greci però non erano sprovveduti, e riuscirono ad attaccare battaglia con i Carduchi, uccidendone non pochi. Riuscirono a trattare una tregua, per recuperare i morti e concedere loro un’adeguata sepoltura, ma anche questa tregua si rivelò una trappola. Andarono avanti, sempre occupando passi prima del nemico e continuamente attaccati, affrontando il freddo e la fame (si avvicinava l’inverno). Arrivarono alla fine in una vallata, al limite della Gordiene, oltre c’era la satrapia dell’Armenia, ed ecco un’agghiacciante sorpresa: un esercito Armeno schierato alla fine della vallata, pronto a sbarrargli la strada, e i Carduchi schierati in gran massa all’inizio per sferrare l’ultimo attacco. La situazione era disperata, e si cercava un modo per sfuggire, quando due soldati si avventurarono lungo il fiume e trovarono un guado, ma oltre c’erano gli Armeni. I comandanti elaborarono un nuovo piano: parte dell’esercito sarebbe rimasto ad affrontare i Carduchi, il resto avrebbe guadato il fiume e affrontato gli Armeni. Quando l’operazione ebbe inizio, i Carduchi attaccarono contando sulla loro superiorità numerica, ma dovettero fare i conti con la temibile falange oplitica, e furono sbaragliati. Gli Armeni invece furono presi di sorpresa dall’esercito in assetto da battaglia e si ritirarono. La strada così era libera, e la nuova destinazione era Trapezus. Da Trapezunte a Bisanzio I continui attacchi dei feroci Carduchi e il freddo decimarono l’armata greca, ora occorreva affrontare l’insidia dell’inverno, mentre attraversavano l’Armenia per arrivare a Trapezus (l’odierna Trebisonda). Si procuravano il cibo come al solito, razziando i villaggi, ma i comandanti si accertavano che i soldati prendessero solo il necessario per sopravvivere. Nel frattempo Senofonte elaborò l’idea di fondare una nuova colonia, di cui sarebbe stato l’ecista, ma inizialmente non propose il piano agli uomini. Arrivarono quindi a Trapezus, dove ricevettero aiuto (sulla costa del Mar Nero c’erano molte poleis greche). In cambio dettero la disponibilità a condurre delle incursioni contro gli indigeni locali, che causavano non pochi problemi. Si misero quindi in marcia verso Cotiora, percorrendo la costa. Lì si presentarono altri problemi come uomini che disertavano e andavano a cercare un imbarco da soli, altri che uscivano di nascosto dall’accampamento con il loro gruppo di soldati per fare razzie, con il risultato che spesso l’intero esercito doveva intervenire per salvarli, quando le cose si mettevano male. Così giunsero a Cotiora, e poi arrivarono a Bisanzio. Anche lì inizialmente vennero accolti, ma dovettero affrontare la morte del loro generale Chirisofo (aveva 35 anni), che fu avvelenato probabilmente per ordine del governo Spartano. Senofonte acquisì quindi il comando dell’armata. Anche l’accoglienza di Bisanzio si rivelò essere una trappola, ma i Greci lo scoprirono e riuscirono in tempo ad occupare la città salvandosi. Seute e la Tracia I mercenari, che ormai erano meno di 8.000, furono assoldati da Seute, un signorotto della Tracia in lotta per acquisire il dominio su questa regione. Quindi ciò che rimaneva dell’armata che affrontò Artaserse II a Cunassa partì per la Tracia, sotto la promessa di una buona paga e molti regali. Si tornò quindi a ripulire i villaggi per procurarsi il cibo, ad affrontare nemici e dopo un po’ di tempo anche Seute, si perché si dimostrò crudele, ma soprattutto perché la paga non arrivava. Si indisse quindi un’assemblea: Seute rinnovò le promesse, assicurando che avrebbe pagato i mercenari al termine dell’impresa, ma le sue promesse questa volta non servirono. Intanto il freddo e i nemici avevano ridotto l’armata a 6.600 uomini circa, che ricominciarono a vagare. Prima Salmodissa, poi Lampsaco e infine Pergamo dove trovano un ingaggio da parte del governo Spartano che nel frattempo aveva dichiarato guerra ai satrapi Tissaferne e Farnabazo. Alla fine il generale spartano Tibrone assume il comando dell’armata e Senofonte torna ad Atene, da dove in seguito sarà esiliato per aver aiutato Ciro. Epilogo Dopo la battaglia di Cunassa Tissaferne iniziò a vantarsi di aver ucciso personalmente Ciro, e re Artaserse, visto che il suo fedele satrapo, oltre che cognato, aveva sventato due volte i piani di Ciro, gli affidò la satrapia della Lidia. Quindi decise di attaccare le città che erano state fedeli a Ciro (alla caduta di Atene i due rivali cercarono di ottenere il controllo sulle città greche dell’Anatolia ma solo Mileto cadde nelle mani di Tissaferne. In più quando Ciro fu perdonato gli venne anche assegnata la gestione della Caria, e a Tissaferne rimase solo Mileto) ma nel 399 a.C. Sparta gli dichiarò guerra. Tissaferne cercò nuovamente di usare l’astuzia e la diplomazia ma il re di Sparta Agesilao II lo sconfisse duramente presso Sardi. Tissaferne fu quindi rimosso dal suo incarico di satrapo (anche sotto pressione del satrapo Farnabazo e del chiliarca di Sardi). Poco tempo dopo, la regina madre Parisatide lo fece rapire, deportare a Colossi e decapitare, vendicando così la morte di suo figlio Ciro. La testa di Tissaferne venne quindi inviata al re Agesilao II per chiedere una tregua. La spedizione di Ciro, ma soprattutto la ritirata dei Greci, rivelarono che l’Impero Persiano stava andando in frantumi: i satrapi erano in continua lotta per il potere e c’erano molte carenze militari imperdonabili e ancora di più la superiorità dei soldati e delle tecniche di combattimento greche. -
Una domanda: i veicoli "draco" con il cannone da 76/62 mm sono dei semoventi contraerei derivati dalla Centauro?
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LE FLOTTE Le flotte della Marina Romana si dividevano i principali e provinciali. Le flotte principali erano le due più grandi e controllavano i mari intorno all’Italia. La prima, la Classis Misensis, era di stanza a Miseno ed era la più grande in assoluto, la seconda, Classis Ravennatis, era di stanza a Classe, il porto di Ravenna. Entrambe furono costituite dall’imperatore Augusto nel 27 a.C. e trasferite a Costantinopoli da Costatino I. Le flotte provinciale invece erano stanziate nelle varie provincie. Erano: - Classis Britannica, posta a protezione del Canale della Manica dall’imperatore Claudio - Classis Germanica, incaricata dall’imperatore augustodi pattugliare il fiume Reno - Classis Pannonica, istituita da Augusto nel 12 a.C. per pattugliare il medio corso del Danubio, e i fiumi Sava e Drava - Classis Moesica, era il completamento della Classis Pannonica in quanto pattugliava il basso corso del Danubio, più la parte settentrionale del Mar Nero e il Mar d’Azov - Classis Pontica, stanziata a Trapezus (l’odierna Trebisonda), fu istituita nel 14 a.C. da Augusto, ma divenne operativa a tutti gli effetti con Nerone. Pattugliava la parte meridionale e orientale del Mar Nero - Classis Syriaca fu creata nel 63 a.C. da Gneo Pompeo, per combattere i pirati della Cilicia, e divenne operativa in modo stabile nel 70 d.C. con Vespasiano - Classis Alexandrina, di stanza ad Alessandria d’Egitto, venne istituita da Augusto nel 30 a.C. e pattugliava il Mediterraneo Orientale - Classis Mauretanica fu creata da Caligola o da Claudio, come distaccamento della Classis Alexandrina per pattugliare il Mediterraneo sud-Occidentale e lo Stretto di Gibilterra - Classis Lybica fu istituita da Marco Aurelio, o forse da Commodo, per pattugliare le coste Libiche Complessivamente la Marina Militare Romana contava tra i 40.000 e i 45.000 uomini, provenienti da tutte le parti dell’Impero. Inizialmente i vogatori erano schiavi, ma poi per la maggior parte cittadini, dopo che la flotta divenne parte delle truppe ausiliarie. Il salario era più o meno la metà di quello dei legionari: 225 denarii all’anno nell’epoca di Augusto, 300 nel corso del I secolo d.C., 450 nel secondo e 675 nel III secolo.
