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Hobo

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  1. Rieduca, rieduca. Dopo il lavoro, proporrei una bella corsetta con maschera antigas ed equipaggiamento completo, cantando entusiasticamente l'inno nazionale. Sorriso stampato obbligatorio, poi tutti a nanna, domani si comincia sul presto e la cena è roba da degenerati (come me). I più fortunati possono leccare i piatti sporchi, o dividere la biada con i somari, ma se scopro che gliela fregano ... Comunque si. Gli elicotteri sudvietnamiti che riuscivano ad arrivare in prossimità delle navi americane (al limite dell'autonomia dei velivoli, che partivano alla cieca, pilotati da sudviet che non sapevano di preciso dov'erano le navi americane) venivano buttati in mare. 30 aprile '75, Operazione Frequent Wind Opzione-4, l'ultima operazione americana in Vietnam. Gli ultimi ad andarsene dal tetto dell'ambasciata furono i Marines americani, così com'erano stati i primi ad arrivare a Da Nang, l'8 marzo 1965.
  2. Hobo

    Stalingrado

    “Lei ha pesato bene quel che intraprende attaccando la Russia?” Il feldmaresciallo Von Rundstedt a Hitler. Febbraio 1941. “E’ la prima volta in questa guerra che prescrivo un movimento di ritirata comprendente una vasta zona del fronte. Mi aspetto che tale ritirata si effettui in maniera degna dell’esercito tedesco. Il sentimento di superiorità provato dalla nostra truppa nei confronti del nemico e la volontà fanatica di arrecargli tutto il danno possibile devono egualmente ispirare questa manovra di ripiegamento…”. Adolf Hitler consente a Von Kluge di mettere in atto tutte le misure necessarie alla rettifica del fronte di Mosca, per ricongiungere il fianco destro della 4° armata con l’ala sinistra del 2° Gruppo corazzato di Schmidt (che ha sostituito Guderian). Il Fuhrer sembra quasi volersi scusare con il soldato tedesco, quel “Landser da cui è lecito aspettarsi qualunque impresa”. Dicembre 1943. Il 14 ottobre 1941 accadono due cose apparentemente insignificanti, ma che avranno ripercussioni enormi: un certo Georgij Kostantinovic Zukov viene nominato capo del fronte sovietico occidentale e scende la prima neve sul fronte orientale. L’inverno è arrivato e Hitler non ha ancora sconfitto la Russia bolscevica; il sogno di quel “ ... Feldzug in Russland dinnanzi al quale il mondo avrebbe trattenuto il respiro” ed in cui le forze armate germaniche avrebbero sbaragliato le armate russe con un fulmineo blitz ad occidente del Dniepr si sta rivelando una costosa utopia. << Quando Mosca rimase fuori tiro e l’inverno scese sul fronte orientale con tutti i suoi rigori, fra le truppe tedesche si diffuse la paura. Con l’inverno cresceva il pericolo di un crollo spaventoso quanto quello che aveva sgretolato la Grande Armée di Napoleone. Fu la decisione di Hitler – “nessun ripiegamento” – che scongiurò il panico in quell’ora tetra. Sembrò una manifestazione di ferreo coraggio, benché probabilmente fosse dovuta a pura e semplice cocciutaggine. Infatti egli la prese contro il parere dei suoi generali. Ma il suo successo nel superare questa crisi fu, alla fine, la sua rovina. In primo luogo, lo indusse ad addentrarsi ancor più in territorio russo l’estate successiva, quella del 1942 ... >>. Il generale inverno è arrivato. La Wehrmacht, per la prima volta nella guerra, si impantana e poi si arresta definitivamente, sprofondando in tre metri di neve, i cavalli vi affondano fino al ventre; rimanere all’aperto la notte significa morte certa, il gelo riempie le canne delle armi, i soldati devono frantumare con le pale la carne e la birra congelate, mentre il termometro oscilla tra i 15 ed i 50 sottozero. La notte sul 6 dicembre 1941 Zukov scatena una poderosa controffensiva davanti a Mosca che poi si propaga a tutto il fronte orientale: i tedeschi sono a meno di un passo dal baratro. Tutto il settore centrale del fronte inizia ad oscillare pericolosamente e poi ad incurvarsi, sotto l’insopportabile pressione dell’artiglieria sovietica e delle ondate di T-34, stracarichi degli spietati fanti siberiani dagli occhi a mandorla, che prediligono il loro micidiale pugnale di corno di cervo al mitra. E’ una lotta tremenda; combattuta con la neve che arriva al petto, nel buio e nel gelo invernali. La 4° armata di Kluge, che puntava su Mosca, si ritrova presto isolata. I russi sono riusciti a sfondare sui suoi fianchi. A sud, il 2° corpo corazzato di Guderian è bloccato dalla neve molto lontano, a Tula, mentre l’ala nord, il 4° Gruppo corazzato di Hoeppner, sta lottando per sopravvivere a cavallo dell’autostrada Minsk-Mosca, ritirandosi da Mozajsk-Volokolamsk verso Vyazma. La 4° armata a questo punto si ritrova isolata in una posizione avanzata, con il pericolo di essere accerchiata. Kluge vede chiaramente la catastrofe ed avverte immediatamente il comando supremo del gruppo d’armate Centro della necessità di un ripiegamento generale sull’ Ugra, tra Kaluga e Vyazma, lungo una linea di difesa già in parte approntata. Questa ritirata strategica era appena iniziata, quando giunse l’ordine di Hitler, l’ haltenbefehl, la difesa ad oltranza. Ognuno deve restare e combattere dove si trova! Nel settore meridionale Von Rundstedt, che aveva abbandonato Rostov sul Don ritirandosi in buon ordine con tutto l’equipaggiamento pesante a occidente del Mius viene destituito. Gli succede Reichenau, il quale arriva, studia la situazione e telegrafa ad Hitler che Rundstedt aveva fatto benissimo, ma Hitler è irremovibile. La 1° SS Leibstandarte Adolf Hitler rientra a Rostov e per poco, a causa di un disguido mai accertato, non ne esce più: oltre ai russi, la città e i suoi ponti saltano letteralmente sotto i piedi dei tedeschi: Rostov era stata completamente minata dai genieri della 17° armata in ritirata! Hitler per poco non si fa venire un colpo apoplettico, tribunale di guerra per tutti, il sangue tedesco scorre a fiumi. Nonostante tutto questo però, la pazzia dell’ haltenbefehl, decisa da Hitler contro il parere dei suoi generali, incredibilmente funzionò, anche se al prezzo di atroci sacrifici e perdite terribili tra i tedeschi. La controffensiva russa rigettò i tedeschi indietro, impedendo la conquista di Mosca, ma contrariamente a quanto sperava Stalin e a quanto pensavano i generali di entrambi gli schieramenti, i russi non riuscirono a portare la Wehrmacht al collasso. Nonostante le privazioni e le condizioni meteo proibitive, in sostanza << ... i tedeschi ne sono usciti vincitori, perché hanno resistito bene, perché il loro fronte non è crollato mai, perché il ripiegamento davanti alla capitale sovietica, di cui alcune pattuglie avanzate germaniche erano arrivate a scorgere le cupole del Cremlino, non è andato al di là mediamente di un centinaio di chilometri, che è una distanza irrisoria all’epoca delle automobili d degli aerei. Non solo, ma i reparti accerchiati, come per esempio quelli della sacca di Demyansk, hanno potuto tener duro fino a primavera (grazie anche ai rifornimenti paracadutati da stormi di aerei della Luftwaffe, che non sarebbero più stati disponibili a Stalingrado) e poi sono stati liberati >>. Ed è proprio questo che faranno i tedeschi. Si aggrapperanno con le unghie e con i denti ai nodi stradali e ferroviari russi, chiudendovisi “a riccio” come a Demyansk ed aspettando la primavera. La controffensiva russa dell’ inverno 1941/’42 si rivela un pericoloso colpo a vuoto. I sovietici si insinuano profondamente tra i capisaldi tedeschi, ma finiscono con il disperdersi nella steppa gelata dove non c’è nulla, non ci sono ripari contro il vento e dove non ci sono “appigli” degni d’importanza cui appoggiarsi e trincerarsi, di conseguenza, esaurita la loro spinta iniziale, devono ritirarsi per non allungare le loro linee di rifornimento. Questa è la situazione del fronte orientale all’inizio della primavera 1942. Le linee hanno una conformazione che ricorda i fiordi norvegesi. In diversi punti i russi sono profondamente incuneati in profondità tra i tedeschi. Le perdite tedesche sono state gravissime, due uomini su tre sono morti, feriti o congelati, l’equipaggiamento è in uno stato pietoso, la Luftwaffe si è rovinata nel rifornimento delle sacche tedesche accerchiate (e i suoi Ju-52 non saranno più disponibili a Stalingrado), ma il fronte sostanzialmente ha tenuto e questo grazie alla cocciutaggine spietata di Hitler, che ora si è convinto di essere assolutamente infallibile (nonostante abbia già capito, almeno stando a Jodl, che la guerra come l’intendeva lui è già perduta). Stalin, a dispetto dei suoi generali, crede già che i tedeschi siano ormai in ginocchio ed ordina di pianificare un’offensiva di primavera: sarà l’errore più madornale da lui commesso da quando il Fuhrer dei nazisti l’ha sorpreso con le braghe calate domenica 22 giugno 1941. "Una storia di uomini - La Seconda Guerra Mondiale". E. Biagi; Vol III. 1980-1986. "The other side of the hill - Storia di una sconfitta". Liddell Hart; 1979.
  3. Per quanto riguarda il problema della definizione dei rispettivi ambiti di competenza, che di fatto paralizzava gli uomini, alla fine fu Von Rundstedt a risolverlo con molto buon senso. Il feldmaresciallo infatti stabilì che Rommel sarebbe stato a capo del settore di gran lunga più importante del fronte occidentale e cioè lungo la Manica, dalla frontiera tedesco-olandese alla Loira; settore in cui erano dislocate le divisioni tedesche del Gruppo d’armate B, costituito dalle truppe germaniche in Olanda, dalla 15° armata (generale Hans Von Salmuth), attestata tra l’Olanda e la Senna e dalla 7° armata (generale Dollman), posizionata tra la Senna e la Loira. Al contrario, il settore del fronte che correva dalla foce della Loira alle Alpi, sarebbe ricaduto sotto la responsabilità del Gruppo d’armate G, generale Blaskowitz, che comprendeva la 1° armata, dislocata tra il Golfo di Biscaglia e i Pirenei e la 19° armata, schierata sulla costa mediterranea francese. A Questo punto, si può capire dove i tedeschi si aspettavano l’invasione? Il generale Blumentritt: “Nulla di quel che apprendemmo ci diede un indizio definitivo circa il luogo dove l’invasione sarebbe effettivamente avvenuta. Su questo punto vitale, dovemmo affidarci al nostro giudizio”. All’inizio del ’44 però è ormai evidente che il colpo principale sarà vibrato dall’Inghilterra. L’isola infatti brulica letteralmente di soldati americani; ormai ce ne sono qualcosa come 870.000 ed aumentano di giorno in giorno. Decine di agenti tedeschi, muniti di piccole radiotrasmittenti, inviano continuamente rapporti su consistenti movimenti di truppe nella parte meridionale del Regno Unito. Ma su ciò che effettivamente preme sapere ai tedeschi, cioè dove gli alleati veramente sbarcheranno, non c’è nulla. Gli uomini della Kriegsmarine, consci dell’importanza che rivestono i grandi porti, pensano a Le Havre come località dello sbarco. I generali dell’Esercito però non sono d’accordo: perché sbarcare su una località così fortemente difesa come Le Havre? No, ci vuole una spiaggia piatta, con diverse strade alle spalle, per potersi spingere subito in profondità, ampliando la testa di sbarco. I generali tedeschi non sanno ancora nulla dei “Mulberries” degli alleati, ma pensano che inglesi ed americani disporranno probabilmente diverse navi fianco a fianco fino alle spiagge, per farci passare sopra carri e camion. Von Rundstedt, secondo la dottrina militare più classica, si aspetta l’invasione a livello del tratto più ristretto della Manica, dove le difficoltà pratiche di uno sbarco sarebbero le più piccole possibile e dove la copertura aerea sarebbe più facile e diretta e cioè a cavallo dell’estuario della Somme, tra Le Tréport e Le Havre, sulla riva occidentale del fiume e tra il fiume e Calais nella zona orientale. L’area è infatti molto più vicina al Reno e alla Germania rispetto alla Normandia. Se gli alleati mettono piede sulle due rive della Somme, Rundstedt calcola che potrebbero essere sul Reno e in Germania in quattro giorni. Un altro fattore cui pensa Rundstedt è poi che le basi di lancio delle V1 e V2 che martellano Londra sono relativamente vicine alla zona di Calais ed il vecchio generale pensa, non a torto, che gli alleati vogliano subito sbarazzarsi del flagello di quelle “armi segrete”. Il feldmaresciallo però non sa che americani ed inglesi invece sopravvalutano enormemente le difese tedesche poste sulla Somme. Il Vallo atlantico non è che un’illusione per trarre in inganno il popolo tedesco e gli alleati, ma questo gli americani ed i britannici ancora non lo sanno. Quanto a Rommel, i suoi occhi sono continuamente puntati sia sulla Somme, sia sulla Normandia. La Volpe del deserto infatti si aspetta sia un poderoso sbarco intorno a Calais, sia probabilmente un secondo sbarco di alleggerimento in Normandia (Wilmot); per questo motivo Rommel continua le opere di fortificazione tra Cherbourg e Le Havre, rafforzandovi le guarnigioni. Tra le altre zone dove i tedeschi pensano che gli alleati possano mettere piede a terra è a occidente, alla foce della Loira. Rundstedt racconta: “Se gli alleati fossero sbarcati nella Francia occidentale, vicino alla Loira, sarebbero riusciti molto facilmente sia a stabilire una testa di ponte sufficientemente ampia, sia a spingersi nell’entroterra. Non mi era possibile inviare laggiù nemmeno una divisione per fermarli!”. Tuttavia, i tedeschi non sanno che la foce della Loira è già stata giudicata dagli alleati un’area troppo lontana per poter essere agevolmente rifornita dalle navi e raggiunta dagli aerei ed inoltre Saint-Nazaire, Brest e Lorient sono basi tedesche dalle possenti fortificazioni, dato che le città ospitano anche grosse basi di U-boot. Insomma, per quanto riguarda il dove avverrà l’invasione, ancora nel 1944 i tedeschi brancolano nel buio. Anche i loro servizi, in questo come in altri casi, si rivelano farraginosi. Blumentritt: “Pochissime informazioni degne di fede ci arrivavano dall’Inghilterra, quel settore del servizio informazioni dipendeva dall’OKW, direttamente agli ordini di Hitler, non da noi ed era svolto da una sezione speciale del Sicherheitdienst. Per sapere qualcosa noi dovevamo rivolgerci alla Wehrmacht...”. Warlimont: “L’organizzazione del servizio informazioni era fonte di rivalità e di gelosie e per questo di gravi errori da parte nostra. In origine e fino al 1944, fu l’ “Ufficio affari esteri e controspionaggio”, incorporato nell’OKW e diretto dall’ammiraglio Canaris, a raccogliere le informazioni; queste venivano poi portate a conoscenza delle tre armi perché fossero opportunamente valutate… All’inizio del 1944 si procedette per ordine di Hitler allo scioglimento dell’organizzazione diretta da Canaris, soprattutto per ragioni politiche e lo stesso Canaris venne destituito. I servizi informativi vennero assorbiti dall’ “Ufficio centrale del Reich per la sicurezza”, diretto da Kaltenbrunner. Questi, per motivi suoi personali, trasgrediva sovente alla prassi ufficiale consacrata, trasmettendo o consegnando informazioni importanti, o da lui giudicate tali, direttamente a Hitler o a Jodl. Era naturale che un sistema del genere finisse con il procurarci molti guai e poche informazioni. Quando finalmente, nel pomeriggio del 5 giugno 1944, Kaltenbrunner si persuase di avere indizi sicuri dell’imminente invasione e li portò a conoscenza di Jodl, costui non vi prestò attenzione, o per lo meno non ne informò né il suo stato maggiore, né Hirler”. Stando così le cose, l’unica cosa che appare certa è che lo sbarco ci sarà. Le voci che hanno cominciato a circolare sono troppo insistenti e ripetute per poter essere ignorate. Nella primavera del 1944, i bombardieri nemici hanno alleggerito la loro terribile stretta sulla Germania ed hanno cominciato ad attaccare depositi, ponti e strade nella Francia settentrionale e in Olanda, la resistenza francese e olandese ha iniziato ad alzare la testa, attaccando nottetempo strade e ferrovie e tagliando ripetutamente le comunicazioni telefoniche e telegrafiche. Le perdite tedesche dovute ai partigiani iniziano a farsi per la prima volta significative. Alla fine, fu Hitler in persona ad indovinare e a convincersi che si sarebbe trattato del litorale normanno. Il 2 maggio, in base a questa sua conclusione, ordinò il rafforzamento delle difese antiaeree ed anticarro di quel settore. Come Hitler abbia fatto ad azzeccare il sito dove avrebbe avuto luogo l’invasione in realtà non si sa e forse non si saprà mai. Rifacendosi alle testimonianze dei generali superstiti, si evince che il calcolo di Hitler si fondava su informazioni ricevute circa i movimenti di truppe in corso in Gran Bretagna, ma soprattutto si pensa che il Fuhrer si sia basato più che altro sull’intuito. Se i generali si basavano sui principi militari più ortodossi, Hitler invece si basava come al solito sul suo innato senso della sorpresa. La zona di Calais, nel punto più ristretto della Manica, era ottima dal punto di vista degli alleati, ma secondo Hitler troppo ovvia. Inoltre egli, a detta di generali quali Blumentritt e Warlimont, calcolava che gli alleati sarebbero andati alla ricerca di un grande porto in acque profonde che fosse oltretutto facilmente difendibile con una linea di fronte piuttosto corta. Il solo luogo che poteva veramente soddisfare tali esigenze sulla costa francese della Manica era Cherbourg, facilmente difendibile da un fronte ristretto che tagliasse trasversalmente la penisola del Cotentin. I fatti dimostrarono che, ancora una volta, Hitler purtroppo aveva ragione.
  4. Hobo

