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Ma quale forte, ha una fortuna per non dire un'altra cosa fuori dal comune, mi spiace per Massa perdere un mondiale così è assurdo!
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:asd: Cingoletta 2800 The Fiat Cingoletta 2800 was a obivious copy of the British Universal Carrier with an extra bogie wheel on each side. In many ways it bore and even closer physical resemblance to the US T-16 Ford Universal Carrier. The weight was 4.76 tons and it mounted a 8mm MG. With a one ton load it could reach 60kmh.
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VF-17A
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Pavesi Armored Car(s) Two prototypes were built, one of a vehicle armed with a Hotchkiss machinegun with 1000 rounds, the other armed with a 75mm Schneider gun with 30 rounds. Both vehicles appear to have been based on the Pavesi M26 or M30 artillery tractor. The design was unique; the frame consisted of two separate sections that were articulated, all four wheels were powered, and all four steered. The wheels themselves were large diameter (1300 mm), and had grousers that normally were folded inward on the wheels, but could be folded outward to provide extra traction when necessary. Armor thickness varied from 4mm to 16mm. The motor was a Pavesi P 4, four cylinder, 7000 cc, water-cooled that developed 48 horsepower at 1250 rpm.
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Barbara Jean!
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VF 20
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HELLCAT AL CONTRATTACCO Pochi aerei vennero sviluppati così velocemente come il robustissimo F6F Hellcat, di cui ne vennero prodotti ben 12272 in soli 30 mesi. Quando l’Hellcat raggiunse le portaerei americane nel Pacifico, lo Zero incontrò un suo degno rivale. In totale gli Hellcat abbatterono 6000 aerei giapponesi, ottenendo un rapporto di vittorie di 6 a 1 nei confronti degli Zero. Quando le sorti della guerra si capovolsero e gli Alleati cominciarono a spingersi in territorio giapponese, lo Zero dovette affrontare anche il North American P-51 Mustang. Il momento di gloria dello Zero fu folgorante, ma breve, I suoi primi successi furono dovuti solo in parte al suo peso leggero, alla potenza, all’armamento e alla manovrabilità. Questa soluzione per risparmiare peso comportava però una maggiore vulnerabilità. Gran parte del successo dello Zero fu dovuto anche a una generazione di brillanti e coraggiosi piloti, la maggior parte dei quali perì nel corso della guerra senza poter essere degnamente sostituiti. In seguito vennero introdotte le versioni A6M6 e A6M7, con miglioramenti di poco conto. Era passato un decennio da quando lo Zero aveva preso forma sui tavoli dei progettisti e il modello base di Horikoshi era ancora in costruzione quando le forze americane sbarcarono a Okinawa segnando così il destino del Giappone. All’approssimarsi della sconfitta, lo Zero venne ridotto al ruolo di kamikaze, ossia di aereo suicida. Per questa sinistra missione portava una bomba da 250 libbre (113 kg), ma l’aereo stesso veniva impiegato come un missile, volando direttamente contro le navi da guerra alleate. In questi disperati attacchi suicidi, tra tutti gli aerei giapponesi vennero impiegati soprattutto gli Zero. Sebbene siano stati costruiti diverse migliaia Zero, attualmente in tutto il mondo solo tre sono ancora in grado di volare. (Info tratte da La Storia Dell'Aviazione, Aerei Da Combattimento, Wings Palette) Dati Tecnici Contributi Video Mitsubishi A6M ZERO Zero Attack Hellcat vs Zero WWII, Wake Island. Pt.1 Hellcat vs Zero WWII, Wake Island. Pt.2 RABAUL DOGFIGHT WW2, Hellcat vs Zero Dogfights: Zero Killer : Hamilton McWhorter Dogfights: Long Odds - "Swede" Vejtasa - Part 1 of 2 Dogfights: Long Odds - "Swede" Vejtasa - Part 2 of 2 Kamikaze Attacks
