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Già è vero! Che fine ha fatto? In altri tempi avrebbero fatto sorvoli su sorvoli. Con il Sukhoi PAK-FA in testa.
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Io sapevo che gli AV-8B "Plus" italiani erano di provenienza degli US Marines e avevano il radar d'attacco APG-65 del vecchio F-18, anche se con antenna ridotta per via del muso dell'Harrier che è più piccolo (ma questa dell'antenna ridotta non so se è vera). Infatti gli Harrier italiani possono imbarcare gli AIM-120. I Mirage-III argentini erano ottimi come tutti i Mirage e erano anche ottimamente pilotati (i piloti argentini si dimostrarono estremamente coraggiosi e ligi al loro dovere), MA erano al limite estremo della loro autonomia ed erano quasi tutti Mirage-IIIE, cioè da attacco al suolo e il loro piccolo radar nel ruolo aria-aria era inferiore al Blue-Fox della Ferranti, di cui era dotato il Sea-Harrier FRS1 (dove FRS sta per "Fighter - Recon. - Strike" a sottolineare che qua siamo lontani dall'aereo da appoggio tattico che erano gli Harrier della RAF, perchè invece il primo ruolo messo nella sigla del Sea Harrier è appunto "Fighter") e che lo rendeva un vero "gioiellino" di cui la Navy andava fierissima (e che invece gli Harrier GR-1 e 3 della RAF non avevano). (Il Sea-Harrier poi era un aereo diverso dall'Harrier terrestre e dall'AV-8B). Inoltre, gli aerei inglesi avevano il nuovo AIM-9L appena arrivato alla Royal Navy, che era superiore ai Sidewinder più vecchi degli argentini e ai MATRA-Magic, che spesso perdevano l'aggancio, anche perchè l'Harrier NON ha un grande ugello di coda da cui erutta una fiammata di 10 metri... L'Harrier decolla da un peschereccio? Boh. Di sicuro se lo fa, lo fa scarico di armi e munizioni, perchè un Harrier a pieno carico ha bisogno di circa 350 metri di pista e/o dello skijump. Il pregio dell'Harrier quindi non è il decollo verticale, ma l'atterraggio verticale. L'idea (vincente a quei tempi) era: se i sovietici arrivano troppo veloci con i carri armati e conquistani tutti gli aeroporti, noi possiamo ritirarci quando ci pare combattendo, perchè tanto possiamo dire agli Harrier di atterrare in posti che sono preclusi agli altri aerei, per cui in un'ora carichiamo tutto sui camion e poi gli aerei ci seguono (decollati in un punto, atterrati in un altro, magari su un'autostrada). Quindi ci si poteva spostare veloci, rimanendo sempre a ridosso del fronte in movimento. E' un fatto che comunque gli Harrier inglesi hanno finito la guerra delle Falkland (Malvinas) senza alcuna perdita dovuta al nemico.
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Succede da 20 anni in tutte le ex-Repubbliche Socialiste Sovietiche: si tratta ormai di vecchi che hanno combattuto per un grande esercito (Armata Rossa) che non esiste più e che è stato da sempre vissuto dai locali (giustamente in genere...) come un esercito di occupazione. La tragedia sta nel fatto che migliaia di uomini hanno combattuto (spesso anche sono stati degli eroi decorati) per qualcosa che non solo ha cessato di esistere, ma che di colpo è diventata anche un simbolo di oppressione appena il comunismo è caduto. I vecchi veterani della Grande Guerra Patriottica (non so quanti ne siano rimasti oggi) tra l'altro godono anche di una miserabile pensione statale che vale sempre di meno, ma che comunque con i tempi che corrono li rende dei "privilegiati", o dei "parassiti", agli occhi di qualche semplicione ignorante. E quindi giù botte sui dei vecchi... Tra l'altro in Ucraina la cosa e acuita dal fatto che importanti fette di territorio ucraino sono ancora in mani russe (affittati), come Sebastopoli e parte della Crimea, dove i russi mantengono le loro grandi basi navali sul Mar Nero. Per non parlare della piaga sempre attualissima di Chernobyl... Gli ucraini (in realtà da sempre) hanno il dente avvelenato con i russi. Quindi immaginiamo come trattano chi ha combattuto per loro.
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Forze aeree albanesi, situazione attuale
Hobo ha risposto a lender nella discussione Aeronautica Militare
Tranquillo. Ma chi l'attacca l'Albania? L'ultimo che ci ha provato (e cioè noi) ha preso tali e tante bastonate sul sedere da pensarci due volte prima di riprovarci. Storicamente, i migliori soldati del mondo vengono dall'Italia, dalla Macedonia (non quella di frutta...) e dall'Albania (Pirro Re dell'Epiro ci faceva milioni di allora con il traffico di eccellenti mercenari albanesi). Prima di litigare anche con loro, Oxa aveva rapporti internazionali solo ed esclusivamente con Pechino, quindi avevano tutta roba cinese soprattutto milioni di biciclette (ottime per altro). Non so se qualcuno ricorda le meravigliose sparate notturne di Radio Tirana agli amici e compagni italiani. E Enver Oxa che mandava in giro i suoi ministri dai nefrologi occidentali con le sue provette di pipì (era malato di reni poveraccio) ve lo ricordate? Ah che tempi! L'Antonov-2 e la versione cinese dello Yakolev18 si possono avere? -
L'harrier non va in stallo?
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In quelle situazioni io non ci sono mai stato, ma dubito che uno si senta mai completamente "al sicuro". O non avrebbe avuto addosso nulla. I 500 euro invece penso che fossero la sua somma minima di "sostentamento" per l'emergenza e cioè nel caso che dovesse sparire immediatamente, senza neanche passare da casa per salutare. Secondo me i 500 euro potrebbero equivalere a quello che per un aereo è l'"emergency power unit" , cioè il mezzo per sopravvivere se si spegne il motore. Per Osama quei soldi erano quindi il mezzo minimo e sufficiente per riuscire a rimanere vivo e a scappare quel tanto che basta per raggiungere un posto sicuro, in cui sono certo che avesse già approntato ogni cosa: nuovi documenti, cibo, vestiti, armi e quant'altro (e ben più di 500 euro...). 500 euro sono un piccolo tesoro in Pakistan, immaginiamo nel vicino Afghanistan... Una volta bruciato, come dicono nei film, scommetto che avrebbe iniziato a usare i 500 euro per raggiungere un luogo X in Afghanistan, in cui avrebbe già trovato tutto pronto il necessario per ricominciare una nuova vita da un'altra parte.
