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Dave97

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  1. Dave97

    Ustica

    La correlabilità dei plots -17 e – 12 con altri, a formare la traccia di un secondo aereo. Un sunto da Requisitorie P.P.N. 266/90 A P.M. e 527/84 A G.I. La seconda è la corrispondenza con le simulazioni di intercettazione effettuate dal Collegio Blasi nel 1985 ad opera di un F104. Va sottolineato che non è possibile pretendere l’assoluta identicità di condizioni. Basti pensare che è stato sufficiente che l’intercettazione avvenisse a poche miglia oltre il punto dell’incidente perché gli estrattori del MARCONI rilevassero l’aereo militare con percentuale bassissima e addirittura non lo rilevassero affatto per un lungo tratto. Nella seconda prova di intercettazione, a distanza più prossima a quella ove avvenne il disastro, il MARCONI ebbe una percentuale di detenzione del caccia del 20,5% delle battute (estrattore 1) e del 17.9% (estrattore 2). Si tratta di risultati non identici, ma sicuramente comparabili con quelli risultanti dai nastri di Ciampino, sia nell’ ipotesi che si considerino solamente i plots -17 e -12, sia che si consideri l’intera traettoria ipotizzata; le differenze possono essere giustificate con diverse condizioni (anche modeste) di distanza e propagazione e con superfici equivalenti dell’aereo “reale” diverse da quella dell’F104. Si sottolinea , inoltre, che i plots considerati sono proprio quello che portarono alle ricerche nella zona D e quindi al recupero del serbatoio sub – alare…… http://www.stragi80.com/ Collegio Blasi nel 1985 Questa volta priore non c'entra- per fortuna Edit: Comunque, visto questo insostenibile solo contro tutti Spiegatemi almeno il perché : Un missile può, giustamente essere escluso in quanto non sono presenti schegge. Tutti i collegi peritali tranne uno ,peraltro in disaccordo, hanno escluso la bomba per assenza di danni interni derivanti da esplosione, però tale ipotesi rimane attendibile. Grazie! Sarò felicissimo di rivedere la mia posizione! PS: su http://www.stragi80.com Le requisitorie dei Pubblici Ministeri Prima parte3. Sono disponibili le perizie esplosivistiche Sempre che non siano cavolate anche queste!! Edit: Tra le Tante, mi era sfuggito questo passaggio. Allora, per quanto riguarda gli americani, posso anche darti ragione. Per l’A.M.I. , No L’ente addetto al controllo dello spazio aereo italiano, ha il dovere di conservare tutte le registrazioni per 30 giorni e in caso di incidente a tempo indeterminato. In virtù dell’incarico , non puoi permetterti un siffatto atteggiamento. (uso il tu in senso lato) E comunque se proprio ci tieni a fare il fenomeno almeno fallo da furbo. Prendi le registrazioni non richieste, le conservi e al momento opportuno le tiri fuori. Sai che bella soddisfazione, quando il pirla (giudice) di turno inizia a fantasticare sulla guerra aerea tu gli tiri fuori gli altri tracciati e gli spari sul muso- Trova altri aerei e poi ne riparliamo! E soprattutto pensa a quanti soldi avresti fatto risparmiare ai contribuenti Italiani!!! Però mi devi sempre spiegare cosa c’entra Priore in tutto ciò, visto che stiamo parlando degli anni 80 e non del 90.
  2. Dave97

    Ustica

    Guarda che era solo per evitare inutili OT su topic importante. I dialoghi che citi dovrebbero far pensare alla near collision? Si, visto che stiamo parlando di persone che hanno una certa familiarità con il loro lavoro Se poi sono persone comuni che si trovano lì per caso, allora la cosa cambia. Ma chi conta di più: uno che nell'immediatezza del fatto dice di aver visto una traccia dopo l'esplosione, o chi analizzando e rianalizzando 100 volte quei tracciati dice che non c'erano aerei?... Conta che il radar di Ciampino, in quel punto è ai limiti della sua portata. Esistono diversi test, Agli atti, fatti con un 104 che hanno dimostrato che un velivolo del genere, il suddetto radar a quella distanza non lo rileva. Qua non ci sono aerei e ci sono tracce di C4 e tu mi parli di near collision?...Ma che senso ha? Non lo dico Io, lo dicono i vari collegi peritali che si sono susseguiti nella vicenda che non vi sono tracce di esplosione a bordo del DC9
  3. Dave97

    Ustica

    il 30 maggio 1988,di fronte al giudice, il maresciallo dell' Aeronautica Luciano Carico.. è una testimonianza depositata. Non ho detto Cossiga e le sue sparate, e su questo concordo pienamente con te! Tutti i collegi peritale che si sono alternati negli anni, meno uno. Pensavo che fossero fatti
  4. Dave97

    Ustica

    Non è affatto un caso… Se ai potenziali testimoni regali qualche anno di tempo, prima di procedere con le interrogazioni del caso non puoi condannarli se : non ricordano i fatti accaduti, se non ricordano se presenti o no all’evento, etc.etc O dobbiamo ripercorrere tutti gli stratagemmi che si sono dovuti inventare (i giudici) per ottenere una lista attendibile dei presenti … I tracciati e le registrazioni devono essere sequestrate subito, o anche qui dobbiamo ripercorrere tutte le tappe che hanno portato all’acquisizione di tali informazioni. Le indagini condotte da Priore erano arrivate ad un punto Morto. Se è vero che certe ipotesi (cedimento strutturale, bomba) possono essere accertate, non bastano solamente un paio di testimonianze che dicono: si io ho visto una traccia vicino al DC 9 per emettere una sentenza di condanna. Ma questo non dovrebbe impedire a noi di poterne parlare, serenamente.. O mi sbaglio! Che dire, meno male che è solo il giudice Priore a prendere lucciole per lanterne
  5. Dave97

    Ustica

    ...Tutte le perizie disposte dai giudici concordano con Priore, a eccezione di quella del collegio Misiti, che...... Dominus, non l'ho inventata io sta storia.. ....Quindi oltre a Priore, nella lista degli incompetenti bisogna aggiungere anche tutti i vari collegi di periti.. Da cui se ne deduce che Priore è un malato di mente e tutti i collegi peritali che si sono susseguiti sono stati costituiti da una massa di incompetenti … Dato che ci siamo aggiungiamoci anche qualche Falsa testimonianza da parte dei pochi che si sono ricordati qualcosa…. Non fa una piega, non c'è che dire... Gianni, se richiamo il suddetto link, mi salta fuori una bella pagina bianca con : NOT FOUND The requested document was not found on this server.
  6. Dave97

    Ustica

    Scusa Gianni, ma non ho capito perché tu debba pensare che io stia girando attorno ad un problema ? Ho postato un articolo,scritto da un giornalista , che evidenzia in modo esauriente, motivo per il quale ho evitato di aggiungervi del mio, due punti fondamentali : ….che tutte le perizie hanno categoricamente escluso che il Dc-9 possa essere esploso per un difetto strutturale,. ….Tutte le perizie disposte dai giudici concordano con Priore, a eccezione di quella del collegio Misiti, che, superando le divergenze di vedute all'intemo dei vari collegi specialistici, nella sua relazione finale ritiene «tecnicamente sostenibile» l'ipotesi della bomba. Di seguito, ho aggiunto le frenetiche comunicazioni ; Registrate, intercorse tra gli addetti ai lavori, che sono convinti di una near collision. Infine ….E infatti il 30 maggio 1988, di fronte al giudice, il maresciallo dell' Aeronautica Luciano Carico (che la sera del 27 giugno 1980 era in servizio al centro radar di Marsala) ammette di aver visto, pochi minuti prima dell'esplosione, due tracce sul radar, una del Dc-9 Itavia e una di altro aereo che non era l’Air Malta. Infine, un link interessante dove viene analizzato un caso, accaduto nel 2000, relativo ad una situazione di traffico aereo verificatasi nel famoso triangolo Palermo-Ponza-Napoli. Questo solamente perché , sempre nell’articolo postato, si evidenziava che nella medesima area, precedentemente al caso Ustica, si erano verificate una decina di near collision. Cioè dopo 20 anni, continuiamo ad ignorare un problema serio. Quest’ultimo ,apparentemente OT, solamente perché mi sembrava che tu avessi sollevato qualche obiezione circa la possibilità che potessero esistere delle lamentele di piloti circa delle situazioni di near collision verificatesi in periodi precedenti Ustica. Ora se escludiamo , 1) Missile (assenza di schegge) 2) Bomba (nessuna parte dell’aereo reca danni da esplosione) 3) Cedimento strutturale (l’aereo era stato sottoposto alle manutenzioni periodiche) Rimane solamente un Near Collision E non mi sembra di averci girato tanto attorno… Infine scusa ma perché, quando si parla di Priore, torniamo sempre sulle stesse cose ? Il suddetto giudice si è occupato di Ustica a partire dal luglio del 1990, quindi circa 10 anni dopo l’accaduto. Perché dovrebbe essere il solo responsabile dell’eventuale mancata o errata procedura di sequestro di registrazioni che , seguendo una determinata procedura dettata da un ente mondiale, sarebbe dovuta avvenire esattamente 10 anni prima… Chi lo ha preceduto, che cosa ha fatto ?
  7. Dave97

    Ustica

    Scusa Flaggy, ma se hai qualcosa di personale con il sottoscritto non facciamo meglio a chiarircela via MP anziché continuare sta diatriba su un topic a tema ? Ho specificato la fonte dell’articolo, che è un libro! Saresti così gentile da spiegarmi come faccio a postarti un Link ad un capitolo di un libro ? Grazie!! Gianni, cosa vuoi che ti dica!! A me questa non sembra un’opinione, né una conclusione di una mente malata, e tanto meno un’invenzione. A tal proposito Priore è stato molto chiaro: «Nessun pezzo dell'aereo reca tracce di esplosione [di una bomba]. Nessun pezzo si è frammentato o fratturato per effetto di esplosione. Ci sono curvature nei pezzi del vano toilette che avrebbero dovuto confermare la presenza della bomba e invece dicono tutto e il contrario di tutto. Perchè lì dove dovevano essere concave sono convesse, e dove dovevano essere convesse sono concave. Abbiamo lavorato mesi e mesi per cercare di capire quale potesse essere la posizione dell' eventuale ordigno. Abbiamo ipotizzato la bomba posta nel vano dei tovagliolini di carta, la bomba dietro al water, la bomba nella cappelliera, la bomba sotto il lavabo ... Nessuna posizione corrispondeva agli effetti rilevati. Adesso, rimane da stabilire se il giudice Priore è una persona onesta oppure un contafrottole. Comunque, io non stavo parlando di Missile che mi sembrava aver escluso dalle ipotesi.
  8. Dave97

    Ustica

    Premesso che non ho intenzione di dichiarare guerra a nessuno, ho solo riportato alcuni articoli che secondo me , possono essere interessanti. Dopodichè ciascuno è in grado di trarre le dovute conclusioni
  9. Dave97

    World War II Aces

    L'ultimo duello Lunedì 27 luglio gli aerei della 151a Squadriglia in grado di volare erano cinque, con sette piloti disponibili. Alle 8.30 decollò una formazione composta da Niclot, Tarantola, D'Amico, Vignoli e Spadaro; a loro si unirono il tenente Mario Mazzoleni ed il sergente Faliero Gelli della 378a Squadriglia del 155° Gruppo. Spadaro era al suo primo volo di guerra su Malta: durante il trasferinto dall'Italia era stato costretto a lan¬ciarsi con il paracadute nei pressi di Messi¬na per una grave avaria al motore del suo aereo. Per circa un mese ne aveva riportato le conseguenze, con una seria emorragia agli occhi. Ora era finalmente pronto a riprendere il suo posto. Scopo della missione, l'usuale scorta ai bombardieri medi tedeschi Ju 88 del III/KG77, diretti a Takali. Dopo circa mezz'ora di volo, noie al motore costrinsero Vignoli al rientro. Giunti su Malta, nonostante l'abituale fuoco di sbarramento dei cannoni contraerei, i bombardieri sganciarono con precisione, danneggiando gravemente a terra quattro Spitfire e due Hurricane. Compiuta la missione, la formazione italo-tedesca si apprestò al rientro, ma a nord di Malta, all'incirca all'altezza del canale di Camino, fu attaccata da una coppia di Spitfire. Questi vennero presi in coda dai Macchi e messi in fuga. Pochi minuti dopo, mentre stavano costeggiando l'isola di Gozo, i caccia italiani incontrarono altri Spitfire, stimati questa volta in una dozzina, suddivisi in due pattuglie. Stante la cronica inaffidabilità delle radio, il modo consueto usato dai nostri piloti per segnalarsi l'avvistamento di apparecchi nemici era quello di 'battere le ali', facendo oscillare rapidamente il velivolo lungo il suo asse. Scorti in lontananza i nemici, sia Niclot sia Tarantola batterono le ali, quasi contemporaneamente. Ma, nonostante il grande affiatamento, in questa occasione non s'intesero. In quegli attimi concitati, Niclot aveva notato gli Spitfire che si stavano rapidamente avvicinando di fronte (probabilmente una pattuglia dello Squadron 126) mentre Tarantola intendeva segnalargli quelli che stavano piombando su di loro da sinistra, leggermente più in alto. Questi ultimi, otto caccia dello Squadron 249 decollati da Takali, attaccarono di sorpresa i quattro MC.202 (Nidot,Tarantola, Spadaro e Gelli) colpendo dapprima il velivolo più esterno, quello di Gelli,che era rimasto leggermente scalato. Il suo Macchi '378-11' MM 7842 fu gravemente danneggiato dai proiettili che lo raggiunsero tra motore e radiatore e iniziò a perdere quota. Pochi secondi dopo, il capitano Niclot, impegnato nella manovra di picchiata e successiva cabrata per affrontare la prima pattuglia, fu raggiunto da un'unica precisa raffica proveniente da uno degli Spitfire della pattuglia di sinistra. Dall'aereo si sviluppo subito una scia di fumo bianco, poi Tarantola scorse una fiammata divampare dal muso del velivolo del comandante, che precipitò in vite senza speranza. Il sergente Gelli riuscì invece a riprendere il controllo del suo Macchi e ad atterrare sulla pancia in uno spiazzo sassoso dell'isola di Gozo. Si ferì al volto urtando contro il collimatore, fu soccorso e preso prigioniero. L'abbattitore di Niclot (e di Gelli) era il Fl.Sgt George 'Screwball' Beurling, un pilota canadese ormai celebre tra i difensori di Malta per i suoi successi in combattimento. "The poor devil simply blew to pieces in the air" (Il povero diavolo andò semplicemente in pezzi in aria) fu il suo laconico commento all'abbattimento di Niclot di cui Beuding ignorava ovviamente l'identità. riportato nel libro Malta Spitfire, scritto nel 1943 a quattro mani con il giornalista Leslie Roberts. Abilissimo tiratore, nelle ultime settimane Beurling aveva già fatto cadere sotto i colpi dei suoi cannoncini Hispano Suiza da 20 mm numerosi piloti italiani. Tre Spitfire dello Squadron 249 proseguirono l'attacco buttandosi sui due Macchi superstiti. Si misero dapprima in coda a Spadaro, che fu tolto dai guai da Tarantola; quest' ultimo, inseguito a sua volta fino a poche centinaia di metri dal mare, fu raggiunto da una raffica che lo ferìnon grave¬mente al braccio destro. Con gli aerei sforacchiati, i due riuscirono a disimpegnarsi ed a rientrare a Gela alle 9.55, raggiunti poco più tardi da D'Amico. Il loro valoroso e amato comandante era rimasto per sempre su Malta. In meno di un mese il capitano Niclot aveva compiuto ventuno voli di guerra, affrontato diciotto combattimenti, ottenuto sei vittorie individuali, quattro probabili e due in collaborazione con il maresciallo Tarantola. "Avere tra noi un uomo come Niclot rappresentava un orgoglio per tutti" afferma Giovanni Ambrosio, allora tenente pilota presso la 378a Squadriglia. "Un uomo eccezionale, un pilota indimenticabile ... - dice ancor oggi Ennio Tarantola - Combatteva sempre mettendoci nelle condizioni migliori, con il sole alle spalle e possibilmente con il vantaggio di quota. E poi era un vero signore: si rivolgeva sempre a noi sottufficiali con il 'lei', non per tenere le distanze, ma per rispetto". "Ho potuto partecipare ad un'unica azione con il comandante Niclot, il 27 luglio 1942, il suo ultimo ed il mio primo combattimento - ricorda Beniamino Spadaro - ma rimpiango di non averne potute fare altre. Ricordo sempre i suoi insegnamenti, che scaturivano dalla sua lunga esperienza. Era un vero esempio di valori umani e militari. La sua triste perdita lasciò in tutti noi un grandissimo rimpianto." Il maggiore Callieri avanzò subito la proposta di una decorazione al valore militare, stilando, in una pausa dei combattimenti, la motivazione per la concessione di una Medaglia d'argento. Nel testo, come sempre in questi casi un po' enfatico, si riepilogavano i successi e le prove d'ardimento del capitano Niclot nel corso della breve ma intensissima campagna di Malta. La commissione consultiva di valutazione si riunì il 6 aprile 1943 per assumere la decisione in merito alla concessione, ma il Capo di Stato maggiore in persona, generale Rino Corso Fougier, dichiarò un fragoroso "NON CONCORDA", riportato in tutte maiuscole sul verbale. La proposta fu modificata di sua iniziativa ed alla memoria di Furio Niclot Doglio, promosso maggiore per meriti di guerra con decorrenza 14 luglio 1942, fu conferita la massima onorificenza al valore militare: la Medaglia d'oro. Tratto da Furio Niclot Doglio – Un Pilota Indimenticabile
  10. Dave97