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Gli Zero nel Pacifico Pochi Aerei nella storia dell’aviazione furono avvolti da un alone mistico così intenso come lo Zero giapponese. Anche se ottenne successi solo nei primi anni della guerra nel teatro del Pacifico, venne costruito per tutto il corso della Seconda guerra mondiale e combatté praticamente in tutte le azioni navali effettuate dal Giappone. Con l’entrata in servizio del Grumman F6F Hellcat, lo Zero non riuscì più a conquistare la superiorità aerea. Quando poi per il Giappone cominciò ad avvicinarsi la fine della sua lunga ritirata verso la madrepatria, lo Zero venne impiegato come un aereo kamikaze e nei disperati attacchi contro la marea di bombardieri americani, tutto ciò però fu vano. Tuttavia agli inizi della sua carriera, lo Zero era tra i migliori caccia del mondo e tutti i migliori assi della Marina nipponica, compresi Nishizawa Iwamoto e Saburo Sakai, volarono su questo aereo. Sakai ottenne le sue prime vittorie nei cieli della Cina ed era giunto a 60 all’epoca in cui la lotta si era spostata da Midway a Guadalcanal. Il suo racconto di quella battaglia è forse indicativo dell’ormai mutato fato dello Zero dalla battaglia di Midway in avanti. «Guadalcanal. Un nome, solo un nome. Noi non sapevamo nemmeno cosa fosse Guadalcanal. Noi, i piloti da caccia del Corpo Aereo di Tainan, eravamo di stanza a Rabaul, al limite orientale dell’isola della Nuova Britannia. Un mattino, durante la riunione di preparazione alla missione, il nostro ufficiale comandante, il capitano Saito, ci comunicò: ‘Alle 05.25 di questa mattina, una potente forza d’invasione nemica ha attaccato Lunga Roads, sull’isola di Guadalcanal. Le nostre unità hanno ricevuto l’ordine di ingaggiare immediatamente il nemico e di respingere lo sbarco americano a ogni costo. Questa sarà la più lunga missione che voi sarete mai chiamati a eseguire.’ «Alle 08.00 i nostri Zero lasciarono il campo, assumendo la formazione a sezioni di tre aerei mentre ci arrampicavamo nel cielo lontano dalla pista dei caccia. Volammo verso sud, lungo la linea delle isole Salomone, 27 bombardieri che volavano a 15 000 piedi (4572 m) di quota, scortati da 18 caccia. Solo l’aver udito che avremmo affrontato dei caccia dell’US Navy mi aveva eccitato. Appena prima di mezzogiorno, riuscimmo a distinguere le acque di Lunga Roads, al largo dell’isola di Guadalcanal. Il mare sembrava ricoperto da navi. Poiché il cielo sembrava libero dai caccia nemici, i nostri bombardieri d’attacco cominciarono a tuffarsi in picchiata contro la flotta nemica. Senza alcun preavviso, un gruppo di caccia nemici piombò dall’alto sulla nostra formazione. Gli aerei si dispersero in tutte le direzioni mentre i nostri Zero cercavano di sganciarsi dagli attacchidei nemici. Riorganizzammo la nostra formazione e continuammo a procedere verso la principale area della battaglia. Circa a una decina di chilometri davanti a noi, sopra quella che sembrava Tulagi, vidi una formazione di otto aerei nemici. ‘Aerei nemici!’ Lanciai l’allarme ai miei piloti. Spinsi tutta in avanti la manetta, acquistando la massima velocità. ‘Se hanno intenzione di combattere,’ pensai, ‘devono allargare lo spazio tra i singoli aerei. No, stanno restringendo la formazione. Non sanno nemmeno che ci stiamo avvicinando.’ Ma, quando mi trovai a circa 300 metri riuscii a distinguere i particolari. Mi ero infilato in una trappola. Credevo che gli aerei nemici fossero dei caccia. Ma non era vero! Si trattava di aerosiluranti TBF. Non c’era da meravigliarsi se essi avevano ridotto lo spazio tra i loro aerei. Avevano visto i nostri caccia e si erano raggruppati per una migliore protezione. Potevo chiaramente vedere la torretta di ogni Grumman TBF. Non c’era modo di fuggire. Potevo solo proseguire l’attacco. Premetti selvaggiamente il pulsante di sparo. I miei cannoni da 20 mm e le mitragliatrici nemiche spararono quasi simultaneamente, e lo spazio tra gli aerei venne solcato dai tracciati in ogni direzione. «Crac! Udii un terribile, indescrivibile rumore. L’intero mondo parve esplodere e lo Zero tremò e si scosse come se fosse un giocattolo. Mi sentivo come se fossi stato colpito sulla testa da una mazza. Il cielo si illuminò di rosso e io persi conoscenza. Forse due terzi del parabrezza anteriore dello Zero erano stati