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La marina militare romana LA STORIA Fino alla metà del III secolo a.C. Roma fu una potenza circoscritta al territorio italiano, e quindi non aveva bisogno di una vera marina da guerra. Le cose iniziarono a cambiare dopo la guerra contro Pirro II d’Epiro, che invase i domini romani in Italia e la Sicilia, controllata dai Cartaginesi. La vittoria in questa guerra portò i Romani ad acquisire il dominio su quasi tutta la Magna Grecia, ma anche ad un peggioramento delle relazioni con Cartagine, portando così alla Prima Guerra Punica. Cartagine era la maggior potenza navale di tutto il Mediterraneo dell’epoca: i suoi marinai e i costruttori di navi vantavano una secolare esperienza. Roma invece era nata come città di contadini e pastori, e quindi lo scoppiare della prima guerra contro Cartagine costrinse il governo dell’Urbe ad improvvisare la costruzione di una flotta, raggiungendo però risultati sorprendentemente al di là di ogni aspettativa. I Romani utilizzavano fin dai primi tempi della loro flotta costruivano le navi con pezzi prefabbricati in serie, ed introdussero l’importante novità del “corvo”, cioè un ponte levatoio munito di due lame a falce e montato sulla prua, e una volta entrato in funzione costituiva una comoda passerella per abbordare la nave nemica. Del resto le navi romane e cartaginesi erano simili tra di loro per forma, struttura e armamento. Queste novità tecniche permisero a Roma di costruire in breve tempo un’efficiente marina da guerra che, nonostante la scarsa esperienza dei suoi marinai, riuscì a infliggere brucianti sconfitte ai Cartaginesi, come nella Battaglia di Milazzo. Al tempo delle Guerre Puniche la Marina Militare Romana era composta da liburne, biremi, triremi, quadriremi e quinqueremi. In seguito fu costruita anche un’esareme, e si ipotizza anche l’esistenza di una decireme. Nei secoli successivi Roma combatté molte battaglie navali, alcune meno importanti, altre decisive, e le varie conquiste trasformarono il Mediterraneo in un grande lago salato romano. A quel punto le grandi quadriremi e quinqueremi furono ritirate dal servizio, in quanto gli unici nemici presenti nel Mediterraneo erano i pirati, per sconfiggere i quali era necessaria la velocità, e nel corso del V secolo venne abbandonata. L’ultima flotta contro cui Roma combatté fu quella dei Vandali, che però inizialmente si dimostrarono superiori e conquistarono i domini africani dell’Impero d’Occidente. L’imperatore Maggiorano nel 458 organizzò quindi due grandi flotte per avviare una controffensiva, ma furono date alle fiamme da dei traditori in Spagna. Infine nel 468 le flotte dei due imperi romani, comandate dal generale Basilisco, attaccarono i Vandali. Inizialmente i Romani ebbero la meglio, ma poi furono sorpresi in un attacco notturno e sconfitti. LE NAVI Bireme La bireme era una nave piccola e veloce, conosciuta fin dal V secolo a.C. Lunga circa 24 m. e larga poco più di 3, aveva due file di rematori. Un vela quadra le permetteva di raggiungere discrete velocità. Fu presto abbandonata già dai Greci e sostituita con la trireme. Trireme Trireme greca Trireme romana La trireme comparve per la prima volta nella metà del VI secolo a.C., e venne portata in Greci grazie ai Corinzi. Si trattava di una nave pensata per la velocità: lunga circa 40 metri e larga 6, era spinta da un equipaggio di circa 180 rematori la cui disposizione è tuttora oggetto di controversia tra gli storici, in quanto è molto numeroso per una nave di queste dimensioni. Come la bireme aveva uno o due albero con una vela quadra, che venivano abbattuti prima delle battaglie, e un rostro rivestito con lame di bronzo. Trasportava anche una decina di marinai che si occupavano della vela e del timone e massimo una centuria di 80 soldati (di solito massimo 40 per quelle greche). Lo scopo della trireme era inizialmente quello di caricare le navi nemiche speronandole con il rostro, quindi la stabilità e la resistenza erano quasi totalmente sacrificate a favore della velocità e della manovrabilità. In seguito lo sviluppo dell’artiglieria portò a montare sul ponte delle triremi anche baliste e onagri, e alla costruzione di una o più torri per gli arcieri. Così si presentavano le triremi romane. Quadrireme e quinquereme Si trattava di navi simili tra di loro per dimensione (48 m di lunghezza e 8 di larghezza per la prima, poco più per la seconda). In poche parole erano le corazzate dell’epoca. Avevano un equipaggio rispettivamente 240 e 300 vogatori, più 15 marinai e 120 soldati, ed erano armate con baliste e onagri, più due rostri e due corvi. A differenza delle triremi la forza di queste navi stava nell’armamento e nella dimensione dell’equipaggio. Esareme La flotta romana possedeva solo una esareme, la Ops, che era l’ammiraglia della flotta nel Mediterraneo e, ammettendo che la fantomatica decireme non sia mai esistita, era la nave più grande di tutta la flotta romana. Si trattava dell’imbarcazione che trasportava l’ammiraglio e i maggiori ufficiali della marina e non entrava quasi mai in combattimento, anche se era armata di tutto punto, soprattutto per impressionare il nemico assieme alle sue imponenti dimensioni. Liburna La liburna era una nave di medie dimensioni, ma leggere e veloce. Veniva utilizzata per il supporto logistico, per il rapido trasporto di truppe, per la caccia ai pirati e per pattugliare i fiumi. Balista Onagro
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La guardia pretoriana Nel corso del III secolo a.C. si diffuse la pratica di creare manipoli di soldati, o gladiatori, incaricati di proteggere i pretori, i consoli e i generali, il tutto però in maniera non ufficiale. Gaio Giulio Cesare invece arrivò a considerare un’intera legione, la Legio X, come una sorta di sua guardia del corpo, ma il primo imperatore a trasformare queste milizie di protezione in un vero e proprio corpo militare fu Ottaviano Augusto, ma la cosa divenne ufficiale con Tiberio. La nascita della Guardia Pretoriana determinò anche la creazione di una nuova magistratura, il prefetto del pretorio, composta inizialmente da alcuni uomini, poi uno solo, provenienti dall’ordine equestre. Inizialmente questo nuovo corpo militare era formato da 9 coorti, stanziate 3 a Roma e le altre 6 nelle più importanti città italiane, formate da un numero variabile tra 500 e 1000 uomini. Ben presto i pretoriani divennero potenti, in quanto erano a stretto contatto con l’imperatore. Molti imperatori, come Caligola, Commodo, Pertinace, Gordiano III, furono assassinati dai pretoriani, e altri come Claudio, Didio Giuliano, Otone, furono proclamati imperatori. Particolare è il caso del prefetto del pretorio Floriano, che si autoproclamò imperatore nel 279, ma venne ucciso dai suoi stessi pretoriani che acclamarono imperatore Marco Aurelio Probo. Nella guerra per il potere tra Costantino e Massenzio i pretoriani si schierarono con quest’ultimo, combattendo nella battaglia del Ponte Milvio del 312. Vinse però Costantino che sciolse definitivamente la Guardia Pretoriana. I pretoriani erano l’élite dell’élite dell’esercito romano. Si trattava dei soldati migliori che combattevano nell’esercito. Fino a Settimio Severo essi erano soprattutto italici, o persone provenienti dalla provincie più romanizzate, che avevano la cittadinanza romana. Dopo le file vennero aperte anche a tutti gli altri provinciali. Infatti Settimio Severo volle vendicare Pertinace, imperatore ucciso dai pretoriani che poi ne misero all’asta la carica, congedò tutti i pretoriani italici, reclutandone altri provenienti dalla Pannonia, dalle provincie africane e asiatiche. La paga era superiore a quella dei normali soldati: inizialmente era 750 denari annui con Augusto, che poi arrivarono a 2.500 con Caracalla. Inoltre anche il premio di liquidazione era superiore. Riguardo all’equipaggiamento i pretoriani avevano sia un’armatura simile a quella dei legionari (con l’uso però del colore blu invece del rosso), ma anche delle uniformi più leggere e comode, usate nel servizio quotidiano. Normalmente i pretoriani aiutavano i vigiles, le coorti urbane in caso di necessità, e mantenevano l’ordine ai giochi pubblici e facevano guardia alle statue. Quindi erano vestiti con una tunica bianca e un mantello che permetteva di nascondere un gladio. Anche l’armatura non seguiva uno schema preciso: gli scudi utilizzati potevano essere rettangolari, ovali o rotondi, e gli elmi di fogge diverse (ma si preferiva il tipo Attico).