    Stalingrado

    A per me ci possiamo mettere tutto quello che vi pare, non so però se dopo è qualcosa di doppio. Certo, in guerra questo ed altro. L'idea era buona. Di sicuro sarà venuta a qualche onestuomo dell' Esercito tedesco: un puro di cuore che evidentemente non era ancora al corrente delle atrocità che i nazisti compivano per sport sulle popolazioni "liberate dal giogo comunista" dietro le linee del fronte e che pensava ancora in buona fede che a qualche ragazzo russo stanco della guerra e dei comunisti potesse anche saltargli in mente di passare al nemico. Gli orrori di cui si macchiarono gli hitleriani in Russia furono uno dei motivi più importanti per cui i russi, anche i non comunisti, si coalizzarono tutti in un' enorme coalizione patriottica, disposta a qualsiasi sacrificio pur di sconfiggere l'invasore. In ultima analisi, si dimostrò stupido e controproducente maltrattare, saccheggiare, uccidere e deportare milioni di russi caduti in mano tedesca: queste atrocità generarono nel popolo russo la volontà ferrea di combattere fino all'ultimo e di non cadere mai vivi in mani tedesche, così i russi "non chiedevano pietà, nè la concedevano". Gli orrori hitleriani in Unione Sovietica fecero quindi in modo che il soldato tedesco si trovasse di fronte un russo risoluto a ad ucciderlo o ad essere ucciso. Quindi l'idea di cercare di convincere qualche russo a disertare era inevitabilmente fallimentare. (A questo non è che ci sono arrivato io: era l'opinione di molti alti ufficiali tedeschi, che a causa della crudeltà di pochi si ritrovavano giorno per giorno a che fare con un esercito nemico e con un popolo il cui fanatismo antifascista era proporzionale alle crudeltà delle SS). “Signor colonnello, qual è la forza del suo reggimento?” Il 18 febbraio 1942 il generale Model, 9° armata, gruppo di armate Centro, così si rivolge al tenente colonnello Kumm; la cui risposta è da brivido: “Signor generale, il mio reggimento è radunato lì fuori in attesa di ordini” Il giovane generale si affaccia alla finestra e guarda attraverso i vetri: sull’attenti con i piedi nella neve del cortile sono schierati trentacinque uomini. Questo episodio, riferito da Paul Carell, serve a mettere meglio in luce a quale prezzo i tedeschi resistettero alla controffensiva sovietica scatenatasi il 6 dicembre 1941 davanti a Mosca e poi propagatasi velocemente a tutto il fronte orientale. I risultati di questa offensiva furono del tutto imprevisti, rappresentarono la base su cui poi si sviluppò l’affondo tedesco dell’estate 1942 e per poco non portarono l’Unione Sovietica (e il mondo) sull’orlo della catastrofe.
  5. Hobo

