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Caccia alle navi nel pacifico! Concepito come bombardiere per il bombardamento in linea di volo, nel Pacifico il B-25 conseguì grandi successi attaccando a quote inferiori ai 50 m. I Mitchell in genere portavano internamente quattro bombe per uso generale da 250 kg. Attaccando a bassa quota queste venivano fatte rimbalzare sulla superficie dell’acqua per colpire la fiancata del bersaglio, come farebbe un bambino dalla riva per far rimbalzare un ciottolo piatto sull’acqua.Nel Pacifico, le forze aeree alleate venivano principalmente impiegate per attaccare le vitali rotte di rifornimento del Giappone. I loro principali obiettivi erano i trasporto truppa, i mercantili e le loro scorte che venivano sorprese mentre navigavano in convoglio o erano ormeggiate alla fonda negli innumerevoli ancoraggi delle isole di quel vasto teatro. I B-25 dal muso metallico erano solitamente impiegati per guidare l’attacco essendo in grado di utilizzare il loro potente armamento per eliminare i cacciatorpediniere di scorta o le postazioni contraeree sulla costa. Questi aerei venivano seguiti dai normali “musi vetrati”, che attaccavano i trasporti. La battaglia combattuta a nord della Nuova Guinea nell’aprile 1943 fu un trionfo per i B-25. Furono affondate dodici navi di un grande convoglio giapponese che trasportava no più di 6000 soldati contro la perdita di soli sei aerei. I bombardieri alleati nel teatro del Pacifico sudoccidentale operavano a distanze enormi e venivano spesso contrastati dai caccia Mitsubishi A6M2 Zero, denominati “Zeke” in codice alleato, dello scelto Kokutai (Corpo aereo navale) Tainan basato a Lae e a Rabaul. A Port Moresby, la nuova 5a Air Force al comando del generale George C. Kenney, era composta dal 30, 22° e 38° Bomber Group, mentre il 9° Gruppo della RAAF aveva uno squadron di Boston Mk III a cui in seguito se ne aggiunse uno di cacciabombardieri Bristol Beaufighter Mk VIF, I B-26 Marauder lasciarono gradualmente il posto ai B-25 Mitchell e agli A-20 Havoc nella 5a Air Force. Su suggerimento del maggiore Paul I. “Pappy” Gunn, questi vennero modificati per adottare una potente batteria di 8, 12 o anche 14 mitragliatrici pesanti installate in postazione fissa sul muso per il mitragliamento a bassa quota, unitamente alle micidiali bombe Para-Frag da 10-11 kg. Le incursioni a bassa quota dei Mitchell ottennero il loro maggiore successo nella Battaglia del Mar di Bismarck, svoltasi dal 3 al 5 marzo 1943, dove annientarono un importante convoglio di truppe in rotta da Rabaul verso Lae. I bombardieri leggeri furono attivi quell’estate, distruggendo al suolo la maggior parte degli aerei della 4 Forza aerea dell’Aeronautica dell’Esercito imperiale giapponese nelle loro basi in Nuova Guinea. Mentre la 5 e la 7 Air Force degli Stati Uniti, unitamente alla RAAF e alla RNZAF (Royal New Zealand Air Force) prendevano parte alle campagne in Nuova Guinea e nelle Salomone, mentre la piccola 11a Air Force combatteva un’aspra battaglia sopra le Aleutine. Dapprima i B-25 operarono con il 28° Composite Group, un gruppo misto, mentre successivamente, dopo la caduta di Kiska nell’agosto 1943, esclusivamente con il 77° Bomb Squadron. Quest’ultimo prese parte al raid su Paramushiro, nelle Curili, l’11 settembre 1943. I G4M2 giapponesi della 25a Flottiglia aerea furono attivi anche in questo teatro di operazioni, come lo fu un crescente numero di bombardieri leggeri da pattugliamento Lockheed PV-1 e PV-2 Harpoon dell’US Navy, che vennero impiegati in ruoli antinave. Quando le forze statunitensi invasero le isole Marshall e le Gilbert nei Pacifico centrale, la 7a Air Force americana aveva in dotazione le ultime versioni del Mitchell il b-25G e il B-25H, armati di un cannone da 75 mm, e il B-25J armato di una poderosa batteria di mitragliatrici. Questi aerei vennero impiegati contro i bunker e le postazioni fortificate giapponesi nelle isole Kwajaiein, Majuro e Miii, ed Eniwetok nelle Marshall. Verso la metà del 1944 gli alleati conquistarono la supremazia aerea. In giugno, i bombardieri leggeri della 5 e 7 Air Force furono posti sotto il comando delle Forze aeree dell’Estremo Oriente di Kenney e presero parte alle invasioni dei golfi di Leyte e di Lingayen tra l’ottobre 1944 e il gennaio 1945. I B-25 della 5 Air Force ora sorvolavano a loro piacimento il Mar Cinese Meridionale e Formosa. Dopo lo sbarco di Okinawa nell’aprile 1945, i B-25 attaccarono l’isola di Kyushu. Al momento della resa del Giappone, nell’agosto 1945, erano ormai operativi anche Douglas A-26 Invader. (Info tratte da La Storia dell'aviazione, AdC, www.doolittleraider.com, Wings Palette) DATI TECNICI Contributi Video B-25 "Pacific Prowler" Scenic Flight: Departure Trailer: Tribute to North American B-25 Mitchell B-25 carrier launch from the movie Pearl Harbor B-25 Mitchell Bomber Flight, Boeing Field 2007
