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Obiettivi di Hobo
Generale di divisione aerea (9/11)
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"Nous sommes les hommes des troupes d'assaut, Soldats de la vieille Légion ...". "La Légion marche", inno di marcia del 2 REP. 05:35 heures “Henri! … Henri, réveille-toi!” A farlo emergere dal sonno non fu la voce di Angeline, ma il tono: era spaventata. Continuava a scuoterlo anche se ormai era sveglio. Si tirò su a sedere. Nella semioscurità Henri sentì quel suono, come pioggia battente che cade su un tetto in lamiera. Sapeva che non era pioggia, non pioveva mai in quella stagione: era fuoco automatico. Henri Jagodinski si sentì subito meglio, come quando ci si risveglia da un incubo per poi rendersi conto che s’è trattato solo d’un brutto sogno. Si lasciò ricadere all’indietro sul letto: “Angeline … Quelli delle FAZ¹ avranno fatto festa ieri sera: giorno di paga …”. “Ma quale paga Henri! Gli stipendi arriveranno lunedì prossimo, forse martedì mattina!”. Henri Jagodinski racconta che fu come se qualcosa di funesto gli fosse balzato nel petto. Si rizzò di nuovo a sedere sul letto e guardò la radiosveglia: le 05:35. “Sveglia i ragazzi”, disse ad Angeline mentre si alzava. “Non ce n’è bisogno Henri …”, gli rispose lei, indicandogli i loro tre figli. Olivier, otto anni, Thierry, cinque anni e il piccolo Alain di due anni erano già in piedi, ancora con il pigiama addosso ed ora stavano fissando muti i loro genitori dalla soglia della camera da letto. Sembravano più incuriositi che spaventati. Henri in pantofole si diresse verso una delle finestre del salotto che davano sul giardino e sulla strada, l’avenue des Cassias. Quel rumore lontano continuava ed anzi pareva aumentare d’intensità. Henri socchiuse una persiana e guardò fuori. Sparavano a oriente, al di là della cité Rouet, dall’altra parte della città, forse nel quartiere P-2. Le raffiche erano nutrite, si susseguivano senza soluzione di continuità. Di quando in quando dei tonfi sordi, pesanti, come i passi d’un gigante. Per strada non si vedeva nessuno. Quella mattina perfino i cani randagi che normalmente vagano lungo le recinzioni delle “parcelles”, i lussureggianti giardini privati di Kolwezi, sembravano spariti. Strano. Henri si stava voltando per tornare dalla moglie, senza saper bene cosa dirle, quando qualcosa si mosse. Un’ombra scattò silenziosa nel chiarore dell’alba. Teneva il dorso curvo, la testa bassa. Un uomo armato di FAL, con addosso la mimetica delle FAZ, scavalcò d’un balzo il muretto del giardino, si lasciò cadere sulla ghiaia e poi via, attraverso le aiuole. Passò di corsa proprio sotto la finestra di Henri senza degnarlo d’uno sguardo e sparì sul retro di casa. Dietro di lui moltissimi altri. Henri non li contò: in quel momento scoppiò la fine del mondo. Kolwezi 13 maggio 1978, sabato di Pentecoste. Le 05:35 ora locale. Undici battaglioni di “Tigri katanghesi”, di circa trecento uomini ciascuno, si materializzano di colpo nello Zaire meridionale e attaccano la regione mineraria di Kolwezi, travolgendo con impeto irresistibile tutto ciò che incontrano sul loro cammino. Le forze zairesi del settore vengono rapidamente sopraffatte e massacrate. I katanghesi, quasi tutti ragazzi, sono ben addestrati e politicamente motivati. Sono stati inquadrati e indottrinati fino al fanatismo da abili istruttori cubani in Angola. Nel segreto più assoluto sono riusciti a compiere un’ampia diversione ad est, hanno violato la neutralità dello Zambia e, con un’epica marcia di duecentocinquanta chilometri attraverso boscaglie e paludi, hanno raggiunto e superato il confine tra Zambia e Zaire. Il morale è alle stelle. La seconda guerra per lo Shaba è cominciata. Le “Tigri” hanno fame. ¹F.A.Z.:Forces Armées Zaïroises. (Fonte: “La Légion saute sur Kolwezi”; Pierre Sergent. Opération Léopard, le 2ᴱ R.E.P. au Zaire, mai-juin 1978 ).