    Stalingrado

    Signor Generale, oggi è una grande festa per le nostre due grandi nazioni! Oggi è per noi una grande festa patriottica, ma è difficile dire se lo è anche per voialtri, laggiù in fondo… [rinchiusi nel bunker di Hitler]. Il generale Krebs cerca di fare il disinvolto, ma purtroppo per lui si ritrova davanti Cujkov leroe di Stalingrado, che lo gela allistante. Berlino, mezzanotte; Primo Maggio 1945. … in una casa si entra in due, tu e la bomba a mano; entrambi senza troppi impacci: tu senza zaino, lei senza la sicura. Prima entra la bomba a mano, poi vai anche tu. Entra in tutti i locali della casa e sempre per prima la bomba e poi tu. […] Cè unaltra regola precisa ora: fatti spazio! Ad ogni passo ti aspetta il pericolo. Non importa: una granata in ogni angolo della stanza e avanti! Una raffica di mitra su ciò che è rimasto; ancora un po più avanti: unaltra bomba a mano e poi ancora avanti! Unaltra stanza, ancora una bomba a mano, voltati! Unaltra granata, una raffica con il mitra e avanti! Allinterno delledificio che attacchi, il nemico può passare al contrattacco. Non avere paura. Liniziativa è già tua. Agisci con decisione, servendoti della tua bomba a mano, del mitra, del pugnale e della baionetta! Il combattimento dentro una costruzione è sempre confuso, perciò sii pronto ad ogni evenienza, tieni sempre gli occhi aperti e avanti! …. Generale Vassilij Ivanovic Cujkov, Eroe dellUnione Sovietica. Forse è un argomento inflazionato, ma non ho trovato un topic specifico; diversamente, cancellate. <<L' offensiva tedesca che porterà alla battaglia di Stalingrado ha inizio il 28 giugno 1942 come un colpo di tuono sotto un cielo gravido di minacce. Fu forse la più atroce battaglia della storia, un insieme di orrori e di eroismi, di viltà e di abnegazione, di follia e di morte che si protrasse per più di sei mesi e contribuì come pochi altri singoli fatti darme a cambiare i destini del mondo. Ebbe una lunga preparazione e vi si giunse quasi di sorpresa e contro la volontà delle due parti>> Anno 1942, la guerra, con lentrata di Stati Uniti e Giappone, è veramente diventata mondiale. Sul fronte orientale, nelle sterminate distese tra Baltico e Mar Nero, la primavera arriva in anticipo dopo un inverno tra i più rigidi a memoria duomo. Il disgelo, che in Russia trasforma tutto in un mare di fango, quellanno è precoce e dura meno. Con il rialzarsi della colonnina di mercurio, anche il morale dei tedeschi, dopo la fatale batosta presa davanti a Mosca, torna a risollevarsi. L' ordine di Hitler, l'"haltenbefehl" della difesa ad oltranza, fino all' ultimo uomo e all' ultima cartuccia, delle posizioni conquistate lestate precedente si è rivelato, incredibilmente, vincente: i tedeschi hanno evitato di stretta misura il disastro e sono ora più che mai pronti a riprendere la terribile lotta. Tanto Stalin, che ha rifiutato di abbandonare Mosca rimanendo chiuso e irraggiungibile tra le cupole del Cremlino, quanto Hitler, nel suo bunker di Rastemburg, sanno che per entrambi è giunto il momento della verità. "Una storia di uomini - La Seconda Guerra Mondiale". E. Biagi. Vol. III; 1980-1986.
  6. Hobo

    Atterraggio

    Mi sono espresso male: richiami non per alzare il muso in atterraggio, ma per aumentare l'angolo d'attacco dell'ala, ecco perchè il muso è puntato verso l'alto e i motori verso il basso anche se l'aereo scende. L'apertura dei flaps, di per sè, aumenta la portanza e abbassa il muso, non lo alza; riducendo l'angolo d'attacco critico dell'ala.
  7. "Due cose arrivano dritte al cuore dell'uomo: l'oro e il pombo. Dove non arriva uno, arriva l'altro".
  8. (Correzione a sopra: Tunisi cadde in mano alleata nel maggio 1943, non nel 42). Anche il cosiddetto Vallo atlantico, che la propaganda nazista esalta e descrive come uninsuperabile barriera contro cui si sarebbero disintegrati gli eserciti avversari è in realtà solo lombra di ciò che avrebbe dovuto essere. Rommel, appena giunto in Francia, tralasciando perfino di mangiare o dormire, nella primavera del 1944 si affanna a gettare cemento sulle spiagge e a piantare i suoi asparagi, a seminare campi minati, a scavare fossati anticarro e a tirare filo spinato dappertutto, ma in realtà, appena giunto sul posto ed ispezionato tutto, gli sono cadute le braccia. Per mancanza di acciaio, scrive Gilles Perrault, le batterie costiere sono state istallate al riparo di cupole di cemento armato, fisse quindi e con un angolo di tiro limitato. I cannoni provenienti da dieci nazioni vinte, sono di 28 calibri diversi. Nella maggior parte dei casi mancano di pezzi di ricambio e cè penuria di strumenti di puntamento, indispensabili per dirigere il tiro contro quei bersagli mobili che sono le navi. I serventi ai pezzi hanno in media 45 anni e dispongono di ausiliari giovanissimi, i Marine Helfer e le Marine Helferinnen, in genere studenti e studentesse di liceo, che continuano gli studi per corrispondenza. La 7° armata [ … ] è dotata di armi di 92 modelli diversi, utilizza 252 tipi di munizioni [ … ] . I comandanti di battaglione non hanno lautomobile e dovranno andare a combattere a cavallo. Il 6° reggimento paracadutisti, un corpo scelto nel quale letà media è 17 anni e mezzo, dispone di 70 autoveicoli di 50 marche diverse. Quando il colonnello Heydte reclama larmamento indispensabile, si sente rispondere: Andiamo Heydte, ai paracadutisti bastano i pugnali!. E via con questo tono … Il solo sentir parlare di Vallo atlantico faceva ribollire il sangue nelle vene a Rundstedt. Il Vallo atlantico è quindi in realtà un immenso colabrodo. Una cosa di cui però gli alleati continuano, nonostante tutto, ad aver paura. Non si tratta invero dellinsormontabile baluardo di cemento e acciaio tanto decantato da Goebbels, ma è una catena di blockhaus mal costruita e mediocremente armata [ … ] , scrive ancora Perrault, … ma malgrado i suoi difetti resta sempre la fortificazione più formidabile che il mondo abbia mai visto. Una corda di nodi, troppo sottile e perciò fragile, ma i nodi sono costituiti da Osteck, Le Hoc, dalle rupi dello stretto di Calais e da quella spiaggia che passerà alla storia come Omaha linsanguinata. Sommando le difese di Salerno e di Anzio, non si raggiungerebbe il potenziale difensivo della sola Omaha … . Ma cè forse un altro motivo che spiegherebbe perché, a tre anni e più dalla sua impostazione, il Vallo è ancora ben lontano da quel che dovrebbe rappresentare: i comandanti tedeschi in Francia sono uomini come Rundstedt e Rommel, generali che sono dilagati in Francia nel 40 dopo aver semplicemente aggirato quella linea di difesa insuperabile che avrebbe dovuto essere (per i criteri della prima guerra mondiale) la Linea Maginot e che ora non vedono proprio a cosa servirebbe costruirne unaltra sulle sponde della Manica, dato che la prima loro lhanno scavalcata e distrutta senza difficoltà prendendola alle spalle, conquistando la Francia in un solo mese. Rommel inoltre aveva imparato a conoscere, in Italia settentrionale e ancor più in Africa, la terrificante potenza dellaviazione delle forze nemiche occidentali (e linadeguatezza della Luftwaffe nel contrastarla), cosa che lo aveva segnato in profondità. Il contatto duraturo con i nemici americani ed inglesi aveva contribuito a mutare radicalmente la dottrina della Volpe del deserto riguardo allimpiego dei mezzi corazzati in teatri dominati dallo strapotere aereo avversario. Se Geyr Von Schweppenburg veniva dalle sconfinate distese del fronte orientale, dove la Luftwaffe faceva strage degli aerei sovietici e dove vigeva ancora la concezione della guerra guerreggiata, con grandi masse concentrate di carri che filavano diretti verso oriente, totalmente liberi di muoversi come meglio credevano nella steppa infinita, Rommel al contrario aveva imparato, nel modo peggiore possibile, che laviazione americana e la RAF sarebbero piombate sui suoi carri come api sul miele, impedendo nel modo più assoluto ai panzer di muoversi, di giorno come di notte. Questa esperienza era alla base della nuova convinzione di Rommel, secondo cui, a dispetto di ogni vecchio manuale di dottrina militare tedesca, sarebbe stato inutile ed anzi controproducente radunare i mezzi corazzati in grandi gruppi autonomi di riserva strategica posti alle spalle del fronte. Infatti, gli aerei nemici avrebbero assolutamente impedito a queste riserve strategiche di carri di muoversi e di andare a raggiungere i punti del fronte in cui sarebbe stato richiesto di volta in volta il loro aiuto, perché i panzer non avrebbero semplicemente potuto viaggiare per strada, neanche la notte, come era già accaduto in Africa e in Italia. Visto e considerato questo, i carri, secondo Rommel, avrebbero dovuto essere radunati non in grandi formazioni corazzate concentrate e distanti dal fronte principale, ma in piccoli gruppi autonomi, posti immediatamente a ridosso delle spiagge, insieme alla fanteria e allartiglieria, in modo da colpire subito il nemico allatto dello sbarco stesso. In questo modo, le divisioni corazzate non avrebbero dovuto marciare allaperto per raggiungere i luoghi da rinforzare, ma si sarebbero già trovate sul posto, il nemico infatti, sempre secondo Rommel, andava rigettato in mare da subito: se fosse riuscito a mettere i piedi allasciutto, le forze tedesche così comerano non sarebbero mai riuscite a ributtarlo nella Manica e la partita sarebbe stata perduta. I carri quindi andavano posizionati sulle spiagge e non più in dietro ed avrebbero dovuto assomigliare quasi a batterie costiere fisse. In questo modo, i panzer si sarebbero già trovati sul posto in cui erano richiesti, ma la loro mobilità ed il loro raggio dazione sarebbero stati enormemente ridotti (ma questo a Rommel non interessava, dato che, vista la potenza aerea nemica, alla mobilità dei suoi carri lui ci aveva già rinunciato da un pezzo). Questa nuova idea non poteva non cozzare con quella tradizionale delle panzerdivisionen che aveva Geyr Von Schweppenburg, il quale era tra laltro sostenuto dallo stesso Guderian (e, non a caso, entrambi venivano dal fronte orientale ed avevano scarsa o nulla esperienza di guerra contro gli americani e gli inglesi). Il conflitto sullimpiego dei carri assunse dimensioni tali che Geyr Von Schweppenburg arrivò ad andare personalmente dal Fuhrer, dove, una volta che ebbe esposta con franchezza le sua idea riguardo alle concezioni di Rommel, pretese che le sue proteste sullimpiego dei mezzi corazzati in Francia venissero messe per iscritto. Hitler, che si fidava istintivamente di Rommel, chiese allora il parere dellalto comando ovest e Von Rundstedt, sebbene fosse in teoria perfettamente daccordo con Geyr Von Schweppenburg e con Guderian, dovette riconoscere che le idee di Rommel provenivano in realtà dalla sua superiore esperienza nel campo della guerra fatta contro le potenze occidentali e che di conseguenza esse non andavano assolutamente sottovalutate. Il problema si presentava quindi spinosissimo e di fondamentale importanza, perchè andava ben oltre la semplice disputa tra generali: la decisione presa riguardo alla filosofia dimpiego dei panzer in Francia poteva infatti determinare lesito finale della lotta e, in ultima analisi, decidere addirittura il risultato della guerra, come poi effettivamente fu. Hitler prese una decisione che soddisfaceva tutti e nessuno. Raggruppò le forze dei panzer in un unico poderoso nucleo corazzato e lo mise direttamente ed esclusivamente agli ordini dell OKW, in altre parole nessuno avrebbe potuto usufruire dei carri senza passare prima dallOKW dove non si muoveva foglia senza un ordine espresso del Fuhrer in persona. Questa decisione di Hitler privò Rommel del suo piano originario, in cui prevedeva di ricacciare da subito il nemico in mare mentre era ancora sulla spiaggia dovera sbarcato; privò Rundstedt di una riserva corazzata che fosse sotto il suo personale e diretto controllo e non portò neanche alladozione della condotta operativa auspicata da Von Schweppenburg; ebbe inoltre importanti ripercussioni sullevolversi dei fatti.
  9. Hobo