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500 euro (che sono più di 500 US $). (Se devi scappare ti sconsiglierei di prendere aerei: sono il primo posto dove i "cattivi" si mettono ad aspettarti per farti "Ciao!"). Secondo me, quello è un velivolo progettato per ridurre il rumore, ma dovendo spendere per progettare una roba del genere, direi di farla completa: cioè pure stealth e a bassa "impronta IR". Cioè tutto quanto: "the whole package!". Se è un ex-MH60, è del tutto riprogettato e l'hanno rivoltato come un guanto. Stessa differenza che c'era tra il colonnello Steve Austin e The six million dollar man...
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Tu-22M - discussione ufficiale
Hobo ha risposto a Unholy nella discussione Bombardieri & Attacco al suolo
Gli americani avevano portaerei ed erano in grado di usarle. I sovietici no. Per cui la risposta aeronautica ai gruppi di portaerei americane era un bombardiere così veloce da poterle attaccare prima che giungessero a tiro delle coste russe e così grosso da potersi portare dietro abbastanza carburante per combattere sul mare su enormi distanze lontano da terra (e tornare ovviamente). La ricerca di elevate velocità da parte dei grandi bombardieri sovietici come il T-22 e il T-22M penso che fosse dovuta al fatto di dover attuare attacchi improvvisi su lunghe/lunghissime distanze (oceano) per poi dover riuscire a violare l'anello di difesa esterno delle portaerei americane (F-4; F-14). E i Phantom facevano Mach-2. Ecco perchè bisognava essere veloci, perchè bisognava raggiungere un dato punto sul mare a migliaia di chilometri, entrare dentro l'anello di difese delle portaerei e lanciare i missili antinave PRIMA di essere distrutti dagli aerei nemici in BARCAP. Gli aerei nemici erano bisonici: ci voleva un bombardiere bisonico. Per spingere un bombardiere a Mach-2 ci vogliono motori potenti. Per motori potenti su enormi distanze ci vuole una marea di carburante => ci vuole un aereo grande. Tornare alla base era utile, ma non necessario per il successo. Quello che contava era arrivare a tiro della portaerei nemica per lanciare, tutto qui. Non so se le cose siano molto cambiate. Il mare significa avere distanze enormi da dover coprire nel minor tempo possibile e senza poter sfruttare alcun riparo per avvicinarsi. Per poter attaccare una portaerei con i missili aviolanciati teoricamente ci vogliono missili capaci di colpire rapidamente e con precisione a più di 300 miglia di distanza (in pratica missili Cruise) e anche così si arriva a tiro dei caccia nemici. Aerei "piccoli" non so se sono in grado di portarsi dietro tutto il carburante per decollare da terra, attaccare e ritornare, a meno di non rifornirsi in volo, ma chi protegge le aerocisterne? -
Be dubito fortemente che qualunque cambiavalute sano di mente si metta a tirare sul prezzo delle rupie con gli euri di Osama Bin Laden... Mica è un turista dell'INPS. Da quello che si legge in giro, 500 euri in Pakistan sono una piccola fortuna: un operaio dovrebbe prendere 48, 83 euri lordi mensili e ci tira pure su una famiglia, perchè da loro le donne in genere non lavorano... Quindi uno con 500 euri in tasca, in Pakistan, può fare diverse cose, perchè mi equivalgono a più di dieci stipendi mensili di un operaio (quasi quanto prende in un anno). Il segreto sta tutto nel non far capire che si è ricchi, ma questo vale in tutto il Mondo creato. Se devi scappare all'improvviso con i vestiti che hai addosso, 500 euri ti possono essere molto utili. Se non altro per fare qualche telefonata al primo telefono pubblico... Riguardo ai blackout nelle missioni di alto-issimo livello, ma voi ci credete? Ma se pure Bud Spencer faceva Prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr!!! Gniau - Gniau -Gniau... alla radio per simulare che era guasta e fare finta che non si sentiva un tubo, così poteva fare quello che gli pare... Minuto 01:00
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Si, anche a mio parere il non mostrare il cadavere al mondo è stato un errore "di immagine" per così dire. Mostrare il corpo invece sarebbe stato molto più indicato. Sicuramente avranno avuto i loro motivi per non mostrarlo, non mi immischio nella faccenda, ma gli antichi romani mi paiono molto più saggi di noi oggi. Appena sconfiggevano un nemico di Roma lo mostravano (ancora vivo se possibile) legato al carro del vincitore in trionfo. Da quel che mi ricordo, Giulio Cesare portò a Roma Vercingetorige re dei Galli incatenato come una schiava alla biga del vincitore di Alesia e solo poi lo fece assassinare (ahivoglia i Francesi a inventarsi Asterix...). Ottaviano Augusto, dopo la battaglia di Filippi, fece decapitare il cadavere di Bruto e mandò la testa a Roma, perchè così fosse chiaro a tutti cos'era successo e chi comandava ora (poi prese la testa di Bruto e dopo averla esibita come trofeo e come prova, la fece rotolare ai piedi della statua di suo padre adottivo, Cesare, che da Bruto era stato assassinato). Perfino la mia gatta mi porta davanti casa i sorci che ammazza per farmi vedere quanto è brava, e qualche volta li porta ancora vivi, così mi fa vedere che sono freschi di giornata... Mah!
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C'erano già delle discussioni. L'ultima che ricordo è qua: http://www.aereimilitari.org/forum/topic/15365-diverterless-supersonic-intake/page__pid__272338#entry272338
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Grazie. Spero che abbiano fatto come ho fatto io: accanto ci ho messo l'Autore, che è Simon Dunstan. Cioè, "99 minuti a Entebbe" è un capitolo del libro di Dunstan, quindi quel titolo l'ha inventato lui, non io. Nel mio riassunto, che mi sono divertito a fare, ho inventato io tutti i titoli che ho messo mentre riassumevo, tranne due, che sono appunto "99 minuti a Entebbe" e "Triumph and Tragedy", che sono due titoli di Dunstan. In entrambi i casi io ce l'ho messo a lato il nome dell'Autore...
