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Chiedo scusa per l'errore madornale! Ne ero così convinto che non ci avevo manco guardato! Il Panther aveva il 75 mm lungo! (che era ottimo anche lui). Tornando in topic. Il 19 dicembre la situazione è questa: le punte corazzate tedesche sono profondamente penetrate nel dispositivo avversario, ma già mostrano segni di stanchezza. Sepp Dietrich per esempio ha già bruciato quattro divisioni corazzate contro la "spalla" di Malmedy, a nord della base del cuneo, inoltre dappertutto la fanghiglia sta bloccando Panther e Tiger. Ed è a questo punto che si inserisce l'incredibile avventura del gruppo di combattimento Peiper. E' un gruppo che dispone di circa 100 carri, quasi tutti quelli della 1° Panzerdivision SS del generale Mohncke, dal quale nominalmente dipende Peiper e viene usato appunto per aggirare e scalzare la "spalla" di Malmedy. Peiper è il criminale che ha distrutto il villaggio piemontese di Boves, trucidandone trentadue abitanti. E' stato premiato con una promozione. Anche in Belgio dà la misura della sua ferocia (ed è, per la verità, l'unico episodio di brutalità di tutta l'offensiva): massacra a raffiche di mitragliatrice una settantina di americani che s'erano arresi. Il gruppo supera Stavelot e una colonna si dirige verso Spa, a nord. Poi improvvisamente fa marcia in dietro. Sono arrivati a meno di 6 chilometri dal più grande deposito di carburante [sul suolo europeo; ndr.] degli alleati e non l'hanno preso (!!!). Nel giro di 48 ore il gruppo di Joachim Peiper senza più un goccio di benzina dovrà abbandonare i carri; gli uomini, alla spicciolata, cercheranno di rientrare nelle loro linee. Ottocento di loro ce la faranno. [Joachim Peiper ammazzò a sangue freddo una settantina di soldati americani che aveva catturato, appartenenti alla batteria osservatori del 285° Gruppo d'artiglieria americano, nel buio del tardo pomeriggio del 20 dicembre 1944, al bivio per Baugnez, sulla strada che da Saint-Vith va a Liegi. Peiper fu condannato a morte dopo la guerra, pena poi commutata all'ergastolo; morì nel misterioso incendio della sua villetta, il 14 luglio 1976, a Digione, dov'era solito andare in vacanza ...] "Una storia di uomini - La seconda Guerra Mondiale. E. Biagi. 1980-86" Come si è visto, la teoria di Hitler secondo cui si potevano raggiungere i depositi alleati di carburante non era poi così pazzesca come sembrava.
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75 mm. Colpo diretto! I carristi toccano, quasi con gesto scaramantico, la corazza del loro Tiger che, questa volta, ha tenuto. Fine di uno Sherman inglese davanti la chiesa di Lingèvres (Normandia). Sul frontale si contano almeno quattro colpi centrati da 88 mm che l'hanno trapassata come burro.
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Non è una semplice "elica". E' un rotore e le pale sono ali. Quindi io credo che saranno state progettate come le ali di aerei stealth. Le cerniere delle pale sono state carenate. Il rotore anticoppia poi mi sembra che fu mascherato in quella carenatura a ventola intubata a "Fenestron" per ridurre segnatura radar e rumore e ha un numero maggiore di pale. L' YAH-66 Comanche mi pare sia stato cancellato.
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Si, non è un Panther, è un panzer IV, un carro ottimo, ma della generazione precedente rispetto al Panther e che aveva denunciato qualche carenza rispetto al T-34 russo, specie al T-34-85. In realtà, il miglior carro tedesco a detta di tutti fu proprio il progetto SdKfz. (Sonderkraftfahzeug: veicolo speciale)) 171, Panzerkampfwagen V, detto Panther. A causa del miglior equilibrio tra peso potenza armamento. Infatti il Panther, pur avendo un 88 mm come i Tiger era però più agile e questo vuol dire tutto. Tra i suoi difetti più immediati cera forse unaltezza giudicata eccessiva, ma che affliggeva comunque la gran parte die carri dellepoca. Il Panthe infatti era alto 3 metri, contro i 2,72 del T-34-85, da molti giudicato il miglior MBT di tutta la guerra. Un carro dalla sagoma bassa infatti può nascondersi meglio dietro ripari come rovine, cespugli, ecc … e quindi può tendere imboscate e sfuggire con più facilità. In questo senso, fu forse ancora migliore del Panther la sua versione cacciacarri, lo Jagdpanter V, semovente cacciacarri considerato assolutamente letale. Privato della torretta girevole, lo Jagdpanther era alto solo 2,70 metri ed aveva una sagoma molto sfuggente. Molto utile si rivelò anche la versione cacciacarri del Panzer IV, alto solo 1,85 metri, ma più leggero e armato solo con il 75 mm, che comunque era pur sempre eccellente. La dote più importante per un carro è la velocità, sia del mezzo, sia del suo equipaggio (osservare, puntare, sparare, ricaricare, spostarsi, riosservare …). << Parlando dei diversi tipi di carro armato e delle rispettive qualità, Thoma osservò che dovendo scegliere fra una corazza spessa e una forte velocità avrebbe sempre scelto quest'ultima...>> "The other side of the hill-storia di una sconfitta. Liddell Hart". Panzer V Panther http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4e/PanzerV_Ausf.G_1_sk.jpg Jaghpanther http://www.historyofwar.org/Pictures/jagdpanther_langeweg.jpg Jagdpanzer IV http://www.missing-lynx.com/articles/german/jll70/Image415.jpg Notare anche un'altra soluzione tedesca per impedire la presa delle mine anticarro magnetiche: lo Zimmerit veniva spalmato sulla superficie delle corazze per renderle irregolari. http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/8a/Zimmerit_Tiger_II_1_Bovington.jpg
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Agli occhi dell’ufficiale britannico appena salito a bordo del grande windjammer un po’ vecchiotto tutto sembrava perfettamente regolare, per quanto lo potesse essere un mercantile norvegese appena reduce da una feroce tempesta nell’Atlantico settentrionale. Era il giorno di Natale 1916 e lo Hero era stato costretto, sotto la minaccia dell’incrociatore britannico Avenger, a fermarsi per un’ispezione in pieno oceano, 180 miglia a sudest dell’Islanda. Si era in guerra e naturalmente; la Marina britannica aveva l’ordine permanente di fermare tutte le navi sospette. Ora, dopo essersi presentato con i giuramenti di rito come il capitano Knudson del tre alberi Hero, 1.500 tonnellate di stazza, proveniente da Cristiania, Norvegia e diretto a Melbourne, in Australia, lo skipper norvegese, in un inglese dal buon accento scandinavo e tra copiosi sputi di tabacco, invitò l’ufficiale britannico sotto coperta per esaminare i documenti di navigazione. Il norvegese sembrava molto allegro per le libagioni natalizie. Bene, pensò l’ufficiale dell’Avenger, perché quell’uomo sembrava un po’ coriaceo. Era un vero gigante, alto almeno un metro e novanta, con una testa massiccia su un collo taurino, muscoli da scaricatore di porto e vocione stentoreo. Il salone del comandante era in un tremendo disordine, carte sparse dappertutto, biancheria (ricamata con il nome Knudson) stesa ad asciugare, un forte puzzo di kerosene. “Voglia scusarmi, signor ufficiale!”, disse il capitano, “la mia stufa non funziona troppo bene. Non sapevo che voi signori mi avreste fatto visita oggi”. Appesa di traverso su una paratia c’era la foto di una giovane bionda con dedica “La tua affezionata Josephine” e sul divano c’era Josephine in carne ed ossa, uno scialle annodato sotto il mento e l’espressione angosciata. “Le presento mia moglie signor ufficiale”, disse Knudson. “sta soffrendo per un forte mal di denti”. L’ufficiale inglese fu molto comprensivo: “Perdoni signora se le recheremo disturbo, ma dobbiamo compiere il nostro dovere”, disse. “Fate pure”, mormorò la sofferente e ricadde nel suo mutismo. Mentre raccoglieva i documenti sparpagliati, Knudson offrì da bere al visitatore. “Si deve sempre offrire un bicchiere a un marinaio, inglese o tedesco o americano o da qualsiasi altra parte provenga”. Era il suo credo. L’ufficiale britannico accettò, ovviamente per un miglior rapporto tra i popoli. I documenti ed il giornale di bordo erano umidi e tutti macchiati, conseguenza della tempesta che avevano appena superato. Mentre l’ufficiale esaminava i documenti, Knudson parlottava in norvegese con il primo ufficiale; a un certo punto disse che gli sarebbe piaciuto avere un giaccone di cammello come quello, per tenersi caldo a nord del circolo polare artico. “E’ ottimo anche per ripararsi dalla pioggia e dagli spruzzi del mare”, rispose in norvegese