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Infatti sono velivoli di categorie diverse e per compiti diversi. L' UH-60 potrebbe trasportare tranquillo un UH-72 appeso al suo gancio baricentrico.
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Quindi la ventola davanti sarebbe una specie di elica o "turboelica"?
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Argh, l'aeronautica non mi fà dormire
Hobo ha risposto a typhoon nella discussione Aeronautica Militare
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Se hai il libro verifica se sparo qualche inesattezza perchè non cìho tempo. Comunque, io credo che i paracadutisti sono truppe combattenti altametne addestrate a combattere circondate dal nemico. Se ho vent'anni e vedo il mio comandante su di giri e mi dicono che presto partiremo per la più importante operazione aviotrasportata della guerra e che probabilmente contribuiremo in modo decisivo alla vittoria, pure io mi metto a scrivere sui muri che non vedo l'ora di partire. “Signori, si prevede una passeggiata in Olanda ..." Montgomery illustra i piani della sua operazione allo stato maggiore del generale Browning, comandante del 1° corpo aviotrasportato inglese e vicecomandante della 1° armata aviotrasportata alleata (che comprende anche gli americani). La gestazione di tutta l’operazione è durata una settimana: troppo poco. Browning ascolta in silenzio. Appena Montgomery ha finito, il dito di Browning è fisso sulla cartina, a indicare il ponte stradale sul Reno ad Arnhem: “Signor Maresciallo, quanto ci metteranno a raggiungerci i mezzi corazzati?”. “Due giorni”, risponde Monty. “Possiamo tenerlo per quattro”, ribatte Browning, con gli occhi fissi sulla carta. Poi aggiunge: “Ma temo Signor Maresciallo che quell’ultimo ponte sia un po’ troppo lontano”. L’idea è tanto semplice quanto geniale: “... stendere un tappeto di paracadutisti, per farci passare sopra i carri armati”. Un ufficiale alle informazioni dirà che allora nessuno pareva far caso al fatto che il tappeto avrebbe anche potuto essere di paracadutisti morti. Si tratta di aprirsi un corridoio verso nord, da Eindhoven fino ad Arnhem; ogni passaggio ed ogni ponte sui numerosi fiumi e canali che costellano quel territorio dovranno essere presi dai parà prima che i tedeschi li facciano saltare e tenuti finchè non arriveranno i carri. Il piano di Montgomery comprende due parti, diverse, ma indissolubilmente vincolate tra loro. Senza l’una, l’altra non potrebbe esistere e viceversa. La prima parte è rappresentata dall’operazione “Market”, la parte aerea: verrà usata un’imponente forza aviotrasportata, costituita da tre divisioni e mezza di paracadutisti. Questa forza comprenderà quindi la 101° (Taylor) e l’82° americane (Gavin), la 1° aviotrasportata inglese (che comprende anche i celebri “Red Devils”) e la 1° brigata paracadutisti polacca del generale Sosabowski: in tutto, ben 35000 uomini. Il corridoio, diretto a nord, sarà diviso in tre tronconi di qualche decina di chilometri ognuno. Da Eindhoven a Veghel il corridoio ricadrà sotto la responsabilità della 101° aviotrasportata americana (generale Taylor), che dovrà impadronirsi e tenere i ponti sull’Aa, sul canale Guglielmo, sul canale Guglielmina e sull’alto e basso corso del Dommel: una dozzina di ponti in tutto. Più a nord, ci penserà l’82° divisione di paracadutisti statunitense (generale Gavin), che dovrà proteggere i passaggi nel tratto tra Grave e Nimega: 7 ponti in 18 chilometri. Uno sulla Mosa a Grave, quattro sul canale Mosa-Waal e due sul Waal a Nimega. Di questi sette, i ponti di gran lunga più impostanti sono quello a Grave, sulla Mosa, lungo mezzo chilometro e il grande ponte stradale sul Waal a Nimega (il Waal è infatti uno dei rami maggiori del basso Reno). Infine, da Nimega ad Arnhem, il compito più difficile toccherà alla 1° divisione aviotrasportata britannica (generale “Roy” Urquhart), coadiuvata dalla brigata di paracadutisti polacchi. Urquhart e Sosabowski infatti devono conquistare e tenere ad ogni costo il grande ponte sul basso Reno, ad Arnhem. Arnhem è l’estremità nord (la più lontana) del corridoio, è inoltre la meta dei carri del 30° corpo corazzato di Horrocks e per gli alleati rappresenta il punto dal quale piegare a sudest e verso la Ruhr, aggirando l’estremo settentrionale della Linea Sigfrido. Senza Arnhem, è tutto inutile. La prima a scattare sarà Market. Trentacinquemila paracadutisti si lanceranno sui Paesi Bassi, la più massiccia operazione dal cielo di tutta la guerra. Ci vorranno quasi 5000 tra aerei ed alianti. I due terzi degli uomini si lanceranno con il paracadute, il resto prenderà terra con gli alianti trainati che trasporteranno anche l’artiglieria divisionale e i rifornimenti. A causa del fatto di dover conquistare i ponti ancora intatti, la precisione dei lanci è fondamentale, di conseguenza, contrariamente ad ogni manuale d’impiego delle truppe aviotrasportate, i lanci dovranno avvenire di giorno! Si prevedono quindi alte perdite in uomini ed aerei, anche perché la contraerea tedesca in Olanda è molto agguerrita. Per questo motivo, la notte prima e per tutta la domenica sono previsti pesanti attacchi con i bombardieri, per “preparare” le zone di atterraggio delle divisioni aviotrasportate. Il 16 settembre ‘44, il vociare che riempie la sala di proiezione del cinema pìù grande di Leopoldsburg cessa di colpo all’entrata del generale Brian Horrocks, comandante del 30° corpo corazzato inglese e del suo seguito. Nel cinema sono riuniti tutti i comandanti d’unità dal livello di battaglione in su. Sopra lo schermo del cinema è stata appesa un’enorme carta geografica dell’Olanda. Horrocks con grande teatralità si fa consegnare da un attendente un bastone di legno di lunghezza volutamente spropositata e lo posa sulla cartina, suscitando immediatamente l’ilarità generale. “Signori, ecco una storia che racconterete ai figli dei vostri figli...". Una pausa drammatica e poi: “... che la troveranno maledettamente noiosa!”. Quando si sono spente le risate il generale fa sparire il lungo bastone e parla per più di un’ora, consultando ogni tanto i suoi appunti e spiegando anche lui nei dettagli ai suoi uomini tutta l’operazione Market-Garden.