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Destinazione Tokyo! Fin dal giorno di Peari Harbor, le massime autorità americane cercavano il modo di effettuare un’azione di rappresaglia che restituisse fiducia agli americani e servisse di monito ai loro avversari. Fu il tenente colonnello Doolittle, un notissimo pilota americano, a comandare una formazione di aerei incaricata di un’audace missione: ‘il bombardamento di Tokyo. Nella relazione ufficiale dell’impresa si legge: «Il progetto di bombardamento combinato fra esercito e marina venne concepito nella sua forma definitiva nel gennaio, e realizzato in aprile, circa tre mesi più tardi. Obiettivo del progetto: bombardare i centri industriali del Giappone. Si sperava che il danno prodotto fosse tanto materiale che psicologico... ».A quel tempo la situazione degli Stati Uniti nel Pacifico era disperata, e il raid, anche se causò danni minimi, ebbe immenso valore psicologico. Il B-25 non era stato progettato per un attacco sul Giappone lanciato da portaerei, ma l’incursione di Doolittle fu la più gloriosa azione del B-25. Ce ne furono però molte altre. Questo bombardiere medio bimotore a doppia deriva fu battezzato Mitchell in onore del generale di brigata William S. “Billy” Mitchell, che negli anni Venti aveva dimostrato come un bombardiere potesse distruggere una corazzata. L’operazione combinata prevedeva l’impiego di bombardieri dell’esercito che avrebbero dovuto essere portati vicino alle coste del Giappone da una portaerei. Furono prescelti i bimotori North American B-25 «Mitchell », della versione B, appartenenti al 17° gruppo da bombardamento dell' VIII Air Force dell’aviazione dell’esercito. Il B-25B era infatti l’unico dei bombardieri medi allora esistenti che, oltre a disporre di una notevole autonomia, fosse in grado di decollare da una portaerei. Furono selezionate 24 macchine di questo tipo con altrettanti equipaggi ed il numero fu ulteriormente ridotto a 16 aeroplani. Per circa tre mesi i piloti si addestrarono a decollare in spazi sempre più brevi, usando gli ipersostentatori alla massima angolazione. Per dare un esempio dei risultati ottenuti basti pensare che il tenente Don Smith riuscì a decollare in soli 96 metri. La più bassa velocità ottenuta risulto di 109 chilometri orari. Per incrementare il carico di carburante, e quindi l’autonomia degli aeroplani, fu abolita la torretta difensiva ventrale, sostituita da un serbatoio supplementare, e 25 latte di benzina da 20 litri ciascuna furono aggiunte a bordo. Ogni aeroplano trasportava tre bombe esplosive da 230 chilogrammi ed una spezzoniera, pure del peso di 230 chili, contenente 128 spezzoni incendiari. Quando l’addestramento fu ultimato tutta l’operazione era stata circondata dal più rigoroso segreto i 16 bombardieri furono imbarcati sulla portaerei Hornet, della stessa classe della Enterprise; la portaerei faceva parte della flotta dell’Atlantico e raggiunse San Diego, base navale della marina in California, passando attraverso il Canale di Panama. Ai primi di aprile la portaerei salpò per la sua destinazione, scortata da due incrociatori e tre cacciatorpediniere; il 13 aprile si incontrò con un altro gruppo di navi del quale faceva parte la Enterprise. Un dirigibile della marina effettuò un collegamento tra gli Stati Uniti e la Hornet, trasportando accessori per gli aerei e comunicazioni scritte, per evitare di rompere l’assoluto silenzio radio imposto alle unità. Prima dell’alba del 18 aprile i radar delle navi americane segnalarono due unità nemiche, e, nonostante queste venivano immediatamente affondate dal’l’incrociatore Nashville riuscirono a mettere in guardia via radio il proprio comando, l’ammiraglio Halsey, comandante della Task Force, diede l’ordine di decollo, nonostante le sue navi fossero a 1317 chilometri da Tokyo, oltre 640 chilometri più lontano della distanza minima prevista. Sotto gli occhi di nervosi marinai, 16 bombardieri North American B-25 Mitchell decolla rono, uno dopo l’altro, dal ponte di volo della portaerei Hornet. Guidati dal tenente colonnello James “Jimmy” Doolittle. Il decollo riuscì bene: i bombardieri effettuarono la corsa di involo seguendo una riga bianca tracciata sul ponte della portaerei a due metri dal lato sinistro del ponte, e con tutta l’ala sinistra sporgente dallo stesso, non avendo altrimenti spazio sufficiente a causa delle strutture esistenti sul lato destro della portaerei. La missione prevedeva che dopo aver bombardato Tokyo e alcuni altri centri industriali giapponesi (Kangegawa, Kobe, Nagoya, Osaka, Yokohama e i cantieri navali di Yokosuka) , i «Mitchell» proseguissero fino in località prestabilite della Cina, dove avrebbero ricevuto assistenza dalle autorità militari locali (dopo un irremovibile rifiuto sovietico a prestare a questo scopo i propri campi di aviazione in Siberia, la scelta cadde inevitabilmente sulla Cina, vincendo la resistenza di Chiang Kai-shek che temeva ritorsioni da parte giapponese cosa che si rivelò tragicamente vera). Gli equipaggi avrebbero dovuto far ritorno, negli Stati Uniti con l’aiuto del governo cinese, mentre gli aeroplani eventualmente atterrati indenni avrebbero dovuto essere distrutti. La sorpresa riuscì perfettamente. I giapponesi non avvistarono gli aeroplani, i quali raggiunsero i loro obiettivi sganciando tutte le bombe solo uno degli aerei fu attaccato da caccia nipponici, ma riuscì a liberarsene con il fuoco delle armi di bordo. I danni non furono gravi, ma gravissimo fu il trauma psicologico per i giapponesi. Yamamoto, per la vergogna, si chiuse nella sua cabina della nave ammiraglia e rifiutò di uscirne. Quasi tutti gli equipaggi incursori si salvarono lanciandosi sopra la Cina orientale; uno invece, nonostante il consiglio di Doolittle, atterrò con successo a Vladivostok, in Russia, dove il loro B-25 fu sequestrato e l'equipaggio internato fino al 1943, quando riuscirono a fuggire in Iran. Doolittle e i suoi uomini, dopo esser atterrati con il paracadute in Cina, ricevettero assistenza dal missionario americano John Birch, che fu poi in seguito raccomandato da Doolittle per lavorare con i servizi segreti del generale Claire Chennault. Ben altra sorte spettò a due equipaggi che furono catturati dai giapponesi, infatti alcuni morirono per le torture e per le condizioni inumane in cui venivano tenuti, altri furono fucilati, e ci fù anche chi venne liberato nell'agosto del 45 dalle forze americane. . Nonostante alcuni aviatori americani furono fucilati, e qualcun altro morì in prigionia, il prezzo pagato non sembrò eccessivamente alto al governo degli Stati Uniti. Lo stesso Roosevelt diede la notizia alla nazione con molta evidenza, e, per non rivelare la provenienza degli aeroplani (l’ammiraglio Halsey poteva ancora essere sorpreso sulla via del ritorno) dichiarò che gli aerei avevano decollato dal mitico paese di Shangri-La: una località di sogno descritta da Hilton nel famoso romanzo «Orizzonti perduti ». Dolittlle era convinto che il Raid non aveva conseguito i successi sperati al punto che era convinto che in patria lo attendeva una corte marziale ma fortunatamente per lui si sbagliava: la notizia del bombardamento era ciò di cui l’America aveva bisogno e l’entusiasmo popolare salì alle stelle. Promosso e decorato, divenne l’eroe di manifesti che invitavano gli operai ad impegnarsi nel lavoro in suo nome: “Do it for Doolittle!”, ai quali i giapponesi risposero con altri giochi di parole: “Doolittle do little”: Doolittle ha fatto poco. Ma Doolittle aveva veramente cambiato il corso della guerra. Le Forze armate giapponesi si erano dimostrate incapaci di assolvere il loro più alto compito: proteggere la vita dell’imperatore. Gli americani avevano cavallerescamente deciso che la residenza imperiale, un facile bersaglio al centro di Tokyo, dovesse essere risparmiata, ma era evidente che la vita dell’imperatore era stata a loro disposizione. Unico modo di proteggerla era quello di allontanare ulteriormente ad est gli americani: il fulcro dell’attenzione nelle strategie giapponesi fu spostato dall’espansione sud orientale, che doveva inserire un cuneo tra gli USA e i suoi alleati anglo-australiani, a un’attacco nel Pacifico centrale, contro Midway, estrema propaggine della potenza americana, la battaglia che avrebbe consegnato il Pacifico alla US Navy e con esso le condizioni per la “vittoria assoluta” prevista da Roosevelt. As all the planes were lost after the Tokyo raid, only two photos taken over Japan survive. Photos were snapped by Clayton Campbell, navigator of crew #13 (Lt. Edgar E. McElroy, pilot). This photo shows the naval base at Yokohama. Contributi Video The Doolittle Raid History of the Doolittle Raid narrated by General Doolittle Doolittle Raid Footage - 1942 WW II : RARE COLOR FILM : B-25'S TAKE OFF FROM CARRIER