    elicotteri stealth

    Beh, dipende di COSA fosse dotato il nemico ...
  10. Hobo

    Atterraggio

    Assolutamente no. I piloti NON portano la cloche verso di loro in atterraggio: il muso in su dipende dall'assetto dell'aereo. L'assetto dell'aereo dipende dalla portanza e dalla velocità. In atterraggio deve diminuire la velocità per poter scendere, in questa condizione diminuisce anche la portanza; per mantenere la portanza a un livello sufficiente a far volare ancora l'aereo, l'angolo d'attacco dell'ala aumenta.
  11. Proseguirei con le cose viste dal versante tedesco. “Quando il nemico tenterà l’invasione a ovest, suonerà l’ora decisiva di questa guerra” - dice il Fuhrer la sera del 5 novembre 1943 nell’informare Rommel dell’incarico appena assegnatogli e sottolineando la storica importanza che esso riveste per il Reich - “e quell’ora deve volgersi a nostro favore”. Hitler ha sempre detestato i generali provenienti dall’alta aristocrazia prussiana (che comunque lo ripagano con la stessa moneta); ma al contrario, ripone ancora grande fiducia in Rommel, una “sua creatura” e nella sua capacità di giudizio ed è per questo che alla fine del 1943 lo invia sul fronte occidentale, dove con ogni probabilità ci si aspetta l’invasione. Il Fuhrer questa volta, come in molte altre occasioni, ha forse avuto la mano felice nella scelta dell’ispettore da inviare in Francia, ma sembra non essersi curato affatto di due cose, che, con il senno di poi, paiono essere state d’importanza fondamentale nello svolgimento degli eventi successivi. Primo: Hitler pare non essersi curato affatto di definire con chiarezza i rapporti di forza tra il comandante in capo del fronte occidentale, feldmaresciallo Von Rundstedt e Rommel, due personalità diversissime. Secondo (e ancora più importante!): sotto il controllo di chi ricadono tutte le forze corazzate disponibili in occidente e raggruppate in quello che veniva chiamato “gruppo corazzato ovest”? Sono ora agli ordini di Rommel, il nuovo “ispettore”, oppure rimangono ancora agli ordini diretti del loro “vecchio” comandante, il generale Geyr Von Schweppenburg proveniente dalla Russia? Insomma, chi comanda cosa per fare che? “Presto”, ricorda il generale Blumentritt, “le armate non seppero più se erano agli ordini di Rundstedt, o di Rommel; poiché quest’ultimo esigeva che le sue idee in materia di difese costiere venissero messe in pratica dappertutto”. Questi problemi, apparentemente di secondaria importanza, ebbero in realtà effetti imprevisti e decisivi. I tre comandanti, Rundstedt, Geyr Von Schweppenburg e Rommel, in realtà non si odiavano affatto; erano tutti e tre il fior fiore dei professionisti nell’arte della guerra, ma avevano temperamento e punti di vista completamente differenti e questo aprì nei sommi vertici del comando supremo ovest una frattura insanabile, che a lungo andare si rivelò fatale forse più dell’invasione stessa! Quando nel tardo pomeriggio del 18 dicembre 1943 Rommel scende dalla Horch davanti al castello di Pompadour, a Fontainebleau, è la prima volta che mette piede in Francia dal 1940. Sono passati ormai quasi quattro anni e molte cose sono cambiate dai tempi del travolgente trionfo della "Divisione fantasma". Anche il generale appare un uomo diverso, l’esperienza africana e dell’Italia settentrionale (da cui proviene) lo hanno profondamente mutato e molto probabilmente, in cuor suo, è già consapevole che la guerra è perduta. Il suo arrivo a Pompadour è diretta conseguenza del voluminoso rapporto sulla situazione in Francia inviato da Rundstedt ad Hitler in ottobre. Nel 1943 i tedeschi avevano apportato profonde modifiche al piano difensivo per far fronte all’invasione con le risorse limitate di cui disponevano. Fino ad allora, la Francia era stata considerata poco più che un convalescenziario dove si riposavano e riorganizzavano armate e divisioni stremate dai combattimenti in Russia. Blumentritt afferma che, “Fino al ’43, vi furono in Francia da cinquanta a sessanta divisioni le quali vennero ripetutamente sostituite da divisioni malconce provenienti dal fronte russo. Questo continuo avvicendarsi era dannoso per l’efficienza del sistema di difesa costiera. Perciò vennero formate divisioni permanenti per la difesa costiera, con un’organizzazione studiata in funzione delle esigenze locali. Questo sistema aveva il vantaggio di far sì che ogni divisione acquistasse una buona conoscenza del settore che doveva difendere e di permettere l’impiego più economico possibile delle risorse disponibili in Occidente in fatto di equipaggiamenti, materiali, ecc. Ma presentava debolezze inevitabili. Ufficiali e soldati erano per la maggior parte delle classi più anziane ed il loro armamento era inferiore a quello delle divisioni attive. Questo armamento era in gran parte formato da bottino di guerra: armi francesi, polacche, jugoslave, le quali richiedevano tipi diversi di munizioni, cosicché era più facile rimanerne privi nei momenti critici che non usando armi di tipo unico. La maggior parte di tali divisioni erano formate da due soli reggimenti di fanteria con due batterie di artiglieria da campo – un totale di 24 pezzi – e una batteria di medio calibro di 12 pezzi. L’artiglieria era ippotrainata e la sua mobilità era perciò scarsa. Oltre a queste divisioni c’era l’artiglieria costiera, ma questa, sia che il personale fosse di Marina, sia che fosse dell’Esercito, dipendeva sempre dal comando della Marina, costantemente incline a dissentire dal comando dell’Esercito”. A queste complicazioni, si andò ad aggiungere il conflitto che si apriva ora nell’alto comando ovest con l’arrivo di Rommel, mandato da Hitler a ispezionare e rafforzare le difese costiere tedesche dalla Danimarca, alla Spagna. Presto, come disse Blumentritt, le armate tedesche non seppero più se erano comandate da Rundstedt o da Rommel. "The other side of the hill - Storia di una sconfitta". Liddell Hart, 1979.
  12. << Vedere la battaglia attraverso gli occhi dell’avversario è il modo più drammatico di vederla . [ ... ]. Il problema dell’invasione visto dalla costa inglese appariva formidabile, tremendo. Guardandolo dalla costa francese, come lo vide il nemico, si possono apprezzare meglio le sensazioni di coloro che si trovavano di fronte alla minaccia di una invasione da parte di potenze che possedevano il dominio del mare e dell’aria. >> I principali comandanti in capo tedeschi sul fronte occidentale all’epoca dello sbarco a quel che mi risulta furono: per circa il primo mese Von Rundstedt, poi Kluge. Kluge non sopravvisse alla guerra, a causa del disastro in Normandia e temendo ritorsioni sui suoi familiari, per paura di Hitler, si avvelenò. Il generale Blumentritt fu capo di stato maggiore di tutti e due. In sottordine c’era Rommel, comandante del gruppo d’armate B (dalla Bretagna all’Olanda), che in pratica diresse tutta la battaglia. Anche Rommel morì. Il feldmaresciallo Von Rundstedt riferì al Liddell Hart di essere stato molto sorpreso del fatto che gli alleati non avessero tentato: “ ... un’invasione nel 1941, mentre il nostro esercito stava avanzando profondamente in Russia. Ma allora io stesso ero sul fronte orientale e senza contatti con il fronte occidentale. Quando andai in occidente e conobbi meglio la situazione, non ritenni che l’invasione fosse prossima perché mi resi conto che le vostre risorse non erano sufficienti ”. Il feldmaresciallo disse anche che aveva ritenuto lo sbarco a Dieppe, nell’agosto del 1942, nient’altro che una prova sperimentale, eseguita per saggiare le difese costiere. Al contrario, il generale Blumentritt raccontò qualcosa di diverso. Egli disse che, quando alla fine di settembre 1942 venne mandato a sostituire il generale Zeitzler come capo di stato maggiore generale ad Ovest, il comando germanico nel suo complesso era rimasto molto impressionato e non era affatto sicuro che Dieppe fosse solo una prova, ma che l’idea predominante era invece che si trattasse di un’operazione atta a saggiare le difese in vista dell’invio di altri e ben più massicci contingenti di truppe qualora il primo sbarco (a Dieppe) avesse veramente sfondato. Pare che sia il generale Zeitzler, che Keitel, abbiano considerato Dieppe una cosa molto seria. Rundstedt riferì poi anche che lui si era aspettato l’invasione nel 1943, quando i tedeschi avevano occupato anche la “Francia libera” di Vichy perché pensava che gli alleati avrebbero subito approfittato dell’eccessiva diluizione delle forze germaniche in Occidente. Anche Blumentritt stavolta disse che aveva condiviso questa idea di Rundstedt. Nel maggio 1942 infatti era caduta Tunisi ed Hitler si aspettava lo sbarco alleato nella Francia del sud, di conseguenza aveva ordinato di invadere pacificamente anche la Francia di Vichy, per affrontare meglio la situazione che si era venuta a creare con gli alleati a Tunisi. Per tutto il 1943 Hitler, a quanto riferiscono i suoi generali (Rundstedt, Blumentritt, Warlimont ... ) divenne matto dietro all’idea di uno sbarco alleato. Di volta in volta i suoi occhi saltavano sulla grande carta geografica. Ora lo prevedeva nella Francia meridionale, ora in Spagna, ora il Adriatico, poi in Olanda, o alla foce della Somme, ecc ... Il generale Geyr Von Schweppenburg riferì che addirittura gli erano arrivati gli ordini per quella che lui chiamava “una pazzia”: l’invasione della Spagna attraverso il versante ovest dei Pirenei, la mai attuata operazione “Gisela”, per prevenire lo sbarco in Spagna. Nonostante questa iniziale cantonata tuttavia, Hitler si guardò bene, per sua fortuna, dall’insospettire gli spagnoli, che avrebbero anche potuto passare dall’altra parte, qualora si fossero sentiti minacciati dai tedeschi in Francia. Secondo il generale Blumentritt, il 1943 potrebbe essere visto in campo tedesco come: “l’anno dell’incertezza”. Gli alleati in effetti cercarono di sfruttare tutto questo, impressionando i tedeschi con i falsi preparativi di un altrettanto falso sbarco, ammassando grandi quantitativi di mezzi e di natanti nell’Inghilterra meridionale, ma, osservò Blumentritt, “ ... i movimenti da voi eseguiti erano troppo ovvi: era evidente che si trattava di un bluff”. Quella messa in scena fin troppo vistosa valse addirittura a calmare il comando tedesco perché indicava che gli alleati avrebbero rinviato tutto e così fu. Il cattivo tempo autunnale era alle porte e questo significava per i tedeschi poter contare almeno su tutto un altro inverno di respiro, in cui prepararsi. La snervante attesa dei germanici, almeno per il momento, era finita con l’inizio della stagione fredda. Riassunto di varie cose, soprattutto: "The other side of the hill - Storia di una sconfitta". Liddell Hart, 1979.
  13. Con un peso massimo di 34 tonnellate, il B-58 atterrava a 165 nodi (306 chilometri orari) ! Chissà dove si fermava ! Ruote, freni e liquido idraulico degli attuatori dei carrelli erano così surriscaldati a fine corsa d'atterraggio, che avieri e pompieri dovevano ricordarsi di avvicinare l'aereo sempre e solo da prua o da poppa per essere meno esposti ad aventuali scoppi degli pneumatici. Le ruote avevano un'anima d'acciaio, così se scoppiavano, l'aereo continuava a rotolare. Il nose gear, a causa della presenza del contenitore delle armi, aveva la gamba che scorreva in dietro prima di ritrarsi verso l'avanti nel suo vano. Da quello che so, fu la comparsa dei missili SAM per la difesa strategica russa e lo sviluppo del sottomarino nucleare lancia missili balistici a decretare la fine dell'Hustler.
  14. Hobo