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Da quello che so io, quello che dici grossomodo è esatto. I malevoli aggiungono anche che Monty voleva più di ogni altra cosa arrivare prima di Patton a Berlino e riuscì abilmente a vendere il suo piano (molto audace per altro) ad Eisenhower soprattutto grazie all'idea della testa di ponte oltre il Reno, ad Arnhem, cosa che mandava in brodo di giuggiole Ike. Si, ma devi aver avuto un lapsus: il grande ponte in questione è quello sul basso Reno ad Arnhem, in Olanda (non Harlem, che a quanto mi risulta è ancora un quartiere di Manhattan). Si, ma poveri: i paracadutisti non c'entravano: era chi li comandava che avrebbe dovuto farsi l'idea giusta sui tedeschi e non sottovalutare l'intelligence, che funzionò a dovere, ma non venne ascoltata nel modo giusto. "Chi ha mancato? Non noi" Soldato scelto Gordon Spicer, 2° battaglione, 1° brigata paracadutisti ("Red Devils"), 1° Divisione aviotrasportata britannica. Rampa nord del ponte di Arnhem, 1944. I servizi segreti alleati ed ULTRA funzionarono ed avvertirono ripetutamente Montgomery e Dempsey della presenza di un poderoso corpo corazzato SS, il 2° Panzer del generale Bittrich, che si stava "ritirando" con la 9° e la 10° corazzate proprio nella zona attorno ad Arnhem. Infatti, i tedeschi si aspettavano qualcosa. L'idea pare che partì da Rundstedt (comandante in capo a Occidente), che se ne stava al suo quartier generale ad Aremberg, vicino Coblenza. Rundstedt vecchia volpe aveva intuito l'invasione dell'Olanda, anche se aveva pensato a uno sbarco dal mare piuttosto che dal cielo. La consistenza delle forze tedesche fu comunque ampiamente (e tragicamente) sottovalutata dagli alleati. Incredibilmente, professionisti del calibro di Dempsey e di Montgomery chiusero gli occhi davanti all'evidenza delle foto aeree che mostravano i Tiger e i Panther dislocati in Olanda. Addirittura passarono sopra pure a una cosetta coma il fatto che lo stesso quartier generale del gruppo d'armate B (Model) era stato fissato ad Oosterbeek, che non solo era a soli 4 chilometri ad ovest di Arnhem, ma risultava ora tra le zone di lancio e di atterraggio dei parà e il loro obbiettivo principale, il ponte stradale di Arnhem! Gli unici che mantenevano la testa a posto e cioè sulle spalle erano gli olandesi. Che avevano accettato favorevolmente i piani di Market-Garden, ma quando videro in che cosa consisteva e come si comportavano gli alleati scossero la testa divertiti: nessuno meglio dei soldati olandesi conosceva il territorio dei Paesi Bassi e lo descrissero nei minimi dettagli agli inglesi e agli americani, cercando di indurli alla ragione. La zona infatti, come dice Chaffee 79 era un casino di paludi, argini, dighe, ponti e canali, dove bastava appunto un solo semovente a fermare una divisione intera. Piccolo passo in dietro, spero di non annoiare: La situazione degli alleati sul fronte occidentale agli inizi di settembre 1944 è la seguente. Dal giorno dello sbarco in Normandia ed in soli tre mesi gli alleati sono avanzati in tutta la Francia, liberando Parigi (gesto inutile strategicamente parlando, ma dall’enorme valore simbolico, soprattutto per i francesi). Il 2 settembre gli inglesi sono entrati in Belgio; il 3 hanno liberato Bruxelles. Il 5 settembre gli americani hanno superato la Mosa a Sedan e, più a sud, Patton ha conquistato Nancy, mentre a nord il generale Crerar è entrato a Boulogne alla testa della 1° armata canadese e ora preme su Anversa, avanzando a cavallo della Schelda, fiancheggiato a sud dalla 2° armata inglese di Dempsey. Il 6 settembre la 1° armata americana del generale Hodges, superata Liegi, si è attestata sul canale Alberto e sulla linea Namur-Tirlemont ed ora punta su Maastricht e sul confine tra Belgio e Germania, verso Aquisgrana. Il fronte occidentale si snoda in Belgio e in Francia, descrivendo un grande arco rivolto a est, andando da Ostenda a nord, fino a Nancy e alla regione dei Vosgi a sud, passando ad ovest di Anversa (ancora in mani tedesche), costeggiando il canale Alberto e tagliando per il Lussemburgo. Le bocche della Schelda e Anversa con il suo porto rimangono ancora off-limits per gli alleati (l’unico vero porto rimane sempre ed ancora Cherbourg). Nessuna testa di ponte al di là del Reno, che rimane lontanissimo, è stata ancora conquistata ed Eisenhower darebbe qualsiasi cosa per possederne una. Da nord a sud lo schieramento alleato ai primi di settembre comprende il 21° gruppo d’armate (Montgomery), con la 1° armata canadese (Crerar) tra il mare del Nord e Bruxelles, a cavallo della Schelda e la 2° armata britannica (Dempsey) schierata sul Canale Alberto, tra Bruxelles e la riva sinistra della Mosa, dove il fiume compie un grande arco verso nordest. Alla destra di Dempsey, stanno gli americani dal 12° gruppo d’armate (Omar Bradley), con la 1° armata statunitense (Hodges) attestata davanti al Lussemburgo, tra Liegi e Verdun ed infine la 3° armata (Patton) che chiude il fronte sud, dal Lussemburgo fino a Nancy e ai Vosgi, lungo l’alto corso della Mosella. Strasburgo non è stata ancora liberata. La tanto propagandata Linea Sigfrido, che protegge la Ruhr e che impensierisce tanto gli alleati, sta ora proprio davanti a loro, serpeggiando sul confine tedesco da Duisburg, a nord, fino a Saarbrucken a sud. Gli americani vogliono attaccarla frontalmente, gli inglesi vogliono aggirarla da nord, passando dall’Olanda ed è proprio questo che ora Montgomery propone ad Eisenhower a Bruxelles. Lunedì 11 settembre 1944 il silenzio è totale nel paesino lussemburghese di Stolzenburg, ad ovest di Vianden. L’unico vero rumore è quello del vento della sera, che soffia dal fiume. Non si vede anima viva, si sta facendo buio. Le belle case bianche disposte in due file molto ordinate appaiono deserte, le finestre sembrano serrate dall’interno. Gli esploratori si fanno avanti a balzi, muovendosi come spettri da un androne all’altro, da un portone all’altro, appiattendosi lungo i muri delle costruzioni. Individuano un qualche riparo più avanti, si tirano su, scattano di corsa, ci arrivano, si rimettono al coperto e poi fanno cenno agli altri di raggiungerli mentre li coprono. Hanno avvolto le canne e le parti metalliche delle armi con stracci strappati in strisce, perché sbattendo non facciano alcun rumore e non riflettano la luce del sole. Non emettono un solo fiato: si esprimono a gesti. Gli uomini dell’85° squadrone da ricognizione avanzano con grande prudenza sui due lati della strada principale. Sanno che la morte è tutto intorno; mine, cecchini, ad ogni angolo ci possono essere un panzer o una mitragliatrice abilmente camuffati che li aspettano. L’ultima Mg-42 che hanno incontrato, estremamente ben piazzata, ha fatto a pezzi un intero plotone di novellini, prendendo d’infilata la strada lungo cui si erano avventurati e sparando attraverso un telo mimetico bagnato per nascondere il fumo e la vista della vampa di volata. Nessuno aveva neanche sospettato la presenza della mitragliatrice tedesca finchè non era stato troppo tardi. I duri delle SS, con il colletto verde sulle loro tute mimetiche, erano specialisti in questo tipo di giochetti; erano spariti nel nulla senza neanche un ferito, raccogliendo perfino i bossoli che avevano sparato. Ad ogni incrocio i soldati si fermano, si inginocchiano e guardano con estrema cautela dietro l’angolo per tutto il tempo che ci vuole, esaminando ogni cosa, dalla strada, ai tetti degli edifici. Quando sono soddisfatti, si rialzano, attraversano la strada più svelti che possono e il balletto degli scatti e delle soste ricomincia. Gli uomini di testa arrivano in fondo alla via principale del paese e guardano cautamente oltre. Incredibile! In