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Vietnam1967, altipiani centrali. In una regione di incredibile bellezza si combattono alcune delle più sanguinose battaglie di tutto il conflitto indocino-vietnamita. Gli americani, come i giapponesi e i francesi prima di loro, cozzano contro la ferrea volontà del popolo vietnamita ad autodeterminarsi. Il terreno è conteso palmo a palmo in una serie infinita e confusa di avanzate e di ritirate, di bombardamenti aerei, duelli di artiglieria e brutali scontri corpo e corpo che avvengono in località incredibilmente remote, perse nelle profondità della boscaglia, o in cima a qualche cresta montuosa senza nome. Su tutto e su tutti domina la jungla, la grande "Macchina verde" che uccide gli uomini, senza curarsi del colore della loro pelle, né, tanto meno, di quello della loro uniforme. E' solo la jungla che assiste impassibile alle atrocità di quei combattimenti, per poi inghiottirne i resti, cancellandone per sempre le tracce. Dall'inizio del conflitto, gli statunitensi hanno cercato, senza riuscirci, di attirare l'NVA in uno scontro in campo aperto. Gli uomini fedeli ad Hanoi, conoscendo le intenzioni del nemico occidentale, si sono ben guardati dal cadere nella trappola e si sono resi invisibili, sfuggenti, inafferrabili, sfruttando i vantaggi offerti da un terreno e da un clima veramente impossibili e la sicurezza offerta da un vero e proprio labirinto di nascondigli che quasi sempre sconfina in Laos e Cambogia, là dove gli americani, almeno ufficialmente, non possono raggiungerli. In questo modo, l'attività nordvietnamita non solo non ha risentito delle operazioni statunitensi, ma addirittura è andata aumentando negli altipiani centrali e a sud della DMZ, che ora inizia letteralmente a brulicare di reggimenti Viet Cong, che si fanno via via sempre più spregiudicati, attaccando gli americani con tattiche"hit and run". Alla fine del 1967, allo scopo di contrastare la crescente infiltrazione degli uomini di Hanoi attraverso i confini nordoccidentali, gli USA lanciano sugli altipiani tutta una tremenda serie di articolate e poderose operazioni "Searchand Destroy", che rivelano tutta la determinazione americana nel combattere la progressiva infiltrazione nemica a sud del 17° parallelo. Fanteria, aviotrasportati, marina, aviazione, Forze Speciali e Marines vengono tutti gettati nella mischia che si accende tra le montagne, al confine con Laos e Cambogia. Ne viene fuori uno scontro micidiale, primordiale; combattuto dall'inizio alla fine a colpi di pugnale e baionetta, con il fango fino alla vita, nella penombra verde della foresta pluviale. Nomi come Pleiku, Kontum, Dak To, Con Thien e altri piombano, grazie alla televisione, nelle case degli americani e le immagini che ne provengono non sono cose belle da vedere mentre si cena. E' in questo contesto che si inserisce l'epopea delle basi di fuoco americane e della lotta per il controllo delle tormentate frontiere occidentali della Repubblica del Vietnam del Sud. La tattica americana si basa su potenti operazioni aviotrasportate che hanno origine da basi di fuoco in grado di garantire la copertura dell'artiglieria. Là dove queste basi non esistono già, gli statunitensi le creano in mezzo al nulla e da un giorno all'altro, trasportando con gli elicotteri enormi quantità di armi e materiali: i soldati USA, trasportati per via aerea in zona d'operazioni, non escono mai da sotto l'ombrello protettivo dell'artiglieria presente in queste basi di fuoco. Un grosso CH-54 Skycrane allestisce una grande base in Vietnam trasportando un CH-47 smontato, notare il paracadute che fa da ancora: Khe Sanh Combat Base: la grande base e il suo aeroporto giacciono, nei pressi dell'omonimo villaggio, su un bell'altopiano circondato da colline e montagne;queste ultime corrono da est a ovest fino nel Laos, arrivando a sfiorare i mille metri e sono tutte invariabilmente ammantate da un lussureggiante mantello di jungla verdissima. La regione è una tra le più belle del Vietnam. Il suo clima e la sua altitudine la rendono ideale per la produzione di caffè, le cui piantagioni ricoprivano le fertili vallate dell'altopiano di Khe Sanh, punteggiate di candide residenze coloniali francesi. Gli americani sono qui almeno dal '62, quando i Berretti Verdi, allo scopo di saggiare la possibilità di eventuali alleanze con i Montagnards degli altipiani, allestirono un piccolo campo avanzato, vicino a una pista giapponese risalente alla seconda guerra mondiale, nei pressi di un vecchio fortino francese in rovina. Il sito, secondo Westmoreland, è strategico: si colloca a sole sette miglia a est del confine con il Laos e a meno di tredici miglia (a portata