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Blue Sky

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  1. Blue Sky

    SM 79 Italeri 1/72

    Grande Barone, ti sei superato, devo dire che questa realizzazione ha dato fondo a tutte le tue abilità migliori!!!
  2. Blue Sky

    Nose Art

    Liberty Ship
  3. No per niente Takumi Nelle seguenti foto l'aereo in questione è il Douglas D-558-II Skyrocket Douglas D-558-II Skyrocket
  4. Blue Sky

    Fokker D.XXIII

    Già che ci siamo aggiungere un bel video è d'obbligo! Fokker G-1
  5. Blue Sky

    Lego models

    :asd: Qualche atra composizione in "mattoncini"
  6. Blue Sky

    "Campini Caproni"

    "Campini Caproni" L'Avventura Italiana nella corsa alla propulsione a reazione Campini Caproni CC.2 (Museo storico di Vigna di Valle) “I cinquecento chilometri all'ora, ormai superatissimi, diverranno fra pochi anni comuni a tutti gli aeroplani. Noi ne siamo tanto convinti che guardiamo ancor più lontano e studiamo, non solo sulla carta, le strabilianti possibilità del volo ad alta quota.” Dietro la dichiarazione un po’ oscura fatta da Italo Balbo al Senato il 19 maggio 1931 si celano le origini del Campini-Caproni, il candidato italiano nella gara per la propulsione a reazione scatenatasi sul finire degli anni Venti e giunta a compimento oltre un decennio dopo. Nel gennaio 1931 il Ministero dell’Aeronautica aveva infatti ricevuto dall’ing. Secondo Campini (Bologna 1904- Milano 1980) una relazione su di un nuovo propulsore che prometteva di dare agli aerei quote e velocità molto alte. In estrema sintesi, Io schema proposto da Campini prevedeva prima la captazione e la compressione dinamica spontanea dell’aria per effetto del moto relativo; poi una seconda compressione meccanica; poi il riscaldamento dell’aria compressa; e infine, l’espansione dell’aria e il suo rilascio per generare la spinta. Laureatosi in ingegneria civile nel 1928 e autore nel 1930 di studi sulla propulsione a reazione apparsi sulla rivista L’Aeronautica, nel 1931 Campini costituì a Milano la ditta “Velivoli e Natanti a Reazione” (VENAR), depositando brevetti per aviogetti nel gennaio e luglio 1932. Il primo frutto concreto dei suoi studi fu un “motoscafo a reazione”, realizzato con la società milanese Costruzioni Meccaniche Rìva che vantava una lunga esperienza nel settore idraulico. I risultati delle prove effettuate a Venezia nei primi mesi del 1932 dimostrarono che il sistema Campini, azionato da un motore d’aviazione Asso 200, dava prestazioni non inferiori a quello classico. Ciò indusse l’Aeronautica a stipulare il 5 febbraio 1934 con la VENAR un contratto di lire 4.500.000, poi registrato al N° 12 di repertorio, per la fornitura entro il 31 dicembre 1936 di due aerei più una fusoliera di prova “con propulsione a reazione sistema ‘Campini”. Per la costruzione, Campini, che non disponeva di officine, raggiunse un accordo con I’ing. Gianni Caproni, al quale sin dal 29 gennaio 1931 aveva esposto i princìpi del suo sistema propulsivo. Per oltre un decennio il lungimirante ing. Caproni avrebbe sostenuto questo e gli altri progetti di Campini con un’ampiezza di risorse tecniche e finanziarie ben superiori a quelle contrattualmente previste. Costituito presso la Aeroplani Caproni di Taliedo il Centro Sperimentale Campini, i lavori iniziarono a fine 1934. Pur prevedendo la possibilità di azionare i compressori con motori a scoppio o a turbina, nella pratica Campini preferì non affrontare le sfide metallurgiche della turbina a gas, scelta che si rivelò fortemente limitafiva nel lungo termine. Nel maggio 1935 Campini richiese un motore Isotta Fraschini Asso XI R: essendo questo in fase sperimentale, la Direzione Generale delle Costruzioni Aeronautiche (DGCA) offrì invece un Asso 750R, con il quale furono effettuate nel 1936 prove a punto fisso. La scelta di realizzare subito l’aereo completo (del quale al momento del contratto esisteva solo uno schema di massima) dilatò tempi e costi. Ciò costrinse Campini a chiedere il 9 luglio 1937 al sottosegretario Valle di differire la consegna e concedere una revisione del prezzo del 25-30% a copertura dell’analogo aumento dei costi verificatosi nel corso della costruzione. Il contratto fu quindi modificato con atto aggiuntivo N° 551 del 27 dicembre 1937, portando la data al 31 dicembre 1938 ed il corrispettivo a lire 5.220.000 (+16%). Anche la nuova data si rivelò ottimistica, ed i ritardi accumulati da Campini consentirono all’Heinkel He. 178V1 tedesco di diventare il 27 agosto 1939 il primo jet della storia. Il suo turboreattore HeS.3b da 450 kg di spinta era stato progettato da Hans von Ohain, che nell’aprile 1936 aveva avviato la costruzione di un prototipo che costò circa 1.000 marchi e girò al banco già nel marzo 1937. Nel marzo 1940 giunsero infine a Taliedo gli Asso L.121 RC40 da 900 CV con architettura di 12 cilindri a V, visibilmente diversa dai 18 cilindri a W dell’Asso 750. Il motorista Casalini iniziò le prove a terra il 28 giugno ed il 26 luglio Campini segnalò alla DGCA che i due apparecchi erano “pronti per essere sottoposti alle prove contrattuali”. Come collaudatore fu ingaggiato il celebre Mario De Bernardi, che effettuò la prima uscita sul campo di Limite l’8 agosto: i 