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Semplice: da chi riesce a sterzare a fondo pista e chi invece continua dritto... eh eh eh eh eh eh
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Eeeeeehhh???????????? Gli svedesi e gli UAE aviazioni di serie B? Semmai "aeronautiche", non "aviazioni". La cosa più semplice è che non gli hanno fatto i freni, dato che forse aveva qualche problema perchè invece che a Decimomannu è atterrato a Sigonella. La pista di Sigonella da quello che so io andava bene per i B-52G e H che andavano a svegliare Saddam nel '91, immaginiamo se non vanno bene per una cacca di mosca come un F-16... Un F-16 ci atterra per traverso a Sigonella e scommetto che gli avanza pure spazio. Comunque: serial degli F-16E/F degli UAE a Decimo.: 3004, 3040, 3048, 3049, 3068, 3077. Uno di questi è quello che ha drizzato la curva in uscita dalla pista. Il 3004 non è di sicuro, perchè il 3004 è un F e quindi è un biposto (l'unico a Decimomannu).
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Ancora più semplice: l'Osprey in quel cortile non ci entra...
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E adesso vogliamo chiedere per favore ai ragazzi del 160° SOAR COSA hanno mandato a schiantarsi nel cortile di Bin Laden ?????? http://en.wikipedia.org/wiki/160th_Special_Operations_Aviation_Regiment_(Airborne) http://www.dailymail.co.uk/news/article-1382649/Osama-bin-Laden-dead-Photo-Obama-watching-special-forces-shoot-him.html Mission accomplished, ma adesso tutti alla lavagna a scrivere cento volte la frase: "NON si mandano i mostri del reparto Ricerche a schiantarsi in un cortile pakistano!"
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Passeggeri del volo 139 deceduti: Jean-Jacques Maimoni, 19 anni, francese: ucciso da fuoco amico Pasco Cohen, 52 anni: ucciso da fuoco amico Ida Borokovitch, 56anni, russa: uccisa dai terroristi Dora Bloch, 75 anni: uccisa a Kampala il 5 luglio 1976 (e non il 4 come ho scritto) Forza d'assalto all'old terminal di Entebbe (Sayeret Matkal): Squadra Comando: Ten. Col. Yonathan "Yoni" Netanyahu: comandante di tutta la Forza e del Sayeret Matkal Alik Ron: ufficiale riservista Tamir: ufficiale alle comunicazioni David Hasin: medico 1° Squadra, destinata alla prima entrata della hall grande. Composta da: Il Maggiore Moshe “Muki” Betser Amos Goren Alex Davidi Gadi Ilan 2° Squadra, destinata alla seconda entrata della hall grande. Composta da: Il Tenente Amnon Peled Sergente Maggiore Amir Ofer, 22 anni, ma già veterano del Yom Kippur Shlomo Reisman Ilan Blumer 3° Squadra. Stessa destinazione della seconda squadra. Composta da: Il Tenente Amos Ben Avraham Dani Fradkin Gal Schindler 4° squadra. Destinata all’entrata della dogana, al suo corridoio e a fare irruzione al primo piano. Composta da: Il Maggiore Yiftah Reicher (vicecomandante del Sayeret Matkal) Rani Cohen Amir Shadmi 5° Squadra. Destinata a seguire Reicher all’entrata della dogana e nel suo corridoio, per poi presidiare il pian terreno. Composta da: Il Tenente Arnon Epstein Pinhas Bar El (detto “Bukhris”, 22 anni, il più giovane di tutto il team) Udi Bloch Yonathan Gilad 6° Squadra. Destinata alla piccola hall. Composta da: Il Capitano Giora Zusman Adam Kolman Yoram Rubin Amnon Ben Ami 7° Squadra. Destinata alla saletta VIP. Composta da: Il Tenente Danny Arditi Amir Drori Aharoni Berkovich 8° Squadra. Destinata alla copertura e alla difesa ravvicinata della forza d’assalto e composta da: Il Tenente Rami Sherman Amitzur Kafri (lo specialista equipaggiamenti speciali): autista della Mercedes Eyal Yardenai: autista prima Land Rover Uri Ben Ner: autista seconda Land Rover Forza di Difesa Periferica del Sayeret Matkal (30 uomini): Maggiore Shaul Mofaz: comandante della Forza e della prima coppia di blindati Danny Dagan: comandante del primo blindato, prima coppia Omer Bar Lev: comandante del secondo blindato, prima coppia Udi Shalvi: comandante della seconda coppia di blindati Arik Shalev: medico Truppe di supporto, Paracadutisti e Brigata Golani: Colonnello Matan Vilna’i: comandante dei Paracadutisti Colonnello Uri Saguy: comandante distaccamento Brigata Golani Surin Hershko: sergente paracadutista. Colonnello Medico Eran Dolev: comandante di tutta l'equipe medica di supporto (Hercules-Quattro) Ephraim Sneh: medico, Comando Fanteria e Patracadutisti Velivoli Hercules dell’ Heyl Ha’Avir: Ten. Col. Joshua “Shiki” Shani: comandante del n° 131° Squadron “Jellow Bird” e pilota dell’Hercules-Uno Magg. Avi Einstein: copilota dell’Hercules-Uno Maggiore Rami Levi: pilota di riserva Hercules-Uno Tzvika Har Nevo: navigatore Hercules-Uno e capo-navigatore Magg. Nathan “Nati” Dvir: pilota Hercules-Due Magg. Arieh Oz: pilota Hercules-Tre Magg. Amnon Halivni: pilota Hercules-Quattro Governo e Stati Maggiori Yitzhak Rabin: Primo Ministro di Israele Shimon Peres: Ministro della Difesa Ten. Gen. Mordechai “Motta” Gur: Capo di Stato Maggiore di Zahal Magg. Gen. Yekutiel “Kuti” Adam: Capo Reparto Ricerca e Operazioni di Zahal Magg. Gen. Benjamin “Benny” Peled: Comandante dell’Aviazione Col. Ehud Barak: ex.comandante del Sayeret Matkal, distaccato al reparto Operazioni Avi Livneh: ufficiale alle Informazioni del Sayeret Matkal Magg. Iddo Embar: Informazioni dell’Aeronautica Militare IDF: Israel Defense Forces (The) “Kirya”: il “Pentagono” israeliano. E’ il quartier generale di tutte le forze armate israeliane. Situato a Tel Aviv. Dispone anche di numerosi livelli sotterranei. “Zahal”, o “Tzahal”: termine ebraico che indica tutti gli uomini in armi di Israele (Forze Armate). In tutti i libri che mi è capitato di leggere, il nome del Ten. Col. Yonathan “Yoni” Netanyahu è scritto con la “Y” e non con la “J” come ho fatto io nel titolo della discussione, quindi se è possibile pregherei di correggere il titolo, perchè ho sbagliato. E con questo HO FINITO per davvero di rompere. Qui è Hobo, chiudo.
