Tecnica ed Evoluzione
Il Dr.1 venne costruito per soddisfare una specifica emanata dall’ lnspektion der Fliegertruppen » (ispettorato dell’aviazione) per un triplano da caccia, capace di restituire alle Jagdstaffeln (squadriglie da caccia) germaniche quella supremazia nei cieli che, già appannaggio dei monopiani Fokker e degli Albatros, era passata agli alleati con la comparsa del triplano Sopwith (I piloti tedeschi, noncuranti dei riconoscimenti ricevuti per la distruzione dei triplani Sopwith, secondo il comando supremo tedesco stavano acquisendo un rispetto quasi reverenziale per questi apparecchi, ed anche se pionieri come A.V. Roe avevano già costruito triplani, la fenornenale velocità con cui i triplani Sopwith acquistavano quota e l’alta manovrabilità sembravano indicare ai tedeschi che erano dotati di qualità straordinarie). L'Ispettorato tedesco dell’aviazione militare, ansioso di riacquistare la superiorità aerea raggiunta in aprile, puntò sui triplani per raggiungere l’obiettivo, e non c'è dubbio che lo stesso Ispettorato fu spronato dai resoconti di piloti provetti come Manfred von Richthofen, la cui 52a vittima era stata un triplano Sopwith. Inoltre il triplano Sopwith N5457 della 1a squadriglia RNAS era atterrato per problemi al motore nelle linee tedesche il 6 aprile, e fu perciò possibile esaminarlo. In breve tempo, l’Ispettorato ordinò prototipi di triplano alla Pfalz, alla Siemens-Schuckert e alla Fokker. Alla fine Fu prescelto il Fokker Dr.I che poi avrebbe conquistato una grande fama di «campione acrobatico, superiore agli altri caccia contemporanei».
La formula triplana permise di ottenere un aereo leggero e compatto, e quindi molto manovrabile, ed anche la scelta del motore si dimostrò indovinata. Il Dr.1 utilizzò infatti il motore rotativo Thulin, a nove cilindri, da 110 cavalli, costruito in Svezia su licenza della ditta francese Le Rhòne, leggero e sicuro (anche se con elevatissimi consumi di benzina e soprattutto di lubrificante), che i tedeschi coscienziosamente corredavano di diplomatiche targhette con la scritta « Beute » (preda bellica) per evitare possibili complicazioni alla ditta svedese loro fornitrice.
Secondo la tecnica comune a tutti i Fokker, anche il Dr.1 aveva la fusoliera costituita da un traliccio in tubi d’acciaio saldati e rivestita in tela mentre le tre ali (senza diedro e ciascuna in un sol tronco) avevano una robusta struttura in legno pure rivestita in tela, ed i piani di coda si basavano su uno scheletro in tubi d’acciaio ricoperto in tela. L’assale del carrello era coperto da una carenatura sagomata secondo un profilo alare, e contribuiva ad aumentare le già notevoli capacità portanti del velivolo. L’elica, di ben 2,62 metri di diametro, consentiva all’aereo eccezionali doti di salita alle basse e medie quote, e tanto gli alettoni (disposti solo sull’ala superiore) quanto il timone e l’equilibratore erano compensati aerodinamicamente, permettendo al pilota di controllare il Dr.1 letteralmente con la punta di un dito. L’aerodinamica del triplano Fokker era infatti notevolmente più avanzata di quella dei suoi avversari, e contribuì a conferirgli quelle insuperate caratteristiche di maneggevolezza che resero il Dr.1 un temibilissimo avversario nel combattimento manovrato su brevi distanze. Non si può però dimenticare che, per difetti in fase di costruzione, si ebbero diversi casi di rotture strutturali in volo.