un paesaggio che potrebbe essere quello di una cartolina pubblicitaria, la strada polverosa del paese si continua su un ponte di pietra bianca. Il ponte scavalca un fiume dalle acque verdissime, che scorre incassato in una stretta valle dalle rive non troppo scoscese e ricoperte d’erba. Superato il ponte, la strada sterrata si continua sull’altra sponda, serpeggiando in mezzo a pascoli deserti e a colline boscose. Il ponte sembra intatto! E’ tutto troppo facile, pensano gli americani. Deve trattarsi di una trappola. E invece no. Gli uomini si fermano con tutti i sensi allerta, formano un perimetro, esaminano il ponte e le due sponde del corso d’acqua per decine e decine di minuti: non si muove nulla, non si sente nulla. Pare quasi impossibile e invece è reale. Poi, un volontario si libera di zaino e fucile e, tenendo con sé solo pistola e pugnale, parte in avanti correndo piegato in due. Si butta a capofitto giù dall’argine e guadagna la riva. Entra con cautela nell’acqua freddissima che gli arriva alla vita ed esamina il ponte da sotto. Sembra proprio che si tratti di un normalissimo ponte. Attende qualche minuto, rabbrividendo per il freddo. Non succede nulla. L’uomo risale l’argine, rialza la testa in mezzo all’erba alta, si guarda attorno e fa cenno che gli sembra tutto a posto e che ora anche gli altri si possono dare una mossa. E’ quasi buio. Giunti sull’altra riva, gli americani si allontanano dal fiume e si radunano nella foresta a cavallo della strada. Ma dove si trovano? Dove sono arrivati? Consultano le carte e quando l’hanno fatto si guardano l’un l’altro sorridendo. Ricontrollano per maggior sicurezza, ma non c’è più alcun dubbio: oltrepassato il ponte sull’Our, gli uomini dell’85° da ricognizione sono i primi soldati alleati ad aver messo piede in Germania. "Una storia di uomini - La Seconda Guerra Mondiale". E. Biagi-1980-86.
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Mi fai un complimento. Non ho "copiato" proprio niente, se l'avessi fatto ce l'avrei messo, visto? Anche il periodo ipotetico conosco, oltre a poca storia e a un po' di geografia. Di sicuro non me ricordo i dettagli di tutta l'operazione, quelli si che dovrei guardarli se a qualcuno interessa: erano un casino. La sola cosa "copiata" in effetti è il titolo del thread, che è il titolo di un film.
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"... temo, Signor Maresciallo, che quell’ultimo ponte sia un po’ troppo lontano”. Il Generale Frederick Browning a Montgomery. “Suvvia Monty! Voi non potete parlarmi così: sono pur sempre il vostro superiore!”. Ike Eisenhower a Montgomery. Domenica 10 settembre 1944 è una fredda mattina di fine estate e un vento teso soffia da nord sulla pista, quando un DC-3 posa le ruote all’aeroporto di Bruxelles. L’aereo ha a bordo Eisenhower, che viene ad incontrare Montgomery. Il colloquio si svolgerà tutto a bordo dell’aereo americano: Ike si è slogato un ginocchio, non può camminare. L’incontro è da subito teso: l’Inghilterra è da 48 ore sotto le V-2 di Hitler, le cui basi, secondo il servizio segreto inglese, si trovano in Olanda occidentale. Il Ministero della Guerra britannico spinge per un’offensiva. Come se non bastasse poi, il maresciallo inglese nutre molte riserve sulla strategia fin lì adottata dalle forze alleate e non fa mistero delle sue opinioni con il generale americano; secondo Monty, “... quella strategia è tutta sbagliata e porterà ad amarissime conseguenze! Finchè proseguiranno ste avanzate scombinate e a balzelloni, con i rifornimenti divisi a metà e frammentati, né l’una, né l’altra parte avranno successo”. Bisogna che Eisenhower si decida, “... insomma, o lui, o Patton!”. Durante la discussione, il maresciallo britannico, quasi sicuramente senza accorgersene, alza tanto la voce che Ike ad un certo punto deve allungare una mano e, battendogliela sul ginocchio, è costretto a richiamarlo all’ordine: “Calmatevi vi prego! Suvvia Monty, voi non potete parlarmi così: sono pur sempre il vostro superiore!”. Nonostante da molti suoi nemici il maresciallo inglese sia giudicato un uomo insopportabile, dall’ego smisurato e dalla straordinaria supponenza, Montgomery, in quel momento, in realtà ha ragioni da vendere. Da quando sono sbarcati in Normandia, gli alleati sono dilagati a valanga in Francia, ad una velocità che essi stessi stentano a credere possibile. Patton, al comando della “sua” 3° armata, sul fianco destro dell’avanzata alleata, si è reso responsabile di una vera e propria cavalcata trionfale verso oriente ed attraverso il paese ed ora si ritrova schierato a sud, oltre la Mosa, tra Verdun e Metz, lungo la Mosella, dinnanzi alla Saar e alla tanto paventata Linea Sigfrido. Se i successi sono stati superiori alle aspettative, la verità è anche che, aprendosi a ventaglio in terra di Francia, gli alleati hanno allargato il fronte in maniera esponenziale (cosa che è stata fatale per i tedeschi). Inoltre, un avanzata, più rapida anche delle più ottimistiche previsioni, ha allungato enormemente le linee di rifornimento. L’unico vero porto in acque profonde in mano alleata rimane ancora e solo Cherbourg, che oramai dista circa settecento chilometri dal fronte! Ai primi di settembre e per la prima volta, agli americani è successa una cosa alla quale non erano preparati, anche psicologicamente: hanno dovuto rallentare l’avanzata ed infine fermarsi per mancanza di rifornimenti! L’aspetto più paradossale poi è che questo fatto non è dovuto alla carenza di materiali, che sono invece enormemente sovrabbondanti, ma è dovuto all’eccessivo allungamento delle vie di rifornimento e ai successi dei bombardamenti aerei alleati sulle linee di comunicazione francesi, attuati prima dello sbarco in Normandia. Al contrario degli americani, gli inglesi e i canadesi, forse perché costretti a dover pensare in termini molto più limitati, è da un pezzo che propugnano un’idea molto differente: radunare tutte le forze in una poderosa avanzata a cuneo, molto concentrata e su un fronte ristretto, diretta verso il Reno e la Ruhr (e come tutti sanno chi ha la mano sulla Ruhr, ha la mano sulla gola della Germania). Questa grande differenza di vedute tra americani e inglesi è andata accentuandosi via via che i rifornimenti si facevano sempre più difficoltosi ed ora ha dato luogo ad una vera “guerra” intestina in ambito alleato tra Omar Bradley (superiore di Patton), comandante del 12° gruppo d’armate americano e il maresciallo Montgomery, Visconte di El Alamein e comandante del 21° gruppo d’armate britannico: questi due generali hanno ormai preso l’abitudine di contendersi con le unghie e con i denti i pochi rifornimenti, per asservirli alle proprie necessità. Una situazione non più tollerabile ed è proprio questo che Monty sta dicendo, anzi, sta urlando ad Ike Eisenhower a bordo dell’aereo fermo sulla pista di Bruxelles in quella mattina di settembre; insomma, secondo il maresciallo britannico, bisognava o fermare la sinistra (cioè lui stesso, schierato a nord, in Belgio) e colpire con la destra (cioè Patton), o viceversa fermare la destra e colpire con la sinistra, ma fare tutte e due le cose avrebbe potuto portare presto sull’orlo del disastro! Ed è a questo punto che Montgomery gioca la sua carta segreta, un piano particolarmente audace e stranamente “azzardato” per essere frutto di Monty, il quale invece era famoso per la sua grande (e secondo alcuni eccessiva) prudenza: l’invasione da terra e dal cielo dell’Olanda, aprendosi un passaggio a nord, attraverso le difese tedesche, per poi piegare bruscamente verso est, aggirando di fatto la Sigfrido e penetrando nella Ruhr. Il piano comprende la più colossale operazione aviotrasportata che si sia mai vista.