ridotti in pezzi dai proiettili delle mitragliatrici nemiche. Il mio aereo deve essere precipitato come un sasso. Nel giro di pochi minuti il flusso d’aria gelida che attraversava il parabrezza distrutto mi fece riprendere i sensi. Il primo pensiero che mi venne in mente fu il viso della mia amata madre. "Come vanno le cose da te? Vergognati, lamentarsi per una ferita così leggera” Così sembrava che mia madre mi sgridasse. Da un’altezza di 18 000 piedi (5486 m) ero piombato a circa 7000 piedi (2134 m). L’aereo stava ancora precipitando senza controllo quando improvvisamente pensai di effettuare un bombardamento suicida. Pensai: ‘Se devo morire, porterò una nave da guerra americana con me’ «Non riuscivo a vedere nessuna nave! Non riuscivo a vedere nulla! Solo allora capii che il mio volto era stato colpito da numerose schegge e che ero cieco. Stranamente non provavo alcun dolore. Lo Zero continuava a precipitare verso l’oceano. Grazie alla forza dell’abitudine tirai indietro la barra di comando. Apparentemente l’aereo uscì dalla sua picchiata e la pressione del vento nell’abitacolo diminuì decisamente. Tentai di spostare la manetta, ma la mano sinistra era totalmente insensibile. Quando provai a pigiare sul pedale del timone scoprii che anche la gamba sinistra non rispondeva. Disperato, lasciai la barra di comando e mi sfregai entrambi gli occhi con la mano destra. Dopo averli massaggiati il più decisamente possibile per alcuni istanti, cominciai a distinguere l’estremità alare sinistra con l’occhio sinistro. Ma nonostante continuassi a sfregare l’occhio destro, questo rimaneva cieco. Vedevo come attraverso un brillante velo rosso, come se il mondo intero stesse bruciando furiosamente. Improvvisamente provai un dolore terribile e straziante alla testa che mi lasciò senza forze e senza fiato. Sollevai la mano destra e mi tastai faticosamente la testa; quando la ritrassi mi accorsi che era ricoperta di sangue. Pensai; ‘Così la mia vita sta per finire.’ Mi calmai e pensai nuovamente: ‘Non ho forse abbattuto molti aerei nemici oggi? Probabilmente ho portato il mio totale a 60. Ora è giunto il mio turno. Ho sempre pensato che potesse accadere.’ Sapevo che se mi fossi lasciato sopraffare dal torpore presto o tardi mi sarei addormentato. Decisi che sarebbe stato meglio ritornare verso Guadalcanal e gettarmi su una nave nemica. Quando mi inclinai lateralmente e feci virare lo Zero verso la zona della battaglia, la mia mente miracolosamente si schiarì. Di nuovo i miei pensieri si concentrarono sulla possibilità di ritornare a un aeroporto giapponese e feci nuovamente virare l’aereo. «Finalmente la mia mente divenne sufficientemente lucida per permettermi di leggere la bussola. Le mie probabilità di ritornare ad una base giapponese si fecero migliori. Alla fine trovai Rabaul. Decisi di verificare se potevo abbassare il carrello d’atterraggio. Avevo poche speranze, poiché l’aereo era stato pesantemente colpito. Invece si accese sul quadro comandi la luce verde che segnalava il corretto posizionamento delle gambe del carrello. Fui ancora più sorpreso quando i flap di atterraggio si aprirono sotto l’ala. Cercai di controllare il caccia anche se ero stordito, valutando la mia altitudine e velocità di discesa sulle cime di un gruppo di palme da cocco, finché non sentii che le ruote avevano toccato il suolo. Allora pensai, ‘Sono tornato a casa!’» Sakai guarì da tutte le sue ferite ad eccezione della cecità del suo occhio destro. Nel giugno 1944, quando gli Americani lanciarono un massiccio attacco contro le Marianne, Sakai ritornò a combattere riuscì ad abbattere due caccia dell’US Navy sopra lwo Jima. Terminò la guerra come il più grande asso giapponese sopravvissuto. "Quelle disperate battaglie aeree furono l’inizio di una serie di lunghi e faticosi scontri nei quali le Forze aeree giapponesi vennero inesorabilmente decimate. La continua guerra aerea tra le forze statunitensi e nipponiche risucchiò la nostra aviazione navale e, in definitiva, le nostre forze terrestri e navali in una palude senza fondo dalla quale poteva emergere solo la sconfitta.»