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L’Evoluzione Il progetto North American 62 costituiva la rielaborazione, a seguito di nuove specifìche emanate l’11 marzo 1939, del « bombardiere da attacco » NA.40 realizzato su disegni di J.L. Atwood e R.H. Rice per il relativo concorso dell’anno precedente. Il nuovo velivolo fu, col B-26 della Martin, tra i due vincitori del concorso dell’U.S. Army Air Corps, che ordinò 184 esemplari con sigla B-25 (senza quindi chiedere un prototipo) il 10 agosto 1940. Fu uno dei primissimi esempi di ordinazioni per un velivolo ancora allo stadio di progetto. Il primo esemplare, matricola 40-2165, volò il 4 luglio 1940, e la consegna dei primi cinque B-25 avvenne nel febbraio 1941. Unico difetto di qualche entità fu una certa instabilità laterale ( ballo olandese ) rilevata durante le prove di lancio delle bombe; individuatane la causa nell’eccessivo diedro dell’ala (la cui apertura era aumentata di circa mezzo metro rispetto al NA. 40), si rimediò molto semplicemente montando, dal decimo esemplare in poi, le semiali esterne orizzontalmente, così che solo il tronco centrale presentava il diedro: nacque in tal modo l’ala da gabbiano tipica del velivolo. Dal 25° esemplare si provvide alla protezione dei serbatoi e ad un certo ampliamento della postazione caudale. Questa modifica diede luogo alla sigla B-25A, versione consegnata in 40 esemplari entro il 1941, e presto passata a compiti ausiliari come RB-25A. Il pungiglione in coda, costituito da una mitragliatrice da 12,7 mm, sembrò poco efficace in considerazione del limitato cono di tiro consentito dall’angusta postazione poppiera, e pertanto nella versione successiva, B-25B, questa veniva ridotta alla funzione di posto d’osservazione disarmato, ma si compensò questa riduzione dell’armamento installando due torrette binate Bendix per armi da 12,7 mm, una dorsale in sostituzione delle due postazioni laterali per armi singole da 7,7 mm e l’altra (retraibile e comandata dall’interno, con puntamento mediante periscopio) al posto della postazione ventrale per una singola mitragliatrice da 7,7 mm a brandeggio manuale. La torretta dorsale disponeva di 400 colpi e quella ventrale di 350; in più l’aereo conservava la 7,7 di prua, con 300 colpi, che poteva essere applicata ad uno dei tre snodi posti in varie posizioni nel muso. Il carico offensivo rimaneva inalterato, per un massimo di 3 600 kg, e così la capacità dei serbatoi, 2 627 litri in totale. Tale capacità saliva a un massimo di 5 200 litri sui successivi B-25C e D, identici tra loro e indicati con suffisso diverso solo perché i primi erano costruiti (1 619 esemplari) a lnglewood e gli altri (2 990) nel nuovo stabilimento di Kansas City. Inizialmente identici al B-25B, salvo per i motori R-2600-13 con carburatori Holley, il pilota automatico, apparati antighiaccio, e impianto elettrico a 24 V, furono però progressivamente oggetto di varie modifiche, che permisero sensibili incrementi nel carico di carburante e di bombe, mentre anche l’armamento difensivo vedeva l’aggiunta di una 12,7 fissa nel fianco destro del muso, azionata dal pilota, e il passaggio dell’arma mobile di prua al calibro superiore (entrambe queste mitragliatrici avevano una dotazione di 300 colpi) dalla serie C-5. La serie finale, D-35 del 1943, ebbe pure una nuova postazione di coda e due laterali per armi singole da 12,7 mm. Questa versione fu la più impiegata dal corpo dei marines, con sigla PBJ-1D. La seguente versione prodotta in serie (405 esemplari) fu il B-25G, risultante dall’eccellente prova data dai Mitchell convertiti per l’attacco al suolo e contro natanti: era caratterizzata dal breve muso solido alloggiante un cannone da 75 mm standard dell’esercito, l' M-4 con 21 colpi più due 12,7 a prua e talvolta altre due sui fianchi del muso. B-25 G Identico muso, ma con un cannone più moderno (il T-13E1) e 4 armi da 12,7 mm più altre quattro sui fianchi della prua, ebbe il B-25H, prodotto in 1 000 esemplari, di cui 248 andarono, come PBJ-1H, alla marina (che aveva avuto un solo PBJ-1G). Questo nuovo modello aveva anche nuove armi in difesa: due 12,7 con 200 colpi ciascuna sparanti da postazioni laterali, e altre due con 603 colpi per arma montate in una vera e propria torretta, ad azionamento meccanico, nell’estrema coda. Era invece scomparsa la torretta ventrale (del ‘resto generalmente omessa anche sui tipi precedenti), e quella dorsale era stata spostata in avanti, subito dietro il posto di pilotaggio. Tutte queste modifiche vennero in gran parte conservate anche sul B-25J, ma questa versione che tornava alla configurazione classica da bombardamento (bombe interne per un massimo di 2 720 kg), ebbe un armamento prodiero costituito dalla solita arma mobile e da due fisse pur conservando spesso l’aggiunta di 4 mitragliatrici fisse sui fianchi della prua. Questa, generalmente vetrata, fu peraltro del tipo solido su molti esemplari, alloggiando da 5 a 8 armi fisse, sempre da 12,7 millimetri. Dei 4 318 B-25J costruiti, 458 andarono alla marina come PBJ-1J. (Da segnalare le versioni: CB-25J - versione da trasporto, XB-25E un singolo esemplare di B-25C modificato per testare apparecchiature sghiaccianti e anti-ghiaccio, XB-25F un singolo B-25C modificato per sperimentare l'uso di bobine elettriche isolate