    Il Conte e l'Aquila di Mare

    La Pass Of Balmaha non era una nave tedesca; essa era entrata in possesso della Marina germanica come preda di guerra, in modo rocambolesco e per puro caso. Il windjammer da 4.500 tonnellate di stazza lorda, noto per la sua velocità (che con vento normale e a pieno carico si aggirava sui 10 nodi), stava infatti viaggiando in Atlantico alla volta di Arcangelo, in Russia, nel 1916, trasportando un consistente carico di cotone per una ditta americana, quando era stato fermato dall’incrociatore corazzato britannico Victorian al largo della costa norvegese. Gli inglesi, forse per accaparrarsi il prezioso cotone, o forse non convinti da qualcosa, avevano requisito la nave ed il carico; avevano lasciato a bordo della Pass Of Balmaha un equipaggio di preda composto di Royal Marines ed avevano intimato al comandante americano, che aveva preteso che le sue proteste fossero messe per iscritto, di obbedire e di fare vela per Kirkwall, alle Orkney Islands, per un’ispezione più approfondita nella grande base della Royal Navy di Scapa Flow: non ci arrivarono mai; la Pass Of Balmaha incontrò sulla sua nuova rotta l’U-36, che la bloccò, l’abbordò e con un equipaggio di preda di sommergibilisti tedeschi la fece attraccare nella base germanica di Cuxhaven. Ora, nello splendido windjammer, immesso in un bacino di carenaggio dell’area più vecchia e meno frequentata del porto di Bremerhaven, pochissimi avrebbero forse riconosciuto la Pass Of Balmaha, americana, ma costruita in Scozia nel 1878. La nave in bacino posava la chiglia su grosse tacche di legno mentre decine e decine di lunghi pali dello stesso materiale erano stati disposti orizzontalmente, come puntelli, tra le pareti in cemento del bacino ed i fianchi dello scafo d'acciaio. Ufficialmente la nave (mercantile) si trovava in bacino per “fare carena”, ma sentinelle della Marina imperiale, fucile in spalla, montavano la guardia su tutta l’area, controllando chiunque vi entrasse o ne uscisse ed inoltre un osservatore attento avrebbe potuto rimanere incuriosito dal fatto che alcuni degli uomini in tuta da operaio, che lavoravano sotto lo scafo, probabilmente per “deformazione professionale”, si erano in diverse occasioni scambiati inavvertitamente il saluto militare. Per prima cosa, gli specialisti della Marina avevano praticato un’apertura attraverso la coperta ed i ponti, per piazzare sulla chiglia, preventivamente irrobustita, uno dei nuovi motori marini da 1.500 Hp di Rudolf Diesel. Questo avrebbe permesso alla nave di poter manovrare anche in completa assenza di vento. Era stato poi scavato attraverso il dritto di poppa, appositamente riprogettato, lo spazio per l’alloggiamento dell’albero dell’elica a quattro pale, cosa che non era esistita sulla Pass Of Balmaha. Gli artefici della nuova nave – Luckner in testa – realizzarono una delle più memorabili mascherate della storia della Marina. Dalla chiglia, al ponte di coperta, quel tre alberi divenne un misterioso labirinto di finte pannellature, spazi nascosti, falsi percorsi (che avrebbero potuto ingannare anche il più pignolo degli ispettori, conducendolo in altrettanti “cul de sac”), passaggi e porte segrete. Oltre agli alloggi per l’equipaggio di 64 uomini, vennero istallati anche alloggi nascosti per circa 400 prigionieri. Von Luckner in persona insistette perché questi alloggi fossero il più confortevoli e comodi che fosse possibile e che fossero dotati di sufficiente areazione, di un servizio igienico e di libri e riviste per passare meglio il tempo. I prigionieri, secondo Luckner, avrebbero dovuto sentirsi più ospiti che prede. Al di là delle motivazioni umanitarie, che comunque non mancavano nel Conte, c’era però anche un ben più concreto motivo: Von Luckner non voleva certo che dei prigionieri maltrattati si mettessero a creare problemi a bordo, o peggio ancora, a mandare all’aria sul più bello, con tumulti e rumori, l’avvicinamento dei corsari alle loro prede. All’interno dello scafo venne poi trovato lo spazio anche per 500 tonnellate di nafta per il motore e per circa 400 tonnellate di acqua dolce. Sul ponte di coperta, il piccolo fumaiolo era orientabile e smontabile, mascherato da false sovrastrutture e conformato in modo che difficilmente il fumo che ne sarebbe uscito sarebbe andato a sporcare di nero le vele più basse. Come armamento, vennero montati due potenti cannoni navali da 105 mm, uno a dritta, uno a sinistra, anche loro accuratamente mascherati da false casse di legno, che avrebbero efficacemente simulato un falso carico, apparentemente posato sulla coperta. Tramite un accurato sistema di verricelli e funi, le pareti di queste finte casse per imballaggio si sarebbero abbattute sul ponte, scoprendo i cannoni quando ormai per la nave avversaria non ci sarebbe stato più nulla da fare.. All’interno dello scafo vennero ricavati spazi anche per nascondere fino al momento giusto i fucilieri di Marina, che all’ultimo sarebbero balzati fuori per abbordare la nave nemica. Carpentieri esperti ed istruiti (o minacciati) affinchè mantenessero il più completo riserbo su ciò che avevano fatto e visto, istallarono false pareti mobili e passaggi nascosti nelle cabine del comandante, degli ufficiali e dell’equipaggio. In questo modo, ci si sarebbe potuti spostare non visti nella nave, scomparendo in un punto dello scafo, per riapparire inaspettatamente in un altro. Come già detto, la nave alla fine risultò un vero labirinto. Da ultimo infine, il nero dell’elegante scafo della Pass Of Balmaha sparì sotto abbondanti mani di bianco. La nave era oramai del tutto irriconoscibile. Ora veniva la parte più difficile: darle una nuova identità ed un nuovo passato; la Pass Of Balmaha semplicemente sparì nel nulla e comparve la Seeadler, ufficialmente nave scuola della Marina imperiale tedesca. All’inizio i servizi tedeschi misero gli occhi sulla Maleta, una nave norvegese (e quindi neutrale) che si sapeva ferma a Copenaghen. Di conseguenza, una bella mattina, un certo Phelax Luedige si presentò sul molo a Copenaghen, dove la nave norvegese stava scaricando merci, in attesa di ripartire per Cristiania, più o meno lo stesso giorno in cui anche la Seeadler avrebbe casualmente preso il mare. Luedige si fece assumere come scaricatore, ma la sua vera missione era fregare il giornale di bordo e tutti i documenti della Maleta per garantire alla Seeadler la sua falsa identità. Con astuzia, Phelax Luedige lo scaricatore di porto si conquistò la simpatia del guardiano notturno della Maleta, studiandone accuratamente le abitudini. Una notte in cui tutto l’equipaggio della nave era sceso a terra e il guardiano notturno era scivolato nel sonno, Luedige salì furtivamente a bordo e tagliò le cime d’ormeggio della Maleta, ma senza segarle del tutto. In questo modo, appena la marea si fosse abbassata, la nave, abbassandosi rispetto al molo, avrebbe provocato la rottura degli ormeggi, già indeboliti dal coltello di Luckner. Non appena questo successe e lo schiocco sonoro delle cime che si spezzavano richiamò l’attenzione del guardiano, che si precipitò a prua, Phelax Luedige si infilò in cabina, facendo sparire tutti i documenti della nave; fatto questo, non visto, si dileguò. Nonostante il successo di quest’impresa però, la fortuna parve voltare le spalle ai tedeschi perché la Maleta prese il mare in anticipo, quindi per non far risultare contemporaneamente in mare due navi con lo stesso nome, i tedeschi si dovettero cercare un’altra nave cui andare a fregare i documenti. La scelta cadde sulla Carmoe, norvegese pure lei, ma si scoprì all’ultimo che era sotto sequestro degli inglesi a Kirkwall. Vennero allora prese in considerazione diverse navi, finchè non si arrivò all’Irma, sempre norvegese, i cui registri ed il cui libro di bordo però risultarono così maltenuti e deteriorati, che a bordo della Seeadler si dovettero inscenare gli esiti di una falsa tempesta per giustificare il cattivo stato delle carte di bordo. Riguardo all’equipaggio della nave pirata, anch’esso era assolutamente non convenzionale. Il Conte Von Luckner scelse personalmente i suoi 64 uomini ad uno ad uno e molti di loro risultavano tra i più indisciplinati ed intolleranti dell’autorità di tutta la Kaiserliche Marine. Tuttavia, erano tutti uomini dotati di coraggio, di un’intelligenza non comune, indipendentemente da come avevano deciso d’usarla e tutti parlavano almeno una lingua straniera; molti parlavano norvegese ed inglese, come il loro comandante e tutti avevano un carattere indipendente, erano abituati a prendere da soli decisioni anche drastiche e a contare solo su sé stessi. Uno di loro, un ragazzino di nome Schmidt, venne scelto per il suo aspetto glabro ed “aggraziato”, che gli sarebbe tornato utile quando avrebbe dovuto immedesimarsi nel ruolo di Josephine, la giovane moglie del capitano norvegese Knudson... Siccome poi Schmidt non parlava norvegese, allora venne istruito per tacere e simulare un terribile mal di denti. Quanto a Knudson, il Conte Von Luckner, per entrare meglio nella parte, mise via la sua pipa tedesca a cannello corto e rispolverò la vecchia abitudine, appresa a bordo delle navi norvegesi, di masticare una buona cicca di tabacco macerato in succo di prugne, tenendola tra il labbro inferiore e i denti e sputando di quando in quando pezzi di tabacco, secondo una tipica abitudine degli uomini di mare norvegesi. Inoltre, come diceva Luckner, “masticare tabacco è molto utile, perché ti da tempo di pensare a quello che dici. Se qualcuno ti fa una domanda imbarazzante, tu puoi spostare la cicca da una parte all’altra della bocca, stringere adagio le labbra e sputare deliberatamente per terra prima di rispondere, con eleganza...”. Alla fine, a metà novembre, la finta Irma, documenti completamente falsi, carico fasullo, pesante armamento nascosto, equipaggio di delinquenti-attori e l’amabile capitano Knudson con dolce consorte al seguito, era ormai pronta a sgusciare fuori da Bremerhaven, per forzare il blocco inglese.
  15. Mi dispiace, a volte non ho tempo di leggere tutto, ho letto superficialmente.
  16. Precisazione. Lo Sbarco in Normandia inizia con sei versi di Verlaine, trasmessi dalla BBC in precisa sequenza: La sera del primo di giugno 1944: "Les sanglots longs / des violons / de l'automne". I lunghi singhiozzi dei violini d'autunno; i primi tre versi. Alle ore 18:00 del 5 giugno: "Fa caldo a Suez", ripeto: "Fa caldo a Suez". I partigiani fanno scattare il Piano Verde: il sabotaggio dei nodi ferroviari immediatamente alle spalle del fronte di sbarco. Pochi minuti dopo: "I dadi sono sul tappeto", ripeto: "I dadi sono sul tappeto". Scatta il Piano Rosso: linee telegrafiche e telefoniche. La sera stessa del 5, qualche ora più tardi, arriva quello storico e definitivo: "Blessent mon coeur / d'une languore / monotone". Feriscono il mio cuore con monotono languore. L'invasione. Al comando della 15° armata tedesca, il capo dell'ufficio informazioni, Hellmuth Meyer, sa benissimo che cosa significano tutte quelle parole apparentemente insensate. Glielo ha detto l'ammiraglio Canaris (che sarà torturato ed impiccato due volte per pura cattiveria a Plotzensee, prima di essere ucciso definitivamente, appeso a ganci da macellaio, per il suo probabile coinvolgimento nell'attentato a Hitler). L'allarme gettato dal responsabile delle informazioni della 15° armata cadrà nel vuoto. Da "Una storia di uomini - La Seconda Guerra Mondiale". E. Biagi, 1980- '86. Vol. VI.