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L’ Impiego Lo Zero fu un superbo caccia, che univa semplicità, grande maneggevolezza e velocità. Tutta via venne eguagliato e in fine sconfitto dai più moderni caccia navali statunitensi.Gli alleati rimaserto sbalorditi quando il Mitsubishi A6M Zero comparve alla testa delle formazioni d’attacco su Pearl Harbor il 7 dicembre 1941. Lo Zero non era una novità, nemmeno allora, ma l’Occidente, trastullandosi in una beata incoscienza, aveva ignorato l’evidenza che il Giappone possedeva un caccia di prima classe. I cosiddetti “esperti” statunitensi non volevano credere che lo Zero poteva creare seri problemi sia al Grumman F4F Wildcat che al Curtiss P-40 Warhawk, così sciorinarono una litania di inconsistenti giustificazioni. Costoro dicevano che lo Zero era sopravvalutato, giudizio, questo, corretto sotto un certo punto di vista. Inoltre asserivano che lo Zero era stato “copiato” dai progetti occidentali, e questo invece era falso. Se avessero svolto analisi più approfondite, si sarebbero certamente resi conto che gli americani non possedevano alcun caccia tale da indurre qualcuno a copiarlo, o, quantomeno, non esisteva nulla che potesse stare alla pari con lo Zero per potenza di fuoco, agilità e autonomia. L’idea che il Giappone potesse produrre un eccellente aereo da combattimento era così lontana dalle convinzioni dell’Occidente, che gli altri caccia, Come il Nakajima Ki-43 “Oscar”, furono erroneamente chiamati “Zero” e sovrastimati dagli Americani. Le “Tigri Volanti” del colonnello Claire Chennault, un gruppo di volontari che volò sui P-40 in Cina nel 1941 -42, non videro mai uno Zero (Ci sono pareri discordanti in merito), ma nei loro rapporti descrissero gli aerei nipponici come praticamente invincibili. Questa situazione si sviluppò proprio quando la Marina imperiale giapponese stava scorrazzando in tutto il Pacifico con squadriglie di temibili Zero imbarcati. Il Mitsubishi A6M2 iniziò l’attività operativa in Cina il 13 settembre 1940, quando tredici velivoli condotti dal tenente Saburo Shindo sorpresero un reparto di I-15 e I-16: nessuno dei caccia cinesi riuscì a sopravvivere ai pochi minuti dello scontro, dal quale invece i giapponesi uscirono totalmente iridenni. All’inizio della guerra nel Pacifico, la marina nipponica possedeva 521 caccia imbarcati fra i quali 327 A6M2 che parteciparono con successo alle operazioni di Pearl Harbor e nelle Filippine. Fino alla battaglia delle Midway gli Zero volarono quasi incontrastati nei cieli del Pacifico; ma tenere un fronte che andava dalla Malesia alle Aleutine divenne particolarmente difficile per i 492 Zero allora in servizio, per brillanti che fossero le loro prestazioni. Durante l’inconcludente attacco nipponico alle Aleutine nel giugno 1942, un A6M2 fu costretto all’atterraggio dagli alleati che lo portarono intatto a San Diego, in California, dove fu oggetto di un intenso programma di valutazione. La prima grossa disfatta subita dagli Zero alle Midway influì poi sensibilmente sulle future operazioni imbarcate del caccia nipponico, che entrava nel frattempo in linea con la versione più recente A6M3. Pur possedendo infatti ancora due portaerei equipaggiate con 44 A6M2, l’ammiraglio Nagumo ordinò il trasferimento a terra di tutti gli Zero. Gli A6M2, operando dalle basi terrestri, avevano già ottenuto brillanti successi nei primi otto mesi del conflitto, e i piloti erano stati opportunamente addestrati per sfruttare al massimo le doti di autonomia del velivolo, partendo dalle basi di Formosa, per le operazioni contro le Filippine. Fu in quella fase del conflitto che si distinse uno dei più noti assi della caccia, Saburo Sakai, che riuscì a ridurre il consumo di carburante all’eccezionale valore di 68 litri/ora e ad aumentare di conseguenza l’autonomia a 12 ore (quando per lo Spitfire ed il Bf. 109 era già eccezionale poter restare volo 4 ore). I reparti di Zero basati a terra più attivi furono il Tainan Kokutai ed il 3° Kokutai, che in un periodo di soli tre mesi (primavera 1942) misero fuori combattimento circa 550 aerei americani ed alleati. Qualche mese più tardi, la battaglia per Guadalcanal segnava un nuovo grave smacco per il Giappone: quando il 7 febbraio 1943 le truppe dovettero abbandonare l’isola, avevano perso 893 aerei, tra i quali buona parte de Zero presenti nell’isola. Nell’autunno 1943 i reparti di prima linea ricevettero gli A6M5 e A6M5b modello 52b. Quando gli alleati approdarono a Leyte, maggior parte dei reparti della marina nipponica erano equipaggiati con questi aerei che non furono tuttavia in grado di fronteggiare né numericamente né tecnicamente la superiorità ormai saldamente acquisita dei caccia dell’US. Navy, come l’F6F Hellcat. li 25 ottobre 1944 ebbero inizio gli attacchi dei « Kamikaze », ai quali erano stati assegnati cinque Zero con volontari del 201° Kokutai. A parte questo specifico e limitato impiego, gli Zero equipaggiarono anche i reparti a difesa del territorio metropolitano del Giappone, in mancanza di un sufficiente quantitativo di intercettoni notturni. Alcune di queste unità modificarono i loro A6M5d montando in fusoliera, alle spalle del pilota, un cannone da 20 mm che sparava obliquamente verso l’alto e a sinistra (la nuova designazione era A6M5d-S). Molti A6M2, prima del termine del conflitto erano stati trasferiti alle scuole e trasformati in biposti dal 21° Arsenale navale (A6M2-K), mentre altri furono utilizzati per il traino di bersagli. Un certo impiego ebbe anche una serie abbastanza numerosa (327 esemplari) di Zero versione idrovolante (A6M2-N, « Rufe » in codice alleato) costruiti dalla Nakajima tra il dicembre 1941 e il settembre 1943. Eccettuate queste ultime varianti, la Mitsubishi costruì complessivamente 3879 esemplari dello Zero mentre la produzione Nakajima ammontò 6570 velivoli.