montate nelle ali e nella deriva come sistema sghiacciante. Si rivelò più efficiente il sistema sperimentato sull'XB-25E, VB-25J alcuni B-25 furono riconvertiti per trasporto personale e VIP. Henry H. Arnold e Dwight D. Eisenhower usavano B-25J convertiti per i loro spostamenti, TB-25 versione destinata all'addestramento, TB-25K addestratore per il radar del controllo di fuoco Hughes E-1, TB-25M addestratore per il radar del controllo di fuoco Hughes E-5) B-25 A B-25 B B-25 C B-25 G B-25 H B-25 J (Muso Vetrato) B-25 J (Muso "metallico" con mitragliatrici da 12.7) L’ impiego Anche se fu un B-25A (del 17° Group, che il 24 dicembre 1941 attaccò un sommergibile al largo di Tacoma) ad iniziare la carriera operativa del Mitchell, la prima versione impiegata in operazioni belliche fu la B, protagonista nell’aprile ‘42 del raid su Tokyo con decollo dalla portaerei Hornet. Era la prima volta che dei bimotori partivano da una nave; ed i 16 velivoli comandati da Doolittle erano per di più ulteriormente appesantiti data la maggiore capacità dei serbatoi; furono applicate in coda finte armi in legno, sperando che queste potessero servire come « deterrente ». Ventitré B-25 furono forniti (come Mitchell I) alla RAF, che li usò solo per l’addestramento all’impiego della successiva versione Mitchell II (538 tra B-25C e D) che operarono (prima azione il 22 gennaio 1943) con gli Sq. 98, 180, 226, 305, 320 e 242, quest’ultimo composto interamente da personale olandese. Olandesi erano anche gli uomini del 18° Sq. della Royal Australian Air Force, costituito poco dopo la caduta delle Indie olandesi, che pure impiegò i B-25C; successivamente il governo olandese ricevette un totale di 249 Mitchell di varie versioni (principalmente la J) mentre 4 B25C andavano all’aviazione canadese e 29 a quella brasiliana, e un totale di 131 di vario tipo a quella cinese. Non meno di 870 Mitchell furono ceduti all’aviazione sovietica, tutti meno cinque trasferiti in volo, la maggior parte via Persia dopo la traversata atlantica da Miami all’Africa, e gli altri passando dall’Alasca alla Siberia. Il teatro principale d’operazioni per i Mitchell dell’esercito e della marina americani fu il Pacifico, ove l’aereo brillò particolarmente nell’interdizione del traffico marittimo avversario, oltre che per le azioni di bombardamento e attacco a bassa quota con le armi di bordo su obiettivi terrestri. Nell’area Sud-Est, i Bomber Groups 3, 22, 38 e 345, e parte del 71° Group da ‘ricognizione della V Air Force, ne impiegarono diversi modelli, mentre nel settore Cina-Birmania-India l’aereo operò con le forze di Chennault, divenuta la 14a Air Force dopo tanti anni di lotta come AVG (Gruppo volontari americani) dell’aviazione cinese. La VII A.F. operante nelle Hawai ebbe solo il 41° Group montato su Mitchell, che passaromo su tutte le isole successivamente conquistate sino ad Okinawa, accompagnando l’azione dei PBJ-1 dei Marines (Squadrons 413, 423, 433, 443, 611, 612 e 613). Fu un pilota del 341° Sq. del 12° Group (passato dall Tunisia al settore indobirmano) a scoprire, per caso, la tecnica del bombardamento « a piastrella » (Rimbalzo), che divenne poi abituale per i piloti dell’agile bimotore. Altri reparti operativi nel Pacifico furono il 28° Group dell'11a Air Force, operante sulle isole Kurili da basi in Alasca dall’aprile ‘44 e il 42° della 13 A.F., attivo sul Borneo, oltre numerosi reparti minori, prevalentemente da ricognizione. Nel Pacifico, anche l’aviazione australiana impiegò molto il B-25. Anche nel teatro di guerra europeo il Mitchell operò intensamente (84 980 tonnellate di bombe sganciate, e 193 aerei nemici abbattuti in combattimento, nel corso di 63 177 missioni) iniziando dall’operazione « Torch ». Dopo le operazioni nell’Africa settentrionale francese i velivoli della 9a e 12a Air Force passarono in Italia, mentre solo il 25° Group (con funzioni di ricognizione) era aggregato alla 8, in Gran Bretagna. Inoltre in Europa l’aereo operò coi reparti britannici, cui fu assegnata anche la versione J, in 314 esemplari battezzati Mitchel III e poi anche col Gruppo francese « Lorraine ». Dopo la seconda guerra mondiale il Mitchell continuò a combattere, nelle due aviazioni cinesi contrapposte: infatti quella comunista aveva catturato molti velivoli delle forze ‘di Ciang Kai Scek, e altri forse li ottenne dall’URSS. Mentre in America l’aereo passava all’addestramento (come AT-24 poi TB-25) e a reparti dell’a riserva, diverse aviazioni si procuravano esemplari dagli stock di surplus bellici, tanto che ancora negli anni ‘60 il B-25J figurava tra gli aerei di prima linea in Cile, Venezuela e Brasile, e molte altre nazioni ne avevano in dotazione, soprattutto l’indonesia che aveva ereditato i superstiti aerei olandesi.