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Triumph and Tragedy (Simon Dunstan) Il volo di ritorno fu interminabile, anche se i venti dominanti li favorirono e ci misero meno del previsto. La notizia della morte di Netanyahu aveva scioccato tutti e nessuno aveva voglia di parlare. Il sole sorse mentre i quattro Hercules volavano sulle acque internazionali del Mar Rosso. All’alba, Shiki Shani, che stava ascoltando la radio a bassa frequenza, captò Uganda Radio. Immediatamente passò la trasmissione sull’interfono di bordo. In quel modo tutti poterono sentire Idi Amin Dada mentre alla radio di stato annunciava in pompa magna la “vittoriosa riconquista dell’aeroporto di Entebbe”. In un’altra situazione tutti si sarebbero sbellicati dalle risate, invece gli uomini si limitarono solo a sorridere amaramente. La morte di Netanyahu aveva tolto loro ogni voglia di festeggiare. Era quasi come se la missione fosse fallita. Il maggiore Mofaz racconta che quando apprese della morte del comandante per lui fu come se tutta quell’operazione non fosse valsa la pena. Un paio d’ore dopo, Shani captò anche l’Israel's Army Network, dove apprese che in quel momento loro erano su tutte le radio e TV del mondo. La BBC a Londra stava trasmettendo un servizio speciale su quello che era appena accaduto. Tutti si stavano preparando ad accogliere degnamente i vincitori che in quel momento stavano ritornando. Gli uomini a bordo dei quattro C-130 non furono felici di tutta quella inaspettata celebrità: erano isolati e vulnerabili sopra il Mar Rosso, con l’Egitto e l’Arabia Saudita sui loro fianchi che in ogni momento potevano far decollare degli intercettori, davanti ai quali i Karnaf sarebbero stati del tutto indifesi. I quattro piloti decisero quindi di scendere ancora una volta sotto i 60 metri per sfuggire ai radar, ma poco dopo ebbero una bella sorpresa: alla radio vennero chiamati dai piloti di diversi F-4 Phantom-II, decollati proprio per andare a raggiungerli sul Mar Rosso e scortarli fino a casa. Circondati dalla scorta ravvicinata dei Phantoms, i quattro Karnaf passarono rombando a bassa quota sopra Eilat. Shani e tutti gli altri poterono vedere che la gente gremiva la spiaggia e le strade della cittadina e salutava festosamente gli aerei che passavano. Le bandiere israeliane sventolavano dappertutto, mentre praticamente da ogni balcone e terrazzo della città pendevano coloratissimi striscioni di benvenuto. In fine, alle 09:43 ora di Tel Aviv, il Karnaf-Quattro di Halivni prese terra alla base aerea di Tel Nof. Yitzhak Rabin e quasi tutti i ministri del governo erano lì ad aspettarli. Atterrarono uno dopo l’altro anche tutti gli altri C-130. Gli ostaggi vennero radunati in una sala della base e venne ufficialmente chiesto loro di non raccontare a nessuno quello di cui erano stati testimoni. Poi vennero fatti salire di nuovo sull’Hercules-Quattro, che li trasportò all’aeroporto internazionale di Lod (ora Ben Gurion) a Tel Aviv, dove tutto il mondo li attendeva. A Tel Nof, Shimon Peres andò da Reicher e da Betser e chiese loro di vedere il corpo di Netanyahu; poi Peres chiese a Betser come era morto. Betser non aveva molta voglia di parlare, rispose solo: “He went first, he fell first”. Sebbene quasi tutti avessero dormito durante il volo di ritorno, gli uomini del Sayeret Matkal erano esausti ed emotivamente distrutti. Nonostante il ricevimento ufficiale, essi cercarono in tutti i modi di dileguarsi. Kafri prese Dagan con sé e gli disse di chiamare Zusman, Davidi e gli altri, di salire sulla Mercedes e di andarsene. Fu esattamente quello che fecero: presero l’auto che li aveva accompagnati a Entebbe, uscirono da Tel Nof e ritornarono alla base dell’Unità a Kfar Sirkin. Parcheggiarono la Mercedes in un hangar. In seguito provarono a riaccenderla: non partì più. Al loro arrivo a Lod, gli ostaggi appena scesi dal C-130 trovarono ad accogliergli le loro famiglie e, al di là del cordone dei poliziotti, videro che c’era una folla in delirio. Tutti urlavano, piangevano e si abbracciavano, ma per le famiglie di Maimoni e di Cohen quello fu invece un giorno di disperazione. Martine Maimoni, sorella di Jean-Jacques, ricorda: “A un tratto in mezzo alla folla festante sentimmo agli altoparlanti: ‘La famiglia Maimoni è attesa nella sala tal dei tali per comunicazioni che la riguardano’. Appena entrammo un soldato ci disse che Jean-Jacques era morto. Mio padre lanciò un urlo orribile. Mia madre svenne, mentre tutti lì attorno stavano ridendo e festeggiando”. Intanto, alla base dell’Unità, la compilazione dei rapporti di fine missione attendeva gli uomini stremati. Nonostante fossero stanchissimi, tutti i partecipanti alla missione si diressero nella sala briefing per la compilazione dei rapporti. In quella sala scoprirono che ad attenderli c’erano il padre fondatore del Sayeret Matkal, il brigadier generale Avraham Arnan, insieme con il nuovo comandante dell’Unità, Amiram Levine, quello dell’intelligence militare che era andato a Parigi ad intervistare gli ostaggi liberati da Idi Amin. Arnan si congratulò con ogni singolo uomo dell’Unità. Levine, che aveva richiesto la tenuta da combattimento di Netanyahu, la consegnò ad Amitzur