l’ispettore britannico, che non aveva minimamente accennato al fatto di conoscere la lingua. Knudson lo guardava ora con più rispetto. Infine, esaminate tutte le carte necessarie, l’ufficiale britannico esclamò: “Tutto a posto capitano”. Andandosene, lo avvertì di aspettare un segnale dell’Avenger prima di riprendere il viaggio. Il segnale fu spettacolare: l’Avenger si lanciò a tutto vapore contro lo Hero e accostò all’ultimo momento. Con le bandiere augurò “Buon viaggio”. E che buon viaggio! Lo HMS Avenger s’era appena lasciato sfuggire un flagello degli oceani. Il vero nome dello Hero era Seeadler e quel windjammer un po’ vecchiotto era in realtà un corsaro tedesco la cui missione, confortata dai voti speciali del Kaiser Guglielmo II, consisteva nel razziare quante più navi fosse possibile, combinando il fattore sorpresa con la forza. Era un’impresa disperata. Il blocco alleato costringeva la Marina imperiale all’inazione. Solo qualche U-boot riusciva a venirne fuori senza venire in contatto diretto con la Royal Navy, a quel tempo la più grande e potente flotta del mondo. Ma gli U-boot avevano un raggio d’azione limitato, a causa della loro ridotta capacità di carburante. L’alto comando tedesco si rese conto che gli unici predatori armati che potessero evitare di venire scoperti dal nemico in alto mare erano i mercantili. Camuffati e pesantemente armati, alcuni di essi vennero mandati a forzare il blocco sotto le mentite spoglie di navi battenti bandiera neutrale; cominciarono così a predare sulle rotte commerciali lungo le quali gli alleati si rifornivano di vettovaglie e di materiali bellici. Ma nell’Atlantico e nel Pacifico la Marina tedesca non disponeva di un numero sufficiente di stazioni per il rifornimento del carbone dei piroscafi. Per aumentare le scorrerie predatorie tedesche sulle rotte oceaniche sembrò dunque più che mai opportuna l’idea di riattare un veloce windjammer, apparentemente inoffensivo, non vincolato dal rifornimento di carburante, dotato di armamento segreto e ben nascosto. All’inizio, l’idea fu accolta con irrisione dall’Ammiragliato, ma chi la proponeva non era tipo da scoraggiarsi tanto facilmente. Il conte Felix Von Luckner, ufficiale di Marina, fece notare a Sua Maestà Imperiale il Kaiser Guglielmo: “Maestà, per il fatto stesso che il Vostro Ammiragliato la considera un’impresa impossibile e ridicola, io sono certo che essa sia realizzabile, poiché anche l’Ammiragliato britannico la riterrà impossibile; non andranno certo a caccia di un’assurdità come una nave corsara travestita da vecchio veliero inoffensivo”. Così, da questa esigenza e con questi auspici, nacque la Seeadler, l’Aquila di mare. Il suo comandante, ovvero Knudson, il finto capitano norvegese, era in realtà il Conte Felix Von Luckner. Capitano di corvetta, egli possedeva sia esperienza di navigazione a vela, sia il dono dell’istrionismo; divenne presto celebre come “il Diavolo del mare”. Per ben 224 giorni, la Seeadler, al comando di Luckner, considerò l’Atlantico meridionale sua riserva di caccia, avventurandosi poi anche nell’immenso Pacifico; vero e proprio predone a vela nell’età del vapore, riuscì sempre ad evitare i convogli militari alleati, catturando ed affondando migliaia di tonnellate di merce. Alcune sue imprese superarono ogni immaginazione. Quando la guerra giunse al termine, questo guerriero navigatore si era guadagnato il rispetto e perfino l’ammirazione dei suoi nemici britannici e francesi. C’è un altro aspetto da considerare: la crociera della Seeadler non fu solo una saga marittima, ma rappresentò l’ultima grande impresa navale a vela e, come tale, valse a simboleggiare una svolta decisiva nella storia della navigazione. La Seeadler ed il suo comandante erano un anacronismo in un’epoca ormai dominata da navi a carbone e a nafta sempre più grandi, con tremendi cannoni da 305 mm ed enormi proiettili in grado di perforare una blindatura di 30 cm a 15 chilometri di distanza. La Seeadler, da vero corsaro qual era, doveva invece contare sulla propria astuzia per catturare la preda. Ultima della sua specie, rese un estremo tributo all’età dei guerrieri a vela, da Blake e Tromp, a Nelson e Villeneuve.
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Il mare, indifferente, faceva sentire la sua voce, tuono ripetuto di enormi frangenti che si abbattevano sul reef, ricordando continuamente a tutti chi era che comandava. Anche con la schiena spezzata, sembrava ancora che cercasse di liberarsi dalla lama che le squarciava il ventre. La sua prua ricurva e affilata si protendeva ad arco, alta e slanciata al di sopra del corallo che l’aveva uccisa, quasi cercasse di divincolarsi e spiccare il volo. Chiunque si fosse ritrovato a passare di lì, sarebbe stato testimone di una scena in grado di rattristare l’animo di ogni buon marinaio. Irrimediabilmente incagliato sulla barriera corallina, tagliente come un rasoio, c’era ciò che restava d’una nave di un' altra epoca. Bastava guardarla per intuire che doveva essere stata una vera bellezza. Nonostante fosse stata disalberata, le linee armoniose dello scafo saltavano ancora agli occhi. Quello che doveva essere successo era un insulto alla grazia e alla bellezza di quelle forme. Lunga e filante come una bella donna, se ne rimaneva lì, sbandata sul fianco sinistro, la chiglia spezzata. Come un animale da preda ferito a morte cui non rimane che guardare in faccia il suo assassino, che si avvicina per finirlo. E in effetti così era: i frangenti del reef non conoscono né riposo né sconfitta ed in poco tempo avrebbero finito il lavoro. Ed era per questo che gli uomini, i quali un tempo l’avevano resa viva, correndo e affannandosi sui suoi alberi e sui suoi ponti, ora deserti, si erano dati da fare per smontare e trasportare a riva tutto quello che poteva essere utile. La nave non pareva offesa da quella spoliazione, anzi, era come se fino all’ultimo fosse stata felice di dare al suo equipaggio tutto quello che poteva e, probabilmente, sarebbe stata contenta di sapere che alcune sue parti avrebbero in un certo senso continuato a vivere a terra; di conseguenza era stato forse per questo che aveva resistito agli enormi frangenti senza sfasciarsi, finchè l’ultimo uomo del suo equipaggio non era giunto sano e salvo a terra. Così aveva svolto egregiamente anche la sua ultima missione, ora avrebbe potuto prendere congedo. Felix era sempre stato considerato da tutti un bambino irrequieto ed aveva fatto ammattire più di un istitutore, ma questa non era certo una novità in famiglia. I suoi avi erano famosi per aver avuto una vita per lo meno particolare. Il bisnonno aveva servito negli Ussari sotto Federico il Grande, ma solo dopo essere fuggito di casa ed aver fatto il mercenario contro i turchi e contro i rivoluzionari francesi, che lo avevano ucciso, ma non prima che Re Luigi XVI lo nominasse Maresciallo di Francia. Il padre di Felix non era stato da meno, aveva combattuto in tre guerre ed aveva dovuto rifugiarsi presso la dimora di suo fratello a Dresda perché aveva dato fondo a tutte le sue sostanze, girando l’Europa in lungo e in largo e vivendo al di sopra delle sue possibilità, finchè i creditori non avevano iniziato a braccarlo. Fu forse a causa di tutto questo che Sua Eccellenza, il Signor Conte Von Luckner Padre, aveva desiderato per suo figlio una rigida educazione prussiana e un futuro negli Ussari imperiali, dove servivano i migliori rampolli di tutta la Nobiltà tedesca. Probabilmente fu proprio per non dare a suo padre una cocente delusione e per non doversi arruolare in cavalleria, che una mattina di primavera del 1894 un ragazzino aprì silenziosamente un finestra al primo piano della dimora sassone dei Von Luckner, ad Halle, si arrampicò non visto sull’edera e si calò agilmente sul prato del parco. Era successo infatti che Sua Eccellenza il Signor Conte Felix Von Luckner Figlio, 13 anni, con il beneplacito paterno, aveva potuto assistere allo spettacolo itinerante del “Buffalo Bill Wild West Show”. Sua Signoria il Giovane Conte ne era rimasto talmente affascinato, che ora era suo più grande desiderio andarsene alla scoperta del Mondo. Al contrario dei giudizi espressi da alcuni dei suoi insegnanti più esasperati, il ragazzo era sveglio e curioso e, come si sa, la curiosità è sorella dell’intelligenza. Felix dimostrò da subito prudenza ed una insospettata forza d’animo, qualità rare in un tredicenne. Evidentemente non si lasciò spaventare troppo dalla solitudine; al contrario, cambiò subito