    World War II Aces

    La campagna di Malta A Gela il reparto fu subito coinvolto negli impegni operativi. Da maggio la stretta tedesca su Malta si era gradualmente allentata. Per accrescere il peso strategico in Russia e in Africa, i reparti da caccia e da bombardamento della Luftwaffe avevano ridotto la loro presenza in Sicilia, lasciando agli italiani il compito di tenere le difese di Malta sotto una continua pressione. Negli ultimi tempi, l'obiettivo di conquista dell'isola pareva essere diventato meno importante, in particolare agli occhi del comandante dell'Afrika Korps, Feldmarschall Erwin Rommel, convinto di poter battere rapidamente gli inglesi sul continente afriano, indipendentemente dalla neutralizzazione della piazzaforte maltese. I pochi bombardieri italiani destinati ai compiti offensivi - più una fastidiosa punzecchiatura delle difese che un vero attacco decisivo - si trovarono davanti una difesa aerea ancora più agguerrita di quella cui erano abituati. Le batterie contraeree erano sempre state precise e attive sull'isola, ma bastava volare a quote sufficientemente elevate - a scapito peraltro della precisione di tiro - per rimanere fuori della loro portata. La vera temibile novità era rappresentata dalla presenza degli Spitfire Vc, che in numero crescente le portaerei inglesi erano riuscite a far giungere a Malta. Inoltre agli incursori italo-tedeschi era precluso il fattore sorpresa: come sempre, l' efficiente catena d'avvistamento radar consentiva alla guida-caccia maltese di far decollare per tempo le pattuglie della RAF, che all'arrivo degli attaccanti si trovavano già in quota. Per le operazioni diurne era diventato perciò indispensabile dotare di una forte scorta le scarne formazioni di Cant.Z.1O07bis o di SM.84 che si avventuravano sull'isola. Il combattimento era assicurato ad ogni missione: molto spesso, per difendere i nostri bombardieri, i caccia dovevano affrontare gli avversari a quote elevate, dove lo Spitfire poteva manifestare una certa superiorità. Il 29 giugno l'intera 151a Squadriglia partecipò, agli ordini di Niclot, alla scorta di cinque S.79 che trasportavano in Africa Mussolini e il suo seguito. A partire da mercoledi 10 luglio il diario storieco della squadriglia registra un crescendo di missioni e combattimenti. Per ogni sortita, i bombardieri da scortare, appartenenti al 7° e al 9° Stormo, erano poco più di una rappresentanza simbolica (da due fino ad un massimo di cinque velivoli) mentre la caccia del gruppo partecipava quasi sempre al completo. Già il 10 luglio avvenne il primo scontro. Il pomeriggio tutti i dieci MC.202 efficienti della 151a Squadriglia partirono, al comando di Niclot, per una missione su Malta. L’ordine era quello di effettuare la scorta indiretta a tre SM.84 della 15a Squadriglia (4° Gruppo, 7° Stormo) diretti a bombardare l'aeroporto di Takali (Ta'Qali, secondo la grafia maltese), noto agli italiani come Ta Venezia. Uno dei gregari, il sergente maggiore Porcarelli, rientrò quasi subito per noie al motore. I nove caccia rimasti affrontarono sull'isola di Gozo una formazione di Spitfire che li attaccarono sul lato sinistro. Si sviluppò un accanito combattimento durante il quale il maresciallo Tarantola centrò un aereo inglese il cui pilota (con ogni probabilità il Fl.Sgt R.Ballantyne dello Squadron 603, a bordo dello Spitfire BR367) fù costretto a lanciarsi con il paracadute e fù poi ripescato da una delle efficienti lance di soccorso maltesi. Niclot mitragliò un caccia che fu considerato probabilmente abbattuto. Una volta atterrato al termine dell'azione, Niclot si ritrovò con i gregari. Ricostruirono insieme lo svolgimento dello scontro, mentre il comandante mimava, con i movimenti delle mani che gli erano familiari, le manovre effettuate. Queste riunioni divennero una specie di abitudine, per scaricare la tensione e tenere alto lo 'spirito di corpo' della squadriglia. Il 2 luglio la missione venne replicata con poche variazioni: questa volta i tre SM.84 appartenevano alla 14a Squadriglia del 4° Gruppo e la destinazione era l' aeroporto di Luqa (Mikabba nei rapporti italiani) il tenente Malosso ed il sergente Rosso non riuscirono a portare a termine la missione per noie varie. Su Comino la nostra formazione incontrò, quasi frontalmente, una pattuglia di Spitfire, stimata di sette velivoli, a quota leggermente più bassa. Niclot virò decisamente a sinistra ed impegnò gli ultimi aerei della formazione nemica, mentre il combattimento si frazionò in singoli scontri. Assistito dal sottotenente Menaldi, Niclot colpi con ripetute raffiche uno Spitfire che gli venne accreditato come abbattuto. Fu il suo primo abbattimento della campagna, la seconda vittoria dopo quella ottenuta un anno prima in Africa a bordo di un G.50bis. La vittima fu probabilmente lo Spitfire BR377 del Fl.Sgt C.De Nancrede, dello Squadron 249, costretto ad un rovinoso atterraggio d' emergenza, dal quale il pilota britannico uscì senza troppi danni. Altri due aerei furono efficacemente mitragliati da Niclot, che rientrò regolarmente dopo un' ora e venti minuti di volo. Dalla missione non ritornò invece il sergente maggiore Porcarelli, prima dolorosa perdita della squadriglia su Malta, abbattuto sul suo Macchi MM 9030 dal FIg Off. J.R.Stoop dello Squadron 185, che lo scambiò - come avvenne in numerose altre occasioni - per un Messerschmitt Bf 109. Il 3 luglio, la missione di scorta a tre Cant.Z.1007bis del 33° Gruppo (9° Stormo) fu condotta direttamente dal comandante del 20° Gruppo, maggiore Gino Callieri; Niclot vi partecipò con otto gregari. Di questi, sia Tarantola sia il tenente D'Amico furono costretti ad un rientro anticipato per problemi al motore. Durante il bombardamento del campo di Takali la scorta impegnò gli Spitfire che si erano levati a difesa: il tenente Gallo ed il sergente Berna ne mitragliarono un paio che desistettero dall' attacco ai bombardieri. Il 4 luglio furono effettuate due missioni, la prima il mattino e la seconda il tardo pomeriggio. La scorta mattutina fu guidata dallo stesso comandante del 51° Stormo, tenente colonnello Remondino e vi presero parte, per la 151a Squadriglia, D'Amico, Tarantola, Berna e Vignoli. Su Luqa, la caccia nemica eluse la scorta e riuscì ad abbattere due dei tre SM.84 del 4° Gruppo, quelli del capo formazione tenente Raffaele Notari e del gregario sergente maggiore Romolo Cristiani, ma Tarantola riuscì ad abbattere uno Spitfire. Secondo la relazione italiana, non confermata dagli inglesi, un secondo Spitfire precipitò dopo avere investito un bombardiere italiano in fiamme. Alle 18 Niclot decollò con una formazione di sette MC.202 per scortare cinque Cant.Z.1007bis diretti a Takali. Questa volta l'attacco degli Spitfire fu tardivo: lo sgancio avvenne regolarmente e solo dopo aver lasciato la costa dell'isola i piloti italiani furono impegnati nella difesa dei bombardieri. Menaldi, avvistato uno Spitfire che si accingeva all'attacco, con un rovesciamento lo affrontò decisamente, mitragliandolo. Il 5 luglio, alla solita missione su Malta presero parte, oltre a Niclot, D'Amico, Malosso, Gallo, Menaldi e Vignoli anche Mancini e Di Pauli. L'appuntamento in quota con i bombardieri da scortare andò deserto ed i piloti, insieme alle altre squadriglie del gruppo, si dedicarono ad una 'caccia libera' sull'isola, rientrando regolarmente alle 18. Il 6 luglio ai comandi degli otto MC.202 efficienti della squadriglia si posero Niclot, D'Amico, Gallo, Menaldi, Tarantola, Manc¬ni, Berna e Longo. Su Luqa erano già in attesa cinque Spitfire decollati su allarme ma i nostri caccia, in scorta indiretta a tre Cant.Z.1007bis, anticiparono l'attacco, riuscendo ad abbatterne due, uno ad opera di Niclot ed un secondo per mano di Gallo. Longo, attardatosi per disimpegnarsi dall'attacco di uno Spitfire, atterrò a Gela qualche minuto dopo i compagni, alle 9.10. Il pomeriggio la missione di scorta fu eseguita da Niclot, Malosso, Vignoli e Di Pauli: i tre gregari non avevano preso parte all' azione del mattino, mentre il comandante era al secondo volo di guerra della giornata. Su Luqa, Malosso abbattè uno Spitfire, mentre Niclot ne mitragliò un altro, che fu considerato probabilmente abbattuto. Gli inglesi non confermarono le perdite. Il 7 luglio i piloti degli otto Macchi furono gli stessi della mattina precedente, con Vignoli al posta di Longo. Diversi invece gli aerei da scortare, che furono, per la prima volta, i bombardieri medi tedeschi Ju 88A-4 del Kampfgeschwader 77. Un problema all'inalatore dell'ossigeno costrinse Menaldi ad un rientro prematuro, mentre a Berna capitò un curioso incidente che gli impedì di proseguire la missione: il suo giubbetto salvagente si gonfiò in volo e la respirazione gli divenne difficile. Su Luqa, la formazione italiana si scontrò con sette Spitfire, abbattendone uno per opera congiunta di Niclot e Tarantola. L'aereo era, con ogni probabilità, quello del Fl.Sgt D.Ferraby dello Squadron 249 (AB500). Un secondo Spitfire venne dichiarato probabilmente abbattuto collettivamente dai piloti partecipanti allo scontro. L'aereo di D'Amico fu seriamente danneggiato da raffiche di cannoncino, ma il pilota rientrò regolarmente. L'8 luglio i sette velivoli efficienti partirono all' alba agli ordini di Niclot per scortare sette Ju 88 diretti a Luqa. Questa volta i bombardieri non vennero attaccati dalla caccia nemica e la missione si chiuse, diversamente dal solito, senza combattimenti. Il 9 luglio i sette Ju 88 furono scortati su Luqa da otto MC.202. Prima Niclot e poi Tarantola furono colti da malore, mentre si trovavano a quote superiori agli 8000 metri, per il cattivo funzionamento degli inalatori d'ossigeno. Precipitarono in candela per molte migliaia di metri ma si ripresero entrambi prima di finire in mare, riuscendo a rimettere i loro Macchi in assetto di volo ed a rientrare alla base. La formazione avvistò una ventina di Spitfire che non impegnò, trovandosi in condizioni sfavorevoli di quota. Venerdi 10 luglio la missione mattutina su Malta venne pianificata e guidata direttamente dal comandante del 20° Gruppo, maggiore Callieri. Dieci Macchi della 352a Squadriglia erano destinati alla scorta ravvicinata di quattordici Ju 88, mentre Niclot aveva il compito di condurre a quota leggermente superiore la 151a, con D'Amico, Menaldi, Vignoli, Tarantola, Mancini e Berna. All'appuntamento con i bombardieri, sulla verticale di Comiso a 6000 metri, i nostri giunsero all'ora prestabilita, le 5.55, ma non trovarono i tedeschi che, nonostante la proverbiale disciplina, avevano iniziato la traversata verso Malta con qualche minuto di anticipo. I Macchi li raggiunsero lungo la rotta all'incirca a metà canale e si disposera a difesa secondo lo schema predisposto. Giunti sull' obiettivo, mentre iniziavano la picchiata per sganciare il loro carico, i bombardieri furono attaccati da una decina di Spitfire che vennero prontamente intercettati dalla scorta. Difesi dai nostri caccia, gli Ju 88 riuscirono a portare a termine la loro missione, bombardando la zona di decentramento a nord del campo di Takali: solo uno dei bimotori tedeschi fu abbattuto dal fitto fuoco delle batterie contraeree di piccolo calibro. Il combattimento tra Macchi e Spitfire fu condotto a bassa quota, fin quasi al pelo dell'acqua; al termine, due caccia inglesi furono considerati abbattuti, uno da Menaldi ed uno in collaborazione tra Niclot e Tarantola. Sulla rotta di rientro, a circa 15 km a sud-ovest dell'isola di Gozo, quattro Spitfire attaccarono di sorpresa ma furono rapidamente impegnati dai caccia di Niclot. Proprio il comandante ne mitragliò uno, visto precipitare in mare. Tarantola rientrò alla base con i segni evidenti di un colpo da 20 mm in fusoliera, al serbatoio posteriore del carburante. Non tornò invece da questa missione il giovane sottotenente Dante Dose, della 352a Squadriglia, abbattuto a bordo del suo Macchi MM 8362 dal Fl. Off. D. Smith dello Squadron 126, nel corso del secondo combattimento. Nel rapporto sull'azione, Callieri segnalò che gli impianti radio di bordo avevano funzionato piuttosto bene per le comunicazioni a terra, ma meno bene per quelle tra piloti in volo. Particolare quest'ultimo molto importante, perchè proprio la difficoltà nel comunicare in fonia tra piloti avrebbe avuto conseguenze tragiche in seguito. Il pomeriggio dell'11 luglio Niclot condusse su Malta una pattuglia di sei Macchi. Lo sgancio delle bombe fu eseguito dai Ju88 come al solito al termine di un tuffo; in questa occasione la precisa reazione dell'artiglieria contraerea danneggio seriamente l'aereo di Di Pauli. Mentre la formazione rifaceva quota si fecero vivi gli Spitfire che attaccarono in coda i bombardieri. Niclot con una rapida virata a destra riuscì a portarsi in posizione di tiro e ne centro uno che fu costretto ad ammarare, affondando subito dopo. In effetti, lo Spitfire BR111 del Wt Off. c.B. Ramsay dello Squadron 249 fu dichiarato perduto in mare dagli inglesi. In pochi giorni al capitano Niclot erano state accreditate su Malta quattro vittorie aeree che si aggiungevano a quella dell'anno precedente, facendone, secondo la tradizione, un asso della caccia. Il 12 luglio si ebbe la quasi fedele ripetizione del giorno precedente: scorta agli Ju88 su Takali e combattimento. Questa volta Niclot e i suoi chiusero in parità lo scontro:uno Spitfire fu danneggiato da D'Amico ma il Macchi di Di Pauli incasso un colpo di cannoncino che gli mise fuori uso Ie mitragliatrici. Lunedì 13 luglio fu una giornata intensa e drammatica per la 151a Squadriglia. Dei sette aerei efficienti, solo cinque riuscirono ad unirsi alla scorta dei diciotto Ju 88: con Niclot c'erano D'Amico, Longo, Menaldi e Vignoli. Berna fu costretto a rimanere a terra per un'improvvisa avaria e Di Pauli rientrò dopo quaranta minuti di volo per problemi al motore. Sul cielo della Valletta una decina di Spitfire attaccò la scorta diretta dei bombardieri, formata da Bf 109F del II/JG53 'Pik-as' (Asso di picche) e del I/JG77 'Herz-as' (Asso di cuori), decollati da Comiso. I due Gruppen, comandati rispettivamente dagli Hpt. Gerhard Michalski e Heinz Bar, erano gli unici reparti tedeschi da caccia rimasti in Sicilia. I Macchi di Niclot intervennero prontamente, disimpegnando i Messerschmitt ma venendo coinvolti in un furioso combattimento condotto in inferiorità numerica. Niclot abbatte in successione due Spitfire, il secondo dei quali fu visto precipitare in mare, D'Amico ne centrò un terzo, il cui pilota si lanciò con il paracadute, mentre a Menaldi fu attribuito un quarto abbattimento. Ma lo scontro costa caro ai piloti italiani: Menaldi, inseguito da due Spitfire sul suo Macchi MM 7854, fu mortalmente mitragliato e Longo, che aveva comunicato per radio che stava per lanciarsi dal suo velivolo MM 9023 colpito al motore, non fu più ritrovato. Gli inglesi ammisero solo la perdita dello Spitfire BR324 finito in mare (il pilota FLSgt Vernon Willie fu recuperato da una lancia di soccorso) mentre tre altri furono gravemente danneggiati, incluso quello dello Sqn Ldr 'Laddie' Lucas, comandante dello Squadron 249. Ai piloti inglesi degli Squadron 126 e 249 furono attribuiti quattro aerei abbattuti ed uno danneggiato. Nel corso del combattimento Niclot aveva esaurito le munizioni ma non il coraggio: mentre sulla rotta di rientro, circa a metà canale, avvistò più in basso uno Ju 88 danneggiato che stava subendo l'attacco di due Spitfire. Si buttò senza esitazione in picchiata riuscendo a spaventare gli aerei inglesi che rinunciarono all' attacco. Il pilota del bombardiere tedesco atterrò a Gela per ringraziare personalmente il generoso pilota italiano che l'aveva tolto dai guai Tratto da Furio Niclot Doglio – Un Pilota Indimenticabile
  11. Supplemento speciale di Aerofan Racconta l’avvincente storia del Maggiore Furio Niclot Doglio. Primatista negli anni trenta e asso della caccia Italiana. Caduto nel cielo di Malta il 27 luglio 1942.
  12. Dave97