  17. “Amici del continente, qui è Radio Londra, buonasera! Trasmetteremo ora una serie di messaggi per i patrioti nostri amici: Le carte sono sul tavolo, ripeto, le carte sono sul tavolo; Josephine non ha più febbre, ripeto, Josephine non ha più febbre; ...I lunghi singhiozzi dei violini d’autunno ... ... feriscono il mio cuore con monotono languore ... ”. << Per quattro anni dal balcone del municipio aveva sventolato una bandiera con una svastica enorme e Sainte Mère Eglise, paziente e scettica, era stata a guardare i progressi dell’occupazione germanica. Si ricordavano i lontani giorni del 1940, quando il fior fiore dell’esercito tedesco (fiero e sicuro di sé) aveva marciato per le vie della città cantando: “Wir Fahren gegen England!” (Siamo in viaggio per l’Inghilterra, ndr.) e promettendo che in tre settimane l’Inghilterra sarebbe stata Kaputt. Davanti a quei soldati, gli abitanti della città non avevano potuto soffocare un sentimento di scontrosa ammirazione, ma i ragazzini si erano ben presto perfezionati nella tecnica di produrre strani rumori gorgoglianti che rovinavano la pompa delle parate militari. Poi, rimandata l’invasione dell’Inghilterra, si era vista la fierezza tedesca offuscarsi un poco e da allora le forze di occupazione di Sainte Mère Eglise erano state lo specchio del continuo, irresistibile decadimento dell’esercito tedesco. A poco a poco, alle truppe scelte, trasferite via via in Russia, in Africa settentrionale o in Italia, si erano sostituiti reggimenti composti di ragazzi, o di uomini anziani, soldati convalescenti o parzialmente invalidi e, da ultimo, i più scadenti tra i coscritti stranieri. Al tempo stesso, in città si aggravava l’ombra cupa dell’occupazione, con la paura continua, l’aumento dei prezzi, la scarsità delle merci, la borsa nera, le voci ricorrenti di improvvise tragedie. Ma la pena maggiore era forse l’umiliazione, il pensiero che dopo secoli di fiera indipendenza, l’ultima generazione normanna si era arresa a una potenza straniera di villani rifatti. Attraverso le trasmissioni della BBC, Sainte Mère Eglise seguiva l’andamento della guerra e, una stagione dopo l’altra, aspettava la liberazione. da principio i suoi abitanti prestavano fede ad ogni voce che parlasse di sbarco, andando così in contro a ripetute delusioni. Agli inizi della primavera 1943, quando la BBC aveva consigliato di abbandonare le coste, tutti aspettarono la grande offensiva. Churchill parlò alla radio e i normanni si sentirono sicuri che prima dell’autunno gli inglesi avrebbero invaso la Francia. Ma anche quell’autunno era passato senza invasione e la prospettiva di un altro inverno in quelle condizioni scosse un poco la fiducia degli abitanti di Sainte Mère Eglise. Nel marzo e nell’aprile 1944 si cominciarono a notare i segni di una rinnovata attività tedesca. truppe dirette a nord attraversarono nella notte Sainte Mère Eglise dopo aver requisito carri e cavalli per trasportare l’equipaggiamento; in città era stata piazzata una batteria antiaerea e nei paesi vicini erano stati alloggiati vari nuovi battaglioni che facevano esercitazioni continue. Erano i risultati dell’energia di Rommel e dell’arrivo di quelle nuove divisioni che avevano sconvolto i piani relativi alle truppe aviotrasportate. In maggio i tedeschi, con discreta ingenuità, chiesero la collaborazione dei francesi validi per installare le postazioni antialianti. Quanto prima fosse finito quel lavoro, tanto meglio sarebbe stato perché i Tommies non avrebbero potuto atterrare nelle vicinanze di Sainte Mère Eglise e di conseguenza alla città e ai dintorni sarebbe stata risparmiata la distruzione. I francesi furono stupiti di apprendere che i tdeschi si aspettavano davvero un’invasione: loro stessi ormai avevano finito con il non crederci più ed erano persuasi che se mai gli inglesi fossero davvero sbarcati sul continente lo avrebbero fatto nella zona di Calais o in olanda. nemmeno l’intensificarsi dei bombardamenti sulla costa, ai primi di giugno, modificò il loro convincimento. La bandiera con la svastica sventolava da tanto tempo sul municipio che non osavano sperare di vederla scendere. Ma la notte del 5 giugno, in un aeroporto inglese, il comandante di un reggimento di paracadutisti mostrò ai suoi uomini una bandiera americana: era quella che aveva sventolato a Napoli subito dopo la caduta della città, spiegò, e promise loro che quella mattina stessa essa avrebbe sventolato ancora, a Sainte Mère Eglise. Il delicato compito di rappresentare la cittadinanza nei rapporti con i tedeschi era toccato al sindaco, Alexandre Renaud, proprietario della farmacia sulla piazza principale della città. Di solito i farmacisti conoscono molto bene i loro concittadini ed altrettanto si può dire dei sindaci: il signor Renaud, che era l’uno e l’altro, sapeva all’incirca vita, morte e miracoli di tutti, a Sainte Mère Eglise. Chino sulle sue ricette dietro il banco, con gli occhiali sul naso, aveva un’aria tanto dotta e mite che nessun forestiero avrebbe mai sospettato l’astuzia e la fermezza di cui diede prova. Durante quei quattro lunghi anni dolorosi, seppe difendere ad oltranza i diritti dei suoi concittadini e senza provocare le violenze dei tedeschi, che non fu certo un successo da poco. Renaud aveva visto i giorni migliori dell’esercito francese: andava fiero di aver combattuto a Verdun e, da vecchio soldato tuttora in grado di apprezzare le sfumature del comportamento militare, fu pronto a giudicare gli ufficiali tedeschi che si susseguirono al comando della guarnigione della sua città. Per la maggior parte, preoccupati solo di eseguire gli ordini, erano correttissimi nelle loro domande e non tradivano mai i propri sentimenti; qualcun altro faceva il bravaccio e qualcuno rivelava addirittura apertamente di none essere a proprio agio nella parte del conquistatore. I comandanti delle due unità che si trovavano nella zona in maggio, il battaglione di fanteria e la batteria antiaerea, erano due caratteri diametralmente opposti. Il comandante della fanteria, un fanfarone che aveva commesso l’errore di giudicare il sindaco dal suo aspetto bonario cercò di umiliarlo e impaurirlo, poi, di fronte alla sua collerica reazione, minacciò di giustiziarlo immediatamente se fossero sbarcati i Tommies. Era stata forse una minaccia a vuoto, ma Renaud non fu certo dispiaciuto quando il battaglione se ne andò. restava in città solo la batteria antiaerea, il cui comandante era un anziano austriaco, critico musicale, si diceva, di una rivista viennese. Se la voce corrispondeva a verità, è facile immaginare quali gioie gli procurasse il soggiorno a Sainte Mère Eglise. […] Lo spettacolo cominciò con l’incendio di una casa di fronte alla farmacia. Renaud era appena andato a letto, preoccupatissimo, perchè dalle finestre del piano superiore aveva visto, in direzione della costa, i lampi ed il riflesso di un bombardamento eccezionale. Si alzò udendo qualcuno che bussava alla porta: i pompieri avevano bisogno di uomini per trasportare l’acqua. Il farmacista si vestì in fretta e corse alla casa ormai in fiamme. nessuno sapeva come fosse accaduto. Poteva darsi che fosse stata soltanto una disgrazia., ma poiché il cielo era pieno d’aeroplani, sembrava probabile che qualcosa fosse accaduto sul tetto, incendiandolo. Ora si trattava di salvare un vicino granaio e squadre di volontari trasportavano l’acqua dal mercato del bestiame poco lontano. […] Le fiamme illuminavano il campanile da dove gli artiglieri tedeschi sparavano invano contro gli aeroplani, riempiendo il cielo delle parabole dei proiettili traccianti mentre altri uomini della batteria, in attesa dell’ordine di aprire il fuoco dalle loro postazioni in piazza, osservavano il lavoro dei pompieri e lontane esplosioni di bombe facevano vibrare la terra. Poi, tra i rumori della guerra, echeggiò il suono delle campane, rapido, continuo, insistente: campane a martello, il Tocsin, l’antico segnale d’allarme. Renaud, che si stava avviando alla pompa, si fermò di botto e con il cuore stretto da una nuova angoscia si domandò quale disastro ancora si preannunciasse. D’istinto alzò gli occhi al campanile e vide: quasi sfiorando i tetti e gli alberi, quasi senza rumore, uno stormo di aerei sorvolava la città con tutte le luci accese, stagliandosi nero nel riflesso della luna; poi, come la prima ondata spariva in lontananza, giganteschi confetti galleggiavano nella loro scia. Sindaco e pompieri guardavano sbalorditi, dimentichi dell’incendio, faticando a convincersi che lo sbarco tanto atteso fosse finalmente in atto, e proprio a Sainte Mère Eglise. lassù i paracadute si profilavano nettissimi contro il cielo; via via che scendevano, anche gli uomini, illuminati dall’incendio, divenivano visibilissimi. Li videro anche gli uomini della batteria, sul campanile in piazza e abbassarono il tiro. Gli spettatori, inorriditi, videro contorcersi un uomo colpito mentre oscillava nell’aria: videro un paracadute afflosciarsi su un albero ed il paracadutista accingersi a scendere e poi ciondolare inerte appeso alle corde. Anche i mitraglieri lo avevano visto. Videro un uomo cadere in mezzo alle fiamme e sprofondare attraverso il tetto incandescente. ne sprizzò un fascio di scintille e le fiamme splendettero più vive. E intanto altri stormi solcavano il cielo, le campane continuavano a suonare, gli spari echeggiavano per tutta la piazza. I tedeschi ordinarono ai francesi di ritirarsi in casa e Renaud, in ansia per la moglie e i figli, ubbidì di corsa. Di sotto l’albero dov’era caduto il soldato americano, un tedesco gli gridò, indicando soddisfatto il corpo senza vita: ”Tommies… tutti Kaputt!”. Quel fatuo ottimismo dovette essere condiviso, per il momento, dai tedeschi che erano in piazza perché i pochi paracadutisti che ebbero la sventura di finire da quella parte costituivano un bersaglio fin troppo facile, nel riflesso dell’incendio. Nessun piano naturalmente, aveva contemplato un lancio sui tetti della città; i pochi uomini che vi capitarono, erano gli sbandati di un intero reggimento atterrato tra la città e il fiume. Di 2.500 uomini, un migliaio almeno erano scesi entro il perimetro di lancio e si erano immediatamente radunati; la maggior parte degli altri erano scesi poco lontano e prima dell’alba erano ricomparsi tutti. Un’ora dopo l’atterraggio, il reggimento aveva già iniziato le prime operazioni che consistevano nel ripulire Sainte Mère Eglise e bloccare la strada che dalla città portava a nord e a sud. Da vecchio soldato coraggioso Renaud non seppe resistere al desiderio di uscire ancora per vedere come andavano le cose e gli venne così di passare accanto a una grande vasca, che era stata un tempo il lavatoio pubblico, giusto in tempo per afferrare le corde di un paracadute e ripescare un uomo che annaspava nell’acqua. ma dopo quell’avventura si affrettò a rientrare e passò il resto della notte accanto alla moglie e ai figli, cercando di interpretare gli eventi dai rumori che giungevano fino a lui. Soltanto le mitragliatrici sul campanile sparavano, ormai; dalla piazza, completamente buia, saliva un rombare di macchine e motociclette e Renaud immaginò che la batteria antiaerea si stesse ritirando. Poi dalle due alle tre regnò uno strano minaccioso silenziò. Intorno alle tre, guardando dalla finestra, vide accendersi qualche fiammifero, sotto gli alberi vide splendere le braci di qualche sigaretta, vide il lampo di una torcia elettrica e si domandò chi potessero essere: tedeschi, o Tommies? Come Dio volle, il cielo cominciò a scharirsi e quando la luce penetrò sotto gli alberi, Renaud scoprì con immenso stupore che la piazza era occupata non da tedeschi o da Tommies, ma da uomini con l’elmetto tondo che, nelle fotografie dei giornali tedeschi, aveva visto in capo alle truppe americane. In tanti anni di trasmissioni della BBC, la gente di Sainte Mère Eglise non aveva mai immaginato che a liberarla sarebbero stati, alla fine, gli americani. Appena dopo l’alba, un capitano dei paracadutisti bussò alla porta di Renaud, si presentò e gli offrì un pezzo di gomma da masticare. Il nuovo regime era cominciato. Il capitano chiese la strada per andare al quartier generale del comandante germanico e Renaud ve l’accompagnò di persona, ma durante la notte il critico d’arte musicale viennese e tutti i suoi uomini se n’erano andati. Così, Sainte Mère Eglise ebbe l’onore di essere la prima città francese liberata dalle truppe alleate; onore che ancora oggi ricorda con fierezza, specie nella festosa ricorrenza del 6 giugno. ma un onore che costò caro e che i francesi non hanno ancora finito di pagare, perché nei due giorni seguenti, mentre i carri armati ed i rinforzi affluivano dalla spiaggia Utah, i tedeschi puntarono le loro batterie sulla città e la bombardarono senza misericordia, così che molti dei concittadini di Renaud, sopravvissuti indenni a quattro anni di occupazione, morirono nei primi due giorni di quella libertà tanto sognata >>. L’ 82° divisione di paracadutisti americana atterra a Sainte Mère Eglise, la mattina del 6 giugno 1944. Da: “Il giorno dell’Invasione”; David Howarth, Longanesi, 1965.
  18. He he he guarda che ci vogliono cojones belli grossi sotto per evitare all'ultimo una montagna non vista senza svenire per le G, per poi atterrare con la fusoliera storta e la coda ridotta in quel modo.
  19. Condoglianze alle famiglie dei caduti. Pronta e totale guarigione per i feriti!
  20. Hobo