il suo nome in Phelax Luedige, dal nome danese della famiglia materna e sparì come un sasso gettato in uno stagno. Essendo stato da sempre attratto dall’immensità del mare, si recò ad Amburgo, dove, essendo educato e intelligente, non tardò a trovare subito un posto di mozzo a bordo di un tre alberi a vele quadre russo, il Niobe, che faceva la spola tra la Germania e l’Australia. Un giorno, nell’Atlantico, Luckner racconta che durante un fortunale Phelax Luedige perse l’appiglio e fu scaraventato in mare. La sua situazione era disperata, ma non dovette darsi per vinto perché, sbarazzatosi degli scarponi, iniziò subito a nuotare disperatamente per restare a galla. Così facendo, il ragazzo attirò su di sé l’attenzione di uno stormo di albatri, che iniziarono ad avventarsi su di lui, ferendolo alle braccia ed alle gambe con il loro becco acuminato. La visibilità era quasi nulla per la pioggia e i marosi erano così enormi che, sprofondando nel loro cavo, Luckner perdeva di vista la nave, o ne vedeva solo le tre teste d’albero, al di sopra delle creste delle onde. Nello stesso tempo, a bordo, era scoppiata un’accesissima discussione. Il comandante del Niobe infatti, giudicando che il rischio per la sua nave era troppo elevato, si rifiutava di filare in mare una lancia di salvataggio per salvare il mozzo. Il primo ufficiale però, spalleggiato dall’equipaggio che aveva preso in simpatia il suo piccolo mozzo tedesco, non fu dello stesso parere del capitano; l’uomo infatti arrivò a minacciare il suo comandante con un mezzo marinaio, riuscendo così a filare in mare un’imbarcazione armata con volontari. Frattanto, in acqua, il ragazzino si era accorto che stavano finalmente venendo a recuperarlo e, per essere subito individuato dai suoi soccorritori, afferrò con disperazione la zampa del primo albatro che stava tornando a calarsi su di lui per colpirlo. Il grande uccello, con tre metri di apertura alare, iniziò a starnazzare e a battere le ali, beccando con forza ancora maggiore la mano aggrappata alla sua zampa, ma fu proprio quell’albatro che aiutò Luckner a rimanere a galla e ad essere avvistato dai compagni. Il ragazzo venne recuperato infreddolito, spaventato e con le braccia e le gambe coperte di profonde ferite, causategli dalle beccate degli albatri, ma era gli andata bene. Giunto in Australia, a Melbourne, Luckner abbandonò il Niobe. Girovagò per qualche tempo, finchè non intrecciò un idillio con la figlia del padrone di un ristorante. Oramai non era più il ragazzino scappato dalla finestra del castello di Halle. La vita in mare lo aveva fatto crescere grande e grosso e dimostrava ora più della sua età. Quando l’idillio con la ragazza finì, fece qualunque lavoro gli capitasse. Vendette opuscoli religiosi per l’Esercito della Salvezza, divenne assistente di un guardiano di un faro a Cape Leeuwin ad Augusta, lavoro che abbandonò quando il guardiano lo scoprì con sua figlia; si unì a una troupe di “fachiri indù”, cacciò canguri per gli agricoltori ed iniziò ad allenarsi perché voleva diventare un pugile professionista, perché dotato di forza e resistenza non comuni. Phelax Luedige lasciò l’Australia non ancora ventenne e per molti anni vagò in lungo ed in largo sui mari. Fu imbarcato su una dozzina di velieri con varie mansioni, fece pure il cuoco; patì tutte le miserie del navigante, dal naufragio allo scorbuto e visitò i quattro angoli del globo. Già avanti negli anni, si divertiva ancora a raccontare come a Vancouver venne arrestato per aver rubato una barca per andare a pesca mentre la sua nave era in porto. In Cile fu arrestato per il furto di tre maiali mentre era ubriaco. Alle Hawaii per poco non venne ucciso da uno psicopatico. Il giorno che la sua nave lo lasciò a terra a Tampico, come assente ingiustificato, Luckner trovò lavoro come guardia del corpo del presidente Diaz. Fece l’operaio edile, costruì ferrovie, fece il prestigiatore, si ruppe tutte e due le gambe in due viaggi diversi. In Giamaica lo buttarono fuori dall’ospedale perché era rimasto senza soldi. Tra le molte navi sulle quali si imbarcò, Luckner racconta che due furono quelle che lasciarono ricordi indelebili. La prima, norvegese, che lo portò dall’Avana in Australia e poi a Liverpool, sulla quale imparò a parlare correntemente il norvegese. La seconda invece fu il Pinmore, una nave a palo inglese che trasportava legname e su cui compì uno spaventoso viaggio di 285 giorni da Vancouver a Liverpool, durante il quale rischiò di morire di fame e di sete, quando la nave rimase senza viveri al largo di Capo Horn. Nel 1901 un uomo alto e robusto rimise piede sulle banchine di Amburgo, per la prima volta dopo sette anni. Era un marinaio grande e grosso, ex pugile professionista, con cui nessuno si sarebbe mai arrischiato a litigare. Il ragazzino scappato di casa per andare alla scoperta del mondo non esisteva più. Ora c’era un ventenne dalle spalle larghe e dai bicipiti grossi “come la coscia d’un uomo”, che aveva fatto più volte il giro del mondo ed era stato ai quattro angoli della terra e che parlava correntemente l’inglese, il russo e il norvegese. Phelax Luedige si procurò subito una copia dell’Almanacco del Gotha, il libro dove sono registrati tutti gli alberi genealogici della grande nobiltà europea e scoprì che era ancora dato per scomparso; ma decise che non era ancora venuto il momento. Continuando a tenere nascosta la sua vera identità, Luedige si iscrisse ad un corso di navigazione per aspiranti sottufficiali della marina mercantile. Preso il patentino, trovò un posto sul Petropolis, un piroscafo della stimata Hamburg-Südamerikanisch Line, che collegava Amburgo con il Sudamerica. Successivamente si trasferiva nelle imperiali forze navali germaniche della riserva, dove in realtà si crede che abbia rivelato la sua vera identità a qualcuno, oppure riuscì a fare non si sa che imbroglio, perché ebbe l’anzianità aumentata di tre anni, una cosa apparentemente inspiegabile (ma per un tipo come lui tutto era possibile) e dopo un ulteriore periodo d’addestramento conseguì i gradi di tenente di vascello; adesso poteva ritornare a casa. In alta uniforme, i gradi dorati del Kaiser sulle spalline, cinturane, porta spada e feluca, un giovane ufficiale bussò alla porta dell’avita magione di Halle e fu fatto entrare da un ossequioso domestico. Da un’altra stanza udì suo padre esclamare: “ Tenente di vascello Felix Von Luckner ? Ma non può essere! ”. A quel punto, Felix si fece avanti ed entrò dicendo: “Buon giorno padre! Ho tenuto fede alla mia parola di indossare con onore l’uniforme imperiale!”. Solo un cuore di pietra poteva rimanere indifferente al tali parole – a tale figlio. L’anziano conte, ufficiale di cavalleria degli Ussari, con le lacrime agli occhi spalancò felice le braccia per accogliere il giovane ufficiale di marina. Non ci sarebbero più state discussioni riguardo alla carriera da seguire. Quello che era stato Phelax Luedige si applicò quindi negli studi, fino a guadagnarsi i galloni di capitano, nel 1912. Von Luckner inoltre, memore forse di un certo volo in mare e della zampa di un albatro cui si era aggrappato con la tutta la forza della disperazione, si conquistò anche fama di eroe su giornali e riviste, salvando, in ben cinque occasioni diverse, altrettante persone dall’annegamento e rifiutando, di volta in volta, onorificenze e medaglie che gli venivano offerte. La sua storia e la sua fama non potevano passare inosservate. Il Kaiser in persona invitò il comandante Von Luckner a corte, dove, tra le altre cose, il giovane ufficiale sbalordì le Loro Imperiali Maestà con i giochi di prestigio che un certo Phelax Luedige aveva appreso in Australia, quando si era aggregato a una compagnia di “fachiri indù”. Avvolto un uovo nel candido fazzoletto del Kaiser, il comandante Von Luckner lo fece sparire, per farlo riapparire subito dopo da dietro un orecchio del Re d’Italia! Felix prestò inizialmente servizio a bordo della SMS Panther, un esploratore leggero che aveva fatto servizio nelle colonie tedesche in Africa, ma che ora, scoppiata la Prima guerra mondiale, era stato destinato al Mare del Nord e al Baltico. Stanco dei continui ed infruttuosi pattugliamenti costieri, il tenente Von Luckner si fece lasciare a terra dal Panther, pare grazie all’aiuto di un oscuro amico medico, che lo “operò” d’appendicite senza che in realtà ce ne fosse la necessità. Con questo stratagemma riuscì a farsi destinare a bordo di una nave “vera”, l’incrociatore leggero Helgoland e poi sulla grande Konprintz Wilhelm, una corazzata, a bordo della quale partecipò, come comandante di torre, nientemeno che alla battaglia dello Jutland, dove, gravemente ferito, affrontò il naufragio della sua nave. Collana "I grandi navigatori"; Vol. "I velieri mercantili", di Oliver E Allen. CDE Gruppo Mondatori E ovviamente Wikipedia