    Ustica

    Sinceramente non lo so! In caso di Near Collision , la prassi richiede la compilazione del modello AIRMISS. Ma in genere quasi tutti i piloti optano, per una lamentela verbale. Questo sito offre uno spunto interessante: AirMiss
  13. Dave97

    Ustica

    Sono le ore 22,25 di venerdì 27 giugno 1980. Il Dc-9 dell'Itavia è scomparso da tutti i radar che lo seguivano da quasi un ora e mezza. Il tenente Smelzo, dal centro radar di Martina Franca (Taranto), chiama il maresciallo Berardi, al Centro operativo dello Stato Maggiore dell' Aeronautica, a Roma. Questi alcuni passaggi della telefonata: Smelzo: «Tenente Smelzo da Martina Soccorso. Con chi parlo?» Berardi: «MaresciaIlo Berardi.» Smelzo: «Salve maresciaIlo. Ci sta l'ufficiale [di servizio]?» Berardi: «Eh, guardi, dica a me, per cortesia. Non cerchiamo sempre l'ufficiale!» Smelzo: «Cioè, no, perchè la cosa è abbastanza seria.» Berardi: «E perchè, io mica mi metto a ridere quando mi dite.» Smelzo: «Benissimo, è caduto un Dc-9. Pronto?» Berardi: «Eh, a lei chi gliel'ha detto, che e caduto?» Smelzo: «Guardi, questo qui doveva atterrare gia alle 9,13 (PM) su Palermo.» Berardi: «Si, queste notizie io ce le ho tutte quante. Lei mi ha detto che è caduto: chi gliel'ha detto?» Smelzo: «Io penso che sia caduto.» Berardi: «Ah!, ecco. Pensa ... » Smelzo: «No, ma le mie supposizioni sono ... sono abbastanza serie, non sono ... » Berardi: «Pure le nostre, purtroppo. Uno cerca sempre di sperare che non sia così. Se lei dice che è caduto, io devo dire che è caduto.» . Smelzo: «Guardi, questo qui l'ultimo contatto l'ha dato alle 20,56 ... » Berardi: «Si.» Smelzo: «Poi non si è visto più.» Berardi: «Si, si.» Smelzo: «Quindi, se non è caduto, io non so cosa abbia fatto questo.» …………… Smelzo: «Allora, io vi ho informato soltanto di questo, adesso faccio altre telefonate. Arrivederci.» Berardi: «Eh, pronto?» Smelzo: «Si?» Berardi: «Io volevo sapere: lei mi ha detto "E’ caduto". E’ caduto o no? Se è caduto mi deve dire chi le ha dato l'informazione.» Smelzo: «Guardi, queste sono supposizioni che io sto facendo, miliardi di ... » Berardi: «E vabbe, la supposizione teniamocela da parte.» Smelzo: «Va bene, senta, allora io adesso agisco come pe ... come meglio penso io, e mi accollo tutte le responsabilità. Perchè non è che posso andare sul posto a vedere se ci sono i cadaveri e poi dire "Effettivamente è caduto", va bene? Pronto?» Berardi: «Si, si, pronto.» Smelzo: «Quindi io agisco, adesso, e mi assumo tutte le responsabilità del mio comportamento. Perchè non posso, a questo punto, dopo un' ora che ... non da più notizie, un' ora e mezza, dire che non è... dirvi il fatto.» Berardi: «Si, lo sappiamo anche noi questo qui.» Smelzo: «Ecco.» Berardi: «Però, voglio dire, chi ve lo ha detto che ... » Smelzo: «Marescia' ... Maresciallo, io adesso devo fare altre telefonate. Vi ho informato del fatto, come dice la circolare.» Berardi. «E va bene.» Smelzo: «Arrivederci.» E’ un dialogo dell' assurdo. La scena di una brutta commedia sul potere e l' autorità costituita. Vale la pena di rileggerla con attenzione. Un ufficiale di una postazione radar militare chiama un suo collega nel cuore del sistema della difesa aerea italiana, il Centro operativo dello Stato Maggiore dell' Aeronautica: gli dice che un Dc-9 - cioè un aereo civile carico di passeggeri - non da più segnali da un' ora e mezza, e quello, dal centro nevralgico della difesa aerea del nostro Paese, si mette a questionare di gradi e gerarchie. Peggio ancora: ribalta la domanda. Quello chiede: «Voi ne sapete niente?», e da Roma si sente rispondere, quasi con fare intimidatorio: «Tu che ne sai che è caduto? Chi te l'ha detto?». Neanche l'impennata d'orgoglio, l'inusuale, inaspettato «Mi assumo io la responsabilità» incrina la pervicace resistenza dell'interlocutore allo Stato Maggiore dell'Aeronautica. Come se di aerei civili ne cadesse giù dal cielo uno all' ora, e ci fosse il rischio che si tratti del solito burlone che, a tarda sera, si mette a fare scherzi annunciando un' altra catastrofe. C' è, naturalmente, un' altra eventualità. E cioè che questa reazione non sia affatto casuale, nè dettata dall' ottusità del singolo; insomma che a Roma, all' Aeronautica, sia stata già eretta una barriera di protezione intorno all'incidente del Dc-9. Non necessariamente per depistare le indagini o mentire; più banalmente, anche soltanto per prendere tempo, in attesa di capire meglio cosa è accaduto. Con il rischio che, da un fiocco di neve, si scateni una valanga. Che una prima, piccola bugia - magari perfino innocente, magari dettata solo dalla fretta o dall'indecisione su come muoversi in assenza di ordini superiori - abbia potuto innescare un meccanismo perverso di menzogne sempre più grosse. C'e un altro passo di quella telefonata su cui occorre soffermarsi. Dal centro radar di Martina Franca, il tenente Smelzo fa riferimento a quello che gli ha appena detto l'ufficiale di servizio all' Acc (Area Control Center: centro controllo regionale) dell'aeroporto di Ciampino, addetto al monitoraggio del traffico civile: Smelzo: «L'ufficiale dell' Ace di Roma mi ha detto che in zona c' era del traffico militare americano. Ora io vorrei sapere se c'e qualche portaerei, perchè in tal caso ... » Berardi: «Se c' e la portaerei deve saperlo Martina Franca.» Smelzo: «Cioè, perchè se è così, noi mandiamo, chiediamo l'intervento agli americani.» Berardi: «Ho capito. Dicevo, se c'e la portaerei in zona ... » Smelzo: «Eh.» Berardi: « ... deve saperlo Martina Franca, perché c'ha i radar nella zona.» Smelzo: «Martina Franca non lo sa, se c'e la portaerei in zona.» Berardi: «E figuriamoci se lo sa lo Stato Maggiore!» Smelzo: «Eh?» Berardi: «Più di loro non lo sa nessuno.» [ ... J Smelzo: «Voi non lo sapete?» Berardi: «E come facciamo a sapere se c'e la portaerei ?» Smelzo: «Vabbe, che ne so, voi siete lo Stato Maggiore, Centro operativo » Berardi: «Eh ?» Smelzo: «Vabbe: non lo sapete?» Berardi: «No.» Se possibile, questo passaggio è ancora più stupefacente del primo. Mentre prima, quando l'ufficiale di Martina Franca gli ha comunicato della probabilita che un Dc-9 sia precipitato, il maresciallo del Centro operativo di Roma ha cominciato a far problemi, a chiedere da dove provenisse la notizia e se ne fosse certo, ora, quando il collega gli chiede se sappia niente della possibile presenza di una portaerei americana, la risposta dello Stato Maggiore è assolutamente spiazzante. Il Centro operativo dell' Aeronautica italiana non sa se c'e o meno una portaerei americana in zona; peggio ancora, la sola eventualità che possa saperlo fa sorridere («E figuriamoci se lo sa lo Stato Maggiore!»). Altro che «sovranità limitata» nei nostri cieli e nei nostri mari: qui siamo nel borbottio di corridoio tra subalterni, Fantozzi e Filini che osano parlar male della megaditta solo di fronte al distributore del caffè. Invece niente: non c' e modo di sapere se una nave da guerra grande come due isolati girovaghi a un centinaio di miglia da Napoli, che a sua volta è a meno di 200 chilometri dalla capitale d'Italia. Quello che è davvero significativo e altro. Mentre infatti nella telefonata al Centro operativo a Roma il Centro radar di Martina Franca s'informa della presenza della portaerei per mandare eventualmente dei soccorsi nella zona del disastro «chiediamo l'intervento agli americani», anche altri, nel frenetico giro di telefonate che segue alla sparizione del Dc-9 Itavia dai radar, citano gli Stati Uniti. Ma per un motivo ben differente. Ore 22,24, estratto dalla telefonata tra il maresciallo Bruschina, da Ciampino, e il maresciallo Marzulli, anch' egli a Martina Franca: Bruschina: «Eh, so' Bruschina.» Marzulli: «Ciao, Bruschina.» Bruschina: «Eh!» Marzulli: «Dimmi, bello!» Bruschina: «Sempre, sempre cose tristi che ci accomunano.» Marzulli: «Eh.» Bruschina: «Senti un po' ... » Marzulli: «Dimmi.» Bruschina: «Qui è venuto il ... un ufficiale del .. » Marzulli: « ... Itavia.» Bruschina: «Dell' Ace, del Controllo di Ciampino.» Marzulli: «Ah, si.» Bruschina: «E ha detto che, se volete, lui può metterci in contatto tramite l' ambasciata americana.» Marzulli: «Si.» Bruschina: «Eh, se ….Siccome c'era traffico americano in zona, moho intenso » Marzulli: «Si.» Bruschina: «In quel periodo ... eh, può attingere notizie attraverso quella fonte, quella via.» Marzulli: «E come, nella zona dove stava il Dc-9?» Bruschina: «Si.» Marzulli: «Ho capito. Un attimo che adesso ... Ma, qualche portaerei?» Bruschina: «Eh, questo, questo non è che me l'ha detto.» Marzulli: «Eh, be'.» Bruschina: «Però si suppone, no?» Marzulli: «Ah, si, ho capito. Vabbe, adesso parliamo con Smelzo, vediamo cosa dice lui.» Mentre Smelzo chiama il Centro operativo dello Stato Maggiore dell' Aeronautica, si sentono, sullo sfondo, delle voci: «L'Acc ... comunica [un] ufficiale Acc che ... in zona incidente si. .. traffico aereo americano». Ciampino, insomma, ha rilevato la presenza di traffico aereo americano nella zona. E’ cosa nota: gli aerei a stelle e strisce fanno un po' come vogliono, volano senza farsi identificare , infischiandosene del fatto che ci sono aerovie riservate ai voli militari e aerovie riservate a quelli civili; e del resto molti piloti civili (dell' Alitalia, dell' Ati, ma anche della stessa Itavia) si sono lamentati in precedenza che c'e mancato poco che si arrivasse a una collisione. E non ci sono solo gli americani: ci sono anche i francesi, gli inglesi, e perfino i libici, anche se non bisogna raccontarlo a Washington. A noi il petrolio serve, e poi Gheddafi s'è comprato un bel pezzettino della Fiat: che male c'e se chiede di passare per l'Italia quando va a trovare i suoi amici nel blocco dell'Est?. Quello che Ciampino ha rilevato è traffico aereo americano militare, ovviamente, che tuttavia non viene segnalato da nessun' altra postazione radar da Roma in giù. Non segnala nulla il centro radar di Licola (Napoli), ne quello di Marsala. Ma Ciampino insiste, e chiama l' ambasciata americana aRoma. La telefonata ha inizio alle 22,41, ed è confusa quanto convulsa. Mentre il centralinista dell' ambasciata prende tempo e cerca chi contattare («Un minuto solo. Devo chiamare qualcuno a casa»), gli addetti del sito radar di Ciampino chiacchierano tra loro: in particolare verranno identificate (ma solo molti anni dopo) le voci del maggiore Chiarotti e del colonnello Guidi. Questi alcuni estratti della conversazione: Chiarotti: «L'unica cosa era riuscire a beccare li qualche [incomprensibile] dell'ambasdata. Era, era da riuscì a parlare con qualche americano [delta base Usa] di Sigonella.» Guidi: «Telefoni a Sigonella e gli dici: "Ma voi, quando li è cascato un Phantom, chi caz*o chiamate degli americani? Ecco, è cascato un Phantom, dimme chi devo chiama'.» Chiarotti: «Dai, su, su, provate un po' a questa maniera. Vediamo se lo tirano fuori. A Napoli possibile che non lo sanno?» Guidi: «Appunto, no? Quando si arriva a Sigonella ti arrivano le camionette della Mp americana che ti mettono pure il dito nel c..o quando scendi dall' aereo ... che quando so' andato col Dc-9 sembrava che fossimo venuti da Cuba!» Chiarotti: «Ma io infatti sto telefonando a questo [dell'ambasciata Usa] solamente per sape' a chi devo telefona', mica altro. Ma non mi risponde ... » Guidi: «Ma lascialo sta', lascialo sta'. Riattacchi e never mind, perché un numero ... » Chiarotti: «Vabbe, mo' per educazione bisogna che aspetto.» Per «educazione» o perchè davvero speranzosi di avere qualche informazione preziosa, i radaristi di Ciampino non mollano. Ma non cavano un ragno dal buco. Solo quando, alla fine, arrivano a West Star, che è un nome in codice per indicare un sito della Nato di cui si sa solo che è dalle patti di Verona, ottengono qualche risposta chiara e precisa: la portaerei Saratoga non era in mare, non c' era nessun aereo militare americano in volo, gli Stati Uniti non hanno visto niente. Queste registrazioni rivelano in maniera incontrovertibile che qualcuno, all'interno dell'Aeronautica Militare Italiana, ha avuto un dubbio sulla possibile presenza di altri aerei nel cielo di Ustica. Occorre essere precisi: quel dubbio non significa assolutamente che altri aerei fossero in effetti presenti nelle vicinanze del Dc-9 al momento della sua esplosione. Del resto, se c'e una certezza su Ustica, e che nessun aereo militare italiano è stato coinvolto nel disastro. E’ possibile ciononostante affermare, con uguale preciione, che anche solo quel singolo dubbio avrebbe potuto e dovuto suggerire maggiore prudenza da parte dell' Aeronautica nell' escludere in maniera così categorica la presenza di altri aerei intorno al Dc-9 dell'Itavia. Scrive il Comitato Studi per Ustica nel suo Libro bianco: « Il Comandante del 30 Roc [Comando Operativo Regione] responsabile della Difesa Aerea del suo settore (Martina Franca) indagò sull' eventuale presenza di velivoli militari in zona e la escluse, sia in base alle immediate conferme ottenute dai controllori dei dipendenti centri radar della Difesa Aerea, sia a seguito dei riscontri delle registrazioni radar. Contemporaneamente l' Aeronautica Militare richiese al Comando Nato di Bagnoli di svolgere le stesse indagini per velivoli alleati dipendenti dalla Nato e dalla VI Flotta, ottenendo, dopo pochi giorni, assicurazione formale negativa. L' Aeronautica Militare, ricevute le informazioni, le passò al Ministro della Difesa [Lelio Lagaria], che potè così relazionare al Parlamento il 10 luglio 1980 che non vi erano velivoli italiani o alleati in volo nell'area dell'incidente. L'Aeronautica Militare ritenne veritiere le informazioni ottenute, non solo perchè corrispondenti allo scenario radar, che ad essa risultava, ma anche perchè le Aeronautiche alleate avevano in passato sempre ammesso eventuali errori commessi, anche contro nemici, ben sapendo come sia impossibile nel tempo occultare la verita» Questa ricostruzione, oltre, come detto, a non provenire da una voce ufficiale dell' Aeronautica, è comunque parziale e non del tutto corretta. Partiamo dalla fine. Non è mai successo, dal 1945 a oggi, che un velivolo militare di un Paese alleato abbia abbattuto un aereo di linea italiano uccidendo 81 civili: sicchè non si capisce che senso abbia riferirsi all' ammissione di errori commessi in precedenza. L'unico caso analogo che torna alla mente è la tragedia del Cermis, avvenuta il 3 febbraio 1998 (dunque a quasi vent'anni di distanza da Ustica) quando la coda di un caccia americano tranciò il cavo di una funivia, provocando la caduta della cabina e la morte di 20 sciatori. Ma in quel caso il dramma si è svolto in pieno giorno, in una valle piena di turisti e abitanti della zona, non in mare aperto , di notte, e in assenza di testimoni. E’, d' altra parte, abbastanza ingenuo voler far credere che - in una situazione internazionale complessa e delicata come quella del giugno 1980 - un qualunque Paese alleato eventualmente coinvolto nell' abbattimento del Dc-9 Itavia avrebbe ammesso la propria responsabilità prima all' Aeronautica Militare e poi alle autorità politiche italiane. In secondo luogo, non è vero che i controllori di volo abbiano escluso la presenza di altri aerei o, se lo hanno fatto, hanno mentito. E infatti il 30 maggio 1988, di fronte al giudice, il maresciallo dell' Aeronautica Luciano Carico (che la sera del 27 giugno 1980 era in servizio al centro radar di Marsala) ammette di aver visto, pochi minuti prima dell'esplosione, due tracce sul radar, una del Dc-9 Itavia e una di altro aereo; tant' e che, rivolgendosi a un collega, Carico fa anche una battuta scherzosa: «Sta' a vedere che ora mette la freccia e sorpassa». Da principio, Carico suppone che la seconda traccia si riferisca a un Boeing dell' Air Malta: ma l' aereo dell' Air Malta segue a circa quindici minuti di distanza il Dc-9 Itavia, dunque è escluso che la traccia si riferisca a esso. Come se non bastasse, ulteriori registrazioni telefoniche (e successive - seppur tardive - deposizioni in tribunale) confermeranno che, nella mattina del 28 giugno, alcuni ufficiali dell' Aeronautica Militare e dello Stato Maggiore nutrono dubbi sulla sincerità delle risposte negative fornite dagli americani. Tratto da Quella Maledetta Estate : Giovanni Minoli
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    Una ipotesi, invece, la forniscono alcuni ufficiali dell'Aeronautica, riunitisi in un Comitato Studi per Ustica e coordinati dai generali Catullo Nardi e Cesare Fazzino, che, nel loro Libro bianco scrivono: «Le attività dell' amministratore delegato e comproprietario dell'Itavia, Aldo Davanzali, erano compromesse da una situazione finanziaria disastrata e le sue attività immobiliari in Calabria avrebbero potuto suscitare reazioni da parte di chi nutriva interessi locali. Colpire l'Itavia con un attentato poteva avere conseguenze definitive per aggravare le sue difficoltà o per far pervenire segnali e avvertimenti. La manutenzione dei velivoli Itavia non era inoltre delle migliori, anche in relazione alla difficile situazione finanziaria della Società. In particolare il Dc-9 in questione era un velivolo che gli equipaggi avevano segnalato per le frequenti significative avarie. Ricordiamo infine che l'Itavia aveva subito alcuni sabotaggi in un contesto di pressioni ambientali, di scioperi e di incendi che potrebbero essere anche stati degli avvertimenti per impegni non mantenuti. E allora perchè non alzare il tiro degli avvertimenti fino a distruggere un velivolo, magari quello meno efficiente, quando si trovava al parcheggio decentrato dell' aeroporto di Palermo alle 21,00 della sera del 27 giugno? Nonostante la quasi certa perdita del velivolo si sarebbe in ogni caso ottenuto un rimborso assicurativo che avrebbe potuto quantomeno permettere un parziale soddisfacimento di impegni non mantenuti». Il Libro bianco propone cosi due ipotesi in una. L'Itavia, si dice in sostanza, era in condizioni economiche difficili, e il suo amministratore delegato, Aldo Davanzali, poteva aver dato fastidio a qualcuno con le sue attività immobiliari in Calabria. L' esplosione del Dc-9 potrebbe perciò configurarsi come un avvertimento «definitivo», oppure come un tentativo dello stesso Davanzali di incassare i soldi dell' assicurazione e pagare qualche debito. I curatori del Comitato Studi per Ustica si affrettano tuttavia a sottolineare: «Certo tale scenario è puramente di fantasia, ma è attendibile quantomeno al pari di quelli definiti dai vari inventori di scenari sul missile che hanno sempre giurato sulla validità dei loro assunti. Il Comitato Studi per Ustica, è bene ricordarlo, non rappresenta in alcun modo la voce ufficiale dell' Aeronautica. Ciononostante, esso si prodiga con pubblicazioni e conferenze per allontanare dall' Arma Azzurra sospetti e accuse relative alla strage di Ustica. E’ inoltre opportuno ricordare che tutte le perizie hanno categoricamente escluso che il Dc-9 possa essere esploso per un difetto strutturale, o che la manutenzione non fosse in linea con gli standard di legge. L' aereo, insomma, non è esploso da solo: qualcuno lo ha fatto esplodere, o lo ha tirato giù. L' aspetto curioso, poi, è che le accuse mosse all' Aeronautica nell'affaire Ustica non riguardano affatto l'origine dell'esplosione del Dc-9. Riguardano invece il comportamento dei vertici dell' Arma dopo la tragedia, e sono assolutamente indipendenti rispetto alle sue cause: i presunti depistaggi, le presunte omissioni potrebbero sussistere sia che l'aereo sia stato colpito da un missile, sia che a disintegrarlo sia stata una bomba a bordo, sia nel caso di una «quasi collisione». Il 10 gennaio 2007, la Corte di Cassazione ha definitivamente assolto i generali Lamberto Bartolucci e Franco Ferri, nel 1980 rispettivamente capo e sottocapo di Stato Maggiore dell' Aeronautica, accusati di alto tradimento, ovvero (per semplificare) di non aver fornito alle autorità tutte le notizie utili all'accertamento della verità su Ustica. Ma l' assoluzione di Ferri e Bartolucci non vuol dire affatto che alle autorità siano state fomite tutte le notizie utili, che le notizie fornite siano arrivate tempestivamente, che non ci siano state omissioni, ne occultamenti o sviamenti. Vuol dire soltanto che se anche ci sono state Bartolucci e Ferri non ne sono responsabili. Quanto all'ipotesi della bomba a bordo, il Comitato Studi per Ustica costruisce uno scenario «di fantasia, ma attendibile» che trova comunque conferma anche in alcune perizie. Nel marzo 1989, la relazione della Commissione Blasi scrive che ad abbattere il Dc-9 e stato un missile; un anno più tardi, quando la magistratura le chiede un supplemento di perizia, la Commissione, tuttavia, si spacca. I periti Migliaccio, Imbimbo e Lecce continuano a sostenere la tesi del missile; i periti Blasi e Cerra, invece, modificano il loro convincimento, sostenendo che si è trattato di una bomba. A fondare questa convinzione, dicono i penti, è il fatto che non ci sono conferme ne della presenza di altri aerei nella zona, ne di tracce di un missile. Dunque, per esclusione, non può che essersi trattato di un ordigno a bordo. Nel luglio 1994, la tesi della bomba viene ripresa da una nuova commissione di periti internazionali, il cosiddetto collegio Misiti. Anche qui si procede dapprima per escl1usione: esaminando i tracciati radar, «non esiste evidenza di uno o più aerei che si immettono sulla traccia del Dc-9». Ma la perizia Misiti si spinge oltre: indica nel vano toilette il luogo dove sarebbe stata posizionata la bomba, invocando a supporto di questa ipotesi ben sei indizi (tracce di esplosivo su alcune valigie, particolari segni su alcuni reperti, formazione di schegge, eccetera) Purtroppo i periti fanno quello che possono. Nel caso di Ustica, tutte le deduzioni dei periti e dei magistrati si basano su due elementi: i tracciati radar delle varie postazioni che hanno seguito il volo del Dc-9, e l'analisi del relitto dell'aereo. Per quanto riguarda in particolare l'ipotesi della bomba, i reperti rinvenuti in mare costituiscono la fonte primaria per accertare le cause del disastro. Anche se finiti, nel Mediterraneo (che nel punto dov'e esploso il Dc-9 e profondo oltre 3000 metri), i resti dell' aereo raccontano - possono raccontare -molte cose. E queste cose possono poi essere messe a confronto con i risultati delle autopsie effettuate sui cadaveri delle vittime (quelle che è stato possibile effettuare sui pochi restituiti dagli abissi: 42 salme resteranno per sempre sepolte in mare). S’e detto però che, al collegio peritale Misiti, parlano con chiarezza di una esplosione interna all' aereo (anche se il collegio «non si sente di indicare con precisione dove la carica esplosiva fosse nascosta, ma solo di dichiarare che si trovava nella toilette»). Secondo i periti, a confermare questa ipotesi sarebbero l'interno e le pareti della toilette, compresa la paratia di pressurizzazione; le travature del pavimento sottostanti alla toilette; il pilone del motore destro ; la gondola del motore destro. Il problema è che «vi è stata una netta divergenza di vedute di risultati tra il collegio principale Misiti e i vari collegi ausiliari (Chimico, esplosivistico, frattografico, metallografico) di cui il primo si è avvalso, e ciò in quanto questi ultimi sono tutti giunti a conclusioni che non solo non corroborano quelle del collegio Misiti, quanto sono ,con queste in definitivo e insanabile contrasto , avendo univocamente tutti i collegi ausiliari specialistici escluso che dai reperti analizzati potessero emergere elementi per sostenere un fenomeno esplosivo». Insomma, il collegio Misiti si è a sua volta avvalso di collegi peritali ausiliari, ciascuno specializzato in uno specifico campo d'indagine: questi, però, avrebbero tratto conclusioni poi ignorate dalla relazione finale presentata al magistrato. Inoltre, proseguono Erminio Amelio (che nel processo contro i generali dell' Aeronautica ha rappresentato la pubblica accusa) e Alessandro Benedetti (avvocato di parte civile nello stesso processo), «il collegio Misiti ha individuato la zona della toilette ,come luogo dove è stato collocato l’ordigno, non su rilievi positivi (perchè non ha acquisito in tal senso elementi scientificamente cerci ), bensì sul rilievo negativo che i pezzi della suddetta parte erano mancanti, perchè non recuperati, e sugli stessi potrebbero essere presenti i segni tipici dell' esplosione». Secondo il già citato Libro bianco curato dal Comitato Studi per Ustica, «nessuna frattura si è verificata nei pareri dei periti d'ufficio, contrariamente a quanto è stato invece detto da molti». Tra questi «molti», c'e anche il giudice istruttore Rosario Priore, che si occupa di Ustica dal 1990. A tal proposito Priore è stato molto chiaro: «Nessun pezzo dell'aereo reca tracce di esplosione [di una bomba]. Nessun pezzo si è frammentato o fratturato per effetto di esplosione. Ci sono curvature nei pezzi del vano toilette che avrebbero dovuto confermare la presenza della bomba e invece dicono tutto e il contrario di tutto. Perchè lì dove dovevano essere concave sono convesse, e dove dovevano essere convesse sono concave. Abbiamo lavorato mesi e mesi per cercare di capire quale potesse essere la posizione dell' eventuale ordigno. Abbiamo ipotizzato la bomba posta nel vano dei tovagliolini di carta, la bomba dietro al water, la bomba nella cappelliera, la bomba sotto il lavabo ... Nessuna posizione corrispondeva agli effetti rilevati. Anche per quanto riguarda i rilievi effettuati sui cadaveri delle vittime non c’è nessuna traccia di esplosione interna. Basta ricordare l' estroflessione dei timpani, che è stata ovviamente attribuita a una depressurizzazione improvvisa dell'aereo e non a un'esplosione» Dunque, ricapitolando: Rosario Priore, il giudice istruttore che da quasi vent' anni si occupa di Ustica, è convinto che a far esplodere in volo il Dc-9 non sia stata una bomba collocata al suo interno. Quasi tutte le perizie disposte dai giudici concordano con Priore, a eccezione di quella del collegio Misiti, che, superando le divergenze di vedute all'intemo dei vari collegi specialistici, nella sua relazione finale ritiene «tecnicamente sostenibile» l'ipotesi della bomba. Tale ipotesi viene caldeggiata anche dal Comitato Studi per Ustica. Tratto da Quella Maledetta Estate : Giovanni Minoli
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    Ustica