di cannone) a sud della DMZ. La statale 9 attraversa serpeggiando l'altopiano di Khe Sanh, scendendo dalle montagne laotiane per dirigersi a est, fino a raggiungere lalitoranea numero 1 e il mare: chiunque voglia infiltrarsi nel Vietnam del Sud passando dal Laos o dalla DMZ deve farlo sotto gli occhi degli americani a KheSanh. I Marines arrivano a Khe Sanh nel 1966, quando, a fronte di un intensificarsi dell'attività ostile, l'alto comando americano stabilisce che la base rappresenta un ottimo punto d'appoggio occidentale nel dispositivo statunitense; in grado di funzionare come base di fuoco per l'artiglieria, come campo base per operazioni speciali in Laos e come punto di controllo dell'infiltrazione nordvietnamita a sud della DMZ; per cui gli americani arrivano con le ruspe, allargano il perimetro, scavano fossati, aggiungono reticolati e campi minati e allungano la pista in modo da rendere possibile anche le operazioni con gli aerei più pesanti. Memori poi dell'esperienza francese a Dien Bien Phu, gli statunitensi si guardano bene dal lasciare alla mercé del nemico le alture circostanti la base: con tutta una serie di sanguinosi attacchi, i Marines alla fine del '67 le ripuliscono da ogni possibile presenza nemica e ci si insediano in pianta stabile, iniziando a rintuzzare sempre più spesso puntate nemiche che mirano a sloggiarli da lassù. Le colline e le montagne attorno a Khe Sanh infatti non solo sono eccellenti punti di osservazione e ottime basi di fuoco per l'artiglieria, ma costituiscono anche una barriera naturale per chi dal Laos voglia entrare in Vietnam attraverso i passi montani. In particolare, subito a nordovest della base di Khe Sanh, quota 881 nord, 881 sud e quota 861 vengono a costituire un crinale naturale in posizione strategica, dal quale si dominano la grande base, la statale 9 e gli accessi che dal confine laotiano conducono in Vietnam.
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Gennaio 1968. All'inizio di quel periodo di cambiamenti culturali che cambierà il mondo per sempre, anche il conflitto vietnamita raggiunge finalmente la svolta. Una forza che è stata stimata in almeno 200.000 guerriglieri Viet Cong guida qualcosa come 70.000 soldati regolari di Hanoi all'attacco degli americani a sud del 17° parallelo e nel Vietnam del Sud, in quella che passerà alla storia come l'Offensiva del Tet. I vietnamiti sfruttano il Sentiero di Ho Chi Minh in Laos e Cambogia per raggiungere le posizioni di inizio attacco, ma come sia riuscito un simile esercito a infiltrarsi nel sud senza dare al nemico il ben che minimo sentore riguardo alle sue effettive dimensioni rimane ancora oggi e in larga misura un mistero. Tutta la tecnologia della Superpotenza mondiale che l'anno seguente riuscirà a mandare l'uomo sulla Luna fallisce clamorosamente in quello che fino ad allora veniva considerato un paese di trogloditi. La portata e la qualità degli attacchi multipli rivelano l'entità di un'offensiva senza precedenti. In America dove, grazie a un'informazione spesso parziale, si dava per scontata la vittoria in Vietnam, le gente rimane sbalordita davanti alla televisione, a guardare le crude immagini del grande attacco. Accade l'impensabile: l'ambasciata americana a Saigon viene assaltata da un'unità suicida vietnamita. Il generale Nguyen Ngoc Loan si fa riprendere in mezzo alla strada mentre spara freddamente alla tempia di un Viet Cong. L'impressione mondiale è enorme. Perfino Westmoreland appare interdetto. Walter Cronkite, il grande giornalista televisivo della CBS, va in onda a dire che la situazione è senza vie d'uscita. Il presidente Johnson capisce che ormai è tempo di sganciarsi dal caos vietnamita. KHE SANH: i Marines sotto assedio. Mentre i Marines fuori servizio affollano i sei cinema dalla gigantesca base, alla luce di un bengala un uomo si alza e si fa avanti verso i reticolati. Sta sventolando un sudicio asciugamano bianco. Gli spazientiti uomini di guardia lo prendono in consegna: l'ennesimo disertore nordviet, latore di chissà quali informazioni, come sempre tutte rigorosamente false. Stavolta però le cose vanno in modo diverso. L'uomo riferisce di chiamarsi La Thanh Ton, di essere un ufficiale delle forze regolari di Hanoi e di avere con sé l'intero piano di attacco a Khe Sanh; attacco che comincerà di lì a qualche ora. Nell'ascoltarlo, i Marines si guardano l'un l'altro incerti sul da farsi, ma poi decidono che la cosa potrebbe anche essere più grande di loro e fanno tradurre il prigioniero dal comandante della base. L'interrogatorio del disertore nordvietnamita non fa che confermare ciò che il colonnello del Corpo dei Marines David E. Lownds già sa: il nemico sta arrivando.