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Chiedo informazioni sulla portaerea Kitty Hawk (63)
Hobo ha risposto a gpiero91 nella discussione Marina Militare
CV è la sigla con cui è stata declassificata a semplice "nave portaerei" quando l'hanno radiata dal servizio attivo e messa nella riserva. Sennò, era CVA: nave portaerei d'attacco. Basta una ricerca che mi pare semplice. http://www.history.navy.mil/photos/shusn-no/cv-no.htm -
Sul fronte orientale in quel momento Hitler faceva fatica a sopravvivere, immagina a contrattaccare. Sapeva che a primavera ci sarebbe stata la consueta offensiva sovietica, incontenibile. << L’offensiva venne sferrata il 16 dicembre su un tratto di 115 chilometri fra Monschau (a sud di Aquisgrana) ed Echternach (a nord-ovest di Treviri). Ma l’attacco della 7° armata nel settore meridionale in realtà non contava perché l’armata poteva mettere in linea soltanto quattro divisioni di fanteria. Il colpo principale fu vibrato su un fronte più ristretto , di appena 25 chilometri, dalla 6° armata corazzata di Sepp Dietrich, composta dal 1° e dal 2° corpo corazzato SS, con l’aggiunta del 67° corpo di fanteria. Sebbene avesse più divisioni corazzate della 5° armata, anche la 6° era un “peso leggero” per il compito assegnatole. Il destro di Sepp Dietrich venne bloccato per tempo dalla salda difesa degli americani a Monschau. Il suo sinistro sfondò e l’avanzata, rasentando Malmedy, conquistò il 18 un passaggio sull’ Amblève, oltre Stavelot, dopo aver percorso una cinquantina di chilometri dall’inizio dell’attacco, ma venne ostacolata dall’angusta stretta e poi bloccata da una mossa americana. Nuovi sforzi fallirono di fronte alla resistenza americana rafforzata di continuo dall’afflusso delle riserve e così l’attacco della 6° armata corazzata fallì.>> La 5° armata corazzata di Manteuffel attaccò su un fronte più largo, di una cinquantina di chilometri. Manteuffel mi fece uno schizzo del suo dispositivo e dell’operazione. Il 66° corpo d’armata di fanteria era all’ala destra e premeva in direzione di Saint-Vith. << Era stato schierato in quel settore deliberatamente perché gli ostacoli erano maggiori e le possibilità di rapido progresso minori che più a nord >>. Il 58° corpo corazzato era al centro. tra Prum e Waxweiler. Il 47° corpo corazzato era a sinistra, tra Waxweiler e Bitburg e premeva in direzione di Bastogne. Alla partenza, i due corpi corazzati comprendevano soltanto tre divisioni e, nonostante i recenti rinforzi, ciascuna divisione aveva soltanto da sessanta a cento carri, cioè da un terzo, alla metà degli effettivi. Le divisioni corazzate di Sepp Dietrich erano molto più forti per numero di carri. Sul fronte di Manteuffel l’offensiva ebbe un inizio favorevole. [<< I miei battaglioni d’assalto si infiltrarono rapidamente nel fronte americano come gocce di pioggia. Alle 4 pomeridiane i carri si misero in movimento e poi si spinsero innanzi nelle ore notturne con l’aiuto del chiaro di luna artificiale. A quell’ora erano stati gettati alcuni ponti sul fiume Our. Passando su questi ponti a mezzanotte circa le divisioni corazzate raggiunsero la posizione principale americana alle 8 del mattino, poi chiesero l’appoggio dell’artiglieria e sfondarono rapidamente. Ma Bastogne si rivelò un ostacolo durissimo. Parte del guaio era dovuto alla decurtazione delle forze della 7° armata, poiché il suo compito era di bloccare le strade che da sud vanno a Bastogne. Varcato l’Our a Dasburg, il 47° corpo corazzato doveva superare un’altra difficile stretta a Clervaux, sul fiume Woltz. Questi ostacoli, unitamente ai rigori dell’inverno, determinarono il ritardo dell’avanzata. La resistenza tendeva a liquefarsi dovunque i carri arrivavano in forze, ma le difficoltà di movimento annullavano il vantaggio della scarsa opposizione incontrata nella prima fase. Quando i carri si avvicinarono a Bastogne, la resistenza aumentò. >> Il 18 i tedeschi furono sotto Bastogne, dopo un’avanzata di quasi 50 chilometri dalla linea di partenza; ma durante la notte precedente il generale Eisenhower aveva messo a disposizione del generale Bradley due divisioni aviotrasportate, l’82° e la 101°, allora dislocate nei pressi di Reims. L’82° fu mandata a rafforzare il settore nord, mentre la 101° veniva trasportata in gran fretta, per mezzo di autocarri, a Bastogne. frattanto parte della 10° divisione corazzata americana era arrivata a Bastogne appena in tempo per aiutare un reggimento della 28° divisione, assai malconcio, a tenere in scacco la minaccia iniziale dei tedeschi. Quando la 101° divisione aviotrasportata arrivò, la notte del 18, la difesa dell’importantissimo nodo stradale era consolidata. Nei due giorni seguenti vennero eseguite puntate contro Bastogne, di fronte e sui fianchi, ma tutte andarono a vuoto. Il 20 Manteuffel decise che non si doveva perdere altro tempo pur di spazzare via l’ostacolo. << Andai avanti io stesso con la divisione corazzata Lehr, aggirai Bastogne da sud e il 21 mi spinsi su Saint Hubert. La seconda divisione corazzata, a sua volta, si spinse innanzi a nord di Bastogne. Per coprire queste avanzate feci circondare Bastogne dalla 26° divisione territoriale appoggiata da un reggimento di granatieri corazzati prelevato dalla divisione Lehr. Frattanto il 58° corpo corazzato avanzava superando Houffalize e Laroche, dopo aver deviato momentaneamente a nord per minacciare il fianco delle forze americane che bloccavano il 66° corpo nei pressi di Saint Vith e per aiutare quest’ultimo a proseguire. La decisione di circondare Bastogne comportò tuttavia un indebolimento delle mie forze per l’avanzata e perciò ridusse la probabilità di raggiungere la Mosa a Dinant. Inoltre, la 7° armata era ancora in dietro, sulla Wiltz che non era riuscita ad attraversare. La 5° divisione paracadutisti, che si trovava alla sua destra, attraversò il mio settore e si spinse innanzi lungo una delle strade che da Bastogne si dirigono a sud, ma non l’oltrepassò. >>] "The other side of the hill - Storia di una sconfitta. Liddell Hart, 1956" (Notare come Bastogne fosse sempre un nodo stradale fondamentale nei discorsi dei generali di entrambi gli eserciti. Le poche vere strade delle Ardenne si riunivano ed incrociavano in pochissimi centri nodali; uno di questi è Bastogne, un altro è Saint Vith, più a nord. Chiunque avesse voluto entrare e uscire dalle Ardenne o farci passare i suoi rinforzi, doveva essere padrone di questi nodi stradali, o sarebbe finito male, quindi tedeschi ed americani se li contesero violentemente). [La situazione era adesso meno favorevole e potenzialmente più pericolosa di quanto credesse Manteuffel. Infatti le riserve alleate affluivano da ogni parte e la loro forza superava di molto quella che i tedeschi avevano gettato nell’offensiva. Il maresciallo Montgomery aveva assunto temporaneamente il comando di tutte le forze sul fianco settentrionale della breccia e il 30° corpo britannico era stato trasportato sulla Mosa, di rincalzo alla 1° armata americana. (Eisenhower infatti, con molto buon senso, aveva deciso di passare sotto il comando di Montgomery tutte le forze americane che erano venute a trovarsi a nord dello sfondamento tedesco e cioè la 1° armata americana di Courtney Hodges e 9° di William Simpson. Questa decisone si rivelò ragionevole ed utile, ma suscitò poi un vero vespaio di polemiche. A sud invece, a disposizione di Omar Bradley rimane la 3° armata di un certo George S. Patton, alle cui dipendenze si ritroveranno anche il generale T. Middleton e la 101° aviotrasportata, con il suo vicecomandante McAuliffe, che verrà usata come fanteria normale a Bastogne. Il consiglio dato da Middleton a Patton, suo superiore, e cioè tenere a tutti i costi Bastogne, si rivelerà uno dei più azzeccati, se non il più vincente, di tutta la battaglia delle Ardenne, come scriverà lo stesso Patton a Middleton. Patton infatti, almeno inizialmente, non aveva capito nulla. In una riunione dei comandanti di armata con Heisenhower a Verdun, Patton sbotta: “Bisogna lasciar andare questi porci fino a Parigi, saltargli addosso e ridurli in poltiglia!”