60’ di rullaggio servirono per mettere a punto il carrello e stimare la corsa di decollo Alla seconda prova, svoltasi alle 19.35 del 27 agosto, De Bernardi decollò: i 10’ di volo segnalarono una tendenza a picchiare. Diminuita l’incidenza dello stabilizzatore, il 16 settembre fu effettuato il primo volo prova contrattuale. Giorni dopo, De Bernardi cadde nell’ascensore in albergo, fratturandosi un tallone e bloccando i voli per diverso tempo. Dopo una pausa durante la quale furono effettuate solo prove a terra, i voli ripresero l'11 aprile 1941. Circa un mese più tardi, il 15 maggio, volava il Gloster E.28/39 britannico, propulso da un turbogetto W-1 da circa 385 kg di spinta, progettato da Frank Whittle. Da questa tecnologia, esportata in America su richiesta del gen. Arnold, sarebbero scaturiti i motori a getto statunitensi: pur avendo sviluppato turbocompressori avanzatissimi, i tecnici americani non si erano infatti accorti della stretta parentela tra questi ed i turbogetti. Heinkel He 178 Gloster E.28/39 Il 1° giugno il Campini-Caproni effettuò il sesto volo, della durata di appena 5’, per una presentazione al sottosegretario Pricolo in visita a Taliedo nell’ambito di una più ampia ispezione delle industrie aeronautiche del nord Italia. Avendo dato noie, nel corso dell’estate 1941 il motore fu sostituito, ma nei primi voli (19-20 ottobre) anche quello nuovo fece purtroppo registrare scoppi e vibrazioni. Revisionati carburatori, punterie e moltiplicatori di giri, De Bernardi trasportò i primi passeggeri di jet al mondo, Ving. Pedace (5 novembre) e il comm. Guasti (29 novembre). Il volo del 5 novembre, di ben 60’, servì per verificare la possibilità di trasferire il prototipo a Guidonia in volo. Essendosi deciso lo sfruttamento promozionale dell’evento, furono convocati i crono metristi ufficiali e i fotografi dell’Istituto LUCE. Pedace, appassionato di filatelia, ottenne l’annullo postale speciale e creò il primo trasporto di posta con velivolo a reazione. Il Campini-Caproni decollò da Linate alle ore 14.47 48” del 30 novembre 1941 ed atterrò a Guidonia alle 16.58’ 42”, coprendo quindi i 475,554 km tra i due scali in 2h 11’ 24” ad una velocità media di 217,147 km/h. La distanza effettiva fu in realtà maggiore, in quanto il maltempo impose un dirottamento su Pisa, naturalmente senza atterraggio. Un anno dopo, il gen. Federico Zapelloni, presidente della RUNA, comunicava a De Bernardi che la Federazione Aeronautica Internazionale aveva iscritto il volo nella lista ufficiale delle “prove controllate”. Per il riconoscimento del primato, aggiunse Zapelloni, si sarebbe dovuto àttendere che la Commissione Sportiva potesse riunirsi per deliberare l’istituzione dell’allora inesistente categoria “aerodine a reazione”. Il primo trasporto di posta al mondo fatto con aerei a reazione si effettuò in Italia. Un altro bel record per il Campini Caproni, ai cui comandi c'era il pilota Mario De Bernardi. Presso il centro sperimentale di Guidonia il Campini-Caproni fece solo pochi voli per il rilievo delle caratteristiche, modeste in conseguenza della formula motoristica e della mole. Accantonato in hangar, fu poi fatto saltate dai tedeschi in data imprecisata. Il 18 giugno 1944 il suo relitto fu esaminato dallo Squadron Leader F.E. Pickles, inviato dal Ministry of Aircraft Production britannico presso l’intelligence della MAAF per riferire sullo stato della propulsione a reazione in Italia. Pickles compilò un rapporto preliminare e curò l’invio del relitto al RAE di Farnborough, dove giunse nell’ottobre 1944. Nel gennaio 1946 fu immagazzinato per uso museale, ma nel novembre 1947 se ne decise l’alienazione a causa della corrosione oramai avanzata. Fu quindi trasferito sulla base RAF Newton e ivi demolito nel 1949. Parti della fusoliera e della sezione compressore furo furono notate nel 1951 presso un demolitore di Nottingham: è l'ultima segnalazione certa. Impiegato per le prove statiche, il secondo Campini-Caproni uscì dall’officina nel 1941 ed effettuò poche prove a terra e poi un volo contrattuale il 31 agosto 1941. Mai inviato a Guidonia, sopravvisse alla guerra in ottime condizioni ed è oggi esposto al Museo Storico dell’Aeronautica quale testimonianza di una scommessa tecnologica, affascinante anche nella sfortuna. Immagini relative al volo Linate Guidonia del 30 novembre 1941 Gli altri Campini Sebbene impegnato nella costruzione del suo primo velivolo, Campini non rinunciò a concepire anche altre macchine, Il 17 dicembre 1935 ottenne un brevetto americano, rimasto senza esito, per un aereo a reazione con compressore centrifugo bistadio azionato da un motore radiale. Nel marzo 1939 propose alla DGCA i progetti per i bombardieri trimotori d’alta quota CS.3 e CS.4, incontrando però un atteggiamento di prudente attesa dettato dai forti ritardi accumulati nella costruzione del Campini-Caproni: in pratica, la decisione di rinviare tutto a dopo il completamento delle prove sull’aereo già ordinato, Nel febbraio 1942 seguirono le propostie per caccia e bombardieri bimotori, respinte sia nelle versioni convenzionali che in quelle con unità Campini. Nello stesso anno l'ing. Campini progettò anche due mini sommergibili monoposto, su commissione della Regia Marina, azionati da