    Appunto per questo, visto i tempi ancora non sospetti, perchè non prendersi la briga di fugare ogni dubbio smentendo la notizia. Con tutti quei particolari non doveva essere difficile emettere un semplice comunicato ufficiale secondo il quale,ad esempio,: a) I due piloti in questione non hanno mai fatto parte della US Navy.. b) Sono vivi e vegeti presso la base xxxx c) Sono purtroppo deceduti ma in circostanze che nulla hanno a che vedere con Ustica. d) Etc.Etc.Etc. Però visto che a me piace ragionare a 360°, e considerando il fatto che siamo su un forum e non in un’aula del tribunale, aggiungo anche: Perché un giornalista che gode di un certo credito dovrebbe avventurarsi nella stesura di un’articolo tanto dettagliato ben sapendo che potrebbe essere smentito dalle fonti ufficiali 10 nanosecondi dopo l’uscita dello stesso? PS: Mi sto riferendo solamente all’articolo datato 6 luglio ‘80 Negli ultimi anni c’è stata un’autentica invasione di autori pervasi dall’irresistibile tentazione di inventarsi le castronerie più assurde, ultima in ordine di apparizione la teoria della scia Killer rilasciata dal Mig23..
  16. Io Aggiungerei anche: "Il volo è la mia religione . E' il mio modo di trovare la verità." Richard Bach. Piccola precisazione: "Il gabbiano Jonathan Livingston", un concentrato di pura passione per il volo acrobatico
  17. Dave97