. Saggiamente Ike risponde: “George, non è proprio il caso di lasciargli attraversare la Mosa”. Altro che lasciarli andare fino a Parigi!). Sul fianco meridionale della breccia due corpi della 3° armata americana del generale Patton avevano piegato a nord e il 22 uno di essi sferrò un forte attacco sulla strada Arlon – Bastogne; sebbene la sua avanzata fosse lenta, la minacciosa pressione (degli americani; ndr.) determinò una sempre maggiore diminuzione delle forze di cui Manteuffel poteva disporre per l’avanzata. I giorni favorevoli sono passati. La puntata di Manteuffel suscitò allarme al quartier generale alleato, ma era troppo tardi perché la minaccia fosse veramente seria. Secondo il piano, Bastogne doveva essere occupata il secondo giorno, mentre non era stata raggiunta che il terzo giorno ed era stata oltrepassata (girando sui fianchi) solo il sesto giorno. Un piccolo cuneo spinto innanzi dalla 2° divisione corazzata arrivò il 24 a pochi chilometri da Dinant, ma questo fu il limite estremo dell’avanzata e il cuneo venne presto amputato] "The other side of the hill - Storia di una sconfitta. Liddell Hart, 1956" Il 24 dicembre, vigilia di Natale, le punte più avanzate della 2° SS Panzer, comandata dal generale Lammerding, sono arrivate a 30 chilometri da Dinant e a 6 dalla Mosa; i capicarro, ritti sulle torrette dei loro veicoli, vedono dall’alto delle colline il fiume, esattamente come lo avevano visto 53 mesi prima i soldati di Rommel. Ma questa volta, il passaggio della Mosa non ci sarà: la 2° Panzer trova sulla sua strada la 2° corazzata USA, comandata dal generale Harmon, che la blocca, la accerchia e la distrugge. Il giorno dopo Natale, anche la spinta offensiva della 6° Panzerarmee di Sepp Dietrich si è esaurita. Prima di tutto perché i carri armati hanno esaurito il carburante, ma anche perché la resistenza delle forze alleate sul bordo settentrionale del saliente si irrigidisce di ora in ora. Hitler “ha perso l’autobus” del maltempo. I metereologi avevano previsto giusto: 8-10 giorni di cielo coperto, poi sereno. Poiché l’offensiva non ha raggiunto i suoi risultati entro quel lasso di tempo, ora i tedeschi se la devono vedere con l’aviazione nemica. Il generale Vandenberg lancia la sua 9° Forza Aerea, in impaziente attesa su circa cento aeroporti sparsi dalla Scozia a Bruxelles; 4.000 aeroplani riempiono con un carosello continuo (15.000 missioni in pochi giorni) il cielo delle Ardenne. La Luftwaffe non è assolutamente in grado di contrastarli; Goring manda una forza aerea raccogliticcia , rastrellata disperatamente in tutti gli aeroporti tedeschi, a bombardare le basi nemiche in Francia e Belgio; gli 800 velivoli di Goring non raggiungono alcun risultato, salvo quello di farsi decimare dai Mustang e dai Thunderbolt americani; hanno distrutto 125 aerei a terra, ne hanno perduti più di 200. Il 23 dicembre è una giornata radiosa, l’aviazione americana può sviluppare tutta la sua spaventosa potenza distruttiva. Commento di Patton estasiato: “Ah! Magnifica giornata per un macello di tedeschi ! ". A questo punto, Rundstedt, Model, Guderian suggeriscono a Hitler di ripiegare dietro la Linea Sigfrido, ma il Fuhrer risponde di no, perché sogna un nuovo ritorno offensivo che avrà come base le Ardenne e come obbiettivo l’Alsazia. Hitler fantastica una cavalcata di panzer tra Sarreguemines e Haguenau, a cavallo della catena dei Vosgi, che dovrebbe travolgere la 7° armata USA, quella del sud, comandata da Alexander Patch. Il risultato dell’ostinazione di Hitler è che le migliori unità corazzate tedesche vengono frantumate da terra e dal cielo dalla controffensiva alleata. "Una storia di uomini - La Seconda Guerra Mondiale. E. Biagi. Vol. VII. 1980-86"
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A di nulla: purtroppo non sono pagine mie. Hitler sarà anche stato pazzo, ma purtroppo non tutti i pazzi sono anche stupidi ed Hitler era tutto meno che stupido. L’intero schieramento a occidente è così suddiviso: dal nord verso il sud, Gruppo di armate “H” (le comanda il generale dei paracadutisti Kurt Student), Gruppo d’armate “B” (Walter Model), Gruppo di armate “G” (Balck, poi Paul Hausser), Gruppo di armate “Oberreihn” (Heinrich Himmler). Solo il gruppo di Model è impegnato nell’offensiva. Il guaio principale è che i carri armati hanno in partenza un’autonomia del tutto insufficiente: 250 chilometri, invece dei 500 indispensabili per essere sicuri di arrivare ad Anversa. Anzi, Manteuffel, uno dei più esperti generali carristi, fa presente all’OKW che gli occorrerà cinque volte il quantitativo standard di benzina; e questo in considerazione del terreno su cui si va a operare (boscoso e collinare, che impone quindi alti consumi di carburante) e per di più coperto di neve. Ne otterrà una volta e mezzo lo standard, con un consolante commento: il Fuhrer conta sulla cattura dei depositi di benzina degli alleati [alcuni generali riferirono poi di aver giudicato questa sparata “… una trovata da caporali …” ndr.]. La prospettiva, in verità, è meno sciocca di quanto può sembrare. [Come si vedrà in seguito]. Quando alle 5,30 del 16 dicembre i primi proiettili dell’artiglieria tedesca iniziano a cadere sul fronte tenuto dall’8° corpo d’armata americano ed i soldati statunitensi dei posti avanzati si accorgono con orrore di essere circondati da agguerrite truppe d’assalto tedesche infiltratesi nottetempo, al comando supremo alleato a Reims si è ancora completamente all’oscuro di tutto. Il giorno prima, Eisenhower ha ricevuto da Washington la comunicazione della sua promozione a “general of the Army”, con una quinta stella da apporre alle quattro che già si trovavano sulle sue spalline ed aveva avuto luogo una piccola festicciola a base di champagne, molto castigata per la verità, nello stile di Eisenhower. Alle 9,30, quattro ore dopo l’inizio dell’offensiva, nessuna notizia è ancora giunta al comando supremo. In quel momento Bradley è a Versailles, al Trianon Palace, in conferenza con Eisenhower: vivono dell’ignoranza della mazzata che si sta abbattendo sul disgraziato 8° corpo d’armata di Troy H. Middleton. Il sistema di comunicazioni americano è lento; tant’è vero che la notizia giunge al Trianon solo alle 17,30. Badell Smith, calmissimo, batte una mano sulla spalla di Bradley e gli dice: “Bene Brad, volevate un’offensiva: ora ce l’avete”. Non ha capito nulla della gravità della situazione. Bradley invece ha un lampo d’intuizione e ribatte: “Si, ma non così grossa!”. La situazione degli alleati al momento dell’inizio dell’offensiva tedesca è la seguente: su un fronte lungo 700 chilometri sono attestate 73 divisioni delle quali 50 americane, le altre sono inglesi, canadesi e francesi. Il settore interessato dall’offensiva tedesca è coperto dalla 1° Armata USA, in particolare, il punto di sfondamento è quello tenuto dall’ 8° corpo d’armata, il cui fronte si sviluppa per circa 120 chilometri [sul versante occidentale della valle dell’ Our, grossomodo da Malmedy a nord, fino al Lussemburgo e ad Echternach a sud; ndr.]. L’unico che capisce lucidamente la situazione è proprio l’ufficiale più colpito dall’offensiva, cioè Troy Middleton, comandante dell’ 8° corpo. Non ha perso la testa. Consultato da Bradley, dimostra di aver compreso i fini di “Herbstnebel”: penetrazione fino ed oltre la Mosa, spaccatura tra americani e inglesi, successive manovre di annientamento delle unità superate e circondate. Middleton fa infatti osservare a Bradley che le Ardenne non possono essere ragionevolmente l’obbiettivo di un’azione di tanta portata; nelle Ardenne non c’è nulla di appetibile, solo boschi e colline con scarse vie di comunicazione. Dunque il nemico mira più in là; e Middleton suggerisce di operare un’azione ritardatrice fino alla Mosa. “Possiamo rallentare la marcia dei tedeschi ed intanto voi li attaccate sui fianchi del cuneo di penetrazione”. E’ esattamente quello che faranno gli alleati; ma non sarà un compito facile anche se gli alti comandi sono ottimisti; un ottimismo fondato sul fatto che rispetto al 1940 molte cose sono cambiate, compreso il rapporto di forze. E qui sbagliano, perché di fronte ai 70.000 soldati americani che tentano di arginare l’avanzata nel settore delle Ardenne ci sono 250.000 tedeschi. (Da “Una storia di uomini - La Seconda Guerra Mondiale” E. Biagi, volume VII. 1980-1986) Sotto, il Maggior Generale Troy Middleton, comandante dell' VIII corpo e, a quanto ne so, principale responsabile della scelta di tenere Bastogne e della strategia alleata vincente nella "battaglia delle Ardenne".