idrogetti con una potenza di 1000 cv e un dislocamento di 7 tonnellate per una velocità prevista di 30 nodi e autonomia di 1000 km; i prototipi ultimati con i propulsori già collaudati andarono distrutti nel 1944 per ragioni belliche. Durante la guerra Campini studiò anche l’elicottero a reazione siglato CS.5/CS.6 (1940) e una turbina a gas da 350 CV con compressore centrifugo a 8 stadi e turbina a 9 stadi, da abbinare a un’elica (ordinata nel 1942 in due esemplari, si arrestò per gli eventi armistiziali dopo la costruzione di pochi pezzi sperimentali). Dai principi Campini i giapponesi trassero il motore Tsu-11, azionato da un motore a pistoni da 100 CV e destinato alla bomba volante pilotata Okha 22, che non vide però impiego operativo. Riportato a Milano il proprio ufficio tecnico, nel 1945-46 Campini studiò, sempre con il sostegno della Aeroplani Caproni, una turbina a gas di tipo industriale ed un’auto-elicottero con motore alternativo CNA da 120 CV o una turbina Campini. Su richiesta del Governo Americano disegnò un turbogetto da 6000 kg di spinta a grande autonomia, studiò la sostituzione dei 4 motori a elica del bombardiere Northrop YB-35 con dei turbogetti e la costruzione del bombardiere strategico B-49. L'Ing. Secondo Campini si spense a Milano il 7 febbraio 1980. Dati Tecnici Monoplano sperimentale ad ala bassa, completamente metallico. Fusoliera, di forma pressochè cilindrica, con struttura a ordinate e correntini e doppio rivestimento in alluminio, consistente in quattro sezioni (presa d’aria; condotto e alloggiàmento del compressore; tronco centrale, con motore e cabina stagna; sezione di coda con camera di combustione), l’ultima delle quali foderata internamente in acciaio inossidabile. Abitacoli indipendenti in tandem, con doppi comandi e tettucci individuali scorrevoli all’indietro; strumentazione normale per la condotta del volo. Ala in un solo pezzo, di forma ellittica e profilo spesso, nel quale si retraevario verso l’esterno le gambe del carrello con ammortizzatori oleo-pneumatici e freni pneumatici. Due longheroni, al 15% e al 59% della corda; centine a traliccio in profilati con fori di alleggerimento. Ipersostentatori in quattro sezioni. Piani di coda bilongherone. Timone ed equilibratore compensati dinamicamente Deriva e stabilizzatore collegati alla fusoliera con tre attacchi ciascuno. Ruotino posteriore reso retrattile dopo i primi voli. Unità propulsiva Campini con compressore assiale a tre stadi retorici e tre statorici, ciascuno rispettivamente con 15 palette a passo variabile idraulicamente in volo e 16 palette a passo variabile a terra, azionata da un motore alternativo mediante moltiplicatore di giri sostitutivo del riduttore e completata in coda da un vaporizzatore-bruciatore e spina Pelton mobile a comando idraulico per variare le dimensioni dell’ugello di scarico. Raffreddamento del motore tramite radiatore posto dietro il compressore. Conclusioni sul Campini Caproni Come il colpo di un fucile che "reagisce" rinculando all'azione del suo proiettile che esce a forte velocità, nei motori a reazione (o motori a getto) la spinta propulsiva viene ottenuta grazie all'eiezione ad alta velocità della massa dei gas di scarico ma anche dalla espansione dell'aria scaldata e che viene espulsa a una velocità maggiore rispetto all'entrata (d'altronde anche le normali eliche funzionano allo stesso modo, accelerando all'indietro la massa d'aria che ne attraversa il disco delle pale in rotazione). Il motoreattore di Secondo Campini è da considerarsi più un ibrido che un vero e proprio propulsore a getto: un motore a combustione interna di tipo alternativo, nel nostro caso un Isotta Fraschini L. 121/R.C. 40 da 900 CV faceva funzionare un compressore composto da 2 eliche intubate, seguite da una elica raddrizzatrice del flusso per renderlo il più possibile privo di turbolenze; degli iniettori disposti su un anello (bruciatori) immettevano kerosene, la cui combustione aumentava il volume della massa gassosa e la velocità di scarico. Era una soluzione tecnologicamente interessante, ma strutturalmente diversa rispetto ai turboreattori tedeschi come il Messerschmitt Me-262, che al posto del motore alternativo avevano un compressore azionato da una turbina posta sul getto di uscita dopo la camera di combustione. Inoltre in questo tipo di motori il riscaldamento dell'aria sotto pressione non avviene direttamente tramite gli iniettori, ma attraverso più camere di combustione che riscaldano l'aria per conduzione, soluzione piu' efficace. Inoltre nei turbogetti il rendimento aumenta al crescere di quota e di velocità, mentre i motori alternativi endotermici (come quello di Campini) hanno il loro miglior rendimento al livello del mare e hanno bisogno di un ulteriore compressore per operare ad alta quota, data la rarefazione dell'aria. Il motore progettato da Campini aveva molti altri difetti, quali il peso, l'ingombro, la complessità del tipo di motore impiegato per azionare il compressore, il basso rendimento del bruciatore (comunque vicino al limite tecnologico per il suo tempo) e la potenza notevolmente limitata. (Info Tratte da Ali D'Italia (Giorgio Apostolo) - www.museoscienza.org) Contributi Video Secondo Campini Campini-Caproni CC-2
  7. Blue Sky