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Il Tardo Impero: da Diocleziano a Romolo Augustolo Nel 284 l’imperatore Gaio Aurelio Valerio Diocleziano prese il potere. Fin da subito si dimostrò deciso a ridare vigore all’impero e all’esercito romano, cambiando radicalmente l’organizzazione di entrambi. Divise l’impero in 12 provincie chiamate diocesi, e la corona imperiale tra 4 imperatori (a partire da Settimio Severo il governo dell’impero veniva diviso tra due imperatori), chiamati tetrarchi: 2 Augusti e altri 2 Cesari, ognuno dei quali avrebbe governato su 3 diocesi vicine tra di loro. Inoltre dichiarò le città di Treviri, Milano, Sirmio e Nicomedia capitali dell’impero in quanto avrebbero ospitato uno di questi 4 imperatori. La scelta della capitali non fu casuale perché esse erano vicini a una zona del confine romano minacciata dai nemici di Roma. Ogni tetrarca doveva quindi difendere la regione che gli era stata affidata. Inoltre Diocleziano rese più profondo il sistema di difesa del confine: esso non fu più una sola linea di sbarramento, ma una fascia che correva lungo il confine, in cui erano piazzati accampamenti e fortezze in modo da inglobare un esercito nemico e attaccarlo con gli eserciti mobili presenti in zona. In pratica fu un’evoluzione del sistema elaborato da Gallieno. Questo però richiedeva molti uomini, e per combattere la scarsità di reclute Diocleziano rese ereditario il mestiere del soldato: il figlio del soldato ereditava la professione del padre. Anche così l’esercito romano aveva in servizio circa 400.000 uomini, ma comunque la sua forza stava nella distribuzione sul territorio sua e delle fortificazioni. Costantino sciolse la Guardia Pretoriana e divise le truppe dell’esercito in “centrali” e “periferiche”: le prime erano le riserve strategiche stanziate nella varie diocesi, che intercettavano il nemico in caso d’invasione, le seconde erano quelle che facevano guardia al confine vero e proprio, e rinforzò la componente “centrale”, stanziando molti soldati nelle città, cosa che a lungo termine portò alla caduta dell’Impero d’Occidente (l’Impero Romano si divise definitivamente nel 395 con gli imperatori Arcadio e Onorio). Nel 365 l’esercito venne diviso tra i due imperatori Valentiniano I e Valente. Il V secolo segnò la definitiva decadenza dell’Impero Romano. La contesa per il potere divenne molto più aspra, molti imperatori furono assassinati, altri deposti o acclamati dall’esercito, e alcuni comprarono la carica di imperatore. Tutto ciò solo nell’Impero romano d’Occidente. Con l’inizio del Tardo Impero cambiò anche l’armamento dei legionari: si ritornò all’uso della lorica hamata e dello scudo ovale, il gladio fu abbandonato e sostituito con la spatha (lunga 80-100 cm.). L’equipaggiamento però non era fisso, ma cambiava a seconda del contesto in cui il legionario operava, e alcune volte essi combattevano senza armatura e con un berretto in testa al posto dell’elmo. La cavalleria divenne ancora più importante di quanto era stata in precedenza. I nemici di Roma prediligevano la cavalleria e la fanteria leggera, in modo da avere la maggior mobilità possibile. Quindi l’Impero Romano dovette adattarsi facendo in modo che il suo esercito fosse abbastanza mobile per intercettare le loro truppe. Inoltre vi era il problema dell’imbarbarimento, che tornò a svilupparsi dopo Costantino e portò alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
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L’anarchia militare: da Massimino il Trace a Aureliano Inizio con il fare un punto storico. Nel III secolo d.C. l’Impero Romano cadde in periodo conosciuto come “anarchia militare”, durante il quale i comandanti dell’esercito e i prefetti della Guardia Pretoriana divennero molto potenti, arrivando ad aspirare, e spesso ad ottenere la carica di imperatore. Rari furono gli imperatori che presero il potere per successione dinastica: per la maggior parte morirono in battaglia o furono assassinati. Il III secolo fu quindi un periodo di grave crisi: da una parte vi erano le numerose epidemie, soprattutto peste, che colpirono l’Impero, dall’altra vi erano le popolazione esterne che lo minacciavano continuamente. Prima i Quadi e i Marcomanni (II secolo d.C.), poi gli altri popoli germanici, in particolare i Goti, e i Persiani, che avevano restaurato il loro impero abbattendo il Regno Partico. Allo stesso tempo l’economia si indebolì a causa del passaggio dalla piccola e media proprietà terriera al latifondo (dando origine poi alla servitù della gleba), e le reclute disponibili divennero sempre più scarse, tanto che spesso i Romani dovettero reclutare mercenari barbari, o concedere ad alcuni popoli di stanziarsi nel loro territorio in cambio di una fornitura di reclute per l’esercito: iniziò l’ ”imbarbarimento dell’esercito”. (Posizione dei popolo Germanici) Alessandro Severo fu l’ultimo sovrano dell’Alto Impero. Salì al trono molto giovane e fin da subito dovette affrontare i Persiani e altri popoli, passando da una sconfitta all’altra. Ben presto si diffuse il malcontento nell’esercito e scoppiò una rivolta: Alessandro Severo fu assassinato e l’esercito nominò imperatore uno dei suoi generali: Massimino “il Trace”. Massimino era originario della Tracia, una regione selvaggia e poco romanizzata della Grecia, che si era messo in luce agli occhi dell’imperatore Settimio Severo grazie alla sua statura e forza fisica. Non conosceva il latino e durante il suo breve regno (235-238 d.C.) non mise mai piede a Roma perché fu costantemente impegnato ad affrontare i continui attacchi dei Persiani e degli altri nemici di Roma. Fu lui ad iniziare l’imbarbarimento dell’esercito. Riteneva che il problema dei Germani fosse il più importante in quel momento e, conscio della scarsità sempre crescente di reclute, e che la fanteria pesante era molto svantaggiata in territori selvaggi e boscosi come la Germania, arruolò truppe provenienti dall’esterno dell’Impero Romano. Con Massimino il Trace la cavalleria divenne ancora più importante e l’esercito romano iniziò a perdere la caratteristica di sbarramento contro le popolazione esterne per assumere più quella di una riserva strategica. Gordiano III, successore di Massimino (Gordiano I e II furono proclamati imperatori dalla Provincia dell’Africa e dal Senato che si rivoltarono contro Massimino), arruolò un gran numero di soldati provenienti dai Germani federati, in particolare i Goti, per intraprendere una spedizione militare contro i Persiani che avevano occupato parte dei domini romani. Durante la campagna, a diciannove anni, venne fatto assassinare dal prefetto del Pretorio, Filippo “l’Arabo” che divenne imperatore e congedò tutti i soldati germani assoldati da Gordiano III e comprò la pace ai Persiani. Fu però l’imperatore Gallieno a fare la più importante riforma dell’esercito romano nel periodo dell’Anarchia Militare. Comprese che oramai non ci si poteva più permettere di usare l’esercito come forza di sbarramento lungo il confine. Dispose quindi delle riserve strategiche lungo i punti più fragili del confine, più una stanziata a Milano, le quali potevano intervenire rapidamente dove c’era bisogno, e per velocizzarle aumentò da 120 a 750 il numero di cavalieri presenti in una singola legione. Infine il comando dell’esercito non fu più affidato ai senatori (come si faceva di solito) ma ai rappresentanti dell’ordine equestre.