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<<Quando vidi gli ordini di Hitler per l’offensiva, fui meravigliato di riscontrare che essi prescrivevano anche i metodi e i tempi dell’attacco. L’artiglieria doveva aprire il fuoco alle 7,30 del mattino e l’attacco delle fanterie doveva essere sferrato alle 11. Nel frattempo la Luftwaffe doveva bombardare comandi e linee di comunicazione. Le divisioni corazzate non dovevano entrare in azione finchè la massa delle fanterie non avesse operato lo sfondamento. L’artiglieria era sparsa su tutto il fronte d’attacco. Tutto questo mi parve balordo sotto parecchi punti di vista. Perciò elaborai immediatamente il piano seguendo un metodo diverso e lo illustrai poi a Model. Model fu d’accordo con me, ma osservò sarcasticamente: “Sarebbe meglio che se la vedesse con il Fuhrer!”. Io risposi: “Benissimo io discuterò col Fuhrer se lei verrà con me!”. Così il 2 dicembre andammo entrambi da Hitler a Berlino. Io misi subito le carte in tavola dicendo: “Nessuno di noi sa che tempo farà il giorno dell’attacco: Lei è sicuro che la Luftwaffe potrà fare la propria parte di fronte alla superiorità aerea degli alleati?”. Ricordai a Hitler due precedenti occasioni, nei Vosgi, nelle quali era stato impossibile alle divisioni corazzate muoversi alla luce del giorno. E continuai: “Tutto quello che la nostra artiglieria farà alle 7,30 sarà di svegliare gli americani, i quali, pertanto, avranno tre ore e mezza di tempo per organizzare le loro contromisure prima che cominci il nostro attacco!”. Rilevai anche che la fanteria tedesca non era più quella di una volta e difficilmente sarebbe riuscita a compiere una penetrazione profonda come quella prevista dal piano, particolarmente in una zona talmente accidentata. Infatti, il sistema difensivo americano consisteva in una catena di postazioni difensive avanzate e di una linea principale di resistenza ben arretrata, così che lo sfondamento sarebbe stato più difficile. Proposi ad Hitler una serie di modifiche. La prima era l’anticipo dell’attacco alle 5,30 antimeridiane, in modo da approfittare dell’oscurità. Naturalmente questo avrebbe comportato una limitazione dei bersagli per l’artiglieria, ma questa avrebbe potuto concentrare il fuoco su un certo numero di bersagli chiave – come batterie, depositi di munizioni e comandi – che erano stati individuati con esattezza. In secondo luogo proposi che ogni divisione di fanteria formasse un battaglione d’assalto, composto degli ufficiali e degli uomini di truppa più esperti. (Scelsi io stesso gli ufficiali). Questi battaglioni d’assalto dovevano muovere nell’oscurità alle 5,30 senza copertura alcuna di artiglieria e penetrare tra le posizioni difensive avanzate degli americani. Avrebbero dovuto evitare se possibile il combattimento, finchè la loro penetrazione non fosse giunta in profondità. Proiettori della Flak dovevano illuminare il cammino per l’avanzata delle truppe d’assalto, proiettando i loro fasci di luce contro le nuvole … Alle 4 del pomeriggio sarà già buio. Così, iniziando l’attacco alle 11 antimeridiane, ci saranno soltanto cinque ore di tempo per operare lo sfondamento. E molto dubbio che si possa arrivare in tempo. Se sarà accolta la mia proposta si guadagneranno altre cinque ore e mezzo per lo sfondamento. E quando sarà buio potrò lanciare i carri. Essi avanzeranno durante la notte, passeranno attraverso la nostra fanteria e all’alba del giorno dopo saranno in grado di sferrare il loro attacco contro la linea principale, trovando la strada sgombra >>. (Il generale Von Manteuffel a Liddell Hart. “The other side of the hill – Storia di una sconfitta”). Secondo Manteuffel, Hitler accettò questi suggerimenti senza nemmeno un’obiezione a mezza voce. Fatto significativo, il quale fa pensare che egli fosse disposto ad ascoltare i suggerimenti quando venivano dai pochi generali nei quali aveva fiducia.
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Argh, l'aeronautica non mi fà dormire
Hobo ha risposto a typhoon nella discussione Aeronautica Militare
Io. Scusa me ne sono accorto adesso. -
La sera del 12 novembre 1944, nel sinistro maniero di Ziegenberg, vicino a Bad Nauheim, in Assia, poco lontano da Francoforte, Hitler comunica ai suoi generali i dettagli della sua ultima partita d’azzardo: Herbstnebel (nebbia d’autunno), lo sfondamento a sorpresa del fronte alleato nel settore delle Ardenne, con obbiettivo finale Anversa. Il Fuhrer è ancora sconvolto per il fallito attentato del luglio precedente e non si fida più di nessuno, tanto meno dei generali. Intorno alla lunga scrivania, appena rischiarata dalla tenue luce gialla di piccole abatjours con il paralume verde, siedono decine di uomini in feldgrau, le bande scarlatte di stato maggiore lungo i pantaloni, le mostrine rosse ed oro al collo. Siedono rigidi, silenziosi, le mani posate sul tavolo, immobili. Fa freddo, a detta del generale Bayerlein e non solo perché l’unico grande camino acceso stenta a riscaldare la grande sala di caccia del castello, ma anche perché quella sera, per ogni uomo seduto alla scrivania da conferenze, ce n’è un altro, in piedi immobile alle sue spalle, nella posizione regolamentare di riposo, vestito dell’uniforme nera delle SS e con la fondina della pistola aperta. Nessuno fiata. Nessuno, tranne i generali delle SS, ha il permesso di alzarsi in piedi o di abbandonare il tavolo, a meno che non sia il capo a chiederglielo espressamente. Tutti gli ufficiali presenti hanno dovuto abbandonare all’entrata tutto il loro bagaglio, comprese le ventiquattrore con i documenti e i pochi regali di Natale per le famiglie. I controlli della Gestapo sono stati scrupolosi e ripetuti ed il fatto che alcune delle facce intorno a quel tavolo quella sera fossero tra le più conosciute di tutto il Reich non ha ammorbidito di una virgola i controlli. Dirà in seguito il generale Bayerlein: “Nessuno di noi si sarebbe arrischiato a levare di tasca il fazzoletto da naso”. Per i generali della Wehrmacht e della Luftwaffe è un’umiliazione professionale e personale senza precedenti. Tutti avevano ricevuto ordine di mentire a colleghi e familiari riguardo alla loro destinazione finale ed avevano dovuto prendere strade secondarie e seguire percorsi tortuosi con le loro auto, prima di dirigersi direttamente su Ziegenberg. Questo per sviare eventuali spie. La sicurezza e la segretezza evidentemente dovevano essere totali. “ … ed il giorno X è stato spostato dal 27 novembre, al 16 dicembre”, sta dicendo Hitler. “Questo perché i metereologi ci garantiscono per quel periodo una settimana di cattive condizioni climatiche: nuvole basse, foschia, neve, tutto quello che ci occorre per cogliere di sorpresa il nemico”. Nel pomeriggio del 15 dicembre, al quartier generale della 1° Armata statunitense arriva il consueto rapporto giornaliero sulla situazione: “Nulla da segnalare sul fronte dell’ VIII Corpo d’armata …”. L’unica cosa degna di nota, si legge nel rapporto, è: “… il continuo rombo di aerei tedeschi sulla zona …”. Che cavolo faranno mai per aria i crucchi con questo tempo che rende anche la ricognizione impossibile? Gli americani non immaginano che il rumore degli aerei copre quello, molto più minaccioso, dei cingoli dei carri in avvicinamento. Cala la notte, una notte freddissima. Le Ardenne sono ricoperte da 70 centimetri di neve. Il cielo è chiuso, cadono radi fiocchi, le nubi sono così basse che si confondono con la foschia. Alle 05:30 del 16 il buio è improvvisamente rotto da una strana luce lunare. (Ma la luna non è coperta dalle nubi ?!?). Sono i potenti proiettori della Flak; essi lanciano le loro sciabolate contro le nuvole basse, che le riflettono verso terra, creando una luminosità diffusa. E’ un’idea di Manteuffel per consentire alle fanterie d’assalto di procedere nella fitta vegetazione con un minimo di visibilità. (E’ un trucco già usato dagli inglesi, che hanno seguito il suggerimento contenuto nel libretto di Liddell Hart, pubblicato nel 1932). Contemporaneamente si scatena un fuoco d’inferno: è la preparazione d’artiglieria tedesca. La battaglia delle Ardenne è cominciata. (Da “Una storia di uomini - La Seconda Guerra Mondiale” E. Biagi, volume VII. 1980-1986)
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Avevano anche qualche semovente cacciacarri M-10 e alcuni Panther camuffati da Sherman, ma era assolutamente impossibile per i carri tedeschi simulare quelli alleati, se non altro per le dimensioni. E la memoria di Hobo è buona almeno come i suoi "mattoni" scritti, dato che qualcuno mi ha pure fatto i complimenti per come scrivo ... I libri non li ho più e quindi vado a memoria e con internet, ma in genere ci prendo. E, questa volta, ci ho preso talmente che, che ci crediate o no, su Wikipedia riporta esattamente la domanda sulla capitale dell'Illinois, che mi ricordavo di aver letto a suo tempo ! http://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Greif_(Grifone)