    RE 2005 - Sagittario

    Fine delle operazioni Tornando al fenomeno degli scuotimenti in coda, ecco l' episodio che portò il Gen. Santoro a redigere e ad inviare il 26/8/1943, il telegramma, alla Terza Aero-squadra e al 1° Reparto Superaereo, con il seguente testo: "Attesa esito accertamenti su velivoli RE 2005 siano temporaneamente sospesi voli bellici". La narrazione e tratta dalla già citata testimonianza di Eugenio Salvi: "Il più grave di questi martellamenti si verifico il 25 Agosto del 1943. Ci fu una precipitosa partenza su allarme che effettuammo in quattro o cinque. Dovevamo intercettare dei bombardieri che stavano sorvolando il golfo di Salerno. Al momento dell'intercettazione, in volo, eravamo rimasti in due; il Ten. Signorini ed io. Scorgemmo la formazione a 6.000 m. dalle parti di Avellino. A 7.000 metri, con il gregario mi portai sopra la formazione che attaccai con una picchiata, quasi in candela, che mi consentiva di passare rapidamente tra le maglie della formazione stessa in modo da dare scarsa possibilità, alle mitragliere dorsali, di colpirmi e quasi nessuna alle mitragliere ventrali. Il sole era a nostro favore. Una volta sotto i bombardieri richiamavo il velivolo, mi portavo fuori tiro degli avversari, e non appena più alto di loro, rieffettuavo un secondo attacco. Tale procedura richiedeva molto tempo, ma mi dava una certa garanzia di sicurezza. Dopo aver effettuato il primo attacco e mentre stavo allontanandomi dai bombardieri, vidi il mio gregario che, in picchiata, ci stava passando in mezzo, ma quasi contemporaneamente vidi una seconda formazione avversaria sui 7.000 metri. Per radio chiamai il mio gregario. Non ottenni risposta e pensai ad un'avaria dell'apparato. Con la stessa procedura attaccai la seconda formazione, ma mentre stavo riportandomi in quota, mi avvidi di una terza formazione che sopraggiungeva e sopra di essi dei puntini più piccoli che stavano volteggiando. Ritenni fossero dei Me.109, all'attacco dei B.17 o B.24. Lieto di avere degli alleati mi avvicino, ma quei velivoli non erano dei Me. 109 ma dei P.38. Ero più basso di loro e cercai di salire tenendomi a distanza. Raggiunsi 10.500 metri e lasciai i P.38 più bassi di me. Quello che voglio far rilevare e che il RE 2005 era un ottimo arrampicatore. Era la prima volta che potevo fare un confronto ed ero entusiasta del mio gioiello. Portandomi tra il sole ed i Lightning attaccai, con il solito sistema, i bombardieri. Passai dinnanzi ai P.38 i quali troppo tardi si accorsero di me. I bombardieri americani effettuarono un disastroso bombardamento su Foggia. La terza formazione l'attaccai quando aveva gia sganciato e stava virando per rientrare alla base. Sotto di me Foggia, era letteralmente scomparsa sotto un denso manto di fumo. Continuai la picchiata e mi portai al campo per l'atterraggio. Non avevo più veduto il mio gregario, dopo quel nostro primo attacco, e ritenni si fosse portato all'atterraggio; rimasi stupito e preoccupato quando una volta a terra, i miei compagni mi chiesero ove egli fosse. Facemmo richieste che rimasero infruttuose. Verso le ore 21, venimmo informati dall'Ospedale di Piedimonte d' Alife che colà vi era ricoverato il Ten. Signorini per contusioni in tutto il carpo ed era stato ricoverato, svenuto, dopo un lancio con il paracadute. Cosa era avvenuto? Da quanto dichiarato dal Signorini, dopo l'attacco, come si accinse a richiamare il velivolo, entrò in una violentissima vibrazione, tanto che il pilota fu costretto a lasciare i camandi. Il RE 2005 oltre a vibrate si mise a roteare rapidamente ed il pilota venne proiettato contro il tettuccio. La centrifugazione era talmente violenta che, nonostante ripetuti sforzi, non riuscì a azionare, il pomello per l'apertura del tettuccio. Svenne. Rinvenne a più bassa quota. Il velivolo era ancora in rotazione, ma improvvisamente volava a velocità più modesta. Egli era ancora schiacciato contro il tettuccio ma questa volta riuscì ad azionare la leva d'apertura. Venne proiettato fuori. Essendo attaccato il moschettone, il paracadute si apri automaticamente. Svenne nuovamente e si riebbe quando lo stavano portando in ospedale. Il suo corpo, dalla fronte ai piedi, era una sola ecchimosi. Con il volo del 25 Agosto 1943 ebbe termine l'attività dei RE 2005. Gli specialisti smontarono le ali e l'elica da due velivoli, uno dei quali era quello del Serg. Magg. Biagini che era entrato in vibrazione e si era fortemente danneggiata la parte terminale della fusoliera. A Capua giunsero due SM 82 ed il Magg. Favini fece caricare i due RE 2005. Li portarono in fabbrica a Reggio Emilia dove furono sottoposti a controlli assodinamici e a prove, durante le quali affrontarono oltre 1,5 la V massima in linea di volo. Alle Reggiane vennero inviati tre RE 2005 (MM 096101/096103 e 096105), sui quali il Magg. De Prato effettuò diverse prove nel settembre 1943. Per De Prato, che aveva portato il RE 2005 - MM 096105 a raggiungere in picchiata quasi mille chilometri/ora, il fenomeno dipendeva dal modo di effettuare le manovre con il velivolo. Perchè il fenomeno scomparisse, bastava variare leggerrnente l'assetto della picchiata e il regime di giri-motore al primo accenno di sbattimento in coda. Questi ragionamenti potevano essere validi per delle prove effettuate in condizioni di massima serenità, non per le picchiate effettuate durante un combattimento aereo. L'ordine di sospensione dei voli bellici era stato impartito in attesa che De Prato, in base alle prove in corso, suggerisse quali rinforzi apportate ai velivoli. Ma l'8 settembre era vicino e tutto rimase sospeso. Per concludere, riprendiamo la testimonianza di Eugenio Salvi, che completa il suo scritto, con il confronto che lui fa tra il RE 2005 e lo Spitfire IX: "Nel 1949-1950, all'aeroporto di Lecce, quale istruttore della Scuola di volo, ebbi modo di effettuare molta attività con lo Spitfire ed in base ai ricordi potei fare un confronto con il nostro RE 2005. Forse sono l'unico che abbia questa doppia esperienza. Preferivo il motore Merlin dello Spitfire IX al DB 605. Era un motore più pronto, dal rombo più aggressivo; forse più potente e dava maggior sicurezza perchè lo si sentiva girare uniformemente. Il velivolo era il classico velivolo inglese. Semplice, ma dotato di tutto l' essenziale. Era il vero caccia da guerra. Forse un po' grezzo, dato che le rifiniture non erano curate. I progettisti ed i costruttori mirarono più alla praticità, alla facilità di manutenzione, all'efficienza, all'economia ed alla rapida costruzione che all'estetica. Le sue doti di volo, per quanto eccellenti, le ritenni inferiori a quelle del RE 2005 il quale aveva un comportamento più gradevole perchè più plastico. Evoluiva con maggior uniformità, prontezza e fedeltà. In particolar modo nelle richiamate e virate strette, lo Spitfire IX mi sorprese negativamente; non stallava, ma entrava inaspettatamente in prestallo mettendosi a sussultare molto sensibilmente. Questa caratteristica negativa mi colpì in modo particolare. Quei sussulti procuravano una decisa ritardazione che andava a detrimento della velocità. Addolcendo la manovra, il volo tornava normale. Lo Spitfire IX pretendeva un pilotaggio più oculato e dolce, qualità che, in guerra, non sempre è possibile osservare. Forse furono proprio le descritte limitazioni dello Spitfire IX che consentirono al mio RE 2005 di non essere sopraffatto dalla turba di Spitfire IX che lo stavano braccando quel pomeriggio dell' 11 luglio del 1943". Tratto da Dal RE 2002 al RE 2005 di Sergio Govi
  18. Dave97

    Ustica

    Che cosa ? Vuoi forse dire che sia falsa la registrazione secondo la quale, subito dopo l’incidente alcuni addetti al controllo radar di Ciampino (se non sbaglio 4 e non una) cercano di mettersi in contatto con l’ambasciata americana per conoscere la procedura da adottare quando “ve casca un Phantom” (alla lettera). Direi di No !, visto che esiste la registrazione. Un singolo sottufficiale ha avanzato un'ipotesi che potesse essersi trattato di collisione con traffico militare e ha chiamato le autorità americane per verificare se c'era traffico USA. Beh, con tutto il rispetto, ti consiglio di rileggere la trascrizione della suddetta. A me , personalmente, sembra una certezza più che un’ipotesi… Da cui la mia prima osservazione… Ma il radar di Ciampino non mostrava la sola traccia del DC 9 ? Quindi perché ipotizzare una collisione con un Phantom ? E ci tengo a chiarire un semplice concetto: Ciò che mi lascia perplesso non è il Phantom in quanto aereo Americano, quanto la presenza di un un’altro aereo vicino al DC9. Sarei altrettanto perplesso se stessero cercando un Mirage,un Mig,Un 104 C'erano altri aerei civili nell'area, se è per questo. E anche i periti di parte civile hanno ammesso che non sono stati manipolati. Punto. Cos’è una forma di ironia ? Lo sanno anche i muri che il DC9 era seguito da un’AIR MALTA. Mi riferivo alla zona della probabile collisione.. Mi sembra di aver scritto almeno 10 volte che i tracciarti radar non sono stati manipolati. Da cui rinnovo la mia perplessità iniziale. Se i tracciati radar sono autentici, e il radar non mostra altra traccia attorno al DC 9 perché gli addetti al controllo radar ipotizzano una collisione con un phantom ? a) Sono forse reduci da un’allegra merenda innaffiata da del buon vinello dei colli romani ? b) Forse , istintivamente, si sono ricordarti dei rapporti all’ispettorato per il traffico aereo, le near collision di classe “A”, che negli ultimi due anni erano state una decina!!! E tutte nel triangolo Palermo-Ponza-Napoli. Sospettano che questa volta la near collision sia un collision ????????????? La quantità di interrogativi ha lo scopo di evidenziare che l’ipotesi b è solamente un tentativo di giustificare un comportamento tanto anomalo da parte degli addetti ai lavori del controllo di ciampino. Sempre che concordiamo sul fatto che sia quantomeno anomalo ipotizzare una collisione con “un altro aereo “ nelle suddette circostanze. Il radar indica ciò che vede. Appunto!! E visto che i nostri eroi sono in apprensione per una ipotetica collisione , e visti i precedenti (mi riferisco alle near collision) non sarebbe il caso di iniziare a prendere in considerazione che il suddetto radar abbia una vista un tantino limitata ? Da cui affermare che attorno al Dc9 non vi sia nessuno nel raggio di 50Km è quantomeno azzardato! Vedi Gianni, il giorno in cui (Finalmente) qualcuno riuscirà a dimostrare in modo inconfutabile quanto successo a quel povero Dc9, sarò felicissimo di apprendere la verità. Fino ad allora, penso che sia più che lecito porsi qualche dubbio. E ci tengo a specificare che sto parlando di Dubbi. (tratto da “A un passo dalla guerra”) Male. Le cose si traggono dalle fonti, non dai romanzi. Sarebbe carino leggerlo, il documento. Hai ragione è un bel romanzo! E contiene diversi spunti interessanti. Tra cui la copia in formato ridotto del documento in questione. Si può sempre scannerizzare e (se mi dite come) pubblicare in formato JPEG, anche se temo che questa operazione lo renderà poco leggibile visto il formato ridotto della riproduzione. TO : AM EMBASSY ROME IMMEDIATE Subject : CIVAIR CRASH OF ITALIA DC 9 AIRCRAFT PLAESE PROVIDE ALL DETAILS AVAILABLE ON CRASH OF SUBJECT AIRCRAFT WHICH WAS ENROUTE FROM BOLOGNA TO PALERMO. Sbaglio o qualcuno la sera prima ha rotto le balle a mezzo mondo, ambasciata compresa, per chiedere se c'era traffico americano? E ti meravigli che poi vogliano capire perchè accidenti chiedevano quelle cose? Se l'avessero abbattuto loro, a che gli servivano i rapporti italiani? Ti rendi conto che manca anche la logica, oltre alla sostanza? Si Gianni, mi rendo conto! E' proprio per la mancanza di logica che mi meraviglia e molto che gli addetti al controllo radar di ciampino abbiano rotto le balle a mezzo mondo per chiedere informazioni di traffico (informazioni di traffico ??? : veramente volevano sapere altro) che il loro radar non mostrava. Il capitano Reinhold e il sergente Davitt. Cavolo, si sono inventati anche i nomi ? L'Unità si è inventata di peggio. Questa storia è una bufala bella e buona. Ah! Qui tocchiamo un tasto delicato. Dalle nostre parti , esiste un detto che non ha mai perdonato alla suddetta testata di essere inacappata, tanti anni fa, in un disguido tecnico che ha provocato l’uscita del quotidiano con la data sbagliata. Da cui : “Sull’Unità di vero non c’è neanche la data” Chiedo scusa, non è mia abitudine ironizzare sul lavoro altrui. Però c’è da dire che l’articolo, come sottolineato nel romanzo di cui sopra, porta la firma di due giornalisti molto accreditati, è molto dettagliato, e fornisce finanche i nomi dell’equipaggio. La cosa strana è che nessuno ufficialmente ha mai smentito la suddetta notizia, pubblicata il 6 luglio 1980 e quindi molto tempo prima che attorno ad Ustica sorgessero tutte le panzane più disparate venute molto tempo dopo. Eppure non doveva essere un lavoro tanto difficile visto che erano stati fatti anche i nomi E a scanso di equivoci aggiungo: Un articolo così dettagliato, che riporta data, aeromobile,rotta, nome e grado dell’equipaggio non può essere inventato dal niente, soprattutto da due giornalisti che godono di un certo credito. Sicuramente qualcuno attendibile (almeno a loro parere) deve aver fornito le dritte per una storia che visti i particolari meritava forse più attenzione dalle fonti ufficiali. E forse è morto anche mio nonno in quel periodo. Era nel complotto anche lui? Con tutto il rispetto per tuo nonno (Condoglianze anche se tardive), penso che non abbia niente a che vedere con la storia di Ustica. In quel periodo sono morte tante persone sconosciute. Però se nell’elenco degli sfortunati scomparsi, compaiono -due piloti che quella sera erano in volo. -Il maresciallo radarista di Poggio Ballone,che è il radar del centro di Grosseto -Il comandante dell’aeroporto di Grosseto. -Il capo controllore del centro di Poggio Ballone. Lasciami almeno la possibilità del dubbio sulla casualità di questi eventi. Se non altro per poter affermare che quel posto porta sfiga. Ramstein ?? Personalmente penso che organizzare un’incidente del genere sia tecnicamente impossibile. Ma se qualcuno attendibile dovesse dirmi : guarda che non è impossibile ma solo molto complicato Veniamo all’ipotesi bomba. Concordano (quelli seri) che NON è stato un missile. L'unica cosa su cui non concordano è il punto in cui sarebbe stata collocata la bomba. Spiegami perché, di tutte le persone coinvolte in questa vicenda, militari,civili,periti,giudici,giornalisti etc. dobbiamo sempre discriminare : - seri quelli che la pensano in un certo modo - poco seri , tutti gli altri. Seguendo questa discussione dall’inizio, grazie al contributo di molti utenti, soprattutto il tuo, è stato possibile chiarire i motivi che porterebbero ad escludere il missile. E su questo argomento sono d’accordo. Però mi chiedo: Perchè lo stesso ragionamento non lo facciamo anche per l’ipotesi bomba. E cioè , possibile che a bordo di un DC9 esploda una bomba senza lasciare traccia, se non qualche piccolo residuo di C4 ? Direi che a monte si è stabilito che : - non è stato un missile - sarei tentato ad escludere anche lo squalo e la giraffa - i rapporti sulle manutenzioni periodiche escluderebbero il cedimento strutturale quindi rimangono la bomba che non lascia tracce a bordo ....e la collisione aerea. Sull'altro piano cosa c'è? Ci sono una certa quantità di registrazioni tra gli addetti ai lavori , che chissà perché, sono più che convinti che si tratti di una collisione aerea!!!
  19. Dave97