La prima sciagura fu dovuta alla sfortuna. Il sottufficiale Josef Lautenschlager della Jasta 11 morì il 29 ottobre, mentre era alla guida del Fokker Dr.1 113/17, a nord della foresta di Houthulst. Sembra che il suo apparecchio fosse stato scambiato per un triplano Sopwith e abbattuto da un caccia tedesco non identificato (Anche in questo caso una più attenta analisi mostrò che aveva ceduto la struttura dell'ala superiore). Poi il giorno seguente si verificò un incidente inquietante. Durante il primo volo insieme dopo cinque mesi, Manfred e Lothar von Richthofen decollarono sui triplani e si misero alla guida dello stormo della Jasta 11 per il turno della mattina. Le nuvole fitte e la pioggia già rendevano il volo abbastanza difficile, ma poi Manfred si accorse che il triplano del fratello si comportava in modo bizzarro. Non riuscì a capire se stava solo abbassandosi o se iniziava a precipitare. Quando fu chiaro che Lothar stava scendendo in planata col motore spento, Manfred si girò per coprirlo. Lothar trovò una radura vicino a Zilverberg, appena a sud di Roeselare, ed effettuò un atterraggio perfetto. Manfred lo seguì poco dopo, ma fu «in qualche modo tradito», perché il suo il Fokker Dr.1 114/17 (Ne utilizzo diversi), toccò terra e poi si sfasciò. L’aeroplano era diventato un relitto, ma lui ne uscì illeso. Manfred von Richthofen rimase scosso dalle conseguenze causate da quello che era parso un piccolo incidente. Il 30 Goentermann si presenta al campo di La Neuville alle quattro del pomeriggio, per mostrare ai nuovi arrivati le potenzialità degli aerei su cui poi voleranno. Sale sul suo triplano che lo aspetta già pronto all'inizio della pista. Sotto la sua sciarpa brilla il metallo blu della "Blue Max". Il Fokker rulla sicuro e si stacca dal suolo, subito Goentermann lo impenna e sale vertiginosamente, al limite dello stallo. Poi si butta in picchiata, effettua looping e tonneau in rapida successione... Von Karnapp scriverà che era un piacere per gli occhi ammirare il triplano disegnare folli volte nel cielo.
Gli occhi di Von Karnapp seguono il triplano nelle sue evoluzioni, sino a che, dopo un'ultima richiamata, qualcosa si stacca dall'aereo. L'aero diventa instabile, si abbatte su un lato e poi scende avvitandosi senza controllo. Un attimo dopo lo schianto contro il suolo. "Essendo un avvocato (scrive Von Karnapp, e quindi "non un esperto di volo") per un attimo credo che questa sia un'altra manovra eseguita per stupirci ed emozionarci.
Ma è un attimo... I piloti accanto a me hanno ben chiaro quello che è accaduto, corriamo sul luogo della sciagura e vediamo il pilota in un lago di sangue nella carcassa accartocciata di quello che era il suo aereo." Goentermann è ancora vivo, ma nell'impatto ha sbattuto violentemente contro le leve di blocco delle mitragliatrici. Muore in ospedale. Il triplano di Goentermann aveva eseguito due looping ad una quota di circa 700 m, seguiti da una picchiata e da una virata stretta, ad una quota di circa 300m. L'alettone destro si era rotto, e quindi l'intera ala superiore aveva collassato. Goentermann non era più stato in grado di recuperare il controllo, anche con la cloche a fondo corsa (persa l'ala superiore il centro di pressione si era spostato troppo indietro, gli equilibratori di coda, anche a fondo corsa, non erano in grado di rialzare il muso del velivolo). Secondo Arnzen, che fu il tecnico dello Jasta 15 che redasse il rapporto sull'incidente, la causa della rottura non era da addebitarsi ad una manovra troppo brusca, ma ad un vero difetto di costruzione. Arnzen stesso suggeriva come rinforzare la struttura dell'ala superiore. Stessa sfortunata sorte toccò al sottotenente della riserva Gùnther Pastor, un veterano da cinque settimane al servizio della Jasta 11, precipitò. Stava volando con il Fokker Dr.1 121/17 quando, alle 15.20 circa, la struttura dell’ala superiore cedette e lui si schiantò circa un chilometro a nord di Moorsele. in Belgio. Pastor morì sul colpo. Venerdì 2 novembre 1917, tutti i triplani Fokker rimasero a terra in attesa di essere esaminati dall’ispettorato dell’aviazione. La Commissione centrale di accettazione dell’Ispettorato stabilì uno speciale comitato per i disastri aerei sotto la direzione dell’ingegner Wilhelm Hoff, un illustre aviatore del periodo prebellico e capo dell’istituto di ricerca tedesco per l’aviazione. Il comitato esaminò tutto, dal progetto di base alla qualità dei materiali di costruzione.