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Sukhoi Su-34 Fullback - Discussione Ufficiale
Hobo ha risposto a Grogri nella discussione Bombardieri & Attacco al suolo
Non sono un esperto tecnico elettronico, ma non ho scritto che è inferiore, ho scritto che si scassa; il che significa che può essere per lo meno pari a quella occidentale, ma si scassa e questo può succedere anche perchè magari è estremamente sofisticata. Gli F-111D per esempio avevano un'avionica sofisticatissima per quel tempo (e stratosfericamente costosa: solo 96 aerei in tutto vennero costruiti) ed erano famosi per le piantate in asso date dal radar e/o dal computer, ma non erano affatto "inferiori" a nessuno e, quando funzionavano, erano il top del top. -
Boiate saranno per te forse. Basta che apri un buon libro di storia. Si, l'operazione "Greif" cui si riferisce W l'Italia mi risulta eccome. Uno dei massimi responsabili fu niente meno che un certo Otto Skorzeny ... Il difficile fu trovare uomini che parlassero perfettamente l'americano, senza alcuna inflessione. Ne rintracciarono relativamente pochi (meno di duemila in tutta la Germania) ed erano quasi tutti marinai che avevano lavorato anche in America. Vennero vestiti con uniformi americane e si stabilì un codice di comunicazione segreto, tipo tacche sugli alberi, secondo bottone dell'uniforme lasciato sbottonato, sciarpe annodate in un certo modo per riconoscersi, ecc ... Questo genere di operazioni sarebbero vietate da tutti i codici di guerra e gli uomini catturati con addosso la divisa delle proprie forze armate vanno avviati a un giudizio sommario e alla fucilazione sul posto ... Tuttavia i commandos tedeschi ci andarono a nozze. Lo scopo era conquistare e tenere i ponti e i passaggi obbligati ed aspettare i carriarmati, liquidare le pattuglie americane isolate, tagliare i fili del telegrafo e dei telefoni, scovare depositi di carburanti, ecc.... Un vantaggio che i tedeschi non avevano calcolato bene del tutto fu poi l'enorme impressione che l'operazione ebbe a livello psicologico sugli americani, i quali vennero presi dall'isterismo quando si resero conto che tra di loro c'erano uomini che vestivano e parlavano come loro, ma erano nemici ! L'isteria raggiunse il panico. Iniziarono a girare voci di soldati tedeschi che vestiti come statunitensi cercavano Patton o Eisenhower per eliminarli. Nessuno si fidava più di nessuno: le pattuglie americane fermavano i loro stessi commilitoni e puntandogli il mitra sullo stomaco gli domandavano a bruciapelo quale fosse la capitale dell'Illinois (che non tutti sanno che NON è Chicago, ma Springfield). Si scatenò il caos. Uno dei metodi più usati per smascherare i commandos tedeschi fu quello di chiedere ai "sospettati" di pronunciare la parola "Wreath","ghirlanda", che per un non inglese è assolutamente impossibile da pronunciare senza metterci alcuna inflessione. Tuttavia, anche per i tedeschi, le lacune erano molte. Pochissimi di loro come ho detto parlavano veramente l'americano, gli altri dovevano tacere e venivano smascherati e uccisi. Inoltre le uniformi americane effettivamente trovate dai tedeschi erano quasi tutte bucate dai proiettili (e vorrei vedere...), oppure portavano sulla schiena il buco ritagliato da cui era stata strappata la scritta stampigliata "KG" (krieg gefangen: prigioniero di guerra) e la cucitura del rattoppo a quadrato si vedeva subito. Inoltre, i mezzi americani catturati ancora funzionanti erano pochissimi. Il risultato più grande di tutto ciò fu comunque il panico ed il caos seminato nelle retrovie alleate, in cui nessuno si fidava più di nessuno!
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A mi sa che devono esserselo chiesti in parecchi ... "Ma NOI non eravamo alleati dei tedeschi?" E i tedeschi: "Ma gli italiani non erano nostri alleati?" E gli americani: "Ma gli italiani non stavano con i tedeschi?" Boh. C'è una scena bellissima di non so più che film con Sordi che faceva uno smarritissimo capitano italiano contro le cui truppe i tedeschi si mettono a sparare subito dopo l' 8 settembre. Sordi chiama con il telefono da campo: "Signor colonnello! Qui è la postazione ....... E' successo l'impossibile: I TEDESCHI SONO PASSATI AGLI AMERICANI .................. ! Trovami tu un paese capace di fare un casino del genere. E i russi non festeggiano sconfitte di altri, ma le proprie vittorie (e CHE vittorie !).
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Argh, l'aeronautica non mi fà dormire
Hobo ha risposto a typhoon nella discussione Aeronautica Militare
Non ero presente, ma le sei di mattina non mi pare un'ora proprio antelucana; di sicuro non è più "notte", a meno che non fossero le sei di sera (allora uno-otto-zero-zero) e tu non intendessi dire che era "buio", ma se era buio, come hai visto le "scie" bianche? Un aereo che supera il suono a una quota alla quale, alle nostre latitudini, si formano le "scie" bianche, da quello che so io forma un cono di onde pressorie (sonore) lungo per lo meno quanto è alta la sua quota e cioè sui 6 - 10 chilometri, di conseguenza, esssendo l'aereo al vertice del cono e raggiungendo le onde pressorie il suolo circa 10 Km dietro l'aereo, quest'ultimo doveva essere ben lontano da te (circa 10 Km in lungo x 10 in alto) nel momento in cui tu hai sentito il botto (onde arrivate a terra). Tutto ciò per dire che l'aereo "responsabile" poteva essere ovunque. Io tendo a pensare che l'aereo che hai sentito fosse in realtà molto più basso e vicino e che non era quello che hai visto con la doppia scia. (Ammesso che i botti che senti non siano l'accensione di postbruciatori). -
Quello che ho scritto si può trovare anche su Wikipedia, essendo la banale catena di comando e le direzioni finali di sfondamento. Non penso proprio che i generali tedeschi fosssero " ... non abituati alla guerra sul fronte occidentale." Essi erano abituati a qualunque guerra ed anzi forse fu proprio quella sul fronte orientale a sorprenderli di più e non quella a occidente. Non è esatto secondo me dire che i carri si muovevano male sul territorio delle Ardenne, al contrario, questo territorio si rivelò agibile da parte dei carri (a patto di tenere saldamente in mani amiche i ponti su fiumi e canali e le strettoie), diversamente da quello che pensavano tutti e la dimostrazione fu l'attacco alla Francia nel '40, quando i tedeschi passarono con i loro carri proprio attraverso le Ardenne, ottenendo un successo che lasciò sbalordito lo stesso Hitler. Inoltre tutta l'Europa occidentale era dotata di vere strade percorribili agevolmente anche con mezzi pesanti, al contrario dell'URSS, in cui come tutti sanno non esisteva che fango e li si che ci si impantanava. I carri tedeschi nelle Ardenne si comportarono secondo le previsioni e cioè bene. Il generale Manteuffel notò subito che là dove riusciva a portare i suoi carri la resistenza nemica cedeva subito. La fortuna degli alleati fu che i carriarmati tedeschi erano, primo, pochi (non più di ottocento in tutto), un numero enormemente inferiore a quello desiderato dai generali tedeschi ed a quello dichiarato dagli americani sotto shock (e dai loro giornali) e, secondo, avevano limitatisime riserve di benzina e di munizioni, talmente limitate da essere proprio loro, a parte il fattore tempo ed il fattore meteo, uno dei motivi principali del fallimento tedesco. L'alto comando OKW (Jodl, Warlimont, Keitel... tutta gente che non è mai stata una sola volta su un campo di battaglia), si basava esclusivamente su calcoli teorici da manuale, calcolando quantitativi di riserve pari a quelli usati in esercitazione, ma Manteuffel, tra le altre cose, disse di aver anche scritto chiaramente che ci sarebbe stata la necessità di poter contare su quantitativi di banzina non doppi del normale (come stabilito dall'OKW), ma quintupli del normale, come già sperimentato in guerra. Il Tiger in battaglia andava rifornito circa ogni venti chilometri ! Lo Jagdtiger non mi risulta che combattè nelle Ardenne, ma posso sbagliarmi. Alla fine, la benzina su cui i tedeschi poterono effettivamente mettere le mani non raggiungeva neanche la quota inizialmente prescritta dall'OKW ed inoltre, appena poterono, gli jabo alleati piombarono come locuste sulle colonne di autobotti tedesche. Questo mise fine a tutto. Sto scrivendo a memoria, ma se controllate in giro trovate tutto.