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L’ evoluzione Nei primi mesi del 1940 le prove dello Zero continuarono con piena soddisfazione della Marina fino a quando, l’11 marzo, il secondo A6M1 si disintegrava in volo. Nonostante minuziose prove ed un accurato esame delle caratteristiche aeroelastiche del velivolo alla galleria del vento, le cause dell’incidente non furono accertate; tuttavia la produzione della preserie di quindici esemplari non subì rallentamenti e gli aerei vennero consegnati per le prove operative in Cina, con esito più che soddisfacente. Prima dell’inizio della guerra nel Pacifico diverse modifiche vennero introdotte sugli aerei che uscivano dalla linea di montaggio di Nagoya. La prima di esse fu un irrobustimento del longherone alare posteriore introdotto sul 22° esemplare, mentre a partire dal 65° l’estremità alare venne resa ripiegabile manualmente per consentire lo stivaggio sulle portaerei (sui ponti elevatori nipponici non poteva essere ospitato un velivolo con apertura alare di oltre 11 metri). Così modificato il caccia venne ridesignato Tipo Marina «0» Caccia Imbarcato Modello 21 (Zeke 21), e ne venne iniziata la costruzione anche da parte della Nakajima, a Koizumi. Nel frattempo la Mitsubishi aveva studiato una nuova versione del Reisen con motore Sakae 21 da 1130 cavalli dotato di compressore a due velocità. Con l’installazione del nuovo propulsore si rese necessario un arretramento di circa 20 cm dell’ordinata parafiamma, con conseguente riduzione da 98 a 60 litri della capacità del serbatoio di carburante e modifica della cofanatura del motore, che aveva ora maggior ingombro. Le prove di collaudo della nuova versione non furono tuttavia soddisfacenti perché le prestazioni fornite risultarono sensibilmente inferiori alle previsioni e la produzione fu ritardata finché non si rese disponibile un certo numero di motori Sakae 21. Dal quarto esemplare, la dotazione di munizioni del cannone alare da 20 mm venne portata da 60 a 100 colpi. Poco dopo i terminali alari ripiegabili vennero eliminati, riducendo l’apertura alare a 11 m (e la superficie a 21,53 mq). Questa modifica fruttò una maggiore velocità in volo orizzontale e soltanto una trascurabile perdita in manovrabilità: in questa forma l’A6M3 fu designato Tipo Marina «0» Caccia Imbarcato Modello 32 (Zero 32, « Hamp per gli alleati). In attesa del successore Mitsubishi A7M Reppu, venne sviluppata la variante A6M5, che pur conservando tutte le innovazioni dell’A6M3 riusciva a sfruttare l’energia dei gas di scarico guadagnando circa 20 km/h di velocità. Entrato in produzione come Tipo Marina «0» Caccia Imbarcato Modello 52, l’A6M5 fu assegnato ai reparti di prima linea nell’autunno 1943. Nel marzo 1944 entrava in produzione sia alla Mitsubishi che alla Nakajima l’A6M5a, che con un’ala irrobustita poteva raggiungere una velocità di affondata di 740 km/h. Seguivano le varianti A6M5b (sviluppata in collaborazione con l’arsenale navale), A6M5c costruita dal settembre 1944 in 93 esemplari, e A6M6c con motore Sakae 31 ad iniezione di acqua e metanolo; queste varianti differivano soprattutto nella combinazione d’armamento. Per l’impiego come bombardiere a tuffo dalle portaerei più piccole la Mitsubishi studiò poi l’A6M7, dotato di uno speciale gancio per una bomba da 250 kg e di due serbatoi supplementari sganciabili da 350 litri. La produzione di quest’aereo come Modello 63 ebbe inizio nel maggio 1945. Le prestazioni deludenti dei due ultimi tipi spinsero tuttavia la marina ad approvare la sostituzione del motore Sakae con il più potente Mitsubishi « Kinsei » L’ultimo prototipo con questo propulsore venne commissionato nel novembre 1944 e sfruttando una cellula dell’A6M7 venne completato nell’aprile 1945. Con questo modello la marina nipponica sperava finalmente di poter competere con gli Hellcat americani: ma il destino dell'impero del Sol Levante era ormai segnato, e nessun dei 6300 velivoli ordinati riuscì ad essere completato in tempo. Profili Versioni Principali A6M2 A6M3 A6M5 A6M7 A6M2-N