    World War II Aces

    Mag. Furio Niclot Doglio Furio Niclot Doglio, nasce a Torino il 24 aprile 1908. Il suo curriculum scolastico fu veramente degno di nota: nel novembre 1930, a soli ventidue anni, si laureò in ingegneria civile, conseguendo nel mese successivo l'abilitazione alla professione. A questa punto una passione incontenibile proruppe nella sua vita, quella del volo, inteso non solo come avventura e conquista, ma anche come scienza e studio. Il giovane ingegner Furio s'iscrisse ai corsi di pilotaggio dell'Aerocentro da Turismo dell'aeroporto del Littorio ed alla facolta d'ingegneria aeronautica. Nel corso del 1931 conseguì il brevetto di pilota civile di 2° e di 3° grado. Nel 1932 Niclot aggiunse alla laurea in ingegneria civile quella in ingegneria aeronautica. Fu subito assunto dalla Compagnia Nazionale Aeronautica, basata sull'aeroporto del Littorio. Il conte Giovanni Bonmartini,amministratore delegato della società, gli offrì il posto di collaudatore ed istruttore alla scuola civile di pilotaggio. Le sue qualità gli consentirono una rapida carriera: a ventiquattro anni era già vice direttore della scuola, oltre che istruttore di acrobazia aerea ed insegnante di navigazione aerea e topografia. Fu autorizzato dal Ministero a svolgere funzioni di pilota istruttore per allievi militari ed in tale veste addestrò i giovani ufficiali piloti di complemento del corso 1932-33, svoltosi presso la CNA. Nel frattempo aveva accumulato oltre 1500 ore di volo, 500 delle quali di acrobazia, su molti tipi d'aereo, in pratica tutti quelli che circolavano per il campo: Fiat AS.1, SVA 3 e 4, Aviatik, A1. Balilla, Ca.100, Breda 15, D.H.50 Moth, A.300, Breda 25, Ro1. Al momento della dichiarazione di guerra, 10 giugno 1940, il capitano pilota Furio Niclot Doglio non ebbe esitazioni: lascio letteralmente a metà un cantiere e si presentò al Comando della 3a Squadra Aerea a Roma, chiedendo di essere arruolato in un reparto operativo. Stante il suo curriculum non fecero certo fatica ad accontentarlo: qualsiasi comandante avrebbe fatto carte false pur d' avere un pilota di quel calibro tra le sue file. La sua prima destinazione fu la 355a Squadriglia, del 21° Gruppo. Il reparto, appartenente al 51° Stormo, comandato dal tenente colonnello pilota Umberto Chiesa e basato a Ciampino, era stato inizialmente destinato alla difesa dell'Italia centrale. Era montato su Fiat G.50, un monoplano metallico che rappresentava, insieme con il Macchi C.2OO, la nuova generazione di velivoli da caccia. Il 17 giugno - non aveva certo bisogno d'addestramento - Niclot compì la sua prima missione bellica, una crociera di vigilanza nel cielo di Roma. Seguirono, nelle settimane successive, altre azioni dello stesso tipo, senza incontri con il nemico. Il 7 settembre decollò sul Caproni Vizzola F.5, un caccia per qualche aspetto interessante, ma giunto sulla scena troppo tardi. I tredici esemplari prodotti vennero assegnati alla 300a Squadriglia, destinata alla difesa di Roma. Il 14 settembre il capitano Niclot passò in forza alla 353a Squadriglia del 20° Gruppo che proprio in quei giorni si accingeva a lasciare il 51 ° Stormo per confluire nel 56°, di nuova formazione. Niclot fù subito nominato aiutante maggiore del comandante di gruppo, il maggiore Mario Bonzano, che aveva guidato il primo impiego operativo dei G.50 nei cieli di Spagna In quel periodo il reparto stava completando la preparazione per una nuova impegnativa missione: la spedizione italiana sul fronte della Manica. La rapida conclusione della campagna di Francia aveva fatto cercare nuove alternative d'impiego per le forze aeree schierate nell'Italia continentale. In particolare, il comandante della 1a Squadra Aerea, generale Rino Corso Fougier, si diede attivamente da fare affinchè i reparti ai suoi ordini non si avvilissero nell'inazione. I tempi erano ancora quelli dell' entusiasmo senza riserve, del volerci essere ad ogni costo. Gli iniziali successi della Luftwaffe sui cieli dell'Inghilterra meridionale fecero pensare ad una partecipazione italiana che, anche se priva d' effettivo peso strategico, avrebbe potuto accrescere senza rischi eccessivi l'immagine della nostra forza aerea. L'idea piacque al Capo del governo che l' approvò; lo Stato maggiore incaricò lo stesso generale Fougier di pianificare e guidare la spedizione. Partì una complessa macchina organizzativa che coinvolse un paio di stormi da bombardamento (il 13° ed il 43°), uno stormo da caccia di nuova costituzione (il 56°, il cui comando fu affidato al colonnello Chiesa) ed una squadriglia da ricognizione strategica (la 172a, montata su cinque Cant.Z.1007). Il Corpo Aereo Italiano fu ufficialmente costituito il 10 settembre 1940, mentre il 16 la sede fu fissata a Milano. Lo stormo da caccia fu formato prelevando due gruppi da stormi gia esistenti: il 18° dal 3° ed il 20° dal 51° ; sede temporanea l' aeroporto di Mirafiori, nei pressi di Torino. Per una curiosa coincidenza (?) tutti i velivoli del CAI, se si escludono i pochi ricognitori, erano di fabbricazione Fiat: i bombardieri erano i bimotori Fiat BR.20, mentre i caccia erano i biplani Fiat CR.42 per il 18° Gruppo ed i monoplani Fiat G.50 per il20°. Nella fase di preparazione, gran cura fu posta nei particolari per non sfigurare con l'alleato tedesco: s'introdussero varie modifiche nell'equipaggiamento e s'istitui un'uniforme speciale per la truppa, eliminando i calzoni al ginocchio e le fasce mollettiere. Forse, col senno di poi, le riunioni dello Stato maggiore avrebbero potuto essere più proficuamente dedicate a predisporre qualche corso accelerato di navigazione strumentale. Il 22 settembre 1940 il 20° Gruppo iniziò le operazioni di trasferimento, spostandosi in volo da Ciampino Sud a Treviso. Il capitano Niclot pilotò uno dei due aerei di servizio della 353a Squadriglia, un Caproni Ca.133, con il sergente maggiore Gino Domenici come secondo pilota. A Treviso la nebbia tenne bloccati a lungo a terra gli equipaggi: solo il 6 ottobre il gruppo volò a Bolzano e di qui, ben undici giorni dopo, riuscì a sorvolare le Alpi atterrando a Monaco. Le due tappe successive portarono a Francoforte ed infine alla destinazione finale del reparto, il campo di Maldegem, in Belgio, denominato convenzionalmente 'Urano'. Le attrezzature aeroportuali erano complete ed efficienti ed una cura particolare era stata posta per mimetizzare efficacemente la base, situata tra Bruges e Gand. L'accoglienza dei tedeschi fu cordiale ,il reparto fu inquadrato operativamente in uno stormo da caccia germanico, lo Jagdgeschwader 51, dotato di Messerschmitt Bf 109E, anche se la differenza d'equipaggiamento non poteva passare inosservata. L'abitacolo aperto, l'assenza di radio ricetrasmittente (solo tre aerei dello stormo ne erano dotati) e la mancanza di adeguata strumentazione per la navigazione strumentale balzavano all'occhio nel confronto con la dotazione dell'alleato. Qualche giorno dopo il nostro arrivo, i goffi salvagente a strisce di sughero (i cosiddetti 'salsicciotti') furono rimpiazzati da giubbetti gonfiabili in tela gommata, dotati di un sacchetto di fluorescina per facilitare l'avvistamento in mare, fornito dai tedeschi. Completato l'ambientamento, le missioni dei nostri velivoli poterono iniziare. Ma quando gli aerei del CAI erano finalmente pronti per entrare in azione, la battaglia d'Inghilterra si poteva considerare virtualmente conclusa: i cacciatori inglesi, i famosi 'few', erano riusciti a respingere l' attacco tedesco. Niclot compì la prima azione il 27 ottobre: la scorta ad una formazione di BR.2O diretti a bombardare Ramsgate. Nelle settimane successive le missioni furono numerose, ma si conclusero quasi sempre con un 'nulla di fatto'. Solo in un paio di occasioni furono avvistati aerei della RAF, ma non si riuscì a raggiungerli. La principale carenza messa in luce dalle condizioni operative, così diverse da quelle mediterranee, fu l' assoluta mancanza d'addestramento per il volo senza visibilità. Nessuno dei piloti del 56° Stormo partecipanti alla spedizione ne aveva la minima esperienza. D'altro canto queste conoscenze non facevano parte del bagaglio tecnico ritenuto necessario per i nostri cacciatori e la strumentazione dei velivoli rispecchiava questa convinzione. L'impiego della caccia fu pertanto limitato a crociere di protezione in condizioni di buona visibilità ed a scorte ai bombardieri in caso di missioni diurne. Ai termine della campagna, Niclot aveva totalizzato sei azioni sull'Inghilterra, sedici sul Canale e ben 63 crociere di protezione. Ma, nonostante tanta attività, le sue mitragliatrici Breda Safat avevano sempre taciuto. Nel suo complesso, il bilancio dell'attività del CAI fu quanto di più frustrante si al potesse immaginare: una spedizione che voleva essere sostanzialmente d'immagine, si concluse con quella che, in sintesi, si può definire una brutta figura. In particolare il 20° Gruppo non ebbe mai neppure l'occasione di misurarsi con i velivoli avversari, ne durante le scorte offensive ne durante le crociere difensive. Quanto di peggio, per un reparto dotato di notevoli individualità e di grandi aspettative. Nella delusione generale, Niclot seppe riportare a casa dai cieli del nord un' esperienza di sicuro interesse: imparò a pilotare il Messerschmitt Bf 109, indiscusso protagonista, fino a quel momento, dei successi della caccia germanica. Il 31 gennaio 1941 Niclot salì per la prima volta a bordo di un Bf109E 'Emil' sul campo di Maldegem per un breve volo d'ambientamento: una ventina di minuti a bassa quota. L'incontro fu evidentemente favorevole perche alla seconda esperienza, il 16 febbraio, sul libretto di volo la descrizione fu registrata come "acrobazia". Le competenze di collaudatore ed istruttore gli avevano consentito di saltare a piedi pari il periodo di familiarizzazione. I voli sul Messerschmitt si susseguirono con frequenza crescente, segno dell'entusiasmo per il velivolo tedesco ed anche del ristagno delle operazioni sulla Manica. Il 14 marzo il libretto di volo riportò una "finta caccia" per proseguire nei giorni successivi con rinnovati esercizi di acrobazia aerea. Niclot fu certamente uno dei primi piloti italiani a completare con successo, il 31 marzo 1941, il ciclo addestrativo sul Bf 109E. Non si ricordano, forse per l'innata signorilità, suoi commenti e raffronti tra 'Emil' e 'Gigetto', come il G.50 era chiamato con affettuosa ironia dai nostri piloti. Sfortunatamente, la prevista costituzione di una squadriglia italiana montata sul caccia germanico, per la quale erano stati prescelti i migliori piloti del 20° Gruppo, fu smentita dai fatti: ennesima delusione in coda alla spedizione sulla Manica. Ci sarebbero voluti altri due anni per vedere piloti italiani a bordo del caccia tedesco. Ma a quel punto le sorti della nostra guerra erano ormai segnate. I G.50 delle Squadriglie 352a e 353a, rimaste in Belgio agli ordini della II Luftflotte, furono gli ultimi velivoli italiani a lasciare il fronte del nord. Il 16 aprile Niclot decollo da Desvres, in Francia, non lontano da Boulogne-surmer, dove il reparto si era spostato il 1° marzo. Nel giro di due giorni giunse a Pisa, con tappe intermedie a Francoforte, Monaco e Gorizia. Inizialmente la destinazione prevista era il fronte dei Balcani, ma la conclusione della campagna di Grecia indusse i comandi a cambiare programma: gli aerei furono lasciati a Pisa al 12° Gruppo,per essere rimpiazzati a Ciampino da G50bis 'tropicalizzati'. Dalle fredde nebbie della Manica, il 20° Gruppo sarebbe passato ai cieli tersi e roventi della Libia.
  20. Dave97