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L’esercito della Roma nell’Alto Impero: da Ottaviano Augusto ai Severi 44 a.C., Idi di Marzo. Il dittatore a vita Gaio Giulio Cesare fece il suo ingresso in Senato. Un gruppo di senatori, tra cui vi erano Marco Giunio Bruto (forse figlio illegittimo dello stesso Cesare) e Gaio Cassio Longino, si avvicinò a Cesare, e lo uccisero a pugnalate. Il risultato fu lo scoppiare, non immediato, di una nuova guerra civile, alla fine della quale uscì vittorioso Gaio Giulio Cesare Ottaviano, poi chiamato Augusto cioè “degno di venerazione”, e la nascita del più potente impero che la storia ricordi. Il nuovo sovrano attuò nuove grande riforme che resero l’esercito romano ancora più temibile. Innanzitutto migliorò la difesa del territorio istituendo le coorti urbane e il corpo dei vigiles, impiegati come forza di polizia nella capitale, e istituì la Guardia Pretoriana (di cui parlerò più avanti) come sua personale forza di protezione (alla quale si aggiungeva una guardia speciale di 100/500 uomini provenienti dalla Germania), ma che all’occorrenza poteva affiancare i vigiles e le coorti urbane. Rese l’esercito una forza armata permanente costituita da soldati di professione, volontari disposti a combattere per 16 anni, portati a 20 nel 6 d.C., inquadrati nelle legioni (quelli di cittadinanza romana) o nelle auxilia (i provinciali con cittadinanza non-romana). Infatti fino al 212 d.C., grazie all’imperatore Caracalla, non tutti i sudditi dell’impero avevano cittadinanza romana. Ottaviano Augusto inoltre ufficializzò come pratica di stato il cursus honorum istituito da Cesare, e creò l’aerarium militare, che destinava le entrate delle imposte sulle successioni e sulle vendite a un fondo monetario, in modo da garantire ai soldati un premio al momento del congedo, integrando anche con la concessione di terreni e, ai soldati delle auxilia, la cittadinanza romana. Infine dispose diverse legioni in forti lungo il confine, e ne affidò il comando a generali professionisti. L’imperatore Tiberio invece diede alla Guardia Pretoriana un prefetto (il primo fu il tristemente noto Seiano), e ordinò la costruzione di un accampamento fisso sull’Esquilino, come alloggio permanente per le 9 coorti pretoriane e le 3 urbane; sviluppò l’idea dell’acquartieramento delle legioni lungo il confine facendo costruire anche lì alloggi stabili e confortevoli per i soldati; permise ai vigiles provenienti dalle province di acquisire la cittadinanza romana dopo tre anni di servizio e modificò l’armatura dei legionari, passando dalla lorica hamata alla lorica segmentata. Nel periodo compreso tra il 37 d.C. (morte di Tiberio) fino al 69 d.C. (guerra civile e ascesa al trono di Vespasiano), le uniche riforme abbastanza importanti furono fatte dall’imperatore Claudio, che migliorò il cursus honorum per gli appartenenti all’ordine equestre, aumentò a 7 il numero delle coorti urbane, disponendole anche a Pozzuoli, Ostia, Lugdunum (l’odierna Lione) e Cartagine. Ma il cambiamento più importante fu inquadrare la flotta nelle truppe ausiliare: precedentemente i marinai della flotta romana erano schiavi o liberti, dopo Claudio divennero truppe ausiliarie di origine romana e provinciale (in particolare quest’ultima perché i provinciali erano sempre attratti dalla possibilità di ottenere la cittadinanza romana, e questo permetteva ai loro figli di combattere nelle legioni). Caligola e Nerone invece si limitarono a aumentare il numero di legioni e coorti pretoriane. Il travagliato anno 69 d.C. fu molto travagliato, in quanto Nerone venne spodestato da una congiura il cui capo, Galba, venne nominato imperatore dal Senato. Questo nuovo sovrano sciolse la speciale guarda del corpo istituita da Augusto e creò due nuove legioni. Vitellio, terzo imperatore di quell’anno, ridusse le coorti nella capitale a 4, ma ingrandì la Guardia Pretoriana portandola a 16 coorti, e probabilmente raddoppiò a 1000 il numero di uomini in una singola coorte. Vespasiano, uscito vittorioso dalla nuova guerra civile, effettuò un risanamento dell’aerarium militare, che ormai era rimasto a corto di denaro, e aumentò la presenza delle auxilia all’interno dell’esercito, in modo che nelle successive generazioni ci fosse un numero maggiore di cittadini romani e reclute; migliorò le fortificazione fisse disposte lungo il confine e ordinò un continuo addestramento per le legioni stanziate lì, affinché non venissero impigrite dalla vita sedentaria; e infine riportò il numero delle coorti pretoriane a 9 e ne dimezzò il numero di armati. Il figlio Domiziano le portò successivamente a 10. Nel 96 d.C. a Roma scoppiò una rivolta che portò alla caduta dell’imperatore Domiziano. Non scoppiò una nuova guerra civile ma il potere venne preso dal senatore Coceio Nerva, che goverò circa due anni, e iniziò la pratica dell’adozione per la successione. Adottò come suo successore il generale di origine iberica Marco Ulpio Traiano, che divenne imperatore nel 98 d.C. Traiano apportò alcuni cambiamenti alla cavalleria, dotando le auxilia di un contus (una lunga lancia usata dai catafratti) e istituendo un corpo di cavalleria equipaggiato con dromedari, uno di cavalieri daci, e la ricostruzione della guardia del corpo sciolta da Galba. Inoltre gli vengono attribuiti la creazione di un corpo di 1000, forse 500, cavalieri comandato dal prefetto del pretorio l’abolizione dei corpi di cavalleria presenti nelle legioni. Il successore Adriano istituì i numerus, cioè reparti ausiliari che però combattevano con divise e armi tipiche del popolo di cui facevano parte, e costruì la linea fortificata che ancora oggi porta il suo nome. Antonino Pio, che succedette a Adriano, ripristinò la successione ereditaria, ma gli imperatori di questa dinastia non fecero cambiamenti rilevanti all’esercito. Nuove rivolte in Palestina (anche dopo che Vespasiano fece distruggere il tempio di Gerusalemme) e invasioni di nuove popolazioni fecero in modo che questi imperatori non si annoiassero, e il tutto continuò fino al 193, quando dopo l’ennesima guerra civile, divenne imperatore Settimio Severo. Il nuovo imperatore aumentò la paga dei legionari e istituì tre nuove legioni: Legio I, II e III Parthica, in preparazione a un’invasione del regno dei Parti, e lasciò la Legio II Parthica a Roma, come riserva strategica. Inoltre riportò a 1.000 il numero di armati presenti nelle coorti pretoriane e decretò che provenissero dalle legione stanziate in Pannonia (all’incirca l’attuale Ungheria) che gli erano state fedeli durante la guerra civile. Infine permise ai soldati di sposarsi prima del congedo e di andare a vivere con le famiglia fuori dall’accampamento, portò a 1.500 il numero degli armati presenti nelle coorti urbane. In tutto durante il principato di Settimio Severo a Roma erano presenti 30.000 armati, e tutto l’esercito complessivamente ne contava circa 400.000. Il figlio Caracalla concesse a tutti i sudditi dell’impero la cittadinanza romana, e quindi il permesso di entrare a far parte delle legioni, mentre Alessandro Severo riportò lo schieramento falangitico, in cui 6 legioni venivano schierate senza alcun intervallo una accanto all’altra, e aumentò l’utilizzo della cavallerie pesante (Catafratti e Clibanarii dell’Asia sud-Occidentale e cavalieri della Mauritania) nelle auxilia, e l’installazione di macchine da assedio come catapulte, onagri, baliste e scorpiones sulle fortificazione del confine.