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La Tecnica Lo Zero 52B, versione più avanzata del caccia, era un monoplano completamente metallico ad ala bassa a sbalzo dalla linea estremamente pulita, con impennaggio cruciforme, carrello triciclo posteriore completamente retrattile e motore stellare. La sua costruzione era particolarmente curata, soprattutto allo scopo di ridurre il più possibile il peso della struttura, esaltando così le doti di salita, di autonomia e specialmente di manovrabilità del velivolo. L’ala, a pianta trapezoidale e con ampi raccordi parabolici alle estremità, aveva struttura bilongherone (con longherone anteriore al 30% delle corde) ed era realizzata in un solo elemento, solidale alla sezione anteriore della fusoliera. Questa soluzione costruttiva, anche se piuttosto onerosa sotto l’aspetto della manutenzione e delle riparazioni, offriva pregi di una considerevole leggerezza, data l’abolizione dei consueti, pesanti attacchi delle semiali alla fusoliera, e di un buon comportamento a fatica della struttura, particolarmente utile in considerazione del fatto che le solette dei longheroni erano realizzate in una speciale lega leggera (la ESD della Sumitomo), di caratteristiche analoghe a quelle del futuro Ergal, e quindi capace di elevata resistenza meccanica, ma di mediocri proprietà a fatica. Non essendo in grado l’industria nipponica di produrre estrusi di lunghezza adeguata, in ciascuna semiala le solette dei longheroni erano giuntate circa all’altezza della radice dell’alettone. Ciascuna semiala, su un totale di 24 centine, era munita di un ipersostentatore a spacco di limitate dimensioni, e di un alettone Frise di notevole apertura (m 2,83), con escursioni angolari di circa +20° e 30°. li diedro alare era di 5°40’. La fusoliera, su un totale di 16 diaframmi (particolarmente robusti i due in corrispondenza dell’intersezione dei longheroni alari con la fusoliera), di 6 semidiaframmi ventrali e di 23 correntini, era suddivisa in due tronchi, collegati tra loro mediante bullonatura delle ordinate terminali (le n. 7), in corrispondenza dell’estremità posteriore della capottina che copriva l’abitacolo. Nel tronco anteriore, solidale con l’ala, erano installati il motore ed il posto di pilotaggio, mentre quello posteriore portava gli impennaggi, il ruotino di coda e il gancio di appontaggio. La struttura della fusoliera, rivestita in lamiera da 0,5 millimetri salvo che per il tronco tra la paratia parafìamma e l’ordinata n. 2 (in lamiera da 1 millimetro), era notevolmente robusta, nonostante la sua estrema leggerezza. Gli impennaggi, di notevole superficie, erano costituiti da due semistabilizzatori con struttura bilongherone, ciascuno su 8 centine e diversi correntini, rivestiti in lamiera; da una deriva trilongherone, su 6 centine; da due semiequilibratori molto allungati, collegati tra loro da un elemento tubolare cui erano applicate la leva di comando e la massa di contropesatura, ed entrambi dotati di alette correttrici; e da timone, su 7 centine, dotato di becco di compensazione aerodinamica e dinamica all’estremità, nonché di aletta correttrice. Tutte le superfici mobili di coda, analogamente agli alettoni, erano rivestite in tela. Il carrello, completamente retrattile, aveva le gambe anteriori che rientravano nel ventre dell’ala, con rotazione verso la mezzeria del velivolo, mentre il ruotino di coda (come pure il gancio di appontaggio) si retraeva ruotando verso l’indietro. Le ruote anteriori, di 0,584 metri di diametro, erano munite di freni idraulici, ed il ruotino era sterzabile a comando, e disponeva di sistema di richiamo e di blocco al centro. Abbassamento e retrazione del carrello erano assicurate da martinetti idraulici, che nel ruotino posteriore costituivano un unico complesso con l’ammortizzatore oleopneumatico. Il motore dello Zero 52B era il quattordici cilindri a doppia stella Nakajima « Sakae » 21, con compressore a due velocità e riduttore, che erogava una potenza massima di 1130 CV al decollo, di 1100 CV alla quota di 2850 metri e di 980 CV a 6000 metri, e che azionava un’elica tripala a giri costanti, costruita dalla Sumitomo su licenza Hamilton, di 3,05 m di diametro, li motore era racchiuso in una Capottatura Naca di disegno molto accurato, nel cui labbro superiore era disposta la presa d’aria del compressore, è sotto il cui ventre era installato il radiatore dell’olio. Il mozzo dell’elica era carenato da un’ogiva. I tubi di scarico, opportunamente sagomati, fornivano un’apprezzabile spinta utile ai fini della propulsione. Il carico di combustibile, per un totale di 570 litri, era contenuto in due serbatoi installati tra i due longheroni, nei tronchi della radice delle semiali. Appeso sotto il ventre della fusoliera poteva poi venir installato un serbatoio supplementare sganciabile da 330 litri. Il posto di pilotaggio, anche se di dimensioni piuttosto esigue per un pilota occidentale, offriva ottima visibilità ed era coperto da un tettuccio scorrevole all’indietro. Il sedile del pilota poteva venir alzato per migliorare la visibilità durante le manovre di decollo e di atterraggio, che venivano usualmente compiute con la capottina aperta. Dotato di radio ricetrasmittente e di impianto per