    Skettles compie gli anni

    I più sinceri Auguri!!!
  8. Blue Sky

    Lego models

    Altri capolavori!
  9. Blue Sky

    Lego models

    Allora... Un'Altra carrellata di splendide realizzazioni!
  10. Blue Sky

    Nose Art

    Vari Nose art!
  11. Blue Sky

    Nose Art

    BLOND BOMBER
  12. Ho visto solo Foto in questo topic sul Mitico Hustler (Se non erro)!!!! Penso quindi di non recarvi nessun dispiacere se aggiungo qualche video! Convair's B-58 Hustler 1961 B-58 Sets New Records Convair B-58 Hustler
  13. Blue Sky

    Nose Art

    B-25 Devil Dog
  14. Blue Sky

    Lego models

    Ne posto altri altrettanto belli! Stuka P-61
  15. Blue Sky

    Lego models

    Bellissimo Dornier DO-X
  16. Blue Sky

    Nose Art

    F-16 Hot Cock!
  17. Blue Sky

    Nose Art

    Tutti già postati Flankedd!!! :asd:
  18. Blue Sky

    Hawker Typhoon

    Mmm.... Ok Magno, li prenoto entrambi , comincerò prima con il velivolo tedesco, in quanto era mia intenzione creare un topic su quest'ultimo!!!
  19. Blue Sky