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Dato che m'è stato richiesto in mp, cercherò di rimettere le foto: Mezzanotte a Stykkisholmur:
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Veramente da quel che so io il computer c'è dappertutto. Volantino, cloche o stick non cambia nulla: anche se c'è il volantino, se sto a sinistra lo devo impugnare con la sinistra. Cloche e volantini non si impugnano mai a due mani, mica siamo Maverick finito con l'F-14 nella scia di Iceman, ma sempre una mano sul volantino (o cloche, o stick) e una sulle manette. Ovvio che se sono io il comandante (seggiolino di sinistra), avrò la sinistra sullo stick e la destra sulle manette. Dato che tra le gambe non ho nulla (di meccanico) perchè non c'è il volantino, avrò anche un'ottima visuale completa della strumentazione e degli schermi. Secondo me è questione d'abitudine, inoltre le escursioni di stick o volantino non sono chilometriche. Quelle dello stick ovviamente sono le più corte e quindi anche le più comode. Bastano piccoli movimenti per comandare i controlli dell'aereo.
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Bagni nei bombardieri
Hobo ha risposto a dogfighter nella discussione Bombardieri & Attacco al suolo
Da ciò che so io non c'è proprio nessun sacchetto. Il B-1 dovrebbe avere un bagnetto chimico come gli aerei di linea più una o due brandine. Il B-52 pure (ma non ne sono sicuro). Non ci sono sacchetti a nessun polpaccio: ci sono pannoloni e "preservativi" da infilarsi per i "liquidi", come sull'SR-71 che rimaneva in aria anche 12 ore. Il tutto naturalmente pressurizzato (per evitare come dire sgradevoli "ritorni in dietro" del materiale, o ostacoli al suo normale "defluire" fuori dal corpo, dato che i fluidi si muovono per gradiente pressorio e non per gravità. Anche la dieta pre-missione è importante: niente fibre quindi niente pupù; almeno per 12 ore. Privilegiate le proteine e i carboidrati (oltre ai grassi come uova e bacon). Mangiate così per 20 anni e vedete come vi riducete... -
Il vero cesso estetico per me è il Typhoon: sembra che vuole fare tanto il figo alla Mirage, ma non ne ha la classe e poi sotto si ritrova quella presa d'aria squadrata anni '70. Pfui! (ma l'Intruder è diventato un caccia?)
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Io non ne so niente, ma sapevo del Beriev A-50 Mainstay (Il-76) che in Cina dovrebbe essere il KJ-2000 e di una versione del buon vecchio An-12, che dovrebbe essere l'Y-8 cinese ricondizionato ad awacs come KJ-200, ma sono tutti aerei basati a terra.