Kafri. Mentre Kafri maneggiava l’equipaggiamento che era appartenuto al suo comandante caduto scoprì tra la buffetteria una pallottola di Kalashnikov. Il proiettile era completamente deformato: era quello che aveva ucciso Netanyahu. Due delle bombe a mano dentro il tascapane risultarono poi danneggiate dai proiettili della raffica mortale. Era incredibile che non fossero esplose addosso al comandante. Terminato di compilare il suo rapporto finale sull’operazione, mentre si faceva sera Kafri, completamente esausto, prese il tascapane di Netanyahu con le bombe a mano e si allontanò verso il poligono della base. Là, in mezzo a un uliveto, scavò una piccola buca e ci mise dentro le granate. Poi ci aggiunse un carica di PE4, collegò il detonatore e si allontanò srotolando il filo elettrico dietro di sé. Raggiunse una trincea, si lasciò cadere al suo interno, poi fece detonare la carica di PE4. L’esplosione di quelle bombe a mano secondo Kafri è l’ultimo atto di Thunderbolt. La tragedia comunque non era ancora finita. Quella stessa mattina di domenica 4 luglio infatti, una Peugeot 504 con targhe dell’SRB (State Research Bureau) la temutissima polizia segreta ugandese, si fermò davanti all’ospedale Mulago di Kampala. Ne scesero due uomini in abiti civili, erano il maggiore Farouk Minawa dell’SRB e il capitano Nasur Ondoga, capo del protocollo di Idi Amin. Minawa e Ondoga si diressero presso il reparto numero 6, corsia B, là dov’era ricoverata Dora Bloch, la passeggera del volo 139 (madre di Ilan Hartuv) che si era sentita male per il cibo ed era stata ricoverata in ospedale. I due uomini dell’SRB presero quella donna di 75 anni, la caricarono in macchina e la portarono a Lugazi, una cittadina 48 chilometri a est di Kampala. Una volta là la uccisero e buttarono il corpo in una vicina piantagione di canna da zucchero, dove sarebbe stato ritrovato anni dopo. Va detto che almeno un medico o un infermiere ugandesi ebbero il coraggio di protestare. Sparirono anche loro nel nulla e di essi non si è saputo più niente. Idi Amin volle poi che gli agenti dell’SRB andassero a prendere anche i controllori di volo che avevano permesso agli israeliani di atterrare a Entebbe. Erano tre, si chiamavano Lawrence Mawanda, Mohamed Muhido e Fabian Rwengyembe. Non avevano alcuna colpa, ma Idi Amin era stato umiliato da Israele e qualcuno doveva pagare. I tre uomini vennero strappati alle loro famiglie e tradotti nel terribile carcere di Katabi. Vennero uccisi in modo barbaro, con lunghi chiodi piantati nel cranio. I loro corpi vennero spappolati con dei martelli pneumatici e buttati in pasto ai coccodrilli del lago Vittoria. Successivamente Idi Amin ordinò il massacro dei Karamojong, una minoranza etnica di origini keniote, che rivendicava dei territori di confine che ricadevano in territorio ugandese: oltre 3.000 persone appartenenti all’etnia Karamojong vennero trucidate. Non contento, due anni dopo Idi Amin invitò in Uganda una delegazione ufficiale keniota, capeggiata dal Ministro dell’agricoltura del Kenya, Bruce Mackenzie, un fidato collaboratore del presidente Jomo Kenyatta. Al momento del ritorno della delegazione in Kenya, Idi Amin fece portare diversi doni, tra cui una grossa testa di antilope impagliata. Il 24 maggio 1978, mentre il jet con la delegazione keniota tornava in patria dall’Uganda, l’aereo con Mackenzie a bordo esplose in volo sopra le Ngong Hills, lungo la grande Rift Valley. Tutti i passeggeri morirono. Come se non bastasse, ad una successiva riunione del Consiglio delle Nazioni Unite, il ministro degli esteri Juma Oris Abdalla richiese una condanna formale di Israele a causa del raid di Entebbe che secondo lui dimostrava: “... la barbarie e la cupidigia sioniste”. La mozione cadde nel vuoto. Il comandante Michel Bacos, per la sua coraggiosa decisione di rimanere con gli ebrei ricevette una lettera di biasimo dalla compagnia e fu sospeso. I passeggeri del volo Air France 139 continuano ancora oggi a ritrovarsi nell’anniversario del giorno della loro liberazione, il 4 luglio. Il corpo di Yonathan Netanyahu è stato sepolto a Gerusalemme nel cimitero militare del monte Herzl. Prima di Entebbe, il suo nome e quello del Sayeret Matkal erano pressoché sconosciuti al grande pubblico, ma dal giorno del raid essi divennero una vera icona di coraggio, di spregiudicatezza e di sacrificio. In omaggio all’uomo che più di ogni altro aveva lottato affinchè alle forze armate israeliane venisse concesso di andare a liberare con la forza i passeggeri del volo 139 prigionieri a Entebbe, l’operazione Thunderbolt venne ribattezzata “operazione Yonathan”. Il successo dell’operazione Yonathan contribuì a risollevare il morale degli israeliani dopo il disastro sfiorato della guerra del Kippur, ridando loro fiducia nelle loro forze armate. Il blitz a Entebbe rimane ancora oggi una delle più incredibili e azzardate operazioni militari di tutti i tempi e ha fissato i nuovi standards in base ai quali vengono oggi giudicate la preparazione e lo svolgimento delle operazioni delle Forze Speciali di tutto il mondo. "Entebbe. The most daring raid of Israel's Special Forces. Simon Dunstan" "Entebbe 1976. L'ultima battaglia di Yoni. Iddo Netanyahu".