    Hawker Typhoon

    E' Vero, le stesse parole cariche di terrore venivano pronunciate anche per i Mitici P-47 Thunderbolt!
  20. Ehm.... Non sempre Flankedd, dipende dai casi, infatti per ogni aereo può cambiare la fonte di approvvigionamento che viene integrata, in alcune circostanze con siti oppure link adatti al caso! Fine OT
  21. Gloster Gladiator Ultimo biplano da caccia britannico, il Gloster « Gladiator » deve la sua notorietà non a doti particolari, né ad imprese di speciale risonanza, ma solo al fatto, certamente non troppo gradito ai suoi piloti, di essere stato impegnato in azioni belliche quando avrebbe dovuto già essere stato radiato, risultando così nettamente surciassato da quasi tutti gli avversari contro i quali fu impiegato. Unica (In alcuni casi) rilevante eccezione a questa regola furono i biplani da caccia ed i bombardieri del la Regia Aeronautica. La casa inglese che costruì il « Gladiator » nata nel 1917 sotto la denominazione di « The Gloucestershire Aircraft Company Limited », e ribattezzata sul finire del 1926 « Gloster Aircraft Company Limited » per avere un nome un po’ meno impronunciabile, non brillò, in genere, per un’eccessiva modernità delle proprie realizzazioni, anche se negli anni della seconda guerra mondiale avrebbe avuto una parte di primo piano nella genesi e nell’evoluzione dell’aereo a getto. Del resto, non sarebbe neppur stato facile prevedere che proprio le avanzatissime specifiche F.7/30 per un nuovo caccia, formulate nella seconda metà del 1930 dall’Air Ministry britannico, avrebbe finito per portare ad un biplano che, all’epoca della consegna alla RAF del primo esemplare di serie, il 16 febbraio 1937, sarebbe stato già da considerarsi un anacronismo. In effetti, per soddisfare la specifica F.7/30 sarebbe stato necessario realizzare un caccia dotato, per l’epoca, di caratteristiche veramente eccezionali. L’armamento richiesto, di quattro armi da 7,7 millimetri, era doppio di quello standard dei caccia inglesi; la velocità massima desiderata, di 400 chilometri orari, era largamente superiore a quella dei più avanzati caccia esistenti, e per di più si richiedevano anche brillanti doti di salita e di maneggevolezza, un’elevata quota di tangenza, e la possibilità di impiego notturno. I costruttori inglesi, sostanzialmente impreparati a rispondere alle specifiche dell’Air Ministry, furono poi anche vittime del pesante handicap che il ministero impose loro, esprimendo una spiccata preferenza per il nuovissimo 12 cilindri Rolls Royce « Goshawk », dotato di un sistema di refrigerazione evaporativa con radiatori superficiali. Questa delicata tecnica, nella sua adozione su un aereo bellico, avrebbe urtato, in più occasioni, negli insormontabili problemi di una paurosa complicazione, di un peso notevole, e di un’elevata vuinerabilità: e, come risultato finale, il « Goshawk » finì per essere uno dei pochi insuccessi della Rolls Royce nel campo dei motori alternativi aeronautici. Le deficienze del motore e la difficoltà di rispondere all’impegnativa specifica F.7/30 ebbero come risultato che nessuno dei numerosi prototipi ordinati dalla RAF, e realizzati dai principali costruttori inglesi (Blackburn, Bristol, Hawker, Supermarine, Westland) venne ritenuto soddisfacente. Ed ulteriore conseguenza di una competizione conclusasi senza alcun vincitore fu che il prototipo SS 37, realizzato alquanto più tardi dalla Gloster come iniziativa puramente privata, ed abbondantemente in aperto dispregio delle preferenze espresse dall’Air Ministry in materia motoristica, finì per risultare il vero caccia di transizione, che nella RAF segnò il passaggio dagli ormai anziani biplani Gloster « Gauntlet » ed Hawker « Demon » e « Fury » ai monoplani Vickers Supermarine « Spitfire » ed Hawker « Hurricane ». Derivato appunto dal biplano Gauntlet, il Gladiator venne progettato da Henry Philip Folland, che affìnò il proprio precedente biplano riducendo a due sole coppie di montanti le controventature rigide dell’ala, e semplificando il carrello grazie all’adozione di gambe a sbalzo con ammortizzatori sistemati nello spessore dei mozzi delle ruote. Anche se inizialmente era stato previsto l’impiego dello stellare Bristol « Mercury > ME.30 da 700 cavalli, ritardi della messa a punto del motore costrinsero la casa costruttrice ad installare sul prototipo un « Mercury » IV da soli 530 cavalli, Il Gladiator prototipo, che portava le matricole K 5200 e che volò la prima volta il 12 settembre 1934 pilotato da Gerry Sayer, utilizzava molte parti del Gauntlet e con una così scarsa potenza non superò mai i 380 chilometri orari. Esso venne però sottoposto ad una nutrita serie di modifiche e dotato di motori via via più potenti, e nell’autunno 