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Lo sbarco in Normandia - Topic ufficiale
Hobo ha risposto a W L'ITALIA nella discussione Eventi Storici
Mai sentito nulla del genere. -
Rivestimenti lavoranti non molli. La pelle dell'aereo è viva e si muove secondo le sollecitazioni.
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Immagina l'effetto di allora... I subumani bussano alla porta. Ma non dovevano essere soggiogati dalla razza superiore?
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Quanto segue è solo la mia opinione. Siamo andati in Afghanistan perché hanno detto che in esso fiorivano le basi di Al Qaeda e questo è ragionevole, ma Al Qaeda non è un paese nemico è un Idea nemica. Un paese nemico lo si può bombardare, ma un idea? Giusta o sbagliata che sia, l idea di Al Qaeda è vincente sotto tantissimi punti di vista. Come il comunismo, essa mette radici sfruttando il risentimento (e linvidia) che i poveri nutrono contro i ricchi e quindi germoglierà sempre in quei paesi del cosiddetto terzo mondo, ovunque ci siano abbastanza fame e miseria e ignoranza da far sì che la gente creda al primo che gli racconta che è colpa nostra (di noi) se loro stanno male. Non credo che si possa inseguire unidea ovunque questa metastatizzi. L Afghanistan è diverso dal Vietnam, eppure è anche molto simile secondo me: in entrambi i posti devono aver capito che più occidentali ammazzano e storpiano, più la cosa diventa impopolare nelle nostre nazioni evolute. Siamo noi (e la nostra opinione pubblica) qua in occidente il vero bersaglio del Mullah Omar, non i nostri soldati laggiù. Più lopinione pubblica si schiererà contro linvio di truppe in A.stan, più il Mullah ed i suoi saranno vicini alla vittoria perché i politici occidentali non possono prescindere dallopinione pubblica dei loro paesi (democratici), o non sopravviverebbero politicamente, in quanto il politico costretto a fare cose impopolari è un politico morto (politicamente parlando). Ecco perché è così difficile aumentare i contingenti o radere al suolo il paese, pur avendone i mezzi: perché in occidente le operazioni in A.stan stanno diventando sempre più impopolari, come lo fu il Vietnam. Ecco perché secondo me in Vietnam non ci fu la volontà politica di vincere veramente, come (purtroppo per il personale sul campo) non credo che ci sia neanche in A.stan. Ed inoltre, io credo che sbriciolare un paese non dia affatto garanzia di vittoria. Ripeto, se si vuole sconfiggere una nazione nemica la si rade al suolo, ma non si può radere al suolo unidea, a meno di non sopprimere fisicamente uno per uno tutti quelli che danno segni di esserne stati infettati, ma così facendo dove ci si bisognerebbe fermare? LA.stan conta circa 30 milioni di persone, bisognerebbe leggere nellanimo di ognuno e sopprimere tutti quelli che risultano positivi per Al Qaeda o per la cacciata degli stranieri bianchi. Poi bisognerebbe passare al Pakistan, allIran, allArabia Saudita… Afghanizzare il conflitto secondo me significa far sì che siano gli stessi afghani, da noi immunizzati contro Al Qaeda, a procedere alla ricerca e distruzione delle cellule terroriste, ma questo presuppone che questi afghani buoni siano davvero buoni e non fingano. Come si fa a saperlo? Sicuri che questi afghani buoni siano davvero profondamente convinti di aver finalmente capito la superiorità della democrazia alloccidentale e che per esempio non bisogna più sgozzare la gente allo stadio? Ma se a questi bisogna insegnargli perfino il concetto di Nazione e perché esso va oltre il concetto di tribù… Il Vietnam del Sud resistette due anni dopo che gli americani se nerano andati nel 73 e questo solo perché in cielo rimanevano i B-52. Appena lultimo prigioniero di guerra statunitense fu al sicuro a casa sua e appena lopinione pubblica (soddisfatta) spostò la sua attenzione altrove, allora i B-52 svanirono e svanì anche il Vietnam del Sud. Appena ce ne andremo dall A.stan secondo me tutto tornerà come prima, con un guaio in più: un branco di straccioni con il barbone e le pezze al c**o potranno, per lennesima volta nella storia, presentarsi al popolino medievale come coloro che hanno affrontato e vinto, o comunque indotto ad andarsene (che è la stessa cosa secondo me), una grande superpotenza del pianeta con tutti i suoi alleati e questo può portare conseguenze per ora imprevedibili. Come ho già scritto, si tratta sempre solo di affari: bisognava mettersi daccordo prima con questa gente e andarci chiari, ma con i piedi di piombo, altro che consigliargli di scoprire le facce delle loro donne e di mandarle a scuola (a scuola?!?).
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Voleva essere un riferimento al Vietnam: tutta la potenza di fuoco, estremamente facile e perfino divertente se vogliamo da impiegare, non serve a nulla quando non si sa bene perchè si sta lì e per cosa si spara. Mi riferisco al concetto di "Afghanizzazione", che leggo sempre più di frequente. Nessuno si ricorda cosa fu la "Vietnamizzazione" e che risultati ottenne?
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Easy!
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70° Anniversario della Morte di Italo Balbo.
Hobo ha risposto a sorciverdi58 nella discussione Eventi Storici
Mah non lo so. Due miei cari amici sono morti con la moto. Personalmente, io mica mi sono fatto dare ogni volta qualche pezzo contorto per ricordarmi dell'evento. Sicuri che erano "amici"? Secondo Ciano nel suo diario: "... non ritira [balbo] nemmeno una delle sue riserve sulla politica dell'Asse. Balbo non discute i tedeschi: li odia". -
E pure a me.