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Grazie. Al più presto posterò la parte sull'esercito della Roma imperiale. Se riesco domani altrimenti questa domenica.
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L'esercito repubblicano: dalla nascita della Repubblica Romana a Giulio Cesare Secondo la storia tramandataci da Tito Livio, nel 509 a.C. la popolazione romana si ribellò al re Tarquinio “il Superbo”, il cui figlio, o forse il re stesso, aveva oltraggiato la nobildonna Lucrezia. Per Roma cominciò una nuova epoca conosciuta come Repubblica Romana, governata da dei magistrati e guidata da due consoli, o un dictator in caso di grande pericolo. Con la caduta della monarchia venne modificata l’organizzazione dell’esercito, che inizialmente venne solo diviso in due legioni, ognuna comandata da un console, che però venivano unite nel caso che i consoli venissero sostituiti da un dictator, che aveva pieni poteri ma veniva nominato dal Senato e rimaneva in carica massi per sei mesi. In più i combattenti iniziarono ad essere disposti su tre file in base all’età: gli hastati, più giovani, i principes, e infine i triarii che erano i più anziani. In questo modo si pose le basi per la legione manipolare. Bisogna però attendere il 407 a.C. per vedere la nascita del vero e proprio manipolo. In quello stesso anno fu istituito lo stipendio per i soldati, e Marco Furio Camillo venne nominato dictator, in preparazione alla guerra contro la città etrusca di Veio, antica rivale di Roma. Secondo la tradizione Furio Camillo fu l’inventore del manipolo: divise le legioni in gruppi di 300 uomini, divisi a loro volta in tra centurie, una da 120 hastati, una da 120 principes, e l’ultima da 60 triarii. Contemporaneamente l’organico dell’esercito fu ingrandito fino a contare più di 6000 uomini dopo il 400 a.C. Nel corso del IV secolo a.C. l’esercito subì ulteriori modifiche. Secondo Tito Livio le legioni erano formate da 300 cavalieri e 5000 fanti disposti su tre file così strutturate: 1. la prima era costituita dagli Hastati ("il fiore dei giovani alle prime armi", come racconta Livio) in formazione di quindici manipoli (di 60 fanti ciascuno) oltre a 20 fanti armati alla leggera (dotati di lancia o giavellotti, non invece di scudo), chiamati leves. 2. la seconda era formata da armati di età più matura, chiamati Principes, anch'essi in formazione di quindici manipoli, tutti forniti di scudo ed armi speciali. Queste prime due schiere (formate da 30 manipoli) erano chiamate antepilani. 3. la terza era formata da altri quindici "ordini", formati ciascuno da 3 manipoli (il primo di Triarii, il secondo di Rorarii ed il terzo, di Accensi) di 60 armati ognuno. Ognuna di queste quindici unità constava di due vessilliferi e quattro centurioni, per un totale di 186 uomini. I Triari erano soldati veterani di provato valore, i Rorarii, più giovani e meno esperti, ed infine gli Accensi, ultima schiera di scarso affidamento. I cavalieri erano divisi invece in 10 turmae da 30 uomini l’una. In seguito si giunse ad una nuova riforma non solo dell’organizzazione ma anche dell’armamento dei legionari romani. Questo popolo aveva però la brutta abitudine di attribuire a grandi riformatori grandi cambiamenti, anche quando in realtà essi sono sono frutto di progressive evoluzione. Probabilmente è il caso di questa riforma militare dell’esercito romano, che forse iniziò a partire dalla Guerra Latina (340-338 a.C.), o comunque prima della metà del III secolo a.C. I soldati però erano disposti ancora nelle varie formazione in base alla classe sociale, e quindi all’armamento, e infine all’età (ricordo che l’armamento era ancora a carico dei singoli soldati). La legione era formata in genere da 4.200 uomini, aumentabili a 5.000 in caso di attacco e divisa in tre tipi di unità: 1) Velites: fanteria leggera armata un dei giavellotti, un piccolo scudo e in certi casi anche una spada. Il loro compito era quello di effettuare azioni di schermaglia e disturbo. Erano soldati giovani e provenienti dalle classi basse. Una legione ne contava 1.200. 2) Hastati: altro tipo di fanteria leggera, che aveva però il compito di effettuare il primo attacco durante una battaglia. Avevano una leggera corazza di cuoio e uno scudo rettangolare ricurvo e convesso, alto circa 120 cm. Il loro armamento era costituito da due pila (giavellotti che si spezzavano all’impatto) e un gladio (la spada corta romana, lunga circa 50 cm.). Ogni legione ne contava 1.200, divisi in manipoli da 120 uomini (lunghi 40 unità e profondi 3). 3) I principes erano soldati di età più matura rispetto agli hastati. Erano unità di fanteria pesante armata come gli hastati, ma protetta da una maglia ferrata. Anch’essi erano 1.200 all’interno di ogni legione, ma il loro manipolo era meno lungo e più profondo rispetto a quello degli hastati (lungo 12 unità e profondo 10). 4) I triarii erano soldati veterani, protetti come i principes ma armati con un gladio e una picca. A differenza degli altri soldati combattevano ancora con la falange e intervenivano in caso di necessità. All’interno di ogni legione erano 600, divisi in 10 manipoli da 60 uomini l’uno. 5) La cavalleria era invece un caso particolare. Essa proveniva dalle classi aristocratiche Romane, che si potevano permettere un cavallo, ma soprattutto da i socii italici, che non erano altro che tutte le popolazioni italiane che Roma aveva sottomesso con la Guerra Latina, le Guerre Sannitiche e la Guerra contro Pirro II d’Epiro. A differenza delle altre truppe, il numero dei triarii non era aumentabile in caso di pericolo: esso rimaneva sempre 600, mentre gli hastati e i principes potevano aumentare da 1.200 e 1.500. La principale novità fu però che più dell’appartenenza a una classe sociale o all’altra, si teneva conto dell’età e dell’esperienza in combattimento. E ciò fu il primo passo verso l’esercito romano come tutti lo conosciamo. La Seconda Guerra Punica, in generale, ma soprattutto il generale cartaginese Annibale, dimostrò che la legione manipolare in fondo era debole, e il console e generale Publio Cornelio Scipione “l’Africano” intervenne inventando la coorte, cioè l’unione di tre manipoli uno di hastati, uno di principes e un altro di triarii, che combattevano compatti usando anche delle lance da urto, per reagire meglio alle manovre improvvise, imprevedibili e repentine di Annibale. Nel corso del II secolo a.C. Roma estese i suoi domini al Mediterraneo Occidentale (dopo la distruzione di Cartagine) e alla Grecia. Ciò fu accompagnato da una nuova trasformazione dell’esercito. Le numerose guerre avevano procurato a Roma enormi perdite umane, e nel frattempo la necessità di uomini cresceva sempre di più. La quota minima di reddito per prestare servizio militare venne abbassata da 11.000 assi (rimase pressoché invariata dall’epoca di Servio Tullio) a 4.000 tra il 213 e il 212 a.C., fino ad arrivare a 1.500 tra il 133 e il 123 a.C., come ci testimonia Marco Tullio Cicerone. L’esercito subì quindi una proletarizzazione e la pratica di armare i soldati a spese dello stato divenne sempre più frequente, in quanto i proletari non avevano abbastanza soldi per comprare le armi di tasca propria. Risultato: gli hastati e i principes divevvero quasi indistinguibili tra di loro, si arruolarono dei mercenari per sopperire alle carenze e aumentò la pressione sui socii italici ai quali venivano chieste sempre più truppe ausiliarie (le auxilia). Fu il console Gaio Mario a portare a compimento queste trasformazione e dando origine al primo