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Epilogo “Maggiore! Maggiore!” Una voce di donna lo stava chiamando. Il colonnello Dolev distolse l’attenzione dal ferito che stava curando e guardò la ragazza che voleva mostrargli qualcosa. Lui era colonnello, non maggiore, ma non disse nulla. La giovane aprì il palmo della mano. Quando Dolev vide cosa c’era dentro il suo cuore saltò un battito: nel mezzo della stiva stracolma di passeggeri la ragazza teneva tra le dita una granata WP (white phosphorus) del tipo “mini-hand”, di quelle che usano solo le Forze Speciali perché scoppiano facilmente e non si possono dare al personale di leva. L’Hercules-Quattro aveva lasciato Entebbe da circa un’ora e Halivni si stava già apprestando all’atterraggio a Nairobi, quando Dolev era stato chiamato dalla ragazza con la bomba a mano. La stiva di carico del C-130 era piena fino all’inverosimile dei 105 ostaggi liberati, frammisti ai 20 fanti della brigata Golani, ai feriti e ai 10 uomini del personale sanitario militare. La gente esausta si era buttata dappertutto e quella ragazza si era seduta sulla buffetteria che i medici avevano tolto di dosso a Netanyahu quando avevano cercato di rianimarlo. Un tascapane di quella buffetteria era pieno di bombe a mano e una di esse, la granata WP, doveva essere rotolata sul pianale di carico del C-130 durante i momenti convulsi dell’imbarco dei passeggeri liberati e della fuga da Entebbe. Solo Dio sa cosa abbia impedito a quella granata di esplodere: è quasi sicuro che venne calpestata da decine di persone! Non ci voleva molta fantasia per immaginare gli effetti dell’esplosione di una carica incendiaria al fosforo a bordo di un aereo in volo. Dolev non disse nulla alla ragazza. Si fece dire dove aveva trovato quell’oggetto, prese la buffetteria di Netanyahu e consegnò tutto agli uomini della Golani, dicendo loro che forse era meglio cercare altre granate, eventualmente cadute sul pianale della stiva in mezzo ai passeggeri. Per fortuna non venne travato altro. Ormai comunque erano arrivati. Il Karnaf-Quattro atterrò all’aeroporto Jomo Kenyatta di Nairobi un’ora dopo aver lasciato Entebbe. L’aereo venne fatto parcheggiare in un’area sorvegliata dai militari kenioti e venne subito iniziato il suo rifornimento di carburante. Agenti del GSU (Kenya Security General Service Unit) salirono a bordo e chiesero se c’erano feriti gravi tra i civili. Halivni rispose di si. Pasco Cohen, che aveva una pallottola nella pelvi e che i medici militari erano riusciti a stabilizzare durante il volo, venne subito ricoverato in ospedale a Nairobi, dove venne immediatamente avviato all’intervento chirurgico d’urgenza. Purtroppo le condizioni di Cohen era critiche e l’uomo di 52 anni morì sotto i ferri del chirurgo. Al contrario, Yitzhak David, il sopravvissuto ai campi di sterminio, che aveva un proiettile nel polmone sinistro, venne anche lui operato e sopravvisse. Nel frattempo il governo keniota aveva aperto gli aeroporti agli aerei militari israeliani e quasi subito atterrarono allo Jomo Kenyatta anche il 707 comando e controllo con a bordo il generale Kuti Adam e il generale Peled. A seguire, arrivarono a Nairobi anche gli altri tre C-130 della forza d’attacco. Una volta atterrato, Shiki Shani sul Karnaf-Uno spense i motori del suo aereo per la prima volta da quando erano decollati da Ofira, più di 12 ore prima. I feriti militari vennero subito trasferiti sul 707 ospedale che da tempo era in attesa a Nairobi. Anche Surin Hershko era tra quei feriti, ma per la sua colonna vertebrale non ci fu nulla da fare e da allora è rimasto su una sedia a rotelle. I quattro Karnaf della forza d’intervento vennero circondati da un cordone di soldati kenioti, ma tutti si dimostrarono estremamente cortesi e disponibili con gli israeliani. Adam aveva vietato ai militari di scendere dagli aerei, ma il suo ordine venne disatteso e quasi tutti scesero dai C-130. Fu lì, sul piazzale dell’aeroporto Jomo Kenyatta che gli uomini del Sayeret Matkal appresero da Ehud Barak, che li aspettava in Kenya, della morte del loro comandante. Rimasero increduli: sapevano che era stato ferito, ma nessuno immaginava che fosse morto. La disperazione si diffuse e andò a sommarsi allo spossamento fisico e mentale. Danny Dagan si sedette a terra sulla pista di fianco all’Hercules-Uno e si mise a piangere. Mofaz era distrutto. Arrivarono quelli della Golani e gli diedero la buffetteria di Netanyahu con le bombe a mano. Mofaz la consegnò ad Amitzur Kafri. I kenioti proposero agli israeliani di rimanere e riposarsi, ma il generale Adam ordinò di partire appena pronti. Tutte le donne, i vecchi e i bambini vennero trasferiti dal Karnaf-Quattro sul 707 ospedale, molto più veloce dei C-130, che decollò immediatamente alla volta di Israele. Il Karnaf-Quattro di Halivni che era stato il primo ad atterrare a Nairobi fu anche il primo a lasciarla alle 02:04 ora locale, con a bordo i rimanenti passeggeri del volo 139, quelli ancora in condizione di affrontare il lungo volo di ritorno sul C-130. Appena riempiti i serbatoi, anche gli altri tre Hercules lasciarono Nairobi in ordine sparso. Il viaggio di ritorno avrebbe richiesto ben 12 ore. Non sarebbero più passati sopra l’Etiopia, né su nessun altro paese potenzialmente ostile, ma avrebbero volato direttamente ad est e sull’Oceano Indiano, aggirando il Corno d’Africa, transitando attraverso il Golfo di Aden e lo Stretto di Bab el Mandeb, da cui avrebbero poi risalito verso nord il Mar Rosso. Quando l’ultimo Karnaf lasciò Nairobi diretto in Israele, dal Boeing 707 comando partì il messaggio di “missione compiuta”. A Tel Aviv tutto il Consiglio dei Ministri presieduto da Rabin, riunito in riunione straordinaria fin dal lancio di Thunderbolt, esultò. L’euforia fu tale che si iniziò a brindare “alla vita” (“L’Chaìm” in ebraico) con lo champagne. Vennero subito informate tutte le famiglie dei passeggeri liberati. Nessuno ancora sapeva che Yonathan Netanyahu era morto. "Entebbe. The most daring raid of Israel's Special Forces. Simon Dunstan" "Entebbe 1976. L'ultima battaglia di Yoni. Iddo Netanyahu".