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Infatti, anche perché i vietnamiti, appena si resero conto che agli americani piacevano i ponti li circondarono di agguerrite difese contraeree, che non aspettavano altro che gli aerei nemici. Se l’A-4E e l’A-4M si erano rivelati degli aerei eccezionali, essi avevano rivelato anche dei limiti, soprattutto nel carico e nell’autonomia. Inoltre, se la guerra contro l’Unione Sovietica poteva sembrare remota e tabù, gli scontri a bassa tecnologia con qualche “paesucolo” che però disponeva di armi russe (anche se un po’ datate) si erano rivelati un’eventualità non solo possibile, ma anche rivelatrice: era inutile avere superintercettori altamente raffinati e dotati di costosissimi computers di tiro e di missili, ma privi di cannoni, se poi quegli stessi aerei incontravano caccia come il semplice Mig-17, che li costringevano al duello aereo manovrato (abbattendoli). L’elevata velocità subsonica, un motore poco assetato, la manovrabilità, il cannone, si rivelarono alla fine molto più redditizi dei supercalcolatori d’intercettazione e dei mostri supersonici lanciamissili degli anni ’50. Ed Heinemann della Douglas doveva averlo capito prima degli altri quando pensò la sua meraviglia: lo spartano, ma letale, A-4 Skyhawk, che si rivelò un enorme successo (anche d’esportazione). Negli anni ‘60 però il mondo era cambiato. Ormai le armi elettroniche si stavano diffondendo ovunque. L’A-4 cercò di aggiornarsi e comparirono le varie “gobbe” piene di avionica che contraddistinguevano molte delle ultime versioni dello Skyhawk, ma l’aereo di Heinemann era giunto alla fine della corsa: ci voleva un A-4 “nuovo”, che tenesse conto delle nuove minacce elettroniche e delle armi nuove e che disponesse soprattutto di un’autonomia superiore. La Vought sfornò il suo A-7 Corsair II. Data una vaga somiglianza con il Crusader, qualcuno disse che l’A-7 non era che una riprogettazione dell’F-8: nulla di più lontano dalla realtà. Il Corsair II era un aereo completamente nuovo e modernissimo e si rivelò da subito uno strepitoso successo. Nonostante sia un aereo “grande” (alto 5 metri e lungo 3 metri meno del Tornado), l’A-7 appare da subito estremamente compatto e funzionale al suo compito: l’attacco “leggero” e il supporto aereo ravvicinato. Per questo motivo, mantiene anche il cannone M-61 Vulcan con mille colpi, sul lato sinistro della presa d’aria sotto l’alloggiamento della scaletta retrattile. Il termine “leggero” non porti fuori strada: il Corsair porta a 900 chilometri all’ora quasi 7 tonnellate di bombe, il carico di un B-17. L’A-7 venne adottato anche dall’USAF. La presa d’aria è posta sotto l’abitacolo, poi descrive una S dolce verso l’alto dietro l’abitacolo e si porta al motore. Il motore inizialmente era una turboventola (anche questa era una novità sui cacciabombardieri) P.W.-TF-30 (quello dell’F-111) da 6934 chili di spinta statica, sostituito sulle versioni D (USAF) ed E (Marina) dal Rolls-Royce Spey (sempre turboventola) che dicono che era leggermente più potente del TF-30, ma a me vengono 6803 chili di spinta statica, boh… Forse il TF-30 dava problemi come sull’F-111 e sull’F-14. Il Corsair non ha postbruciatore; entrambi i motori vennero scelti perché potenti ed al tempo stesso relativamente economici: i piloti scoprirono con piacere che l’A-7 beveva poco, il raggio d’azione superava i 1000 chilometri e sul Nordvietnam si poteva scorrazzare in giro anche dopo aver colpito il proprio obbiettivo primario. Sul Corsair il pilota siede in alto e molto in avanti, praticamente non c’è muso e si ha una meravigliosa visibilità in tutte le direzioni, anche verso il basso e sotto, ma non verso il settore di coda: non si vede l’estremità alare. Il Corsair “pulito” sfiora la velocità del suono in volo livellato ed è estremamente piacevole da pilotare, inoltre, al contrario di quel che si potrebbe pensare è anch’esso un aereo “sofisticato”. Aveva una piattaforma inerziale “nuova” (Inertial Navigation Sistem) e un computer di navigazione e attacco ognitempo, entrambi si servivano del piccolo, ma efficientissimo, radar AN-APQ 116/126 (alloggiato nel minuscolo radome dell’aereo) e di un radar Doppler APN-153, per l’acquisizione dei bersagli. Il tutto rientrava sotto la dicitura NWDS (Navigation Weapons Delivery System). Sul cruscotto c’era il primo vero HUD statunitense e anche uno schermo TV (sulle ultime versioni). Su entrambi, il computer di attacco rimandava l’indicazione e l’immagine del bersaglio come la vedeva la testa del missile (AGM-62 e AGM-65), inoltre sotto il muso c’era un PAVE-Penny (lo stesso dell’A-10) per la designazione (passiva) dei bersagli. L’ A-7 poteva usare ogni arma dell’arsenale, anche le LGB (laser guided bomb) e i missili ARM (per le missioni Wild Weasel, che in Marina si chiamavano “Iron Hand”) ed inoltre era dotato di un completo sistema RWR ed ECM. Come se non bastasse, era venuta fuori durante il Vietnam una cosa curiosa: i piloti della Marina avevano un ritmo cardiaco durante gli appontaggi su portaerei superiore a quello che avevano durante un attacco contro un obbiettivo fortemente difeso dalla contraerea… Di conseguenza la Vought privilegiò la “guidabilità” del suo aereo, che era estremamente maneggevole, specie a bassa quota e a bassa velocità, come quando si trovava in prossimità del ponte di volo. Inoltre, il Corsair venne dotato di un sistema automatico di controllo del volo per l’appontaggio, che facilitava il lavoro del pilota. Alla sua entrata in servizio (i primi furono gli A-7A del VA-147 “Argonauts”, sulla Ranger, a fine 1967) il sistema di navigazione inerziale e attacco dell’A-7 era il più moderno del mondo, più moderno anche del Phantom. L’A-7 divenne famoso per la precisione con la quale poteva piazzare le sue armi, specie durante attacchi fortemente contrastati dalla contraerea ed in mezzo ad aree in cui c’era una varietà di bersagli. Il sistema di attacco del Corsair si rivelò precisissimo, motivo per cui l’A-7 divenne anche un eccellente aereo per il supporto ravvicinato, anche contro piccoli bersagli mobili in prossimità di truppe amiche e nella protezione delle missioni SAR per il recupero dei piloti abbattuti nel “territorio indiano” . L’aereo era progettato per essere “pratico”. Aveva un’ala alta che conferiva estrema stabilità in tutti gli assetti di volo, ma permetteva anche agli avieri di accedere facilmente a quasi tutte le aree del velivolo e di procedere facilmente alla manutenzione prevista. Mai aereo fu più amato e più temuto dal personale di volo dell’A-7 Corsair-II. Amato perché era facile da ispezionare e riparare, temuto perché la sua grande presa d’aria, posta in basso e anteriormente, poteva anche risucchiarvi in ogni momento se non ci stavate attenti! L’ A-7 infatti era pericoloso sul ponte di volo proprio per la sua presa d’aria. Tuttavia era anche uno degli aerei più facili da spostare a bordo della portaerei (come lo era stato anche l’A-4). Il Corsair come ho già detto divenne talmente familiare che divenne quasi una cosa “scontata” sui ponti di volo delle portaerei. Prese parte al conflitto Vietnamita e agli scontri regionali che seguirono: Grenada e Libano (1983), “Prairie Fire” (1986) ed infine Desert Storm (1991) che rappresentò il canto del cigno dell’A-7. Per Desert Storm, vennero impiegati gli ultimi due squadron di Corsair operativi della Marina: il VA-46 e il VA-72, imbarcati a bordo della USS John Fitzgerald Kennedy. Durante Desert Storm, gli A-7 lavorarono instancabilmente, effettuarono 731 missioni per ben 3100 ore di volo complessive. Le armi preferite dai suoi piloti erano l’AGM-65 e le bombe a grappolo Rockeye. Quando lo ritirarono subito dopo Desert Storm, in vista del passaggio sull’F-18 E, molti piloti si espressero contro, dicendo che era un ritiro troppo precoce e che il loro validissimo “SLUF” (Short Little Ugly Fellow) avrebbe potuto continuare a combattere anche nel XXI secolo; non gli diedero retta.