esercito professionista della storia. Le legioni vennero aperte a tutti: sia ricchi che nullatenenti, con un’età compresa tra 17 e 46 anni, armati e mantenuti a spese dello stato. Il servizio militare durava per un massimo di 16 anni al termine dei quali venivano assegnate loro delle terre. Venne eliminata la differenza tra hastati, principes e triarii. Il nuovo legionario romano erano dotato di una lorica hamata, cioè una maglia di ferro, un elmo, uno scudo, un gladio e due pila. I velites e gli equites (i cavalieri romani) vennero aboliti e sostituiti da corpi speciali ausiliari. Venne anche modificata l’organizzazione della legione: 10 coorti in ogni legione, 3 manipoli in ogni coorte e 2 centurie in ogni manipolo. Ogni centuria era costituita da 64 uomini: 60 soldati semplici più un centurione, un optio (vice-centurione), un cornicen (suonatore di buccina) oppure un tubicen (che suonava una specie di corno) e infine un signifer (il porta-insegne). La legione mariana contava in tutto 3.840 fanti. In seguito Lucio Cornelio Silla costituì la riserva tattica, ma fu Gaio Giulio Cesare a introdurre ulteriori importanti novità. Durante la guerra in Gallia era consapevole che i suoi soldati provenivano da una situazione di miseria, e quindi raddoppiò la paga 10 assi al giorno, concedendo anche un premio in terre ad ogni soldato congedato, cosa che precedentemente era solo a discrezione del comandante in questione, e istituì il cursus honorum, un sistema che in base ai meriti personali permetteva ai legionari di diventare centurioni e i centurioni tribuni militari. Infine potenziò il genio militare, e rivalutò la cavalleria affiancando alle legioni e alla fanteria ausiliaria le coorti equitate, costituite prevalentemente da guerrieri Galli e Germani, divisi in gruppi da 10 soldati comandati da un decurione romano. Il loro armamento prevedeva una cotta di maglia in ferro, un elmo e un gladio più un pilum o un’hasta più pesante chiamata contus.
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Comincio a postarvi ciò che ho scritto oggi sull'esercito romano. Comincio dal periodo monarchico di Roma e venerdì, o questo week-end, posterò la parte sull'esercito repubblicano. Esercito Romano nel periodo monarchico L’esercito romano nacque con la sua città, che secondo la tradizione venne fondata nel 753 a.C. da Romolo, che ne fu il primo re. Romolo diede alla neonata città le prime istituzioni statali e un esercito, in seguito, come raccontano la tradizione e lo storico Tito Livio nell’opera “Ab Urbe Condita” (dalla fondazione dell’Urbe, cioè Roma) vi furono altri 6 re, alcuni dei quali apportarono modifiche all’esercito. La fase monarchica di Roma durò circa 2 secoli, quindi è molto improbabile che ci siano stati solo 7 re, però solo di essi abbiamo testimonianze, degli altri non si sa quasi nulla. Romolo fondò l’esercito romano sulla base delle falange oplitica greca, impiegata dagli Etruschi e dalla Civiltà Villanoviana, e sulle 3 tribù che costituivano il primitivo nucleo di Roma: i Tities, i Ramnes e i Luceres. Ogni tribù doveva fornire soldati per un totale di 3000 fanti e 300 cavalieri, scelti tra gli uomini della fascia di età dai 17 ai 46 anni che potevano permettersi di comprare l’armamento. In generale i ricchi costituivano gli squadroni di cavalleria, potendosi permettere un cavallo più l’armamento, e i ceti medio-bassi il resto dell’esercito. L’armamento a carico del soldato causava una diversità nell’equipaggiamento: probabilmente la maggior parte dei fanti era costituita da pilumni (lanciatori di giavellotto) o arcieri, mentre i cavalieri provenivano dalle classi più agiate. In genere i soldati dell’esercito Romano all’epoca di Romolo combattevano a piedi con lance, spade, pugnali, giavellotti e archi, e che indossavano un’armatura di protezione differente: i ricchi potevano permettersi una vera e propria panoplia (l’armatura degli opliti greci), mentre gli altri dovevano accontentarsi di una semplice piastra di metallo sul petto. Tito Livio ci racconta che i primi soldati romani combattevano con scudi prevalentemente circolari, ma secondo Plutarco una volta avvenuta la fusione con il popolo dei Sabini, i Romani abbandonarono lo scudo di tipo Argivo per quello Sabino, più maneggevole, e che Romolo raddoppiò l’esercito arrivando e 6000 fanti e 600 cavalieri, costituendo anche i Celeres, cioè un gruppo di 300 cavalieri che fungeva da guardia reale, soppresso poi dal re Numa Pompilio. Del resto l’esercito si schierava inizialmente su tre file, ognuna di 1000 uomini, con la cavalleria ai lati. 1000 fanti erano comandati da un tribunus militum (tribuno dei soldati), e 100 cavalieri da un tribunus celerum, mentre il Rex, cioè il re di Roma, comandava l’intero esercito. Questa organizzazione andò avanti fino all’arrivo dei re Etruschi: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio “il Superbo”. Roma infatti ha avuto fin dalla sua nascita a che fare con gli Etruschi, che dominavano indisturbati il Nord del Lazio e la Toscana, tuttavia al contrario di quanto si crede Roma non fu occupata e sottomessa da questa civiltà. Il motivo per cui a Roma si instaurò una dinastia etrusca era dovuto all’apertura della società nella Roma monarchica: probabilmente la famiglia dei Tarquini si trasferì a Roma dall’Etruria, e nella sua nuova casa cominciò a scalare le posizioni della gerarchia sociale fino ad arrivare al senato, e da lì il passaggio alla carica regia fu breve, dato che la monarchia romana era elettiva a carattere vitalizio, tuttavia Tarquinio Prisco riuscì a instaurare una dinastia. Tuttavia tutte le fonti storiche che trattano di questo periodo non sono completamente affidabili perché scritte molto tempo dopo i fatti narrati (per esempio lo storico greco Polibio visse circa 300 anni dopo questi eventi e Tito Livio circa 500), ed eventuali fonti risalenti proprio a quel periodo non sono ancora state rinvenute, e forse sono andate perdute per sempre. Secondo le nostre fonti storiche l’epoca dei re Etruschi fu un periodo di grandi cambiamenti per l’esercito romano: fu istituito un sistema di organizzazione basato sul reddito e non sull’appartenenza ad una o all’altra tribù, passando quindi al cosidetto assetto “centuriate”. Esso però costituisce però solo un’affinazione dell’assetto tribale, in quanto già esso prevedeva una distinzione tra le classes (le divisioni formate da cittadini ricchi) e le Infra classes (formate da cittadini poveri e benestanti) e l’allontanamento dei secondi dalle prime linee, in quanto il loro armamento non era adeguato a quelle posizioni. Tarquinio Prisco rafforzò la cavalleria, triplicando il numero dei cavalieri che arrivarono a 1800, divisi in sei centurie. Servio Tullio fece invece molto di più: divise la popolazione romana maschile in 6 classi in base al reddito, e ognuna in 4 sotto-classi: i seniores (over 46), gli juniores (da 17 a 46 anni), i pueri (da 8 a 17 anni), e gli infantes (meno di 8 anni). Ovviamente solo i seniores e gli juniores erano considerati abili a combattere. - La prima classe era costituita dai ricchi che possedevano un reddito maggiore di 100.000 assi (la moneta romana dell’epoca). Erano divisi in 80 centurie di fanteria: 40 di juniores e 40 di seniores, ai quali si aggiungevano 2 centurie di genieri che trasportavano le macchine da guerra; i primi combattevano nelle guerra esterne e i secondi rimanevano a difesa dell’Urbe. Essi potevano permettersi un equipaggiamento completo: corazza, elmo, schinieri (a protezione delle gambe), un scudo