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"North American B-25 Mitchell" Tra i velivoli che meglio sfruttarono il progresso aerodinamico e costruttivo, incorporando tutte le innovazioni ragionevolmente avanzate (senza quindi pretenziosi eccessi), con il risultato di ottenere una macchina estremamente efficiente sia come velivolo che come strumento bellico, il bimotore americano « Mitchell » costituisce un esempio quanto mai rappresentativo. Brillante nelle prestazioni, agile e sicuro, bene armato e agevole da tenere in efficienza anche nelle condizioni ambientali meno desiderabili, costituì un’arma potente e versatile. L’attività del B-25 comprende un exploit, il primo bombardamento di Tokyo, che va ben al di là della funzione tattica ad esso assegnata, inserendo questo velivolo tra i protagonisti della seconda guerra mondiale più per la fama derivantegli da quell’impresa che per l’effettivo peso pur rilevante che esercitò nelle operazioni aeree sui fronti più disparati. Il B-25 Mitchell dominò i cieli del Pacifico sudoccidentale, seminando panico e distruzione tra i trasporti e i cacciatorpediniere della Marina imperiale giapponese. La Tecnica I B-25 delle versioni H e J (le più rappresentative) erano bimotori bideriva ad ala media, con struttura interamente metallica e carrello triciclo anteriore retrattile. L’ala del B-25 era caratterizzata da un inconsueto diedro ad M, introdotto a partire dal nono esemplare per correggere le doti di stabilità latero-direzionale del velivolo, e suddivisa in cinque elementi principali (tronco centrale attraversante, semiali esterne e terminali). Aveva struttura bilongherone, con rivestimento irrigidito dalle centine e dai correntini disposti lungo l’apertura. Il bordo di uscita dell’ala era occupato dai quattro tronchi degli ipersostentatori a fessura e dagli alettoni, rivestiti questi ultimi in tela. Elemento principale della fusoliera del B-25 era il tronco centrale, in cui era alloggiata la maggior parte del vano bombiero, e che formava un unico complesso col tronco centrale dell'ala, cui erano applicate anche le gondole motrici. Anteriormente al tronco centrale della fusoliera era applicata la sezione prodiera, comprendente il posto di pilotaggio (munito di tettuccio con sportelli sganciabili per l’evacuazione del velivolo mediante paracadute) e l’alloggiamento della gamba anteriore del carrello, e sui cui fianchi erano installate, in gondole profìlate, quattro mitragliatrici da 12,7; alle sue spalle era disposta la torretta dorsale Bendix, e, davanti, il muso, che sul B-25 H alloggiava il cannone da 75 millimetri ed altre armi da 12,7, e sul B-25 J, in variante da bombardamento, il muso vetrato portava la postazione del puntatore e due 12,7. Il tronco posteriore della fusoliera, in cui si estendeva la sezione terminale del vano bombiero, andava dal bordo d’uscita alare sino al poppino, ed in esso erano sistemate le due postazioni difensive laterali e quella di coda. La struttura della fusoliera, del classico tipo a semiguscio con rivestimento in lamiera irrigidita da diaframmi trasversali e da correntini longitudinali, era basata su quattro longheroni principali, i due superiori con sezione a C ed i due inferiori, che si estendevano a tutta la lunghezza della fusoliera, con sezione ad H dal muso fino alla sezione in corrispondenza dei vani attraverso cui facevano fuoco le armi laterali, e quindi con sezione a C. L’impennaggio del B-25 era costituito da uno stabilizzatore bilongherone, cui erano incernierati i due semiequilibratori ed erano collegate le due derive, pure esse con struttura bilongherone, cui erano articolati i timoni. Le superfici mobili, bilanciate dinamicamente e munite di alette correttrici, erano rivestite in tela. Il carrello, con un passo di 4,928 metri (4,985 metri sul B-25 H) ed una carreggiata di 5,893 metri, si retraeva all’indietro nel ventre della fusoliera e nelle gondole motrici mediante comando idraulico. Le gambe di forza erano munite di ammortizzatori oleopneumatici, ed un pattino proteggeva la coda del velivolo nel caso di atterraggi troppo « seduti ». I motori del B-25 erano i quattordici cilindri a doppia stella Wright « Cyclone 14 », appartenenti a diverse versioni. Gli R-2600-13 del B-25 H, con compressore centrifugo di sovralimentazione a due velocità azionato meccanicamente, fornivano la loro potenza (1 724 cavalli al decollo e 1 470 cavalli a 3 658 metri di quota) ad eliche tripala a giri costanti Hamilton Standard di 3,835 metri di diametro, dotate di dispositivo di messa in bandiera e di protezione antighiaccio. Nel 1942 due B-25C furono convertiti in aerei adatti per testare gli equipaggiamenti sghiaccianti e anti-ghiaccio e furono ridenominati XB-25E e XB-25F. L'XB-25E (soprannominato Flamin Mamie) immetteva i gas di scarico dei motori nelle ali per sciogliere il ghiaccio. L'XB-25F usava bobine elettriche isolate per riscaldare la superficie del metallo. Entrambi furono sperimentati a lungo nel 1944 e il sistema usato nell'XB-25E si dimostrò più pratico e realizzabile di quello usato sull'XB-25F. Anche i risultati furono promettenti, nessun aereo costruito durante la Seconda guerra mondiale utilizzò questo sistema, mentre oggi è molto diffuso. Molti aerei ad elica impiegati dall'USAF usano piccoli tubi che scorrono lungo i bordi delle ali in cui vengono convogliati i gas di scarico del motore, sciogliendo o prevenendo le formazioni di ghiaccio. L’impianto di alimentazione faceva capo a dieci serbatoi alari autostagnanti, disposti quattro tra i fianchi della fusoliera e le gondole motrici, quattro nel dorso, e due all’esterno di queste. A questi serbatoi potevano aggiungersene altri due, pure autostagnanti, installati in fusoliera (uno dei quali, sistemato nel vano bombiero, era sganciabile in volo), che portavano il carico complessivo di combustibile a 4 035 litri (Una caratteristica curiosa era che il B-25 poteva estendere il suo raggio operativo abbassando i flap di un quarto; dato che in fase di crociera il muso tendeva ad alzarsi, circa 150 litri di carburante giacevano al di sotto della pompa di aspirazione del serbatoio ed erano così inutilizzabili). Il velivolo, oltre che di un poderoso armamento difensivo, disponeva anche di abbondanti bindature a protezione dei membri dell’equipaggio.
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B-25 Nose Art!!!!