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Vorrei dire parecchie cose, ma non c’ho tempo. Spero di non annoiare e di non sembrare OT. L’ A-7 Corsair II è talmente familiare da passare quasi inosservato, ma ha costituito la spina dorsale degli squadroni d’attacco leggero della Marina e dell’USAF per quasi 30 anni, dagli anni ’60 fino al 1991. Fu soprattutto il frutto delle esperienze fatte in Vietnam che portò alla nascita del Corsair II (e dell’F-4E e dell’F-111, dell’F-14, dell’F-15, ecc…) e a questo proposito, a scopo esemplificativo, ricorderei la storia di un fiume e di un ponte che si intrecciarono con la storia dell’A-7: il fiume è il Song Ma, a sud di Hanoi, il ponte è quello di Thanh Hoà. Riassumendo molto, il Vietnam è sempre stato un paese agricolo, che viveva di agricoltura, di pesca e di piccoli commerci. Sul suo territorio, in larghissima parte montagnoso e impervio, prima i francesi e poi gli americani non trovarono mai obbiettivi degni di questo nome. Non c’erano gli enormi impianti industriali della Germania nazista, le centrali elettriche erano pochissime ed erano già state bombardate. Rimanevano strade, ponti, porti e caserme, in larga misura costruiti dai genieri francesi prima della seconda guerra mondiale: queste costruzioni si rivelarono un osso durissimo e dimostrarono da un lato la bontà delle progettazioni coloniali del Genio militare francese e dall’altro l’inefficacia di molte armi americane, che si dimostrarono sopravvalutate, come l’AGM-12 Bullpup. Infatti, contro bersagli molto resistenti è necessario un centro perfetto e una notevole carica dirompente. Furono moltissimi i ponti vietnamiti attaccati degli aerei americani, ma spesso essi riemergevano dal fumo delle esplosioni quasi intatti, o comunque con danni facilmente riparabili. Il ponte di Thanh Hoà fu uno di questi e passò alla storia per diversi motivi, soprattutto come uno dei ponti più bombardati di tutti i tempi. Esso può essere preso come simbolo della tormentata storia del Vietnam; venne costruito dai francesi, distrutto dai giapponesi, recuperato alla fine della guerra mondiale in tempo per essere fatto saltare dal Viet Minh nel 1945, quando fu chiaro che i francesi non se ne andavano. Il restauro cominciò nel ’57 e finì nel ’64, proprio in tempo per ripiombare in una guerra peggiore della prima: quella americana. A tutt’oggi il ponte di Thanh Hoà è, per il popolo vietnamita, uno dei simboli della resistenza agli invasori. Il ponte constava di un poderoso pilone centrale in pietra e di due pesanti arcate laterali, ben ancorate alle due sponde del Song Ma; il suo vero nome, vietnamita, è “Ham Rong”: le Fauci del Drago. Fin dal 1965, il ponte di Thanh Hoà venne ripetutamente attaccato, a più riprese. Fu qui che i piloti degli F-105 Thunderchief si resero conto imprecando che rischiavano la vita solo per vedere il loro AGM-12 fare il solletico al ponte (ecco perché i piloti degli F-105 sceglievano appena potevano le bombe da 750 e da 3000 libbre). Gli americani compirono su questo ponte ben 873 sortite in circa dieci anni; 104 piloti vennero abbattuti durante i vari tentativi, compiuti sul ponte in quasi 10 anni di guerra nel sudest asiatico. Il ponte di Than Hoà è famoso anche per un altro motivo, perché su di esso l’USAF sperimentò per la prima volta una nuova generazione di armi: bombe capaci di dirigersi da sole sul bersaglio. Il 27 aprile 1972, durante l’operazione Linebacker, 12 F-4E dell’ 8° TFW, lasciarono la pista di Ubon in Thailandia ed attaccarono il ponte di Thanh Hoà con bombe a guida laser da 900 chili, guidate dal raggio originato da uno dei Phantom, che portava il nuovo designatore laser PAVE-Knife. (PAVE: Precision Avionics Vectoring Equipment). L’attacco fu estremamente preciso e le campate del ponte crollarono, ma per aggredire il pilone centrale si rese necessario un secondo attacco il 13 maggio, sempre con i Phantom e con LGB. Tuttavia, la vera distruzione del ponte di Than Hoà, che era diventato quasi un’ossessione per gli americani, va accreditata ad un altro aereo e questo ci riporta finalmente al Corsair-II. Il 6 ottobre 1972, i nuovissimi A-7C del VA-82 “Marauders”, decollati dalla USS America, attaccarono il pilone centrale del ponte di Thanh Hoà e lo distrussero, servendosi di Mk-84 e della nuova arma guidata della Marina: il missile a guida TV AGM-62 Walleye nella versione pesante da 2000 libbre. L’attacco fu un completo successo: il ponte di Thanh Hoà fu completamente distrutto proprio dalle nuove armi e dal nuovo A-7 Corsair-II. (Da quel che so io, il primo utilizzo in guerra di un arma “intelligente” americana va accreditato all’US NAVY ed ebbe luogo l’11 marzo 1967, quando il capitano Homer Smith, VA-212 / CVW-21 dell’ US Navy, decollato con il suo A-4E dalla Bon Homme Richard, attaccò con il Walleye la caserma nordvietnamita di Sam Son. L’attacco fu un successo.).