1934, con un motore « Mercury » IX da 830 cavalli, un abitacolo chiuso da un tettuccio scorrevole ed un armamento costituito da quattro mitragliatrici Vickers (raddoppiando così quello inizialmente installato), il Gladiator raggiunse i 399 chilome tri orari. L’elica impiegata era una bipala in legno Watts, a passo fisso, preferita dopo una serie di prove comparative ad una tripala metallica Fairey Reed, più adatta alla velocità ma meno alla salita. La tecnica Il Gloster « Gladiator Mark I » era un biplano con struttura metallica, quasi completamente rivestita in tela. Le due ali, di uguale apertura e diedro, presentavano uno scalamento molto pronunciato ed il caratteristico gomito nel tronco centrale del bordo d’uscita, ed erano entrambe munite di alettoni e di piccoli ipersostentatori a spacco. La loro struttura era basata su una fitta centinatura, con false centine sui bordo d’attacco, e su due longheroni in acciaio, in elementi di lamiera chiodata in modo da ottenere una sezione costituita da due solette tubolari, collegate da un’anima verticale. Il pianetto centrale dell’ala superiore era vincolato alla fusoliera mediante due coppie di montanti profilati, controventati da tiranti in funi d’acciaio, e ad esso si univano le semiali superiori, collegate a quelle inferiori (articolate a due elementi che attraversavano il ventre della fusoliera) da due coppie di montanti e da diversi tiranti. Gli impennaggi erano costituiti da uno stabilizzatore a calettamento regolabile in volo, la cui struttura era basata su un robusto longherone tubolare e su un longherone ausiliario porta- cerniere, da un equilibratore dotato di becchi di compensazione alle estremità, da una deriva solidale con la fusoliera e da un timone di generose proporzioni, anch’esso munito di becchi di compensazione aerodinamica. Le superfici fisse erano irrigidite da tiranti di controventatura. La fusoliera aveva una struttura a traliccio, in tubi d’acciaio e di lega leggera chiodati, suddivisa nei tronchi di coda, posteriore, anteriore e dell’installazione motrice. Questo tipo di costruzione semplice, economico, assai robusto, era però decisamente antiquato, dato che la rigidità del complesso era assicurata da una fitta rete di tiranti muniti di tenditori regolabili, secondo la tecnica che già era stata usata sui biplani in legno della prima guerra mondiale. Alla struttura di forza erano applicati numerosi archi in lega leggera, cui erano collegati i correntini longitudinali, pure in lega leggera, che avevano il compito di sopportare il rivestimento in tela, Il disegno del carrello era semplice e pulito, anche se l’impiego di ruote con ammortizzatori interni impediva l’applicazione di carenature. Il posto di pilotaggio, di dimensioni piuttosto sacrifìcate, era munito di parabrezza e tettuccio scorrevole. Il motore era un nove cilindri Bristol « Mercury » da 830 cavalli con compressore, con una capottatura il cui bordo anteriore aveva la funzione di collettore dei gas di scarico. La massiccia elica bipala aveva un diametro di 3 metri e 28, ed era munita di una piccola ogiva. Il carburante era contenuto in due serbatoi, installati l’uno sopra l’altro nel tronco di fusoliera compreso tra la paratia parafiamma ed il posto di pilotaggio. li serbatoio superiore, capace di 91 litri, assicurava l’alimentazione per gravità, mentre il sottostante serbatoio principale portava il carico totale di combustibile a 382 litri. Il lubrificante era contenuto in un serbatoio da 23 litri, disposto anteriormente alla parafìamma, e veniva refrigerato da un radiatore ventrale che assicurava anche il riscaldamento dell’abitacolo e da un radiatore superficiale che costituiva il rivestimento dorsale del tronco anteriore della fusoliera. Le installazioni di bordo comprendevano l’impianto per l’erogazione d’ossigeno, una radio ricetrasmittente, e quattro mitragliatrici Colt -Brownin da 7,7 millimetri (due, sincronizzate, nei fianchi della fusoliera e due in piccole gondole sotto l’ala inferiore). Le armi installate in fusoliera disponevano di 600 colpi ciascuna, quelle nelle postazionì alari, di 400. L’evoluzione Il « Gladiator » venne costruito in due versioni, indicate come Mark I e Mark Il, nonché in quella imbarcata, denominata « Sea Gladiator ». Tutte e tre geometricamente identiche, queste varianti differivano solo nell’installazione motrice e nell’elica, ed il « Sea Gladiator » anche per la comparsa del gancio di appontaggio e del battellino pneumatico, sistemato in un alloggiamento ventrale tra le gambe del carrello. Tanto il Gladiator Mark Il quanto il Sea Gladiator furono dotati dello stellare Bristol « Mercury» VIII A o VIII AS, capaci di una potenza massima di 840 cavalli a 2 750 giri al minuto ed alla