I danni derivanti dal mancato utilizzo dei triplani il giorno in cui ebbe inizio l’indagine furono minimi perché la nebbia fitta e la pioggia occasionale fecero sì che gli aeroplani della JG1 rimanessero nei capannoni di legno nei campi d’aviazione attorno a Marcke. Quando il giorno successivo ripresero le operazioni di volo, vennero usati solo gli Albatros e i nuovi Pfalz D.III dello stormo. La commissione d’inchiesta individuò le cause degli incidenti in difetti di costruzione e nel materiale scadente impiegato. La casa costruttrice dovette adottare tecniche di costruzione e di controllo più accurate e sostituire intere serie di ali, ma il Dr.1 non risultò mai completamente sicuro, ed il 3 Febbraio, il 15 Marzo ed il 9 Maggio 1918 si verificarono infatti altri cedimenti strutturali in volo, fortunatamente senza conseguenze fatali. Analisi successive mostreranno che più che ad un vero e proprio difetto di progetto, i cedimenti sarebbero stati da addebitare alla scarsa qualità del legname utilizzato, non adeguatamente trattato per resistere alle intemperie. Questo fu possibile sia in considerazione del fatto che non ci si aspettava una lunga vita operativa per i velivoli impiegati in combattimento, sia che normalmente questi avrebbero dovuto essere ricoverati in hangar protetti (Anthony Fokker era in una pessima situazione: nessuno credeva alle sue scuse, quando sosteneva che la produzione era stata forzata per esplicito ordine dell'Alto Comando. Venne fuori infatti una lettera in cui Fokker stesso scriveva al suo direttore commerciale Friedrich Wilhelm Seekatz di raddoppiare la produzione semplificando le procedure di controllo della qualità).
Oltre ad una completa revisione e alla sostituzione dell'intero piano alare di tutti i triplani già consegnati, Richtofen ordinò anche la costruzione di nuovi hangar in legno per il rimessaggio dei velivoli. Il rapporto finale datato 28 Novembre 1917 rimuoveva il divieto di volare dei Fokker Dr.1, che quindi poterono riprendere ad affiancare gli Albatros in battaglia.
Di tutto rispetto era l’armamento, costituito da due mitragliatrici LMG 08/15 da 7,92 millimetri (le famose Spandau, dalla città in cui si trovava la Fabbrica Reale d’Armi che le produceva), con 500 proiettili ciascuna, e sparanti attraverso il disco dell’elica. Non brillantissime erano invece le prestazioni in termini di velocità, e infatti diversi velivoli alleati potevano sottrarsi agevolmente agli assalti del caccia tedesco, che a 4 mila metri di quota non superava i 165 chilometri all’ora. La limitata potenza del motore impediva inoltre all’aereo di operare praticamente sopra 4 mila metri, e fu la causa principale della breve vita operativa del velivolo che, entrato in servizio alla fine dell’agosto 1917, già nel maggio 1918 sarebbe stato ritirato dai reparti operanti sul fronte occidentale, dopo inutili tentativi di migliorarne le prestazioni in quota, tra cui quello basato sulla riduzione del carico di carburante.
Il posto di pilotaggio era di dimensioni alquanto limitate, e senz’altro scomodo per un pilota di taglia normale o, peggio, superiore alla media. Anche la disposizione degli otturatori delle mitragliatrici, a portata delle mani del pilota per consentirgli di intervenire direttamente nel caso (non infrequente) di un inceppamento, era indubbiamente pericolosa nell’eventualità di un atterraggio di emergenza, dato che la protezione offerta da esigue guarnizioni di feltro,
solo saltuariamente presenti, era insufficiente a garantire l’incolumità del pilota. I comandi si riducevano alla barra, alla pedaliera, alla manetta, all’interruttore di accensione ed al comando di sparo delle armi. L’impugnatura della barra era prevista per essere afferrata con due mani, e portava, oltre al comando di sparo, una manetta ausiliaria collegata alla principale mediante un flessibile. Il pilota poteva così controllare aereo, motore ed armamento con entrambe le mani sulla barra, con evidenti vantaggi in combattimento. La scarsissima strumentazione era costituita da bussola, contagiri, indicatori di livello del carburante e del lubrificante (contenuti in un serbatoio installato in fusoliera,tra i posto di pilotaggio ed il motore, e suddiviso in due celle), e contacolpi. La breve vita operativa del velivolo, il ridotto numero di esemplari costruito (circa 320), le dimensioni ed il peso limitati che non consentirono di realizzare versioni biposto o da assalto, e soprattutto la mancanza di motori adeguati, impedirono la comparsa di altre versioni dell’aereo, se si eccettuano alcuni esperimenti rivolti a migliorarne le caratteristiche in quota.