    elicotteri stealth

    Si, ma penso che un elicottero sia ancora più difficile da nascondere al radar, all'infrarosso e all'ultravioletto rispetto ad un aereo.Nel campo degli elicotteri gli scontri avvengono su distanze di pochi chilometri, a volte a bruciapelo, mentre nel campo degli aerei le distanze di intercettazione possono essere enormi. Inolte, la parte più esposta e "visibile" di un elicottero in genere sono proprio le pale del rotore, che rappresentano la prima parte del velivolo che può sporgere da sopra i nascondigli dietro cui si ripara e che sono mobili ed in cui bisogna conciliare le esigenze della portanza e delle cerniere di giunzione all'abero con quelle della invisibilità. Comunque, da quello che so io, più che un AH, il Comanche avrebbe dovuto essere un RH-66, cioè il suo compito principale avrebbe dovuto essere proprio la ricognizione avanzata, dove l'invisibilità lo avrebbe reso un mezzo unico nel suo genere. Le sue informazioni avrebbero dovuto costituire una parte preziosa della ricognizione del campo di battaglia tramite data-link, insieme con gli aerei degli osservatori avanzati e con gli E-8 J-STARS (Joint Surveillance and Target Attack Radar System, sistema radar congiunto di sorveglianza e attacco). Il Comanche avrebbe dovuto operare in strettissima collaborazione con i più pesanti Apache "Longbow". Ma del Comanche non se ne fece più niente. Per me, sono mezzi, come anche l'F-22, che vengono da un'epoca relativamente più facile di quella di oggi; in cui c'erano altre esigenze e soprattutto c'erano molti, ma molti più soldi di oggi.
  21. Hobo