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in ricordo per i 97 ragazzi bardaramente assasinati in norvegia
Hobo ha risposto a cama81 nella discussione Discussioni a tema
Non ci sono soluzioni definitive, tranne migliorare i controlli e poi migliorarli ancora. Rimane la mia curiosità su come abbia fatto una nullità come Anders Behring Breivik, uno palesemente schizofrenico, a mettere su da solo una cosa del genere. Da quel che so io, i tipi del genere in genere hanno una lunga storia di tentativi andati a male. I piromani per esempio dovrebbero essere in genere gente con ustioni più o meno estese, che si sono fatti da soli in più occasioni finite male, mentre cercavano di appiccare il fuoco a qualcosa (o a qualcuno). Gli aspiranti dinamitardi lo stesso: sono idioti cui quasi sempre manca qualche pezzo, tipo dita di mani e piedi, oppure un occhio, perduti mentre cercavano di far saltare qualcosa. Insomma, ci vuole pratica per usare esplosivi in modo "efficace e sufficiente" e siccome questo qua non viene dai SEALs, dove cavolo ha imparato a fare centro al primo colpo (e senza ammazzarsi) con la roba che fa BUM!? -
in ricordo per i 97 ragazzi bardaramente assasinati in norvegia
Hobo ha risposto a cama81 nella discussione Discussioni a tema
Ci sono ci sono. Basta vedere quelli che entrano nelle scuole e iniziano a sparare: non servono strettamente armi da guerra se si vuole ammazzare qualcuno. L'amara verità e che basta molto meno. E comunque, figura di mer*a dei giornali a parte (AlQaeda???? I jadisti??? Uahahahahahah!!!!), i morti mi sembrano 76 non 97. -
Mi parevano Propfan... Wikipedia è sbagliata. Il Muravchenko D-27 ha a che fare per caso con il Progress D-27 dell'An-70? Notare sul nose gear dello Yak-44E dell'ultima foto, il braccio per la navetta della catapulta: era fatto per portaerei vere, con catapulte vere. Anche se forse poteva decollare dallo skijump, dato che di portaerei russe con catapulte a vapore io non ne conosco, ma è probabile che per prova qualcuna l'abbiano istallata: lo Yak-44 Wikipedia lo da per 40 tonnellate a pieno carico! All'anima della catapulta! (E del salto dallo skijump!).
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Era un ottimo aereo in quanto tale, riguardo a radar e scatole nere non so. Credo però che per avere un awacs basato su portaerei prima ci vuole la portaerei. Per avere le portaerei ci vogliono i soldi e la necessità di averle, quindi se tutto questo manca, allora manca anche l'awacs imbarcato. Quando i russi dovettero fare a meno di una classe di vere portaerei fecero a meno anche dello stormo imbarcato. Altro discorso secondo me è la Cina, che dato che il progetto dello Yak-44 era per lo meno molto promettente è probabile che ci metterà le zampe (e i soldi) sopra. Da notare che lo Yak-44 avrebbe mantenuto la possibilità (e quindi anche le dimensioni e i pesi) di svolgere funzioni di carrier onboard delivery con tanto di rampa posteriore, come il Grumman Greyhound, però più grosso. Per questo (e per altri motivi) lo Yak-44 montava due potentissimi turboprop (ma a me mi sanno di propfan...) progettati da quello che credo oggi è diventato lo Ivchenko-Progress Design Bureau. 13.000 shaft-horse-power ognuno. Più del doppio di una turbina RR del C-130J. Due eliche controrotanti con pale particolari fatte per le altissime velocità rotazionali (soniche): un'elica a sei pale dietro, una da otto davanti. Molto simile come configurazione ai poderosi propfan dell'eccellente An-70 e non so se mi spiego...
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Ritorno a una delle mie passioni: il МиГ-21 (Mig-21). Mig-21. Fuori c'è scritto PFM, comunque sia mi sa anche a me di seconda generazione, quindi PFM può essere. "Left hand console": qua ci sarebbe da dire, ma il mio manuale dovrebbe essere del Mig-21BIS e ci sono delle differenze. Il mio problema è che le diciture sono ovviamente in russo... Qualcuno ci capisce qualcosa? Comunque andiamo per ordine: "The МиГ-21бис (dovrebbe essere "Bis") aircraft is a front-line (tactical) interceptor fighter powered by one turbojet engine. It is fitted with instruments and electronic equipment ensuring flights by day and at night under fair and bad weather conditions"... (Mikoyan-Gurevich Mig-21 pilot's flight operating instructions)
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Ma le foto che ho postato voi le vedete? Io no! Boh. Ci riprovo: Antenne secondo me ILS del Su-22. Sul pitot principale: Su-22: geometria variabile. Semiala sn: Semiala Dx:
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Particolare della semiala sn: I flap del Dakota escono solo dal profilo alare inferiore o intradosso (split flap: perchè semplicemente si limitano a separarsi dal profilo alare inferiore). In questo modo la superficie alare resta immutata, pur aumentando a flap estratti la curvatura del profilo dell'ala. E' una configurazione che aumenta nettamente il coefficiente di portanza alle basse velocità, anche se a split flap estratti aumenta nettamente anche la resistenza aerodinamica perchè dietro di loro generano grandi vortici in quanto aumentano la separazione tra l'aria che scorre sopra e quella che scorre sotto l'ala.