rotondo, una spada e un’hasta (una lancia). - La secondo classe comprendeva i ricchi, con reddito compreso tra 100.000 e 75.000 assi e possedevano un armamento di poco più leggero rispetto ai ricchi: un elmo, uno scudo oblungo, degli schinieri più un’hasta e una spada. Comprendeva 20 centuria - La terza classe comprendeva i benestanti con un reddito compreso tra 75.000 e 50.000 assi. Il loro equipaggiamento era uguale a quello della seconda classe, e insieme alle prime tre costituivano la fanteria pesante di prima linea. Comprendeva 20 centurie - La quarta classe era formata dai benestanti con reddito inferiore compreso tra 50.000 e 25.000 assi. Il loro armamento comprendeva un’hasta o una spada più un giavellotto. Comprendeva 20 centuria - La quinta classe era costituita da i benestanti con reddito compreso tra 25.000 e 11.000 assi. Il loro armamento era composto da una semplice fiondo con proiettili in pietra e costituivano assieme alla quarta classe la fanteria leggera, adatta alle operazioni di ricognizioni e agli attacchi “mordi e fuggi”. Era composta da 30 centurie, alle quali si aggiungevano due centurie di suonatori di cornu, tuba e buccina che utilizzavano i loro strumenti per trasmettere gli ordini alle truppe. - La sesta classe comprendeva i poveri con reddito inferiore a 11.000 assi. Essi costituivano la riserva dell’esercito che, in caso di necessità, veniva armata a spese dello stato combattendo però in formazioni estranee alle altre. Infine Servio Tullio riformò la cavalleria suddividendola in 18 centurie composte dal fiore dell’aristocrazia romana, e stabilì un incentivo annuo di 10.000 assi a centuria per l’acquisto dei cavalli, e un contributo annuo di 2.000 assi a centuria per mantenerli, contributo pagato però dalle donne non sposate e in seguito dalle classi agiate. In totale l’esercito della Roma Serviana contava circa 17.000 fanti e 1.800 cavalieri divisi in cinque classi e 170 centurie, più altre 23 centuria di unità speciali divise in due compagini legionarie: la prima rimaneva a difendere la città e l’altra veniva utilizzata nella campagne militari esterne.
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Come tutti potete notare in questo forum non si parla solo di aeronautica, ma in generale dell'arte bellica, altrimenti perché ci sarebbero la sezione sull'esercito e quella sulla marina militare? Il fatto è che si parla quasi solo di armi, tattiche di guerra e di eventi storici dalla Prima Guerra Mondiale in poi e io ho voluto aprire una discussione sull'esercito romano per introdurre anche l'arte bellica antica. I Romani erano dei grandi guerrieri: il loro esercito nell'età alto-imperiale (da Ottaviano Augusto a Caracalla) possedeve un'organizzazione e un'efficienza tale da far impallidire qualsiasi esercito moderno. Io personalmente vorrei saperne di più: sono un appassionato di storia romana e, visto che le mie conoscenze sull'esercito romano vengono quasi tutte da Wikipedia, vorrei confrontarmi con gli esperti e migliorarle.
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Salve a tutti. Ho deciso di aprire questa discussione sull'esercito romano, la più efficiente forza armata di tutta l'antichità, che ha accompagnato molti grandi uomini alla vetta del successo, e altri verso la sconfitta. Che ne pensate dell'esercito romano dalla fondazione di Roma fino alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente?
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Navi da battaglia monocalibro della Prima Guerra Mondiale
Cavallo Pazzo ha risposto a Cavallo Pazzo nella discussione Marina Militare
Grazie, le leggerò con calma. -
Navi da battaglia monocalibro della Prima Guerra Mondiale
Cavallo Pazzo ha risposto a Cavallo Pazzo nella discussione Marina Militare
Ok, grazie. Quindi in poche parole l'estrema resistenza della Bismark, che incassò così tanti colpi prima di affondare, è la conseguenza già di una grande abilità nel forgiare l'acciaio e una compartimentazione unica nel suo genere. Ho letto inoltre che i cannoni tedeschi sia della prima che della seconda Guerra Mondiale erano superiori ai rivali non solo in potenza, ma anche in precisione, e questo assieme all'eccellente addestramento degli artiglieri faceva un mix micidiale. E' vero anche questo? Inoltre, sapete farmi un paragone tra le navi tedesche e quelle statunitensi e italiane? Così per curiosità. Mi affascinano molto le navi da guerra tedesche dei due conflitti mondiali. -
Navi da battaglia monocalibro della Prima Guerra Mondiale
Cavallo Pazzo ha risposto a Cavallo Pazzo nella discussione Marina Militare
Personalmente, da questo che hai scritto e da altre in informazioni che ho letto, ho capito che le corazze tedesche erano più resistenti a quelle rivali di spessore uguale proprio per la qualità dell'acciaio. Intendi dire questo, oppure ho capito male? E se è così, ti risulta che questa caratteristica l'abbiano avuta anche le navi da guerra tedesce successive alla Grande Guerra? Grazie in anticipo. -
Navi da battaglia monocalibro della Prima Guerra Mondiale
Cavallo Pazzo ha pubblicato una discussione in Marina Militare
Salve a tutti. Ho deciso di aprire questo topic per discutere sulle corazzate monocalibro della Prima Guerra Mondiale. Personalmente devo dire che scoprire che tali navi (grazie a Wikipedia, vi informo subito della mia maggior fonte) esistessero già nella Grande Guerra, e fin da subito ho avuto l'interesse a sapere di più su tali navi. Secondo voi quali erano le migliori? -
Personalmente penso che la "corsa agli armamenti e alle corazze" sugli IFV porti a un perdita di questo concetto, ma di quello attuale: le esigenze della guerra sono in continuo cambiamento, e può darsi che in futuro non sia sufficiente la corazzatura e l'armamento degli attuali IFV. C'è anche la possibilità che tra 50 anni non vengano più utilizzati, e la possibilità che diventino simili agli MBT, ma d'altronde se l'esigenza di limitare le perdite e avere veicoli più resistenti lo richiederà, tale cambiamento sarà inevitabile. Credo che l'esercito, la marina e l'areonautica più efficiente non siano quelli con i mezzi più potenti, ma quelli che sanno adeguarsi alle esigenze della guerra, anche cambiando il concetto su cui si basano i propri mezzi. L'unico esempio che mi viene in mente, anche se non riguarda proprio l'esercito... I cacciatorpediniere, sono navi concepite inizialmente per dare la caccia alle torpediniere e alle motosiluranti; quando sono arrivati i sommergibili è emersa l'esigenza di avere una nave in grado di distruggerli, e allora il concetto di cacciatorpediniere è cambiato, e questo tipo di nave è passato dall'essere una difesa contro le torpediniere e le motosiluranti, all'essere anche una difesa contro i sommergibili. Come i cacciatorpediniere si sono evoluti di fronte all'esigenza di combattere i sommergibili, anche gli IFV si evolveranno: se ci sarà l'esigenza passeranno dall'essere dei mezzi leggeri e veloci all'essere mezzi pesanti in grado i affrontare i propri simili e abbastanza resistenti da sopravvivere a un colpo di cannone di un MBT e fuggire, ciò cambierà il concetto ma tale mezzo soddisferà le esigenze della guerra. Se ci fissiamo a dire che i concetti non possono cambiare, allora i tedeschi non avrebbero usato la tattica del Blitzkrieg nella seconda guerra mondiale, in quanto andava contro l'originale concezione del carroarmato come mezzo d'appoggio alla fanteria. Questa è la mia opinione, ho deciso di esprimerla e invito tutti a farmi sapere se sono d'accordo con me e il perché.