l’inalazione dell’ossigeno, il 52B fu il primo degli Zero a scostarsi dallo schema di armamento seguito su tutte le versioni precedenti. Ai due cannoncini alari Tipo 99 da 20 millimetri, con 125 proiettili ciascuno, si aggiungeva infatti l’armamento installato in fusoliera, in cui una delle due mitragliatrici Tipo 97 da 7,7 millimetri era sostituita da una più potente Tipo 3 da 13,2 millimetri. Sotto le ali potevano venir appese due bombe da 60 chilogrammi. Il 52B fu anche il primo degli Zero a disporre di una sia pur limitata protezione passiva, sotto forma di un blindovetro frontale da 50 millimetri per il pilota e di estintori automatici per i serbatoi del combustibile (I piloti alleati rimasero sorpresi nello scoprire che lo Zero non aveva un abitacolo corazzato o serbatoi per il combustibile autosigillanti cosa che causò moltissime perdite fra i piloti nipponici, in quanto lo rendevano molto vulnerabile al fuoco dei caccia nemici; ma nonostante ciò si cercò di porre rimedio a questi gravi difetti solo nelle ultime versioni). L’ala conservava viceversa i vani a tenuta che, assieme ad una sacca impermeabile disposta in fusoliera, assicuravano il galleggiamento nel caso di discesa in acqua (Un’insolita caratteristica erano sacchi di galleggiamento in tela nella fusoliera e nell’ala, concepiti per far galleggiare lo Zero sull’acqua in caso di ammaraggio. Una valvola nell’abitacolo controllava il sistema).
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MITSUBISHI A6M Zero Dall’attacco a Pearl Harbor all’ultima disperata difesa di fronte ai massicci bombardamenti alleati ed agli attacchi suicidi contro le squadre navali avversarie, il Mitsubishi A6M Reisen (battezzato "Rei-sen", ossia caccia zero con riferimento all’anno 2600 del calendario giapponese,il 1940 d.C) prese parte a quasi tutte le principali azioni dell’aviazione navale nipponica. La sua favolosa manovrabilità e la sua eccezionale autonomia furono leggendarie, e fecero dello Zero il simbolo della potenza aerea del Sol Levante, tanto da renderlo famoso quanto lo Spitfire o il Bf. 109. Lo Zero si conquistò la fama con una serie di brillanti vittorie contro tutti i velivoli alleati nei primi mesi della guerra nel Pacifico, e poiché la marina giapponese trovò difficoltà a mettere in servizio un altro caccia moderno capace di competere con i nuovi aerei alleati che comparvero nel Pacifico verso la fine del 1942, il Mitsubishi A6M dovette sostenere in gran parte il peso delle operazioni fino al termine del conflitto. La specifica preliminare per il caccia navale (12-Shi) risale al 19 maggio 1937 ed alla realizzazione del nuovo velivolo, che nelle intenzioni della marina era destinato a sostituire il Tipo 96 da poco entrato in servizio, vennero designate Mitsubishi e Nakajima. Per lavorare su questo progetto, la Mitsubishi si affidò al gruppo di tecnici dirietto da Jiro Horikoshi. Nell’ottobre 1937 la specifica venne riveduta alla luce dell’esperienza bellica in Cina, richiedendo prestazioni tali che la Nakajima, scoraggiata, abbandonò la competizione, lasciando così alla Mitsubishi via libera alla realizzazione del prototipo A6M1. Questo, con un motore radiale Mitsubishi Zuisei 13 da 780 cavalli, venne completato nel marzo 1939 ed il pilota collaudatore della ditta, Katsuko Shima, portò in volo l’aeroplano per la prima volta il 10 aprile, a Kagamigahara. Durante i collaudi l’elica bipala a passo variabile venne sostituita con una tripala a giri costanti e, a parte la velocità massima, tutti i requisiti imposti dalla specifica risultarono pienamente rispettati e persino superati. Le prestazioni del velivolo risultarono poi ancor più brillanti quando la Mitsubishi installò il motore Nakajima NK1C Sakae 12 sul terzo prototipo e sui successivi esemplari, per migliorare le doti di velocità dell’aeroplano. Il secondo prototipo con il Zuisei 12 volò il 18 ottobre mentre il primo A6M2 con il nuovo motore iniziava le prove di collaudo il 28 dicembre 1939, confermando doti di volo superiori ad ogni aspettativa. In Sequenza, un "Rufe" (Nakajima A6M2-N) 8S Escadrille, Aeronavale (ATAIU-SEA means Allied Technical Air Intelligence Unit - South East Asia), un A6M2 model 21 catturato dagli americani (In 03.06.1942, after the attack over Dutch Harbour, sub-officer Tadayoshi Koga landed in the island Akutan a swamp (and died) this his Zero '21'. The plane was captured by an US Navy team, and was repaired at NAS North Island, San Diego during August-October 1942. The propeller was replaced with an identical one Hamilton Standard. The fighter was repainted in blue marine with the US markings to avoid unpleasant incidents.)