    World War II Aces

    Combattendo insieme con Buscaglia, Faggioni aveva assimilato l'attitudine a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà e ai pericoli; di suo aggiungeva una particolare abilità al pilotaggio che tutti gli riconoscevano. «Nella mani di Faggioni il 79 diventava un bolide agilissimo e uno strumento di precisione. Puntava deciso sull'inizio del campo, basso fino a tenerci col fiato in sospeso, e andava avanti così, un po' sotto la linea di volo, che pareva dovesse raschiare il prato o falciare l'erba; chi era sull'apparecchio aveva l'impressione di essere seduto per terra ... ». Alla squadriglia, Faggioni s'era subito conquistato una sua posizione: Buscaglia se lo teneva sempre vicino e lo consultava in ogni occasione, gli specialisti di volo facevano a gara per trovare posto sul suo aereo, perchè sapevano che alla perizia e all'ardimento accoppiava la necessaria capacità di agire per il bene di tutti. E tutti gli volevano bene per il tratto sincero e modesto che lo distingueva: «Certo nella vivacità degli occhi neri e mobilissimi che illuminavano il lungo volto buono e nell'aperto riso della sua bocca grande e schietta c'era qualcosa che colpiva. Ma il meglio non si rivelava: il meglio stava dentro ed era costituito dal suo coraggio, dal suo modo onesto e diritto di pensare e dalla sua lealtà». Un giorno che pare eguale a tanti altri, squilla il solito telefono al comando squadriglia; ci segnala che questa volta è in mare il grosso della Mediterranean Fleet con due corazzate, tre o quattro incrociatori, una decina di cacciatorpediniere. L'avvistamento è a nord-ovest di Alessandria, Lat. 31°17' Long. 29°30'; l'ordine è di decollare tutti. E infatti partono tutti, cioè i soliti tre: il primo a prendere il volo alle 11,00 è Graziani, poi Cimicchi e infine Faggioni. I superiori comandi devono assegnare all'azione una grande importanza, perchè alla prima telefonata con gli ordini fa seguito quella personale del Gen. Longo. E’ anche chiaro che in una missione così vicina alle coste egiziane ci potrà essere l'incontro con la caccia. Intanto c'e da pensare a un paio d'ore di volo in mezzo alle nuvole nere che ingombrano tutto il cielo dai 500 metri in sù, con un vento teso che fa apparire il mare tutto bianco, mentre raffiche di pioggia fanno ballare gli aerei. Poco prima delle 13,00 le navi sono in vista e Graziani decide di tenersi allargo aggirando la formazione in modo da effettuare l'attacco da sud: la pattuglia quindi fa un lungo giro finchè s'intravvedono sulla destra le secche di Alessandria. La manovra si rivela valida perchè lo schienlmento protettivo che le navi minori offrono alle due corazzate è tutto sul lato nord. I velivoli non sono ancora stati avvistati, volano radenti sul mare, ma quando il capo pattuglia deve cabrare per portarsi alla quota di sgancio, allora scoppia l'inferno e le navi sputano tutto il loro fuoco. Graziani sgancia contro la prima corazzata, non vira per timore di collisione coi gregari e tira diritto tra le due navi da battaglia, che più tardi si saprà essere la QUEEN ELIZABETH e la BARHAM. Il fotografo di bordo, l'Av. Di Paolo, scatta una foto che diventerà famosa: vi si vede la BARHAM tanto vicina e tanto nitida che sembra di poterla toccare. L'invidia e le malelingue insinueranno che fosse un trucco fotografico. Anche Faggioni e Cimicchi lanciano incassando parecchi colpi dalla contraerea, poi picchiano derapando e via a zig zag tra il fuoco degli incrociatori e dei cacciatorpediniere. I tre aerei volano più bassi delle murate delle navi, granate scoppiano tutt'intorno e li scuotono riempiendoli di schegge. Graziani incassa un gran colpo che apre un largo squarcio sull'ala destra, poi un altro sulla metà destra del carrello che fuoriesce dal suo alloggiamento. Il velivolo si piega verso la parte colpita e scade contro la superficie del mare: il pilota tenta di riportarlo in assetto orizzontale manovrando gli alettoni ma il tentativo non ha esito; interviene il motorista Scaramucci che riduce la potenza del motore di sinistra e da il «+ 100» a quello di destra equilibrando la minore portanza dell'ala. Poco prima di toccare l'acqua il velivolo si riprende e può continuare il volo benchè a velocità molto ridotta. Il secondo di Graziani, M.llo Di Gennaro, ricorda: «Che volò per circa 600 Km. con tanti danni! Poco motore perchè l'ala sembrava volersi spezzare con quel foro al centro, con il semicarrello destro fuori e la gomma afflosciata. Dopo due ore e mezzo di volo con una vibrazione continua, uno sforzo enorme di braccia e di piedi per tenere il giusto assetto a velocità ridotta, ma l'SM 79 ubbidisce alla volonta degli uomini...». Faggioni e Cimicchi aspettano Graziani e lo affiancano per difenderlo in caso di attacco della caccia che, probabilmente per le avverse condizioni atmosferiche, non si fa vedere. Il ritorno è un duro calvario che va sorbito minuto per minuto, col cuore in gola, con pazienza e con fiducia. In vista dell'isola di Rodi i due gregari tirano manetta e atterrano per far apprestare gli aiuti d'emergenza. Graziani si presenta basso sul campo e tocca terra facendo correre l'aereo sul semicarrello efficiente: ma quando smaltisce velocità la gamba colpita cede e l'ala s'impunta sulla pista facendo ruotare l'aereo che striscia sulla pancia in una nube di polvere. Le ambulanze accorrono ma il loro intervento, grazie a Dio, e superfluo, gli uomini sono tutti salvi. Gli equipaggi stimano di aver colpito le due corazzate, ma ammettono che la necessità di scansarsi dal tiro contraereo non ha permesso di osservare l'esito dell'azione. Il servizio di intercettazione radio tedesco di Rodi, avendo captato e decrittato le comunicazioni tra la flotta inglese in mare e il comando di Alessandria, conferma che le due navi da battaglia hanno comunicato di essere state attaccate dagli aerosiluranti e colpite. Il fotografo Di Paoli sviluppa e consegna una serie di foto che fanno stupire il Governatore del Dodecaneso Amm. Campioni e il Comandante dello Fliegerkorps gen. Geisler. L'Ammiragliato britannico, anche dopo la fine del conflitto, non ammise mai che in quell'occasione le due navi da battaglia fossero state colpite, e sostenne che i siluri erano passati a breve distanza. Poichè non consta che l'una o l'altra delle due corazzate sia entrata in bacino per riparazioni, è probabile che questa volta la verità sia inglese. Ma, qualunque sia stato l'esito, l'azione del 13 ottobre 1941 va ricordata come un fatto di eccezionale coraggio degli aerosiluranti italiani. Il 10 aprile era il lunedi di Pasqua. Mentre gli equipaggi stavano riuniti per la cena, arrivò dall'osservatorio del Circeo la segnalazione che un convoglio di navi da carico con la protezione di numeroso naviglio da guerra si stava avviando alla testa di sbarco. La cena rimase a meta. L'accordo con l'aviazione tedesca prevedeva un attacco con bombe in quota un paio di minuti prima dell'arrivo degli aerosiluranti italiani: fu raccomandato di fare attenzione ai palloni frenati che tutte le navi portavano con se per difendersi dagli aerosiluranti che, volando bassi, potevano incappare nel cavo d'acciaio. «Ricordo quella riunione di volo. Faggioni fu conciso e preciso come sempre, le ultime parole prima della partenza (accompagnate dal solito pugno scherzoso sulla spalla) furono: "Addosso alle panzone da carico, ma se capitasse per caso, facile e sicura una nave da guerra, non risparmiatela! Una e saremo dei piccoli re!" Una ne voleva per mostrare che attaccavamo le navi da carico per necessità, ma preferivamo batterci con le navi più armate. In quel momento egli aveva sulle labbra il suo ironico, distaccato sorriso, e ci guardava come se noi stessimo ricevendo da lui un premio: quello di poter combattere.» Gli aerei pronti per l'azione erano cinque: prima pattuglia Faggioni, Valerio, Pandolfo; seconda Bertuzzi e Sponza. Alle 22,15 iniziarono i decolli col solito lumino a fondo pista. Pandolfo incappò in una buca e danneggio il carrello per cui dovette fermarsi. Gli altri quattro si avviarono sulla rotta ormai nota di Orvieto-Viterbo-Civitavecchia-Tirreno-conversione su Anzio. Sponza fu l'ultimo a decollare; non avendo potuto tenere il contatto con Bertuzzi, raggiunse Faggioni e divenne suo gregario. Il volo sul mare fu, come al solito, a quota bassissima: i piloti s'erano ormai bene allenati. Il primo a giungere in zona fu Bertuzzi, che sgancia contro una nave da 5.000 tonn. e potè filare via veloce. Qualche minuto dopo arrivarono insieme Faggioni, Valerio e Sponza quando ormai l'allarme era generale, i riflettori pettinavano il cielo e i caccia notturni si trovavano in volo. I tre aerei si aprirono per cercare ciascuno il suo bersaglio, investiti dal violento e preciso fuoco contraereo navale e terrestre. Si sa che Valerio si buttò con estrema decisione dentro il cerchio di fuoco e ripete più volte l'attacco prima di sganciare il siluro. Conosciamo tutti i particolari dell'azione di Sponza dalle testimonianze dell'equipaggio. Di Faggioni sappiamo solo che scomparve, e insieme con lui il secondo pilota Gilardi, il motorista Scaramucci, il marconista Pianticelli, l'armiere Gianni. A Lonate arrivò un unico aereo, quello di Bertuzzi che, dopo aver superato una vasta zona temporalesca, atterrò con l'aiuto del gonio campale. L'aereo di Valerio, forse danneggiato durante l'azione, superati gli Appennini sulla via del ritorno incappò nella bufera e si schianto sulle colline presso Medesano (Salsomaggiore); il secondo pilota Jasinski, che era riuscito a buttarsi col paracadute da bassa quota, si salvava rompendosi una gamba. Il Ten. Copello disse che sul mare di Anzio erano stati recuperati il berretto e la borsa di carteggio di Faggioni. In un suo «Ricordo di Faggioni», lo scrittore e pilota Pagliano che gli fu amico scrisse di lui molte cose e tra l'altro ricordò quel periodo del novembre 1942 quando l'operazione «Torch» nell'Africa Settentrionale francese aveva fatto capire che la guerra era giunta ad una svolta decisiva: «Eravamo alla fine del '42. Con lo sbarco anglo-americano nei porti dell' Africa Settentrionale Francese e la conseguente creazione di una catena pressochè ininterrotta di basi aeree lungo la costa, l'attività degli aerosiluranti era divenuta quanto mai dura. Di volta in volta gli equipaggi si assottigliavano; Buscaglia era caduto nella rada di Bougie; ogni uscita ci costava la perdita di qualcuno. Il morale delle gente non poteva mancare di essere scosso. Avevo parlato con molti aerosiluranti e, incontrandomi con Faggioni, gli riferivo tutto quanto aveva formato oggetto delle mie osservazioni. «Faggioni ascoltava attento, perchè tutto quanto riguardava la sua specialità lo interessava. Alla fine, quando gli sembrò che dal complesso dei discorsi che mi erano stati fatti trasparissero soprattutto apprensioni e incertezze sulla continuazione di un'attività che si rivelava sempre più costosa, parlo lui. «Non aveva l'abitudine di giudicare gli altri e non mi fu mai dato di trovare un elemento così sereno. Neppure quella volta volle giudicare. Mi disse soltanto che secondo lui gli altri avevano ragione, ma che quando si ragiona troppo si finisce per concludere poco. "E dura, lo so. Ma sino a che ce la faccio, io continuo così" «Ricordo che mi si inumidirono gli occhi. Era già il periodo in cui, più o meno apertamente, si sentiva che qualcosa di molto triste stava maturando. Era già il periodo in cui la volontà di reazione si andava affievolendo, mentre sempre più palesi affioravano i dubbi e le incertezze. E quella frase, gettata lì, alla buona, con quel tanto di accento carrarese che la rendeva più spontanea, era come una frustata. La riferii a tutti; mi pareva una bandiera e un esempio». Faggioni continuò, come aveva promesso. Continuò anche quando ormai la guerra apparve irreparabilmente perduta. E nel momento in cui il governo italiano sanzionò la sconfitta, di fronte al troppo disinvolto cambio di posizione decise che era giusto e necessario continuare; perchè la volontà e l'energia di un soldato devono tendere solo a combattere. In questa sua azione Faggioni fu veramente una bandiera che sventolò alta sopra i contrasti e le disgrazie di quell'oscuro e triste periodo, fu un grido che risuonò forte ed entrò nelle coscienze e sollevò molti prostrati, che mosse animi sensibili e intrepidi. Sul suo esempio modellò un reparto di uomini coraggiosi che lo seguirono nel combattimento e infine, dopo la sua scomparsa, adottarono il suo motto: « …sino a che ce la faccio, io continuo così» Tratto da Carlo Faggioni e gli aerosiluranti italiani
  21. The Hunters is a 1958 feature film adapted from the novel The Hunters by James Salter. Lavishly produced by Dick Powell, it stars Robert Mitchum and Robert Wagner as two very different United States Air Force fighter pilots in the midst of the Korean War. It ranks as a particularly significant film for its period footage shot in widescreen and color on location in Japan and Korea.
  22. Dave97

    Ali Rosse

    ISBN:88-402-9354-X Ciao!
  23. Dave97

    Ali Rosse

    ALl ROSSE "Mai prima d' oggi c' e stato un libro come ,questo", scrive John W. R. Taylor nella sua prefazione a questa straordinaria rassegna fotografica dei velivoli che costituiscono l'attuale forza aerea dell'Unione Sovietica. Fin dall'entrata in funzione del primo quadrimotore, progettato e portato in yolo da Igor Sikorsky a San Pietroburgo nel 1913, gli ingegneri sovietici hanno prodotto una lunga serie di notevoli progetti, raramente apprezzati appieno in Occidente per la mancanza di illustrazioni adeguate. Oggi la glasnost ha cambiato la situazione, e inoltre in Unione Sovietica è sorta una nuova generazione di giovani fotografi altamente professionali e non più soggetti a pesanti restrizioni nel loro lavoro. Uno di essi, famoso per le sue riprese in volo, è Alexander Dzhus e in Ali rosse è riprodotto il meglio della sua produzione. Alcuni di questi aerei sono già noti in Occidente per aver partecipato a manifestazioni aeree internazionali, ma la loro bellezza è qui presentata per la prima volta in ogni dettaglio mediante eccezionali fotografie d'azione. Vi sono illustrati caccia come il MiG-23 Flogger, il MiG-29 Fulcrum, il Su-17 Fitter e il Su-27 Flanker; bombardieri come il Tu-160 Blackjack e inoltre aerei da trasporto ed elicotteri. Interamente illustrato a colori, Ali rosse è una rassegna esclusiva dell' arsenale aereo di una grande potenza mondiale. Mostrando la maggior parte degli aerei nel loro elemento naturale, l' aria, è un volume essenziale per tutti gli appassionati di aviazione.
  24. Dave97

    RE 2005 - Sagittario

    Il RE 2005 in Sicilia Il 2 luglio la 362a Sq. (quella che aveva in dotazione i RE 2005) venne trasferita in Sicilia (aeroporto di Catania-Sigonella) in previsione di un possibile sbarco alleato nell' isola ; sbarco che venne effettuato otto giorni più tardi. Per il breve periodo che la 362a rimase in Sicilia, pubblichiamo la testimonianza di un pilota della Squadriglia: Enrico Salvi: "La Guerra di Sicilia, per il RE 2005, durò solo quattro giorni, dal 10 al 13 Luglio 1943. Quel breve periodo servì a convincerci maggiormente che la macchina era all'altezza di contrapporsi, validamente, agli Spitfire ed ai P. 38 In quei quattro giorni fummo intensamente e caoticamente impiegati e l' efficienza ne risentì subendo un calo impressionante, anche perchè mancavano attrezzature, ricambi e non ci potevamo avvalere di nessuna organizzazione logistica. Ritengo che di organizzazioni logistiche non ce ne fossero sul campo; dopo intense ricerche riuscimmo a trovare un'inefficiente Sezione logistica in un paesino, sulle pendici dell' Etna. Gli specialisti si procurarono la benzina 100 ottani cercando in una catasta di fusti di carburanti vari che era posta ad un lato del campo. Per il mangiare ricevemmo, nel tardo pomeriggio del 10-7, una pagnotta con scatoletta e non ricordo altre distribuzioni nei giorni successivi, tanto che fummo costretti ad organizzare una cucina in Squadriglia, approvvigionandoci di viveri presso il deposito della Caserma Caronda (con un atto di forza nei riguardi del Maresciallo consegnatario) e con ortaggi che raccoglievamo nelle campagne, vicino all'aeroporto, che erano state abbandonate dai rispettivi coloni. Il RE 2005 era entrato sommessamente in esercizio, senza che ne fosse stato sufficientemente divulgato, il suo profilo, le sue caratteristiche, ai Reparti italiani e tedeschi. Il suo colore scuro a tinta unita e la sua sagoma, lo rendevano molto differente dagli altri velivoli che l'Italia aveva in linea. Tale trascuratezza determinò degli inconvenienti. Infatti, personalmente, potei constatarlo due volte. Il mattino dell' 11-7, al rientro da una missione, nelle vicinanze della nostra base di Catania, a bassa quota; quale capo di una formazione di quattro velivoli mi accorsi di due Me. 109 che stavano manovrando per mettersi in coda. Non conoscendo le loro intenzioni, e temendo fossero aggressive, virando in salita e battendo le ali cercai di sventare la loro iniziativa e di richiamare la loro attenzione in modo che, osservandoci meglio, si rendessero conto dei nostri distintivi, in special modo della croce sabauda che avevamo dipinta sul timone di direzione. Date le ottime caratteristiche di virate e di salita del RE 2005, a noi fu agevole mantenere i Me. 109 in posizione non pericolosa e sopra i 5000 metri, riuscimmo a distanziarli vistosamente; in quota li perdemmo di vista. Però, in quota, dovemmo usare l'ossigeno. Le nostre maschere non erano utilizzabili, perchè, non calzavano bene: eravamo costretti a mettere, in bocca, il tubo erogatore mentre, con la lingua, tenevamo rovesciato-aperto il coperchietto di protezione. Ad un certo punto, il gregario destro: S. Ten. Dilissano di Reggio Emilia, senza farmi nessun cenno, si portò verso sinistra passando, rasente, sotto il mio velivolo. Mi inclinai decisamente a sinistra per vederlo sbucare ma non lo vidi. lo ricercai a destra e quindi nuovamente a sinistra. Non riuscii a vederlo. Il S. Ten. Dilissano era scomparso. Attribuendo l'allontanamento ad un'anomalia della macchina ed essendo quasi sul campo di Catania; ritenni si fosse portato all'atterraggio. Del Dilissano non si ebbero mai notizie. Non riuscì neanche il suo disperato padre che, recatosi sul posto, girò dappertutto e interrogò tutti. Fu egli colpito d'anossia? Oppure, scendendo, è stato attaccato dai due Me. 109 che, rimasti più bassi, non se ne erano andati e continuavano a tenerci d' occhio ? Nelle prime ore del pomeriggio del 10-7 mi trovavo solo, a quota 6000 metri, sulle coste sud della Sicilia. Eravamo partiti in tre da Catania, ma i due gregari atterrarono per sopravvenute anomalie ai loro velivoli. Ad un certo punto scorsi un MC. 202 e, desiderando compagnia, cercai di accostarlo. Ma il 202 non mi consenti di avvicinarlo; tanto che dovetti desistere. A terra, al Ten. Ferrazzani, del 4° Stormo, pilota del MC. 202, chiesi per quale motivo non mi avesse permesso di affiancarlo. Egli, stupito di quella mia domanda, mi rispose che non mi aveva consentito di avvicinarmi perchè mi aveva scambiato per uno Spitfire. La mia gratitudine ed ammirazione, il RE 2005, se la procura in un accanitissimo combattimento che dovetti sostenere da solo, contro alcune formazioni di Spitfire IX. Nelle prime ore del pomeriggio del giorno 11-7, una formazione di cinque RE 2005 al comando del Cap. La Ferla ed articolata su due pattuglie, venne comandata a scortare dei bombardieri in picchiata RE 2002 che dovevano operare nel porto di Augusta a Siracusa. Quando giungemmo sulla località ci rendemmo conto che i bombardieri ed i G. 50 (Gruppo Sciaudone) di scorta erano già duramente impegnati con numerosi Spitfires IX. Il Cap. La Ferla, seguito dal Ten. Vaghi e dal M.llo Arduini, si gettò nella lotta. Io, con il mio giovanissimo gregario, Ten. Gigi Nitolia, che era al suo primo volo di guerra, li seguii. Però, guardandomi attorno, scorsi alcune pattuglie di Spitfires che, più alte di noi stavano sopraggiungendo. Interruppi la mia picchiata e puntai in alto verso gli Spitfires con l'intenzione di ostacolare il loro congiungimento con gli altri che stavano duramente impegnando i RE 2002 e i G. 50. Al Ten. Nitolia, data la sua inesperienza e soprattutto per il suo focoso entusiasmo, prima di partire, avevo ordinato di non staccarsi da me e di considerare quel volo come quelli che, in coppia, facevamo a Rimini, quando io era il suo istruttore, data che avevo avuto modo di rendermi conto, in quelle ventiquattro ore, quanta pericolosa ed onnipresente Fosse la caccia avversaria. Ma il Ten. Nitolia, vedendo che stavo abbandonando gli altri tre nostri colleghi, virando a destra in cabrata, forse pensando che volessi sottrarmi al combattimento, continuò la picchiata a sinistra. Lo vidi passare sotto di me ed allontanarsi all'inseguimento di uno Spitfire mentre sotto di me due avversari, sbucati improvvisamente, gli si erano messi in coda. Per un attimo pensai di correre in aiuto di Gigi, ma era troppo lontano, eppoi stavo per essere circondato da grappoli di velivoli che mi stavano piovendo addosso, dovetti pensare a difendermi. Guardando un' ultima volta quel piccolo RE 2005 dissi: Ciao Gigi, non ci vedremo più. E non ci siamo più visti. Di Nitolia non si seppe più nulla. Era stato tradito dalla sua foga e dal suo desiderio di voler combattere. Per me fu una sarabanda paurosa. Vedevo e sentivo aeroplani da tutte le parti. Un gran timore d'investire e d'essere investito, mi invase. Avevo una strana sicurezza di non essere colpito perchè stavo manovrando continuamente il mio RE 2005. Nessun tratto rettilineo, ma virate, cabrate, picchiate, rovesciamenti, John-Derry; in continuazione e repentinamente. E proprio allora che le qualità manovriere del mio aeroplano si rivelarono meravigliose e mi furono di aiuto essenziale. Non permisi a nessuno, dei numerosi Spitfires, di collimarmi. Nel corso di quell'eterna e logorante sarabanda la velocità del mio RE 2005 oscillava dai 240 ai 100 km/h ma anche a tale bassa velocità egli rispondeva, prontamente e fedelmente ai comandi. Dopo ... non so quanto tempo ... ma tanto, mi resi conto che la canea attorno a me stava gradatamente attenuandosi sino a non scorgere e sentire più nessuno. Sempre manovrando e virando guardai in coda e scorsi un' ostinata ogiva rossa, ad una ventina di metri che mi stava inseguendo. Continuai a virare stretto e quello Spitfire apri il fuoco. Non avevo mai sentito un crepitio cosi lacerante. Il rumore delle sue otto mitragliatrici, in azione, era talmente forte e rapido che sembrava quello prodotto dalla lacerazione di una robusta tela. Il suo tiro non mi preoccupò. Le nostre posizioni relative erano tali per cui secondo me i suoi proietili passavano a non meno di due-tre metri dalla mia coda. Ma quell'accidenti non mollava. Nella virata guadagnavo qualche grado rispetto a lui. Ma a me non interessava guadagnare, bastava non perdere, ma soprattutto volevo smetterla perchè ero sfinito. Considerando che quella situazione non si sarebbe risolta se non con la rinuncia di uno di noi, forse sino al termine dell'autonomia, sentendo che le mie deboli possibilità fisiche non mi avrebbero sostenuto ancora per molto, decisi di accorciare i tempi effettuando una manovra che il mio avversario non avrebbe potuto seguire dandomi, così la possibilità di sganciarmi. Mentre era in virata stretta, improvvisamente effettuai un violento tonneau e stoppai il mio velivolo nella posizione di partenza. Lo Spitfire, sorpreso, stava investendomi. Vidi il suo muso puntare la mia carlinga ad una distanza di quattro-cinque metri. Mi sentii perduto ed istintivamente mi contrassi attendendo l'inevitabile cozzo. Ma lo Spitfire partì in autorotazione. Era quello che volevo. Pensavo che quella manovra, non voluta, non si sarebbe arrestata tanto presto, consentendomi, così, la fuga. Mi sbagliavo. Avevo a che fare con un pilota che aveva l'assoluta padronanza della sua macchina. Egli effettuo la stessa mia manovra e stoppò il suo caccia nell'identica posizione che aveva prima. Eravamo di nuovo in virata ed egli era dietro di me. Mi sentii demoralizzato ed esausto. Sentivo che non sarei stato capace di continuare a pilotare il mio velivolo. Erano le 18 ed un sole splendido era ad una trentina di gradi sull'orizzonte, lo puntai e mi accasciai sui comandi. Il mio avversario immediatamente approfittò della mia rinuncia ed iniziò a colpirmi. Sentivo le sue armi in funzione e vedevo che la mia ala destra veniva vistosamente colpita. Sentii una forte esplosione in coda. Il mio stato era tale che desideravo una rapida soluzione. Anche la più tragica; ma che quella caccia al topo terminasse al più presto. Dopo il violento colpo in coda non sentii più sparare. Attesi ancora qualche secondo e mi decisi a guardare. Il mio amico era sempre li; ebbi l'impressione che la sua ogiva rossa fosse a non più di cinque metri dalla mia coda. Puntavo sempre il sole. Passò ancora del tempo e dietro c' era un silezio assoluto. Le forze, in parte mi erano tornate. Guardai in coda. Lo Spitfire non c'era! Come mai? Dove era andato? Perchè se n'era andato, abbandonandomi quando mi aveva in pugno? Non so rispondere. Attesi ancora qualche secondo e iniziai a planare verso il campo. Manovravo con dolcezza e con scarsa velocità in quanto non sapevo in quali condizioni fosse il longherone dell' ala destra che era stata ripetutamente colpita. Con gli specialisti controllai i danni riportati dal mio velivolo. Non erano gravi quelli all'ala, mentre, il colpo in coda, aveva prodotto degli squarci al rivestimento e tranciato delle ordinate per cui le riparazioni richiedevano tempo ed attrezzature. Circa la bassa velocità di sostentamento del RE 2005 dirò quanto mi accadde il pomeriggio del 12 luglio 1943. In formazione stavo effettuando una crociera sulla Sicilia; ad un certo punto sento che l'elica si porta a passo massimo. Si era guastato il comando e non mi fu possibile riportarla al passo voluto. Mi portai all'atterraggio. Però, mentre ero a pochi metri dal suolo ed allineato con la pista, da terra mi fecero segno di riattaccare perchè sul campo, c' era una squadra di bonifica. Dovetti riattaccare, ma con l' elica in quelle condizioni il motore non riuscì a sviluppare che una piccola parte della sua potenza. Non ricordo quanti giri, ma certamente erano molto pochi. La velocità era bassissima, neanche 150km/h ed aumentò di qualche chilometro quando retrassi carrello e flaps. Cosi galleggiando mi fu possibile effettuare il giro di campo e riportarmi all'atterraggio. Pur comandandomi una relativa calma, temevo fortemente di non riuscire ad effettuare quanto, invece, mi fu possibile con relativa facilità e sicurezza. La caccia avversaria ci dominava ed era talmente sicura della sua superiorità che sfacciatamente si portava sul nostro campo a mitragliare i velivoli che si portavano all'atterraggio. Il 12/7, dopo il mio rientro in campo con l' elica a passo massimo, il Ten. Vaghi, che faceva parte della formazione da me abbandonata, mentre era in planata ed allineato con la pista per atterrare, venne attaccato da uno Spitfires. La prima raffica non lo abbattè, ed egli, rendendosi conto di quanto stava avvenendo, riattaccò e virò per sottrarsi all'insidia. Ma per lui non c'era scampo. Era troppo basso (una ventina di metri dal suolo, scarsa velocità e còn il velivolo ritardato dal carrello e dai flaps che aveva estratti. Noi a terra trepidavamo per Vaghi ... quando, come un Falco sopraggiunse, con il suo RE 2005, il validissimo Ten. Torresi, un anconetano taciturno, ma abile e battagliero. Il duello fu breve ma di una tremenda drammaticità. Le pallottole fischiavano da tutte le parti. Ma a sparare erano le due 12,7 ed i tre cannoncini Mauser, da 20 mm del RE 2005. Noi, pur essendo stati protagonisti di vari duelli aerei, non avevamo avuto mai la possibilità di osservarli da spettatori perciò, per meglio guardare, avevamo finito per metterci allo scoperto e tifare per il nostro Torresi. Vaghi, e ne aveva ben donde, ne approfittò per portarsi all'atterraggio. L'abilissimo Torresi, con sorprendente rapidità riuscì a portarsi in coda dello Spitfires e ad abbatterlo con una precisa raffica delle sue cinque armi. Il pilota, un giovane neo-zelandese, si salvò con il paracadute, venne preso e condotto via dai tedeschi nonostante le nostre proteste che ne reclamavano il diritto di interrogarlo. Tratto da Dal RE 2002 al RE 2005 di Sergio Govi
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    World War II Aces