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Nella Regia Aeronautica L’impiego sistematico di velivoli tedeschi nei reparti italiani maturò, non senza ambiguità, solo di fronte alle crescenti difficoltà industriali e tecnologiche nazionali. Così, anche se già nel marzo 1943 si ammetteva che l’agognata unificazione della produzione su due soli tipi di apparecchi (caccia con versione attacco e bombardamento e con versione combattimento) non sarebbe potuta avvenire prima del 1944, in nessuna delle sei riunioni dei generali di squadra tenute fino al 12 giugno 1943 si accenna alle massicce cessioni di aeroplani tedeschi: forse perché ritenute questione temporanea, o forse per pudore. D’altronde, la questione era malvista anche da parte tedesca. La consegna di Bf 109 alla Regia Aeronautica, sulla quale Hitler insistette per motivi politici, trovò la ferma opposizione di Göring, convinto che in tal modo si sarebbe reso completamente inutilizzabile dal punto di vista bellico un gran numero d’apparecchi di prima linea. Ad ogni modo, sin dal 27 febbraio 1943 la Regia Aeronautica aveva richiesto ai tedeschi 500 aerei dei quali 60% da caccia e 40% da bombardamento’, che già il 5 maggio 1943 erano diventati 300 Bf 109G, 200 tra Ju 87 e Ju 88, 50 Me 210 e 12 Dornier Do 217, 60 alianti DFS 230. La Luftwaffe sollevò molte difficoltà (in parte oggettive, in parte strumentali) ma alla fine dovette accettare gli accordi intercorsi tra Mussolini e Hitler. Un lungo documento del 14 aprile 1943 mostra come il feldmaresciallo Albert Kesselring intendesse attuare la clausola che stabiliva che “Terminato tale addestramento su tipi di velivoli tedeschi, le unità italiane ormai già mature per il fronte dovrebbero essere aggregate a reparti tedeschi d’impiego e con essi partecipare ad azioni fino a nuovo ordine.” Kesselring proponeva di inserire un gruppo italiano da caccia nell’ambito di uno stormo da caccia tedesco, una squadriglia italiana nell’ambito d’ogni gruppo da bombardamento tedesco e così via. Il feldmaresciallo tedesco andava ancora oltre, prevedendo che “Il personale italiano trovantesi presso unità tedesche dipende dai suoi Comandanti di Squadriglia o Capi Sezione; dal lato addestramento ed impiego dipende dai relativi Comandanti di gruppo e di squadriglia tedeschi.” Kesselring dettò condizioni molto restrittive anche per la logistica: ‘il necessario equipaggiamento tecnico, per l’impiego verrà consegnato a tempo debito dal comando della 2” Luftflotte ai Reparti italiani pronti all’impiego sugli aeroporti dei Reparti tedeschi in linea, con i quali essi collaboreranno.” Secondo il verbale tedesco della riunione del 13 maggio 1943, “i reparti italiani effettueranno richiesta del loro fabbisogno di parti di ricambio e di materiali di consumo direttamente al posto di rifornimento tedesco vicino. Per assicurare che le richieste non vengano effettuate in maniera esagerata, è necessario che di ogni Gruppo vengano fatti i nomi di 3 persone (Ufficiali) che hanno l’autorizzazione di firmare le richieste al posto di rifornimento tedesco.” Che lo scopo fosse quello di controllare strettamente i reparti italiani si evince dai dinieghi opposti nel giugno 1943 alle richieste italiane di poter disporre di una minima dotazione propria di parti di ricambio per i Bf 109 ricevuti. Le risposte tedesche sembrano un ritornello: per le radio, “Una dotazione in questo senso non potrà avvenire. I Gruppi italiani si dovranno appoggiare ai Gruppi similari tedeschi incaricati dell’assistenza”; per le armi, “Una dotazione non può però avvenire. E’ stato pertanto fatto presente che i gruppi italiani dovranno appoggiarsi anche per le armi, ai gruppi similari tedeschi incaricati dell’assistenza”; per le munizioni, “Una richiesta di munizioni per armi di bordo è superflua, poichè i Gruppi italiani verranno sempre impiegati con quelli tedeschi. Di questi dettagli applicativi non vi è traccia negli accordi originali: è dunque lecito trarne la conclusione che Kesselring tentasse di volgere a proprio favore l’imposizione politica rappresentata dalla cessione del materiale, o comunque di limitarne al massimo il danno. Se il piano di Kesselring fosse stato effettivamente eseguito, la Regia Aeronautica si sarebbe infatti venuta ad integrare (o meglio diluire, vista la proporzione di circa 1 / 3 suggerita dai tedeschi) nella Luftwaffe, mantenendo solo i segni più esteriori della propria italianità. Così non fu, ma la proposta è molto indicativa di quali fossero i reali rapporti tra i paesi dell’Asse. La consegna dei Bf 109 ebbe inizio il 19 aprile 1943. Complessivamente prima dell'armistizio la Regia Aeronautica ricevette almeno 15 Bf 109F-4, 6 G-2, 10 G-4, 91 G-6, per un totale di 122 velivoli. Gli F erano esemplari vecchi, prodotti nel 1941 e provenivano per lo più da reparti tedeschi schierati in Grecia. I G erano invece in gran parte nuovi, prodotti a partire dal febbraio-marzo 1943 negli stabilimenti Erla, MTT e WNF. Quasi tutti transitarono per il Luftpark di Bari (deposito o magazzino aeronautico). Il primo reparto italiano a ricevere i Messerschmitt fu il 150° Gruppo (363a,364 e 365 Squadriglia), seguito per pochi giorni da due squadriglie del 4° Stormo (73a e 84a, subito transitate al Macchi 205), dalla 70a Squadriglia del 23° Gruppo a metà maggio e dal 3° Gruppo (153a, 154a e 155a Squadriglia) a fine mese. La consegna di 23 aerei al 3° Gruppo da parte del II/JG53 si svolse davanti ai fotografi PK tedeschi. Continua.....