Il tentativo di sostituire al Le Rhòne-Thulin il rotativo Oberursel UR II da 110 cavalli non ebbe successo, nonostante le insistenze di Fokker (proprietario della fabbrica Oberursel), poiché i piloti non appena possibile sostituirono il motore di produzione nazionale con quello svedese, realizzato con migliori materiali e mediante lavorazioni più accurate. Anche la prova eseguita installando il rotativo Oberursel III a 11 cilindri da 145 cavalli, fallì per l’insufficiente messa a punto del motore, e per analoghi motivi non ebbe fortuna neppure l’adozione del rotativo Goebel Goe III. Questo motore, nonostante una buona potenza al decollo (170 cavalli) ed in quota, e la possibilità di venir potenziato fino a poter raggiungere i 200 cavalli, venne impiegato nell’autunno 1918 solo su una trentina di Dr.1, assegnati alle formazioni per la difesa aerea del territorio metropolitano, ma che non vennero mai impiegati in azioni belliche. Alcuni triplani Fokker furono dotati di motori Clerget da 130 cavalli, prede belliche, ma l’intuibile difficoltà di reperire pezzi di ricambio precluse l’assegnazione ai reparti di questi velivoli, mentre la fine del conflitto impedì di realizzare versioni d’alta quota del Dr.1 che, con motori dotati di compressori di sovralimentazione, avrebbero dovuto raggiungere quote sui 9 mila metri.
A quote dello stesso ordine arrivò, viceversa, una versione sperimentale del Dr.1, denominata V.7, e munita di un motore controrotativo Siemens-Halske Sh.3 a 11 cilindri, erogante 160 cavalli. Questo motore, facendo girare l’elica ad un numero di giri molto basso, all’incirca sui 900 al minuto (contro i 1200 del Le Rhòne-Thulin), richiese l’adozione di un’elica quadripala di grande diametro che obbligò ad alzare il carrello per impedire che le estremità delle pale passassero troppo vicine al terreno, e conseguentemente ad allungare la fusoliera di circa mezzo metro, per non sacrificare troppo la visibilità del pilota durante il rullaggio. Come risultato finale, il V.7 riuscì a raggiungere i 9 mila metri, ma la leggendaria manovrabilità del D.1 risultò irrimediabilmente compromessa. Ancora meno soddisfacente fu la versione V.8, di dimensioni appena aumentate rispetto al Dr.1 e con motore raffreddato a liquido Mercedes D II da 120 cavalli, a causa delle peggiori caratteristiche aerodinamiche. Proprio in merito alla motorizzazione del DR.1 Richthofen rivelò le proprie apprensioni a Fritz Von Falkenhayn in una lettera del 27 febbraio:
"Alcuni giorni fa le ho mandato una relazione sul Rizinus Ersatz (lubrificante a base di olio di ricino sintetico) riguardo ai motori rotati. Sono del parere che, a causa della bassa qualità del prodotto a nostra disposizione, i motori rotativi non sono più adatti per questa guerra. Per questo motivo non ci tengo ad avere motori rotativi nella mia Geschwader, anche se in grado di produrre 200 hp. Considerata l’attuale situazione, preferisco avere i Fokker (D.VII) con i motori BMW o il Mercedes sovralimentato. Comunque, se i Fokker vengono prodotti con motori non sovralimentati, non li rifiuterò".
LeRhône Type J 110 hp - 9 Cylinders