    Il Conte e l'Aquila di Mare

    L’appellativo di “windjammer” suonava in realtà come un insulto alle orecchie di un marinaio della seconda metà dell'ottocento e inizialmente venne usato, in teoria, per sottolineare le dimensioni per quei tempi spropositate di questi velieri e per indicare navi che probabilmente si sarebbero mosse con goffaggine nel vento degli oceani. La realtà avrebbe dimostrato il contrario. I windjammers si rivelarono le più possenti e veloci “macchine a vela” mai costruite a memoria d’uomo e non avrebbe potuto essere diversamente. Ancora un mattino d’ottobre del 1934, una di queste navi appartenenti ad un’epoca ormai tramontata (quella della vela) dette l’ultima è più strabiliante dimostrazione di quello che un windjammer poteva fare se le condizioni gli erano favorevoli. I passeggeri e l’equipaggio del piroscafo britannico accalcavano i ponti per ammirare quell’imponente veliero, che pareva un’apparizione d’altri tempi: l’agile scafo bianco e i quattro alberi altissimi ed inclinati sotto il vento teso erano letteralmente ricoperti da una foresta di vele candide come neve. L’intera nave sembrava una nuvola bianchissima che correva sulla superficie del mare, apparentemente senza alcuno sforzo. Per il capitano Sven Eriksson il suo Herzogin Cecilie, un quattro alberi finlandese, partito da Belfast e diretto a Port Lincoln in Australia, dove avrebbe caricato grano, nonostante i suoi 32 anni di vita era tutto meno che un rudere anacronistico nell’era delle macchine. Il comandante del piroscafo, avvistato davanti a sé il veliero, chiamò la sala macchine e dette ordine di dare tutto vapore; avrebbe offerto ai suoi passeggeri un ricordo indimenticabile. Avvicinatosi al vecchio veliero, lo avrebbe superato con una mossa emozionante, tagliandogli la rotta, per poi proseguire su Rio de Janeiro, dov’erano diretti. Accortosi delle intenzioni del comandante del piroscafo, Eriksson decise che non si sarebbe arreso senza combattere ed ordinò a tutto il suo equipaggio di salire a sbrogliare le vele fino ai controvelacci, mentre il piroscafo si avvicinava. L’Herzogin Cecilie ora presentava al vento tutti i suoi quattromila e duecento mq di tela pesante e balzò in avanti. Lavorando furiosamente ai grandi verricelli sul ponte, gli uomini del veliero, robusti ragazzi di vent’anni dai muscoli d’acciaio, cresciuti alla dura scuola della vela d’altura, avevano capito le intenzioni del loro comandante e ora si gettavano a capofitto nell’impresa, bracciando gli immensi pennoni della loro nave, in modo che l’enorme velatura prendesse ancora meglio il vento che andava rapidamente rinforzando e che soffiava ora con forza quasi di burrasca, a 35 – 40 nodi. La prua dell’Herzogin Cecilie scintillava superba al sole, acquistando sempre più velocità. 16 nodi, 17, ora 18. L’impavesata sottovento era ormai completamente lambita dalle onde. Enormi cavalloni presero a spazzare sibilando il castello di prua. Solo la forza congiunta di due uomini aggrappati alla pesante ruota del timone gli consentiva di tenere la rotta. Il comandante a poppa osservava, la testa reclinata all’indietro, ora il vento, ora le vele. Per un lungo momento veliero e piroscafo furono fianco a fianco. Molti dei passeggeri della nave a vapore lanciarono grida d’incitamento. Poi, a poco a poco, successe l’incredibile. Lentamente, ma con determinazione il grande veliero superò in velocità la nave passeggeri ed iniziò a distaccarla. Mentre il transatlantico restava inesorabilmente sempre più indietro, il suo comandante fece lanciare tre fischi con la sirena a vapore della nave, riconoscendo incredulo la propria sconfitta, quindi, in segno di saluto per il vincitore, fece ammainare ed issare di nuovo la rossa bandiera britannica, l'Herzogin Cecilie rispose educatamente facendo lo stesso con la bianca bandiera finlandese. Le due navi si separarono, seguendo rotte diverse, gli alberi dell’Herzogin Cecilie sparirono all’orizzonte. Il suo breve, orgoglioso trionfo era finito, ed era del tutto improbabile che avrebbe potuto ripetersi. Collana "I grandi navigatori"; Vol. "I velieri mercantili", di Oliver E Allen. CDE Gruppo Mondatori
  22. Ardenne, inverno 1944. Nonostante il valore dei soldati tedeschi, la realtà fu ben diversa da quella sperimentata nel 1940. I rinforzi alleati che giungono da nord e da sud sono incommensurabilmente superiori sotto ogni aspetto a quelli su cui possono contare i tedeschi. La differenza è sostanziale ed è questa: i tedeschi praticamente di rinforzi non ne hanno. Non sono state previste riserve tattiche e men che meno strategiche (semplicemente perchè non esistevano). Model aveva spietatamente raggranellato, con un talento tutto suo, ogni soldato tedesco in grado di reggere un fucile al di sotto dei 70 anni d’età, riuscendo a mettere insieme circa 250.000 uomini abbastanza ben equipaggiati, cosa che lascerà di stucco i generali alleati, i quali davano la guerra per finita e scommettevano ormai solo sul quando questo sarebbe successo, se entro il Natale oppure dopo; l’affondo dei Tiger e dei Panther nelle Ardenne tolse loro questa bella sicurezza. La dura realtà è che però l’offensiva si rivela nient’altro che una pazzesca partita d’azzardo, l’ultima per i tedeschi, che la perdono nonostante i sacrifici e gli sforzi fatti. L’aviazione alleata e un fatto terribilmente concreto con cui le truppe germaniche devono ora fare i conti e sono conti tutti in rosso per i nazisti. Passato il brutto tempo che impediva agli aerei di volare, nonostante l’ormai consolidata maestria nel mimetizzare i carri durante il giorno (appresa in Russia), coprendoli con zolle erbose o con alberi tagliati o ficcandoli dentro case e granai, i mezzi corazzati germanici non possono più uscire e muoversi di giorno: i Thunderbolt e i Typhoon ne fanno strage ed anche durante la notte uscire e viaggiare allo scoperto è pericoloso per i tedeschi. Come se non bastasse poi cala su di loro come una mannaia l’insindacabile dictat dell’ago dell’indicatore dei serbatoi del carburante, che oramai segna rosso fisso e non c’è più nulla da fare, la partita è chiusa, gli uomini devono saltare fuori ed abbandonare i carri rimasti a secco se si vogliono salvare la pelle. Il valore dei comandanti tedeschi è però fuori discussione e le truppe dell’una e dell’altra parte continuano a battersi bene. Ancora il 23 dicembre: << … malgrado la grande superiorità americana in quel settore, i paracadutisti della 5° divisone del colonnello Heilmann cedono terreno molto lentamente. Passa Natale e Bastogne è ancora assediata. La mattina del giorno di Santo Stefano le avanguardie della 4° corazzata sono a 6 miglia da Bastogne. Gaffey alle 14 telefona a Patton: “Posso rischiare?”. “Di che si tratta?”. “Vorrei lanciare su Bastogne il combat command R. Il terreno è gelato, i carri vanno bene”. “Vai”. Alle 16,50 il plotone del tenente Bogess (3 Sherman e mezza dozzina di Half-tracks) intravede tra gli alberi un gruppetto di uomini in uniforme americana: sono i genieri del 316° battaglione, uno dei reparti assediati. Il caposaldo è sbloccato. La resistenza è costata 482 morti e 2449 feriti, Bastogne entra nella leggenda. Ma la battaglia delle Ardenne non è ancora finita.>> << L’anno nuovo nasce con pessimi auspici per i tedeschi. Il 3 gennaio Montgomery attacca – finalmente! – il fianco nord del cuneo di penetrazione. Come sappiamo, Patton è già da parecchi giorni all’offensiva sul fianco sud. Le dimensioni della sacca si riducono di ora in ora. Il 5 gennaio la punta del cuneo – che era arrivata come si sa a 6 chilometri dalla Mosa – è ora retrocessa ad est di Rochefort (30 chilometri dal fiume). Dieci giorni dopo i tedeschi sono respinti a Houffalize (70 chilometri dalla Mosa). Ma l’anno nuovo porta guai anche in casa alleata: scoppia infatti la grana delle dichiarazioni di Monty alla stampa. Il maresciallo inglese infatti è noto per il suo caratteraccio, per l’infinita arroganza, per la straordinaria supponenza. La decisione di Eisenhower di affidargli anche le unità USA del fronte settentrionale della sacca ha dato fiato alla sua vanità. E così se ne esce il giorno 7 gennaio con un’apologia del proprio operato che, nient’affatto celatamente, comporta una critica pesante nei confronti degli americani. Praticamente si attribuisce tutti i meriti della controffensiva. Nei comandi americani esplode l’indignazione. Negli Stati Uniti l’opinione pubblica ribolle. Il giorno seguente, l’8 gennaio, Bradley fa delle controdichiarazioni, ristabilendo la verità; ma i rapporti tra i due alleati si sono pericolosamente incrinati. Bradley va da Eisenhower e gli dice chiaro e tondo che se per caso ha in testa di mettere tutte le forze di terra sotto il comando di “Monty” lui non accetta. “Rimandatemi in America”, conclude Bradley. Ike arrossisce, balbetta qualcosa, ma è chiaramente in difficoltà. sa benissimo che Patton è della stessa idea e che ha detto a Bradley: “Brad, se tu vai, io vengo via con te”. Gli americani hanno ragione da vendere. Hanno subito soli l’enorme pressione dell’offensiva tedesca, hanno sopportato le perdite, hanno organizzato e sferrato la controffensiva e “dopotutto”, scrive Bradley, “non solo eravamo competenti quanto gli inglesi, ma oramai gli USA avevano impegnato 50 divisioni nel teatro europeo, in confronto alle 15 dell’Inghilterra”. Ci vorrà del bello e del buono per rimettere insieme i cocci …>>. << Il risultato è che il 17 gennaio la 1° armata USA torna sotto il comando di Bradley. Per fortuna, nel frattempo, i comandanti di teatro non si sono lasciati coinvolgere nella diatriba e hanno continuato nella distruzione delle forze nemiche incuneatesi nella sacca. Alla fine di gennaio 1945 la sacca è quasi completamente eliminata, il grosso delle forze tedesche (quelle che sono riuscite a sottrarsi all’implacabile morsa) si è ritirato dietro la linea Sigfrido. Il 7 febbraio non c’è più un tedesco nel saliente, anzi, le forze alleate nel settore nord sono addirittura avanzate mediamente di 30 chilometri rispetto all’andamento della linea qual era il 16 dicembre, all’inizio dell’operazione Herbstnebel. Non solo è tramontata per sempre l’utopistica speranza di Hitler di capovolgere le sorti del conflitto, ma la Germania ha perso le ultime forze valide per contrastare l’imminente offensiva russa di primavera. Il bilancio delle perdite alleate è pesante: 6.700 morti, 33.400 feriti, 18.900 dispersi. In totale assommano a 59.000 uomini, l’equivalente di quattro divisioni. Inoltre gli angloamericani devono riconoscere di aver subito una dura lezione: troppo ottimisti, troppo superficiali i comandi superiori, troppo rilassate le truppe. Soprattutto scriteriati i pianificatori dello Stato maggiore che hanno trascurato la difesa sui fianchi, il che ha impedito una pronta reazione all’infiltrazione tedesca, anche se le “spalle” del dispositivo hanno resistito bene all’urto. Insomma, gli angloamericani sono stati a un pelo dal disastro: bastava che il colonnello Peiper si impadronisse degli 11 milioni di litri di benzina del deposito di Adriment perché – forse – il sogno folle di Hitler si tramutasse in tragica realtà >>. Da “Una storia di uomini – La Seconda Guerra Mondiale”. Di E. Biagi 1980-’86. Vol. VII. Pag 2324.
  23. Ob's stürmt oder schneit, Ob die Sonne uns lacht ... ... Mit donnernden Motoren, Geschwind wie der Blitz, Dem Feinde entgegen, Im Panzer geschützt. Voraus den Kameraden, Im Kampf steh'n wir allein, Steh'n wir allein, So stoßen wir tief In die feindlichen Reihn ... Nella neve, o nella tormenta, O sotto il sole bruciante Tra l'ululato dei motori Ci precipitiamo contro il nemico Chiusi nelle nostre corazze. I nostri camerati dietro di noi, Affrontiamo da soli il nemico Si, combattiamo soli Noi sfondiamo le linee, in mezzo al grosso degli avversari ...
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