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Mmmm..... Ma siete proprio dei pigroni!!! Ecco qualche foto dettagliata in più! KFIR C-1 (664) Walk Around KFIR C-7 KFIR TC-2 Walk Around Page 1
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I primi incontri I piloti italiani fecero conoscenza del caccia Messerschmitt alle gare di aviazione di Zurigo del luglio 1937, ove i primi Bf 109D sbaragliarono i biplani Fiat CR.32 della squadra italiana e tutti gli altri concorrenti. I due tipi di caccia si incontrarono successivamente nella guerra civile di Spagna, dove i tedeschi scoprirono i principi della dottrina tattica moderna. Alla vigilia della guerra quattro Bf 109E erano in prova al centro sperimentale di Guidonia. Il loro rapido rientro in Germania non impedì al personale italiano di apprezzare la modernità della loro impostazione e la bontà del motore DB 601 da 1.100 CV a iniezione, del quale l’Alfa Romeo stava trattando la produzione su licenza nel nuovo stabilimento di Pomigliano d’Arco (Napoli). Nel marzo 1940 l’Alfa propose all’Aeronautica addirittura di costruire i Bf 109 a Pomigliano, in sostituzione dei G.50 assegnatili. Nell’autunno 1940, la partecipazione italiana alla battaglia d’Inghilterra fu occasione per un confronto diretto tra il Bf 109 da un lato e il CR.42 e il G.50 dall’altro. Di fronte alla manifesta inferiorità dei caccia Fiat, che creava difficoltà nelle operazioni congiunte, il gen. Fougier raggiunse accordi diretti con la 2 Luftflotte per l’addestramento del 20° Gruppo sui Messerschmitt. Ciascuna delle sue due squadriglie (352 e 353a) ricevette in carico un Bf 109 e la maggior parte dei loro piloti, pur continuando a svolgere attività operativa sul G.50, effettuò il passaggio e una non trascurabile attività addestrativa sul velivolo. La transizione del reparto sul caccia tedesco però non si concretizzò e il 20° abbandonò il fronte della Manica nell’aprile 1941. Il primo Bf 109 italiano fu dunque un E-7 assemblato a Tirana a metà 1941 da personale del 150” Gruppo con parti di apparecchi distrutti al suolo nel corso della breve campagna di Jugoslavia. Nonostante l’aereo sia documentato con le insegne italiane, non vi è conferma che abbia effettivamente volato; è anzi certo che non sia mai giunto a Guidonia, al contrario di altre prede belliche jugoslave. Il primo Bf 109 italiano è tradizionalmente considerato questo esemplare di preda bellica jugoslava, trovato in cattive condizioni e probabilmente completato con parti recuperate da altri caccia. L’unico elemento di identificazione è purtroppo la matricola 11706 visibile sul motore. Continua....
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MIASIS DRAGON
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Mmmm.... Benissimo, vedo che hai fatto buon uso delle immagini che ti avevo proposto, continua così e vedrai che passo dopo passo verrà fuori un B-25 con i fiocchi!
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Purtroppo ho appena fucilato il personale inadempiente della pasticceria di fiducia in quanto gli avevo ordinato una torta al cioccolato invece ne hanno fatta una con i mirtilli! Eccone una l'altezza del grande GABU!!! Ehm.... Per le candeline, aspettiamo tutti gli invitati!
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Diciamo che se per il 12.7x99, la Browning M2 è la perfezione assoluta, anche l'MG 42 è utilizzata in molti eserciti, nelle sue evoluzioni!!! (considerando che sono due mitragliatrici che hanno impieghi operativi diversi) Da segnalare questo spettacolare video dell'M2 in azione! The browning M2 machinegun :scratch:
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Mmmm... Molto bello starfighter84, ma è lo stesso che ho trovato in questo sito giusto??? Modeling Time
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Tanti Auguri Gabu!!!
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De Havilland Mosquito Tamiya, 1/72
Blue Sky ha risposto a oberst-krieger nella discussione Modellismo
Non condivido, l'invecchiamento è (Personalmente parlando) uno dei punti forza della realizzazione, infatti dona al modello un effetto estremamente realistico! -
Mmmm.... interessante, magari più tardi cercherò di dare una scorciatina ai cantieri Vorthex, visti i precedenti, i lavori saranno all'altezza come sempre! :rotfl:
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Eh si, finito il palcoscenico manca solo l'attore protagonista!!! Dai Flankedd siamo tutti con te!
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A dire il vero come avevo anticipato, stavo giusto terminando di racimolare le informazioni sull'utilizzo dei due aerei in Italia, quindi aggiungerò tutto in questo topic per dargli una completezza ulteriore! Mmmmm... Magari un confronto fra P-38 e gli aerei Giappo??? Non sarebbe male!
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Fantastico Legolas! Waterloo Belle!
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Ehm... già postato! "Foto Genii"
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Azzz.... Conosco benissimo il prodotto, lo uso a volte come finitura nel restauro di radio antiche, e devo dire che sul legno è eccezionale!!! Bella scoperta, complimenti, anzi deposita il brevetto! P.S. Io lo pago 3.80€!
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Esempio! Certo che lascia molto a desiderare con le insegne USA!
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Maschinengewehr 42 tutta la vita, un vero gioiello della tecnologia bellica! The MG-42 or Maschinengewehr 42