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The V3 The Danes too had their "V" weapon and wanted vengence! With WW2 approaching the end, Danish underground forces obtained a scraped Ford 2 ton truck and improvised it into an armored car. Finally ready on 5 May 1945, it was composed of steel plates and a steel drum for a turret. The V3 was never used against the occupying German forces as they had surrendered before the V3 was completed, but it was used on one occasion against Danish collaborators in Frederiksvaerk. The vehicle still exists today as a war monument. Frank Andersen writes: "The V3 is exhibited at "Frihedsmuseet" (Museum of liberty) in Copenhagen. It has been hit by quite a number of rifle and submachinegun-bullets, as it was used against a werewolf-pack. Groups of Danish Nazis called themselves werewolfs, and wanted to make their own resistance movement against the allies. The same happened in the rest of the liberated Europe, as quite a lot local people had cooperated with the German Veermacht. And they would often have suffered death penalty anyway, so they fought on. The name "V3" came from the German V1 and V2 rockets, which again took their "V" from Churchill's V-sign. The "V for Victory", was quickly taken over by the resistance movements around Europe as their sign. Goebbels, the German minister of propaganda took the sign and made it his own, a sort of counter-propaganda against all the people, that sympathized with the allies. But as the German word for victory has no V in the beginning, it had to mean "vergeltung" or vengeance. The Danish words for vengeance and the word for victory hasn't got a V, so it was just to use Churchill V and to throw the German V back on the Nazis, that they used the V3. We had the last word."
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VF 32
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Miss Juliette!
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Quoto! :asd: The Holt 150 Ton Field Monitor, 3 Wheeled Steam Tank Almost no data survives on this strange vehicle built by Holt sometime between 1916 and 1917. It is known that it really existed, and it moved about 50 feet before becoming stuck at Aberdeen Proving Ground. Twin two piston steam engines provided power (one engine devoted to each large wheel). Records do not indicate which end was the front. At 150 tons, this would have been the largest, and heaviest vehicle built in that era. Most likely TANKS! considers this to be a error in the archives and most likely the tank weighed 15 tons or the 150 ton moniker was an effort to hide the design from would-be spies. Another source states that the vehicle was built by Holt and was called the "Three Wheeled Steam Tank". It was the 3rd tank to be designed in the United States and was completed in 1918. The hull was carried at the front by two 8' diameter tractor wheels and the rear of the vehicle was supported by a triple disc steering roller to which was attached a small steel plate for trench crossing. Each front drive wheel had it's own power unit which consisted of a Doble 2 cylinder 75hp engine and kerosene fired boiler. Main armament was a 2.95" mountain howitzer mounted low in the front. a .50cal Browning HMG was carred in a ball mount on the hull sides. The stated weight was a more believeable 17tons.
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Berliet 4x4 VUDB model 1929 This Belgian police AFV was never used in combat.
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VF 96
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Zero Giappo!
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More Christie Fantasys Shown from left to right are the M1940, M1941, M1942, and the M1942A. Most Christie pictures are heavily airbrushed and should be viewed with suspicion. Some were never even made as in the M1940. The M1940 never even came off the drawing board. final submissions by J. Walter Christie. The M1942A picture is by Col. Robert Icks, a famous developer of United States armor. Since the picture comes from him, it appears that this tank was actually built. Note that it does not have the multiple machine guns as in the M1942 touched up picture. To further confuse everyone, the Christie "M" series date is not always acurate. Christie determined that his designs were so futuristic that he would "guess" at a future date when he thought that the rest of the industry would catch up with him.
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P-51 Mustang!
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VF-43 Challenger!
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The Christie M1937 and M1938 Further examples of adaptations of the original M1935