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Vittoria a Entebbe seconda (e ultima) parte A quel punto Solo gli Hercules Due e Tre restavano ancora a Entebbe: bisognava recuperare la forza difensiva periferica dei blindati che in quel momento si stavano ritirando dalle loro posizioni a nord dell’old terminal. I due blindati di Udi Shalvi, all’entrata nord dell’old terminal, avevano appena sparato con gli RPG a due veicoli che avevano provato ad avvicinarsi sulla strada proveniente da Kampala. Il primo di quei veicoli aveva preso fuoco in mezzo alla strada: sembrava un camion militare e pareva che ci fosse una mezza compagnia ugandese nei dintorni, anche se, da quello che si poteva vedere, il nemico era ancora lungi dall’essersi organizzato. Udita la chiamata di decollo generale, Mofaz diede l’ordine di ritirata verso gli Hercules. Ciascuna coppia di blindati si sarebbe ritirata a turno dall’old terminal tra i fumogeni, coprendo la coppia che seguiva. Le due M-38 di Shalvi andarono per prime. Omer Bar Lev invece, sull’ultimo blindato, ricevette l’ordine di posizionare sulle piste e sui raccordi, che avrebbero percorso ritirandosi, le cariche esplosive ritardate che Netanyahu aveva fatto preparare a Kafri. Si sperava che queste cariche esplodendo avrebbero creato nel nemico la falsa impressione che gli israeliani fossero ancora in linea e inoltre avrebbero danneggiato il fondo delle piste, ostacolando i movimenti degli ugandesi. I quattro blindati avevano appena riguadagnato l’old terminal deserto e stavano dirigendosi verso la pista obliqua e lo svincolo per il new terminal, quando Mofaz ricevette dal 707 comando e controllo l’ordine di andare a ispezionare l’Airbus A-300 dell’Air France, ancora parcheggiato davanti all’old terminal, per assicurarsi che non vi fossero ostaggi dimenticati. Il generale Adam infatti aveva saputo da Halivni che il conteggio degli ostaggi liberati era stato impossibile e non era rimasto soddisfatto, per cui voleva che fosse fatto anche quell’ultimo controllo. Mofaz non scoppiò dalla gioia: sapeva che lì attorno non c’era più nessuno e che invece gli ugandesi potevano essere dappertutto, ma eseguì comunque l’ordine personalmente e disse a Dagan di tornare in dietro con la M-38 blindata. Danny Dagan aveva sentito anche lui l’ordine di Adam alla radio, fece inversione sul raccordo dell’old terminal e tornò in dietro con il blindato, evitando con cura di finire sulle cariche esplosive appena piazzate. Sceso dalla M-38, Mofaz si diresse personalmente all’A-300, seguito dai suoi. Salirono la scaletta del grande aereo passeggeri, ma non salirono a bordo temendo che fosse stato minato dai terroristi, Gli israeliani si limitarono invece a lampeggiare con le torce dai finestrini e a fare voce in ebraico e in inglese per eventuali ostaggi all’interno: nessuno rispose. La zona era deserta. Stavano scendendo dall’A-300, quando dalla vecchia torre di controllo gli ugandesi ricominciarono a sparare. Mofaz decise che poteva bastare e ordinò la ritirata. In quel momento, Danny Dagan sentì per radio che la coppia dei blindati di Udi Shalvi aveva ormai raggiunto il Karnaf-Tre al new terminal. A bordo di quell’aereo c’erano già anche la Land Rover e i 30 uomini della Golani. Il maggiore Aryeh Oz si dichiarava pronto al decollo e in attesa sulla main runway. Sei paracadutisti chiamarono per radio da sud, dalle vicinanze della nuova torre di controllo e dissero di aver distrutto una jeep ugandese dotata di cannone senza rinculo SPG-9 su una collinetta a sud del new terminal e che non potevano escludere che ci fossero altri veicoli nemici di quel tipo nelle vicinanze. Anche i parà si stavano ritirando verso l’ultimo Hercules ancora presente sul piazzale del new terminal: il Karnaf-Due del maggiore Nati Dvir. Finalmente anche l’ultima coppia di blindati con Mofaz a bordo arrivò al new terminal, lanciando fumogeni per coprire la loro ritirata sull’Hercules-Due. Mofaz e i suoi salirono più rapidamente che poterono a bordo del Karnaf-Due, dietro di loro vennero di corsa anche i paracadutisti. L’ultimo mezzo israeliano che rimaneva ancora al new terminal di Entebbe era la jeep-comando di Shomron. Biran e Oren stavano comunicando al Adam sul 707 che stavano lasciando Entebbe. Fatto questo dissero che avrebbero interrotto le comunicazioni perché avrebbero dovuto ripiegare l’antenna per entrare nel C-130, poi chiusero tutto, ripiegarono la lunga antenna e si imbarcarono con la jeep. Era tempo. A quel punto, anche Karnaf-Due, l’ultimo aereo israeliano a Entebbe, cominciò a rullare sul raccordo per la main runway, dietro il Karnaf-Tre che lo precedeva sulla pista. Uscendo dal parcheggio dall’APRON, per poco Dvir non finì con le ruote in un fosso a lato del raccordo per la main runway. Dvir avvertì Oz sull’Hercules-Tre di ritardare il decollo: in caso di danni all’aereo di Dvir infatti, avrebbero provato a rifugiarsi tutti a bordo sull’aereo di Oz. Per fortuna non ce ne fu bisogno, anche se gli ugandesi si stavano facendo sempre più sotto. Finalmente anche Dvir raggiunse il Karnaf-Tre sulla main runway. I due aerei israeliani decollarono subito uno dietro l’altro. L’ultimo C-130, il Karnaf-Due, staccò le ruote dal suolo ugandese alle 01:39 ora locale, novantanove minuti esatti dopo l’atterraggio ad Entebbe del primo Hercules con il contingente d’assalto. Sugli aerei appena decollati, che in quel momento viravano ad est sul lago Vittoria, gli uomini guardarono in dietro verso Entebbe. L’aeroporto era ancora illuminato dal vasto incendio dei Mig alla base militare. Ai due lati della Main runway si vedevano ancora le due file di luci di segnalazione, posizionate dai paracadutisti del Sayeret Tzanhanim. Poi gli aerei accelerarono e scesero di quota nella notte e l’aeroporto scomparve. "Entebbe. The most daring raid of Israel's Special Forces. Simon Dunstan" "Entebbe 1976. L'ultima battaglia di Yoni. Iddo Netanyahu".