quota di 4 450 metri, azionante un’elica tripala metallica Fairey-Reed a passo fisso. Al Sea Gladiator, oltre agli attacchi per il decollo catapultato, vennero apportate anche alcune modifiche nelle installazioni dell’armamento. L’installazione di due ulteriori mitragliatrici Browning da 7,7 millimetri, in gondole ventrali applicate all’ala superiore, per quanto realizzata in via sperimentale e regolarmente collaudata ed omologata, non venne invece adottata nella produzione di serie, poiché la messa a punto e l’approvazione da parte delle autorità competenti di questa modifica si protrassero fino al 1941, quando ormai erano nati aerei ben più moderni. Gladiator MkI K7965 of 73Sqdn RAF 1938 A Gloster Gladiator Mk II in 247 Squadron markings Gloster Sea Gladiator Mk.I (N5519)(‘Charity’) of Hal Far Fighter Flight operating from Hal Far, Malta, in June 1940. L’impiego Il primo dei 231 Gladiator Mark I costruiti per la RAF venne consegnato il 16 febbraio 1937 allo Squadron 72, e fu presto seguito da numerosi altri esemplari che andarono agli Squadron 3, 54, 74, 80, 65, 73, 87, 56. Sui primi velivoli di serie l’armamento era costituito da due mitragliatrici Vickers Mark V in fusoliera, e da due Lewis con tamburo di 97 colpi nelle installazioni alari; queste ultime, su alcuni successivi esemplari, vennero sostituite da due Vickers « K », finché la disponibilità delle ben più moderne Browning consentì di standardizzare l’armamento. Il Gladiator non fu accolto con eccessivo entusiasmo dai piloti, e specialmente da quelli che già avevano volato sul Gauntlet, della medesima casa: il nuovo caccia, con un carico alare più elevato, uno stallo brusco, ed una vite non troppo soddisfacente, era certamente meno « facile » e meno agile del predecessore, ed anche la comparsa degli ipersostentatori sembrò una inutile complicazione. Esso si rivelò peraltro un aereo estremamente utile, specie per preparare i piloti ai successivi ben più impegnativi monoplani. Oltre che nelle file della RAF, il Gladiator Mark I militò anche nelle aeronautiche militari della Lettonia (che ne ordinò 26 esemplari), della Lituania (14 velivoli ordinati nel maggio 1937), della Norvegia (6 velivoli) e della Svezia (i cui 37 esemplari andarono ad equipaggiare lo Flygflotilj F 8 ed F 19). A queste forniture si aggiunsero quelle per l’aeronautica militare belga (22 aerei), cinese (36 esemplari), irlandese (4 velivoli) e greca (2 aerei). Più avanti la RAF cedette diversi Gladiator Mark I sia alla Grecia, sia all’Irak, sia all’Egitto, e probabilmente, durante l’offensiva tedesca verso occidente nel 1940, anche al Belgio. Ad un totale di 378 Gladiator Mark I si aggiunsero poi 270 esemplari del Mark Il, che andarono tutti alla RAF, salvo i 18 che vennero forniti alla Svezia (che li aveva ordinati nel 1938), e che vennero potenziati da motori « Mercury » VIII S costruiti dalla ditta svedese Nohab. L’aviazione britannica cedette peraltro diversi Gladiator Mark II al Portogallo, alla Norvegia, alla Finlandia, alla Grecia, all’Egitto, al Sud Africa ed aIl’Irak. L’aggressione russa ai danni della Finlandia, nell’inverno 1939-40, fornì al bipiano Gloster la prima occasione per essere impiegato in combattimento, quando 30 Gladiator Mark II furono venduti dall’Inghilterra alla Finlandia, venendo così ad aggiungersi ai 12 esemplari che equipaggiavano la formazione di volontari svedesi, e dotata di aerei dell’aeronautica militare svedese, Il Gladiator, che i piloti finiandesi battezzarono « Gelli » dalle due prime lettere del nome, e che frequentemente operò con carrelli le cui ruote erano state sostituite da sci, non fornì però una prova troppo soddisfacente, a causa sia delle severe condizioni ambientali, sia delle modeste prestazioni, sia dell’armamento troppo leggero, sia della pericolosa vulnerabilità. Quando, come era inevitabile, la Finlandia fu costretta all’armistizio il 13 marzo 1940, la formazione svedese agli ordini del colonnello Hugo Beckhammar si era battuta per 62 giorni, distruggendo 12 aerei sovietici e perdendo in combattimento due Gladiator e tre Hawker, ed anche i « Gelli » si erano battuti con onore. Ben più dura sarebbe però stata la prova che il biplano inglese dovette affrontare quando, neppure un mese più tardi, le forze tedesche invasero la Norvegia: i pochi Gladiator norvegesi, armati con quattro mitragliatrici Colt da 7,62 millimetri, contrastarono accanitamente le formazioni della Luftwaffe, ma nel giro di due settimane finirono tutti distrutti. Il 24 aprile, tuttavia, i 18 Gladiator dello Squadron 263 della RAF, decollati dalla portaerei Glorious, atterrarono ad un’ottantina di chilometri da Aandalsnes, iniziando le operazioni a protezione del corpo di spedizione alleato il