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No mi sa che hai visto dei generatori di corrente continua. I grandi turboreattori, come il J-79 dell'F-104, da quel che so io, sia avviano ad aria. Lo Starter era una minuscola turbina calettata sull'albero del J-79 e che faceva girare la turbina "vera", la quale turbina starter forniva un flusso d'aria attraverso il motore del caccia sufficiente a farlo girare fino al 10% dei giri/minuto (RPM), valore al quale si spingeva avanti la manetta, facendo entrare il carburante nelle camere di combustione. Alcuni motori a pistoni, ma anche a reazione potevano anche essere avviati a cartuccia esplosiva (come un bossolo di cannone, sui 90 mm), come il G-91, o l'F-84, ma il 104 mi pare proprio di no. F-104 air-starter, che sta proprio davanti alle guide aerodinamiche del compressore del J-79:
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Per le Ardenne Hitler contò soprattutto sul cattivo tempo. Il motore raffreddato a liquido (acqua e glicol) non è un problema, però è sempre un apparato in più, che se si rompe sono guai. Molti grandi motori stellari invece erano raffreddati ad aria e non avevano questa complicazione. I motori in linea, come il grande Napier Sabre del Thyphoon erano raffeddati a liquido. Il Sabre era un motore compresso a 24 cilindri su quattro bancate ad H che sprigionava una spinta poderosa (2065 KW; 2769 hp: un'enormità!), ma era stato sviluppato velocemente e le sue valvole "a fodero" dettero sempre dei problemi. Fu uno dei motori a pistoni più potenti mai installati su un caccia. Sotto i 4000 metri, il Thyphoon filava i 660 chilometri all'ora in volo livellato: era pericoloso perfino per il Me-109, o per il FW-190. Riguardo quest'ultimo, ci furono diversi incidenti perchè Typhoon e FW-190 da lontano avevano sagome che potevano anche assomigliarsi, per cui gli artiglieri della contraerea potevano anche aprire il fuoco. Si cercò di ovviare a questo dipingendo oltre alle "invasion stripes" anche delle strisce di un giallo molto acceso sull'ala del Typhoon: una a livello del cannone interno e una sul bordo d'entrata alare.
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Delle Ardenne ne parlavamo qua: http://www.aereimilitari.org/forum/topic/14087-loffensiva-delle-ardenne/ Il Typhoon venne "scavalcato" dalle sue evoluzioni (Tempest e Sea-Fury) e soprattutto dagli aerei a reazione. Come avranno già scritto, il Typhoon nacque come caccia per sostiuire lo Spitfire e l'Hurricane, ma si rivelò un fallimento in questo ruolo, dato che le sue sei tonnellate a pieno carico rimanevano un dato dal quale non si poteva prescindere. Al contrario, mentre stavano per radiarlo si accorsero che era robusto e velocissimo a bassa quota. Lo irrobustirono nelle ordinate del troncone di coda, che tendeva a rompersi nelle manovre brusche fatte con la grande deriva e tolsero il bizzarro sportello sulla destra, che era difficilissimo da aprire se ti stancavi della festa e decidevi di andartene, dato che la pressione aerodinamica tendeva a chiuderlo. Con quattro cannoni da 20 mm, razzi da RP3 e fino a 900 chili di bombe, uniti alla grande velocità (quasi 700 all'ora all'uscita delle picchiate), il Typhoon si rivelò un'arma aria-suolo micidiale.
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L’ F-105G sopportò tutto il peso delle missioni wild weasel dell’Air Force per tutta la durata del conflitto vietnamita e fino alla cessazione definitiva dell’impegno militare americano nel sud est asiatico, avvenuta nel 1973, sebbene dal 1968 fosse stato affiancato dalla nuova versione del Phantom: l’F-4E (che mi pare cominciò ad arrivare nel ‘67). I cieli nordvietnamiti inizialmente erano risultati praticamente inavvicinabili per i B-52D ed F dell’Air Force, provenienti da Guam, a causa dei SA-2. Di conseguenza divennero di primaria importanza le missioni degli F-100D ed F e degli F-105 (D, F e G), i quali, avendo ovviamente caratteristiche di agilità superiori a quelle dei B-52, non si limitavano alle sole missioni wild weasel, ma venivano in pratica impiegati per attaccare quegli obbiettivi che non potevano essere raggiunti dai B-52, di conseguenza gli F-100 e soprattutto gli F-105 vennero impiegati anche per fare il lavoro dei B-52 e quindi, di fatto, anche come bombardieri strategici e come aerei da interdizione, attaccando le principali città del Nord, le infrastrutture, i ponti, i depositi, le caserme ed il Sentiero di Ho Chi Minh. Visto il successo delle missioni wild weasel e davanti all’ostinazione nemica, il 12 aprile 1966, per la prima volta nel conflitto, i B-52D vengono impiegati direttamente anche contro il Nordvietnam, per attaccare il sentiero di Ho Chi Minh sui passi montani di Mu Già e Ban Karai, dai quali passava la maggioranza del traffico diretto a Sud. L’offensiva aerea andò progressivamente intensificandosi per tutto il 1966 e il ’67. All'inizio del '68, si scatenò l'offensiva del Tet, che rappresenta il vero e proprio spartiacque nel conflitto vietnamita e nell'opinione pubblica mondiale e americana. Il 31 di ottobre 1968 il presidente Johnson ordinò la cessazione di tutti i bombardamenti aerei e navali sul Nordvietnam a partire dal giorno dopo, 1° novembre. Così finiva Rolling Thunder. In 3 anni e 9 mesi di bombardamenti, come ho già scritto, gli americani avevano scaricato sul Vietnam del Nord, in Laos ed in Cambogia l’equivalente di mezza tonnellata di bombe al minuto (864000 tonnellate: quasi un Megaton), uccidendo tra i 50000 e i 180000 civili nordvietnamiti e perdendo 922 aerei; l’ Air Force perse 378 piloti (255 uccisi, 123 missing in action), la Marina e i Marines persero 454 uomini, uccisi o dispersi. Non conosco le perdite inflitte alle forze regolari nord vietnamite. Gli obbiettivi principali di Rolling Thunder erano stati: piegare la volontà nordvietnamita e ridurre o azzerare il traffico di uomini e materiali diretti a sud lungo il Sentiero di Ho Chi Minh. Come il Tet aveva dimostrato, nessuno di questi due scopi era stato raggiunto. Il morale nordvietnamita era alto, la certezza nella vittoria finale era sempre più diffusa e radicata, anche nel Sud, l’ammontare delle forze comuniste infiltrate nel Sud dal 1965 non solo non era stato ridotto, ma era quasi raddoppiato. Rolling Thunder, nonostante fosse tecnicamente riuscita, in realtà si rivelò un fallimento strategico. Gli F-105 e i B-52 tuttavia continuarono a combattere anche dopo Rolling Thunder e fino a Linebacker e Linebacker-2 nel 1972. A quell’epoca però erano ormai disponibili armi rivoluzionarie, come le bombe intelligenti (ma era ormai una guerra del tutto diversa: gli Stati Uniti se ne stavano andando). L’impiego dell’F-105 andò avanti per tutto il conflitto vietnamita, ma subito dopo la fine delle operazioni nel sudest asiatico il Thunderchief venne subito passato alla Riserva dell’Air Force e poi alla Guardia Nazionale, per poi essere ritirato nei primi anni ’80. Secondo alcuni, questo indicherebbe che l’USAF lo riteneva oramai superato da un pezzo; il suo successore nelle missioni wild weasel fu il Phantom, prima la versione “tuttofare”, la E e poi quelle specializzata, la G.