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Si, Hasso Von manteuffel aveva nelle Ardenne il comando della 5° armata corazzata, spalleggiata sul suo fianco sinistro, a sud, dalla 7° armata tedesca, che però praticamente non faceva testo, essendo priva di carri. L'alto comando dell'"Offensiva delle Ardenne" da che so io era strutturato così: Sopra tutti Hitler ovviamente (tutta l'idea ed il piano vennero da lui). Immediatamente sotto c'era il feldmaresciallo Von Rundstedt, comandante supremo del fronte occidentale. Alle sue dirette dipendenze stava il feldmaresciallo Walter Model (che si suicidò nel '45). Subito sotto c'erano i due comandanti d'armata che avrebbero dovuto occuparsi direttamente dell'esecuzione dell'attacco: Von Manteuffel, al comando della 5° armata corazzata, e l'SS Sepp Dietrich, comandante della 6° armata corazzata. C'era poi un battaglione rinforzato di paracadutisti, mille uomini al comando del colonnello Von Der Heydte, che avrebbe dovuto mantenere aperte le strade intorno all'incrocio Malmèdy-Eupen-Verviers, ai piedi del monte Rigi, in modo da garantire il passaggio dei carri della 6° armata ed impedire l'afflusso di rifornimenti alleati da nord. I paracadutisti vennero lanciati con ben 24 ore di ritardo ed il cattivo tempo li disperse. Rundstedt, vedendo bene qual'era la verità di fondo, si chiamò fuori da subito e lasciò che se la vedessero Model e Manteuffel, soprattutto con Hitler. Sepp Dietrich invece non era che un semplice esecutore degli ordini superiori. Manteuffel avrebbe dovuto partire dal fronte sud, situato grossomodo lungo la sponda sinistra della valle dell'Our, tra Manderfeld a nord ed Echternach a sud. Manteuffel avrebbe dovuto proteggere il fianco sinistro di Sepp Dietrich, raggiungere la Mosa tra Namur e Dinant, superarla e puntare su Bruxelles. La 6° corazzata di Sepp Dietrich, che rappresentava il grosso delle forze tedesche nelle Ardenne, invece avrebbe dovuto fare un percorso più diretto, puntando su Liegi, verso ovest e la Mosa ed infine arrivare al porto di Anversa.
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Ho copiato un pezzo di una vecchia enciclopedia, manco completa, perchè? "La seconda Guerra Mondiale: una storia di uomini". Enzo Biagi. Ho solo aggiunto il nome del generale tedesco (Luttwitz) e "Well done" alla fine invece di "ben fatto": mi pare più bello.
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Ach! Nein! Kein Bastogne! I tedeschi puntavano su Antwerpen (Anversa) alle foci della Schelda. Scopo, "spaccare" in due il fronte alleato, separando gli inglesi a nord dagli americani a sud, privandoli di un porto fondamentale per i loro rifornimenti rapidi (Anversa). I teteschi potevano fare quello che gli pare, ma non avevano benzina e quindi erano fregati in partenza. Tutta l'operazione era considerata una follia dall'alto comando ovest ed esiste anche la possibilità mai provata che in questa e in altre operazioni, alcuni tra i più alti in grado della Wehrmacht, resisi conto da tempo della situazione, obbedirono ciecamente agli ordini di Hitler proprio per accellerare la fine del Reich millenario, in modo da mettere fine al nazismo e alla sua pazzia. Anthony McAuliffe (un duro d'Irlanda), comandante in seconda della 101° aviotrasportata (accorsa a Bastogne per rinforzare la X corazzata americana) sul sul giornalino divisionale: "HQ (quartier generale) della 101 Airborne -Ufficio del Comandante di Divisione- 24 dicembre 1944 Che c'è di tanto bello in tutto ciò? Vi domanderete. Combattiamo, fa freddo, la casa è lontana. E tutto vero, ma cosa ha fatto la gloriosa Divisione "Screaming Eagles", insieme con i compagni della X blindata, del 705° battaglione anticarro e tutti gli altri? Questo: abbiamo fermato e stiamo fermando tutto ciò che ci è capitato addosso, da nord, da est, da sud e da ovest. Abbiamo scoperto quattro divisioni tedesche di panzer, due divisioni di fanteria ed una di paracadutisti. Queste unità, l'avanguardia dell'ultima disperata controffensiva tedesca, si spingevano a occidente per impadronirsi di posizioni chiave, quando la Screaming Eagles venne inviata in gran fretta per fermare la loro avanzata. Come le cose sono veramente andate lo dirà la storia. Non solo la storia gloriosa della nostra divisione, ma anche quella del mondo. Per ora i tedeschi ci accerchiano, le loro radio ci assordano. Il loro comandante, Gen Von Luttwitz, ha chiesto la nostra resa, con questa impudente arroganza: 22 dicembre 1944. Al Comandante americano della città assediata di Bastogne. Le sorti della guerra stanno per cambiare. Questa volta le truppe americane a Bastogne e nei dintorni sono state accerchiate da fortissime unità corazzate tedesche. Altre unità corazzate germaniche stanno giungendo dopo aver attraversato l’Ourthe a Ourtheuville e dopo aver conquistato Marche e raggiunto Saint-Hubert, passando per Sibret e Tilley. Libramont è ormai saldamente in mani tedesche. Non c’è che un modo di salvare le truppe americane circondate dall’annientamento totale: la resa onorevole della città accerchiata. Per consentire di prendere una decisione, si concedono due ore di tempo a partire dalla presentazione di questo ultimatum. Un intero corpo d’artiglieria tedesco e sei battaglioni di carri pesanti sono pronti a distruggere gli americani e la città se questa proposta verrà respinta. Alla scadenza delle due ore, sarà dato l’ordine di aprire il fuoco. le gravi perdite che ci saranno tra i civili non si accordano con le ben note preoccupazioni umanitarie americane. Firmato: Il Comandante Tedesco. Questo comandante tedesco ha ricevuto questa risposta: “22 dicembre 1944. Al Comandante Tedesco: Nuts ! (C a z z a t e!) Firmato: il Comandante Americano”. Le truppe alleate contrattaccano in forze. Noi continuiamo e continueremo a tenere Bastogne e tenendo bastogne assicureremo il successo degli Alleati, sappiamo che il nostro comandante, il Gen. Taylor ci dirà: "Well done!" .....
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E allora vedi che è come avevo detto? A parità di potenza di fuoco, è la fanteria che ritorna regina delle battaglie. Inoltre, ma questa non è mia, il più grave problema dei carriarmati è che in battaglia consumano da due a cinque volte il loro quantitativo normale di carburante e munizioni, il che significa una cosa sola: hanno bisogno di essere riforniti. In guerra, un carro consuma quantità stratosferiche di carburante, alcuni carri non vanno oltre i cento-centoventi chilometri di autonomia, poi rimangono a secco. Se la situazione lo permette, invece di affrontarli e rischiare elevate perdite, li si può far correre dietro a un esca, lasciarli passare praticamente indisturbati attraverso il varco nel fronte per poi saltare addosso ai loro rifornimenti e alle loro autobotti. In questo modo i carri nemici rimarranno a secco.
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Sarà che io ho paura dei carri per principio, ma non a vederli da fuori: a starci dentro! Se i carri non si mandano contro la fanteria se questa è armata di armi anticarro, contro cosa si manderebbero? Contro altri carri? Ma allora sarebbe lo stesso secondo me. I carriarmati mica si possono tenere buoni solo per le parate e per i giorni "buoni": si scoccerebbero a morte. Se ti ordinano di mettere in moto e partire e di non fermarti finchè non sei a Bagdad, o a Mosca, tu mica gli puoi dire no non parto perchè quelli hanno missili anticarro, o per lo meno, glielo puoi anche dire, ma ... Aviazione a parte, a parità di potenza di fuoco complessiva, è la fanteria che torna ad essere quella che può fare la differenza e questo non lo dico mica io (anche se ora come ora non ricordo chi lo disse, ma era uno di quelli che venivano correndo da Kursk, o da Korsun [pochi però questi ultimi e nudi], o cose del genere). I carri hanno bisogno di troppe cose insieme secondo me: cielo sgombro di aerei/elicotteri, fanteria SENZA armi anticarro, niente mine, fumogeni, corazze reattive, corazze a freccette e soprattutto, la cosa più grave di tutte secondo me è, chi me la sa dire? (E' facile).
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CRISI FINANZIARIA 2008 - Topic Ufficiale -
Hobo ha risposto a Leviathan nella discussione Discussioni a tema
I compagni morti per strada. Comunque si, neanche io mi fiderei. -
Potrebbe darsi il caso che diventi una stella ancora più grossa se non li accende ... Il titanio comunque richiede esperienza professionale specializzata (di cui i Russi sono tra i massimi esponenti a quel che mi risulta) e viene usato nelle parti di un aereo sottoposte a particolari stress termici, vibratori e/o dovuti a sollecitazioni varie. In effetti la soluzione a postbruciatori "nudi", come sul Su-27 e famiglia, da profano, mi stupisce un po', ma oltre al fatto che possono anche modificare la coda negli aerei di serie, ci sono diversi modi per "raffreddare" il motore, come per esempio usando un carburante speciale. Da quello che c'ho capito io, il JP-7 del Blackbird serviva anche per non "scaldare" troppo i postbruciatori, nonchè per ridurre il surriscaldamento da attrito della fusoliera a Mach-3. Quindi ci potrebbero anche essere dei ritrovati, che apparentemente non si vedono, per ridurre l'immagine IR. http://en.wikipedia.org/wiki/JP-7