mattino seguente. Anche se i piloti inglesi si batterono con estremo valore, si deve peraltro ritenere che le vittorie effettivamente riportate fossero sensibilmente meno numerose di quelle denunciate, e che diversi loro avversari finissero vittime delle insidie del volo in condizioni climatiche proibitive, e su regioni dalla pericolosa orografia.. Le inadeguate attrezzature di supporto, la mancanza di una rete di comunicazioni, la superiorità numerica e qualitativa della Luftwaffe, le deficienze dei rifornimenti e delle basi ebbero come risultato che la sera del 27 aprile non uno dei 18 Gladiator sopravviveva. Dei 19 nuovi Gladiator imbarcati ancora una volta sulla Glorious, 14 ripresero le operazioni da Bardufoss il 23 maggio, ottenendo risultati decisamente notevoli. Quando poi si giunse al collasso delle forze alleate, i 10 Gladiator superstiti si posarono nuovamente sul ponte di volo della « Glorious », per ritornare in patria, ma finirono distrutti quando l’8 giugno la vecchia portaerei fu colata a picco dagli incrociatori da battaglia tedeschi « Scharnhorst » e « Gneisenau ». Sul fronte occidentale, nei lunghi mesi della stasi iniziale, il Gladiator ebbe una parte di scarso rilievo, dato che le sue possibilità di intercettare i veloci ricognitori avversari erano praticamente nulle, specialmente nel durissimo clima invernale. Quando poi, il 10 maggio, si scatenò l’offensiva tedesca, I Gladiator si trovò duramente impegnato contro avversari troppo superiori, ed i due Squadron della RAF (607 e 615) che avevano in forza il vecchio biplano subirono perdite sanguinose, anche a causa dei violenti attacchi della Luftwaffe contro e loro basi. Il Gladiator non partecipò attivamente alla battaglia d’Inghilterra, venendo impiegato solo dagli Squadron 247 (della RAF) ed 804 (della Fleet Air Arm) in crociere protettive. Esso fu invece molto attivo nel teatro del Mediterraneo, in Africa Settentrionale ed in Africa Orientale, almeno fino all’autunno 1941, quando venne ritirato dai reparti da caccia per venir adibito a sondaggi meteorologici, al collegamento, al controllo delle radioassistenze e dei radar, ed alle scuole. Il Gloster Gladiator fu comunque, per la Regia Aeronautica, un tenace avversario, tanto nei cieli etiopici quanto in quelli della Grecia e della Marmarica. Il tenente Pattle, che sarebbe stato abbattuto da due Messerschmitt 110 nel cielo di Eleusis (Atene) il 20 aprile 1941, ai comandi del suo « Hurricane », fu il più abile tra i piloti del Gladiator, con cui conseguì molte delle sue più che 40 vittorie. Si deve però rilevare che, nel complesso, i successi del Gladiator furono in larga misura dovuti alle mediocri prestazioni dei velivoli italiani contro cui furono impegnati, e che infine, di alcune clamorose affermazioni dei suoi piloti, non esiste alcun riscontro da parte italiana (come per esempio nel caso dell’azione su Agirocastro in cui i Gladiator, il 28 febbraio 1941, denunciarono undici vittorie). Del resto, anche da parte inglese si è riconosciuto che le imprese dei tre Sea Gladiator, ribattezzati « Faith », « Hope » e « Charity » (Fede, Speranza e Carità), che nelle mani dei piloti della RAF avrebbero assicurato la difesa aerea di Malta nell’estate 1940, e addirittura l’esistenza del mitico terzetto, sono pura leggenda. Il Gladiator partecipò infine, con scarsa fortuna, alla difesa di Creta, ed operò in lrak, nella repressione del movimento favorevole all’Asse capeggiato da Rashid Alì, che ricevette un limitato appoggio aereo dalla Luftwaffe e dalla Regia Aeronautica, nel maggio 1941. Un Gloster Gladiator Mark I, con la matricola K 8032 e con i colori dello Squadron 72, fa oggi parte della fondazione Shuttleworth, e prende parte a diverse manifestazioni aviatorie che si tengono in Inghilterra. Un altro Gladiator Mark I è visibile nel museo della RAF di Henlow, mentre alcune parti di un Sea Gladiator sono conservate a Malta, e due Gladiator Mark II fanno parte dei musei delle aeronautiche militari norvegese e svedese. Nell’agosto 1968, infine, un piccolo gruppo di allievi del Royal Air Force College britannico riuscì a ricuperare alcuni rottami del Gladiator Mark II N 5628. Questi giacevano, da oltre 28 anni, ad un paio di metri di profondità nelle acque del lago Lesjaskog, da quando i piloti della RAF, vittime della miope politica di disarmo seguita negli anni ‘20 e ‘30 dall’Inghilterra, avevano vanamente tentato di opporsi alla macchina bellica del terzo Reich con pochi, vecchi biplani. ( Fonti tratte da: Storia dll'Aviazione 1973) Contributi Video: Gloster Gladiator Mk I
  22. Eccoci!!! Effettivamente sia come modello che in realtà è assolutamente stupendo!!! Chiudo l'OT!
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