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Si, ma non dipende solo da questo, ma da un casino di fattori aerodinamici. Comunque, l'ala del Ta-152 era fatta per la velocità e per l'alta quota e la maggior apertura era soprattutto per andare più in alto. Non ho capito bene se intendevi allungare l'ala anche al Mustang. Il Macchi Mc-200 aveva l'ala sinistra più lunga non solo per la coppia dell'elica motrice, ma anche per un problema di rollio. Credo che si possa riassumere così (ma non so se è corretto): l'aereo non era stabile agli alti angoli d'attacco, come una virata con 90 gradi di bank, perchè aveva un'ala dritta a profilo costante e quando l'angolo d'attacco era eccessivo le estremità alari stallavano e i comandi si invertivano, il che significa che invertiva da solo la virata in un cosiddetto "stallo ad alta velocità", cioè non causato dalla bassa velocità, ma da un angolo d'attacco eccessivo ed entrava in "autorotazione" (termine che non credo molto corretto), soprattutto nelle virate stratte a destra, perchè allo stallo delle estremità alari da quel lato ci si sommava anche la coppia dell'elica. La cosa si ridusse, ma non sparì mai del tutto, facendo un'ala a profilo variabile dalle radici alle estremità e ci arrivarono incollando progressivi strati di balsa rivestita di tela sull'ala e vedendo come andava.
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"No Enemy Plane Will Fly Over The Reich Territory " Hermann Goring, Maresciallo del Reich Non sono un esperto, tanto meno un "superesperto", magari.... Più che "Angolo d'attacco" questo thread forse dovrebbe chiamarsi "Angoli di intercettazione". L'arma del Mosquito oltre la quota era la sua velocità in quanto era un aereo (di legno) eccezionale. L'idea del bombardiere non fu affatto un disastro e, come ha giustamente fatto osservare Simone, lo scopo è sempre mettere il nemico in condizioni di non nuocere, indipendentemente dal fatto di ammazzarlo o meno: un caccia con il motore colpito o i comandi fuori uso non costutuisce più una minaccia per i bombardieri. L'idea della "scatola" era soprattutto degli americani e serviva appunto a moltiplicare il volume del fuoco difensivo e a far sì che ci si occupasse ognuno di un certo settore di cielo. Era soprattutto degli americani, che andavano di giorno per vari motivi, ma soprattutto per essere molto precisi sui bersagli. Gli inglesi erano più pratici: osservando che una minima percentuale delle bombe per uso generale finiva effettivamente centrata sul bersaglio, preferirono il concetto di "area bombing": saturiamo l'area dell'obbiettivo con tutto quel che abbiamo e ce ne andiamo; di sicuro quindi il bersaglio lo becchiamo perchè rientra in quell'area. Di conseguenza, dato che la precisione millimetrica non era più un obbligo perchè andare di giorno, per favorire la mira ai tedeschi? Si va di notte, sfruttando anche i radar di bombardamento, in cui gli inglesi erano almeno agli inizi più avanti degli americani. Nella vita niente è facile: nè pilotare un bombardiere sulla Germania nazista, nè cercare di abbatterne uno con un caccia tedesco. I bombardieri alleati subirono pesanti perdite, specie agli inizi, quando non avevano ancora una scorta di caccia sull'obbiettivo, ma il bilancio costi/benefici era a favore dell'idea del bombardamento strategico. Costrinsero la Germania a deviare un'enorme quantità di energie di ogni tipo verso la difesa e il decentramento dei suoi obbiettivi strategici, energie che invece avrebbero potuto essere usate all'offensiva e che invece vennero "sprecate" per la difensiva e questo in guerra significa già rimanere sotto. Anche se la produzione industriale bellica tedesca non fu mai annientata, come speravano gli strateghi alleati, ma anzi rimase più o meno invariata (e in alcuni campi addirittura accellerò!), ma fare questo sotto i bombardamenti costò alla Germania nazista uno sforzo dal quale non si riprese mai. Inoltre, un altro effetto deleterio fu quello di portare la guerra direttamente a casa dei tedeschi, cosa che alla lunga spezzò la volontà del popolo tedesco, che iniziò a farsi qualche domanda sulla guerra e sui suoi caporioni. "Nessun aereo nemico violerà mai i cieli del Reich" ebbe a proclamare Goring, si sbagliava e il popolo tedesco ebbe un terribile shock quando si accorse che erano solo chiacchiere. Questo, oltre che incenerire la germania, spezzò il morale dei tedeschi e, come dice il maresciallo Montgomery, "il morale è tutto".
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Si Caro, in realtà si usa un comodo preservativo che finisce in un catetere che finisce in una sacca (Urinary Collection Device, hanno trovato una sigla militare anche per questo), quindi per fortuna nell'uretra non ti infilano niente a meno che non glielo chiedi... Ricordarsi di pressurizzare la tuta in volo (in genere è tenuta sgonfia), o la pipì non fluirà nel sacchetto, ma finirà comunque nel pannolone. Se questo causa il distacco del preservativo dalla parte anatomica cui era attaccato, NON usare le mani! Consultare il manuale di volo del Blackbird al paragrafo "distacco di profilattico": ci sarà scritto: "eject-eject-eject"? Dieta "a basso residuo" per non stimolare l'intestino (niente fibre, quindi pancetta e uova vanno benissimo: il contrario di quel che dice il Dottore). Poi si mette un bel pannolone sotto la tuta (utilissimo anche quando i nemici della democrazia iniziano a spararti addosso). Il pannolone e la sacca sono importanti soprattutto a causa della durata delle missioni, ma anche la sollecitazione di gravità non scherza per quanto riguarda i suoi effetti sulle funzioni fisiologiche umane. Gli ultimi rapporti dei servizi segreti ci hanno informato che questa ragazza in effetti non sopporta molto bene le G negative:
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L'idea è buona, ma funzionava nella prima e seconda guerra mondiale, quando c'erano i sommergibili, che passavano i 2/3 del tempo in emersione a ricaricare le batterie. Oggi ci sono i sottomarini e stanno immersi anche un mese di fila. Il limite più che l'autonomia del dirigibile mi sa che sono gli equipaggi e la dotazione di boe e siluri. Il dirigibile è troppo lento per inseguire un sub e pattuglierebbe aree troppo ristrette e risente troppo delle condizioni meteo e del vento. Comunque, da 40 anni il fondo degli oceani dev'essere ormai cosparso da reti di sensori acustici che beccano ogni sottomarino che ci passa sopra. Riguardo al pattugliamento marittimo, gli aerei essendo più veloci degli elicotteri patugliano aree enormi. Si divide l'oceano in quadrati come una scacchiera e si cerca in un quadrato per volta, così non si corre il rischio di perdere tempo a cercare due volte nello stesso posto. Se si è in due o più poi si fanno più quadrati alla volta.