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Vittoria a Entebbe Il decollo del Karnaf-Quattro con gli ostaggi a bordo era stato visto da tutti gli uomini che si trovavano in quel momento al new terminal per il rifornimento dei tre C-130 rimanenti. Shiki Shani era seduto al suo posto di pilotaggio a bordo del Karnaf-Uno e stava sorvegliando il rifornimento del carburante, quando aveva visto le luci di tutto l’aeroporto accendersi e aveva udito per radio Halivni che chiedeva e otteneva l’autorizzazione al decollo. Subito dopo, l’Hercules-Quattro era passato a tutta velocità sulla main runway davanti al new terminal e Shani aveva udito dalla carlinga del suo aereo le urla degli uomini che esultavano alla vista del Karnaf-Quattro che lasciava Entebbe. In quel momento, tutti seppero che l’obbiettivo primario della missione era stato raggiunto. Sul piazzale APRON del new terminal, c’era anche un C-130 ugandese. Era l’aereo di Idi Amin, che proprio il pomeriggio precedente era ritornato in volo dalle Mauritius, dove aveva presenziato a una conferenza dell’Unione Africana. Gli israeliani si guardarono bene dal distruggere quel velivolo: se infatti uno dei loro C-130 fosse stato danneggiato, avrebbero senz’altro usato l’Hercules di Idi Amin per andarsene. Anche se gli ostaggi erano ormai in volo per Nairobi, la situazione per gli uomini che restavano a Entebbe non era per niente rosea. I tecnici dell’Aeronautica stavano facendo del loro meglio per rifornire i tre Hercules rimanenti con il carburante dei serbatoi civili di Entebbe, ma Shani sapeva che la cosa avrebbe potuto richiedere ore. Ore durante le quali avrebbe potuto succedere di tutto: il Mossad aveva avvertito che c’erano più di 10.000 soldati ugandesi nel raggio di 20 miglia lì attorno. Nessuno poteva prevedere cosa sarebbe successo. Giù all’old terminal frattanto, gli uomini del Sayeret Matkal si prepararono a sganciarsi dagli ugandesi. Il vecchio terminal di Entebbe si presentava con le pareti crivellate di colpi, avvolto da fumo nero e con le finestre rischiarate dagli incendi che lo divoravano al suo interno. Dall’interno della torre di controllo, incredibilmente, gli ugandesi sparavano ancora, anche se il loro ritmo era completamente cambiato: si erano accorti che ormai nel terminal non restava più neanche un ostaggio e quindi sparavano più per salvare la faccia che per altro e non si esponevano più come prima. Muki Betser decise che ormai era inutile restare lì ed era ora di raggiungere gli altri al new terminal. Chiamò Mofaz e gli disse che se ne andavano. Mofaz si preparò a coprirli con i blindati. Shlomo Reisman si mise accanto a una delle due Land Rovers dell’Unità e iniziò a fare l’appello; aveva un foglio di cartoncino su cui spuntava i nomi con una matita. Chiamò ogni uomo della forza d’assalto per verificare che fosse presente. Arrivò a “Netanyahu Yonathan” e uno gli rispose che era stato evacuato perché ferito; allora anche Reisman si ricordò che con la coda dell’occhio aveva visto pure lui il comandante cadere a terra, ma poi era stato talmente coinvolto nel combattimento da dimenticarsene. Completato l’appello, tutta la forza del Sayeret Matkal risalì sulla Mercedes e sulle due Land Rovers usate per l’assalto. Amitzur Kafri sempre alla guida della sua Mercedes. Gli ugandesi nella torre di controllo videro che gli israeliani se ne andavano e ricominciarono un fuoco d’inferno. Danny Dagan dalla M-38 blindata riprese a sparare contro la torre con i suoi uomini, mentre il “corteo in parata” della Mercedes e delle due Land Rovers spariva nelle tenebre alla volta del new terminal. La disposizione del corteo era la stessa dell’andata: la Mercedes in testa e le due Land Rovers a chiudere il convoglio, facendo fuoco anch’esse sulla torre di controllo, per coprire la ritirata. Mentre il Sayeret Matkal si sganciava, un tiratore ugandese nella torre di controllo ebbe la sua occasione di affacciarsi a una finestra da dove lasciò andare una lunga raffica di Kalashnikov all’indirizzo degli israeliani. Per fortuna, la sua mira faceva pena e non colpì nessuno, ma a bordo della Mercedes Muki Betser esclamò: “Dio mio! Quel bastardo è veramente cocciuto!”. E all’improvviso, così com’erano cominciati, gli spari e le esplosioni all’old terminal cessarono. Il complesso rimase deserto, avvolto dal fumo e rischiarato a giorno dall’incendio che divampava sulla vicina pista militare. Rimanevano solo i quattro blindati di Shaul Mofaz. I due di Udi Shalvi attestati nell’area a nord dell’old terminal, all’imboccatura della strada per Kampala e gli altri due, comandati da Mofaz: uno, quello di Danny Dagan, ancora davanti all’old terminal, l’altro, di Omer Bar Lev, davanti alla base militare in fiamme. Giunti al new terminal, gli uomini dell’Unità trovarono i tre C-130 che si rifornivano di carburante, ci sarebbe voluto tempo. Nonostante questo, la forza d’assalto non indugiò. Kafri con la Mercedes salì per primo a bordo del Karnaf-Uno, seguito a ruota dalle due Land Rovers. Gli uomini del Sayeret Matkal avevano appena finito di fare questo, quando per via gerarchica giunse dal 707 di Adam la notizia in cui tutti segretamente speravano: il governo di Nairobi aveva aperto agli aerei israeliani, anche a quelli militari, l’aeroporto Jomo Kenyatta! Subito dopo arrivò l’ordine di decollo generale. Non c’era più alcun motivo di restare lì a Entebbe! Il personale rifornitore israeliano, entusiasta, chiuse i rubinetti e gettò le manichette del carburante. Il Karnaf-Uno era già caricato e pronto, non c’era motivo di esporsi inutilmente al pericolo, per cui Shani lasciò il piazzale e si portò subito all’estremità nord della main runway, da dove alle 01:12 ora locale decollò per Nairobi con il contingente del Sayeret Matkal a bordo. "Entebbe. The most daring raid of Israel's Special Forces. Simon Dunstan" "Entebbe 1976. L'ultima battaglia di Yoni. Iddo Netanyahu".
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No no, oh! Che sepolto in mare! Io la salma la voglio vedere e toccare! Vedere per credere. Beh veramente pure da noi in Italia ci sono boss latitanti arrestati dopo che per anni e anni sono vissuti tranquilli e indisturbati nel centro di diversi capoluoghi di regione...
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Guarda che SEAL sta per Sea- Air- Land....
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Oggi si fa la Storia! Speriamo che sia vero. Sono passati quasi 10 anni esatti dalle Twin Towers. Quest'anno all'anniversario avremo qualcosa da festeggiare, ma dubito che quello che ha messo in moto Osama muoia con lui.