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Io direi che entrambi sono degli elicotteri da tenere in cosiderazione, e io terrei in servizio i Mi-28 a fianco dei Mi-24, ma allo stesso tempo investirei nello sviluppo del Ka-50. Sì, anche secondo me il progetto del Ka-50 è avventato, ma ritengo che investire nel suo sviluppo possa in futuro portare a un elicottero molto pericoloso, se usato nella tattica del mordi e fuggi. Le prestazioni in velocità e agilità del Ka-50, in base a quello che ho letto, sono sorprendenti, ma la meccanica dei rotori in bella vista è comunque un handicap in una battaglia. Quindi un elicottero con queste prestazioni, e capace di portare un simile carico bellico, può fare non pochi danni. Allo stesso tempo investirei anche sull'acquisto e sviluppo di elicotteri convenzionali, così, se il progetto di sviluppo del Ka-50 porterà a un nulla di fatto, possiederei comunque una forza di elicotteri di tutti rispetto. Comunque, tutti gli elicotteri d'attacco, che si chiamino Ka-50, Ah-64, Mi-24 o 28, Aw-129 ecc., sono macchine costruite per uccidere. E il vero nemico non è quello che invade il tuo territorio con una colonna di carri armati, o ti tira i missili, ma è la guerra stessa.
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Spiacente ma non sono d'accordo. Anche se il rapporto peso/potenza era la metà di quello di un TigerI, il Maus a più di 20 km/h non ci andava, neanche se il capocarro avesse pianto in Ostrogoto, Greco antico e chi più ne ha più ne metta. Poi anche se il peso era ben distribuito 188 tonnellate non si spostano facilmente, infatti per spostare un bestione di quel genere bisognava tenere conto che non faceva più di 60 km con un pieno, che rischiava di spaccare le strade e avrebbe fatto crollare i ponti su cui passava (e nelle città con la metropolitana sotto le strade possiamo immaginare quale casino avrebbe fatto. Poi trasportare via treno un coso da 188.000 kg. era una grande sfida. E infine ho letto che il Maus sprofondava lentamente nel terreno solido sotto il suo stesso peso e dubito fortemente che avrebbe potuto uscire da un ammasso di fango in Russia o in Ucraina. Bisogna però aggiungere che consumava un casino di carburante quindi per rifornirlo sarebbe stata necessaria una "colonna privata di autocisterne", cosa molto pericolosa da fare in guerra. Io se fossi stato un pilota da attacco al suolo sovietico durante la seconda guerra mondiale mi sarei subito fiondato su una colonna di autocisterne senza protezione antiaerea, quindi una colonna di questo genere aveva bisogno di una scorta di semoventi contraerei; però le autocisterne consumano carburante, i semoventi contraerei consumano carburante e ogni 60 km sarebbe stato necessario fermare tutto per rifornire il bestione che viaggiava in testa alla colonna. In sintesi il progetto era sicuramente allettante e anch'io avrei provato a svilupparlo, ma l'avrei abbandonato non appena fossi venuto al corrente di cosa effettivamente si sarebbe trattato; e il Maus lo avrei smantellato per costruirci qualcos'altro.
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Io direi che la M2 e la MG42 siano in parità. Adesso vi spiego perché la penso così. La Browning M2 era ed è ancora una mitragliatrice potente, poi le sue caratteristiche la rendono quasi insostituibile ai giorni nostri, poteva essere utilizzata dai carri armati, dagli aerei, dalle navi e dalla fanteria quindi un'unica ed efficiente arma montata su tutto permette di produrre un solo tipo di munizioni in grandi quantità. Riguardo alla MG42 la chiamavano "la falce di Hitler" perché il suo terribile rateo di fuoco formava un'autentica barriera insormontabile da parte della fanteria e di certo non faceva bene ai carri leggeri e medi; però consumava munizioni in quantità industriale e ogni volta che si doveva cambiare il caricatore si faceva lo stesso con la canna che veniva messa da parte a raffreddare; poi la sua canna era molto lunga per compensare le vibrazioni prodotte dal rateo di fuoco. Entrambe le mitragliatrici sono in servizio anche adesso: la M2 nella versione originale e la MG42 in versioni adattate alle esigenze moderne o derivate dall'originale. Per farla breve la M2 era pensata in modo che un singolo colpo possa fare danni più pesantemente possibile e in modo tale da poter essere una sorta di "mitragliatrice universale" adattabile ad ogni esigenza., la MG42 più che altro era pensata per impressionare i soldati nemici quindi terrorizzarli ma poteva essere utilizzata quasi solo dalla fanteria, per questo carri e aerei erano dotati sopratutto delle MG17 e 34.
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E' vero, il Maus pesava 188 tonnellate ma comunque è già estremamente difficile spostarne 150, immaginate 188. Mister Porsche comunque è stato veramente astuto perché chissà quanto siano costati i prototipi del Maus e poi chissà anche quanti soldi Hitler abbia speso per il progetto di sviluppo del "Ratte".
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Secondo me ci sono buone probabilità che i due prototipo del Maus furono utilizzati nella disperata difesa del poligono di tiro in cui si trovavano, basta pensare che la Bismarck combatté fino ai limiti del possibile. Comunque il Maus era sì un bunker semovente: un cannone da 128 mm. come arma principale, uno da 75mm. come coassiale, pesante intorno alla 150 ton., velocità massima prevista 20 km/h, autonomia 65 km. circa. Come avete detto era l'ideale come mezzo per farsi strada tra le linee nemiche ma utilizzarlo per una guerra di movimento sarebbe stato troppo problematico: il suo peso faceva sì che le strade si spaccassero e i ponti crollassero al suo passaggio, e poi immaginate quanto gasolio e benzina è necessario per spingere 150 tonnellate d'acciaio.