    Nato per Volare I circoli e le mense ufficiali dei campi dell'aviazione militare si assomigliavano tutti nell' atmosfera: quasi sempre vi regnava un'animazione che si poteva senz’altro chiamare chiasso. La mensa di Gadurrà non faceva eccezione, ma alla sera del 5 aprile 1941 l'irritazione di Buscaglia e l'avvilimento di Faggioni non lasciavano spazio alle chiacchiere, alle solite barzellette e agli scherzi piu o meno vivaci. Tutti cenarono in silenziosa fretta e ciò fu contro le regole che volevano una festa speciale ad ogni nuovo arrivo. Faggioni si fermò pochissimo, quel tanto da non passare per maleducato, l'ambiente gli pesava addosso e chiese di essere accompagnato all'alloggio nella palazzina requisita che distava un paio di chilometri dall'aeroporto. Qui potè andare a dormire, ma non dormì Gli tornavano alla mente le vicende di quella giornata. Il yolo era cominciato a Grottaglie, dallo stesso campo dov'era stato allievo ufficiale, e questo gli era sembrato di felice auspicio. Era un sentimento condiviso dai suoi compagni di volo: il secondo pilota Di Gennaro, il motorista Gaeta, il marconista Capaldi, l'armiere Baioni. Da Grottaglie a Rodi tre ore e quaranta minuti di volo tranquillo; era l'avvicinamento alla guerra, per la quale tutti su quell'aereo si sentivano preparati. Poi quel fatto li, l'imbardata, i visi dei compagni pallidi e allibiti. Possibile che tutto debba rovinare per un incidente? Eppure era un fatto veramente grave. Preparati alla guerra si, ma non a una brutta figura. E le parole dure del Comandante avevano un solo significato. Impossibile dormire. Cosa diranno ora Di Gennaro, Gaeta, Capaldi e Baioni? Volontari tutti, doppiamente volontari perchè prima aviatori e poi aerosiluranti. Avevano fiducia nel loro capo-equipaggio, e invece la manovra è stato un disastro; bisogna tentar di capire, forse ne aveva colpa la gamba del carrello o il freno o ci sarà stata una buca sulla pista, si dovrà controllare domani. Ci dev' essere una spiegazione a un fatto così enorme, mai successo dall'inizio della carriera. Sei anni di volo. Sei anni sono tanti per un giovane. Da quella mattina del 21 giugno 1935 all'aeroporto di Pisa; l'istruttore - tutti ricordano il primo istruttore - era il S.ten. pilota Scotti, un voletto intorno al campo - di ambientamento come si usa dire - appena un assaggio, e si era sentito subito nel suo elemento. Tutto era cominciato quando gli studenti del Regio Liceo-Ginnasio di Carrara erano stati condotti al teatro Animosi per ascoltare la conferenza di un ufficiale pilota di aviazione. Per questa era stata necessaria la scappata da casa dopo aver letto il bando d'arruolamenti per ufficiali piloti di complemento nella Regia Aeronautica. Il babbo non avrebbe mai dato il suo assenso. Carlo, che intanto era passato a Pisa e poi a Siena, mentre aveva il suo da fare al corso allievi ufficiali, riprese i libri di latino e di greco, di matematica e filosofia e di tutte le altre materie del liceo classico, per far contento il babbo e terminare gli studi. Doppio comando, giro di campo, doppio giro di campo, «decollo» che vuol dire finalmente solo in cielo, salita a 1000 metri, a 1500 metri, a 2000 metri di quota, rettangolo, serie di otto. Ebbe una licenza, diede gli esami al suo liceo di Carrara e fu promosso. Finalmente, in novembre il brevetto militare, l'aquila con la corona sul petto e il grado di Sottotenente Pilota. Ce l'aveva fatta! Che il brevetto militare fosse un quasi niente per un pilota lo capì arrivando al reparto. Era stato destinato all' 11° Gruppo da Bombardamento, 4a Squadriglia del Cap. Reinero. A Lonate Pozzlo gli allenamenti s'infittivano giorno dopo giorno e comportavano a volte sei e anche sette voli nella giornata, con l'istruttore o come solo pilota. Dopo qualche tempo, agli apparecchi da scuola si sostituirono i velivoli da bombardamento SM 81. Era veramente un'altra cosa. E’ meraviglioso dominare l'aereo, fare pattuglia di giorno e di notte, addestrarsi al tiro in caduta, al volo cieco in tendina, eseguire navigazioni su mare e su terra, fare esercitazioni di spezzamento e mitragliamento in picchiata. I sette mesi di lavoro intenso e senza soste ebbero il loro culmine in un raid del maggio 1936 da Lonate a Furbara e ritorno senza scalo, in formazione con tutta la squadriglia, per un'azione di bombardamento e mitragliamento sul poligono di Furbara. La navigazione duro 4 ore e 45 minuti e coprì oltre 1.200 chilometri a 5.000 metri di quota. Già era passato un anno. E poi il capitolo d'Africa. Quella si ch'era stata autentica vita di pilota! 45° Gruppo, 22a Squadriglia del Cap. De Geronimo. L'aeroporto era nuovo e bene attrezzato, si volava sulla «vacca» - il trimotore CA 133 -la lenta e fidata «Caprona» tuttofare dal profilo antiquato. La guerra in Etiopia era ufficialmente finita nel maggio con l'occupazione di Addis Abeba. In realtà era stato sconfitto e disperso il grosso dell'esercito abissino ma restava da occupare il paese e, mentre una parte delle nostre truppe stava rimpatriando, già cominciavano ad arrivare dall'Italia i primi gruppi di lavoratori civili per mettere mano alle molte cose da fare. Il reparto si spostò sulla base di Dire Daua per un primo ciclo operativo che allargo le sue azioni nella zona a nord di Addis Abeba, dove la strada tra Dessie e la capitale era fortemente minacciata: spezzonamenti, sorvoli a bassa quota, qualche raffica di mitragliatrice. Appoggio ai presidi di Debra Sina e Debra Brehan, ricognizioni sui monti Ancober e Ierer. Lui, pivello, dovette cominciare come secondo pilota; c'era tanto da imparare sull'altipiano, dove le condizioni atmosferiche cambiavano facilmente e i temporali si formavano improvvisi e violenti. Le grandi piogge avevano trasformato il campo in un pantano, ma la «Caprona» se la cavava in tutte le occasioni se il pilota la sapeva governare. Dopo una pausa, un secondo ciclo di operazioni molto più lungo e impegnativo, intrapreso questa volta come primo pilota capo equipaggio, in appoggio alla colonna Geloso che, finita la stagione delle piogge, riprendeva il compito di occupare la regione dei Galla e Sidama. La base del gruppo, comandato dal Magg. Ascensi, era prima a Iavello, poi a Imi, o Imei come dicono laggiù, o Hima come sta scritto sulle carte geografiche, in una zona squallida con un clima perfido. La malaria fiaccava il corpo e deprimeva lo spirito; alla mensa l'antipasto obbligatorio era una buona dose di chinino. Insetti, scorpioni, pulci , serpenti. Nessuna vegetazione intorno al campo. Vita primitiva e durissima sotto le tende con un calore d'inferno che si alternava a piogge torrenziali,pronti a decollare in qualsiasi momento anche con gli equipaggi dimezzati dalla malaria e dalla dissenteria: ricognizioni lungo le strade, inseguimento e spezzonamento di qualche nucleo di armati sulle montagne, trasporto materiali, rifornimento ai presidi, appoggio alle colonne avanzanti. Alla fine dei sei mesi di attività, di nuovo a Mogadiscio, tutti lieti del ritorno in un posto decente, tutti festeggiatissimi e assediati di domande. Quand'era tornato in Italia, sul libretto di volo stavano elencate più di duecento ore di volo di guerra, e altre novanta dei cosiddetti voli di pace cioè lontani dalle zone calde. Lo avevano ammesso alla Scuola di Applicazione delle Cascine per il passaggio nel servizio permanente effettivo. Proprio alla scuola delle Cascine le sue qualità di pilota avevano trovato i più ampi riconoscimenti da parte dei superiori e dei compagni di corso, quelle qualità che l'atterraggio a Rodi aveva cancellato. Alla Scuola Bombardamento di Aviano aveva fatto l'istruttore per quasi due anni di seguito. Da lui centinaia di allievi avevano imparato tutto quello che occorre sapere per stare in aria alla guida di un trimotore, e soprattutto a decollare e atterrare in qualsiasi aeroporto o striscia di terra senza scassare. Ad Aviano aveva incontrato per la prima volta il suo aereo, l'SM 79, ed era stato un amore a prima vista che l'aveva legato a quell'insieme di ferro e di legno dal profilo pacifico in terra, dalla grinta aggressiva in volo, non mezzo ubbidiente ma amico Fedele. Un amore che doveva durare fino in fondo. Nel periodo di Aviano era maturato l'evento più importante della sua vita. Ormai dalla tarda estate del 1939 la guerra, pur combattuta da altri, aveva fatto sentire la sua voce; nessuno poteva illudersi di lasciarla da parte, nel suo avvicinarsi c'era qualcosa di fatale che non poteva essere eluso. Chiese subito di essere assegnato a un reparto combattente, ma la sua domanda fu chiusa in un cassetto; risultarono tutti vani i suoi tentativi di smuovere il comandante della scuola, che non voleva privarsi di un istruttore di volo tanto capace. La battaglia per andare in un reparto operativo era durata sei mesi e alla fine aveva ottenuto di essere trasferito al Nucleo Addestramento Aerosiluranti di Gorizia. Ancora una volta s'era accorto che c'erano molte cose da imparare. L'aeroporto di Merna era un ambiente vivo di piloti entusiasti e smaniosi di attaccare subito col siluro una nave in combattimento. Invece bisognava applicarsi allo studio dei problemi dinamici del siluro in aria e in acqua, alla valutazione dell'angolo «beta» di attacco per far incontrare il siluro con la nave in movimento, eseguire in volo puntamenti in bianco dopo aver considerato velocità e rotta della nave, per finire con il lancio del siluro in esercitazione contro un bersaglio navigante. Il natante usato per le esercitazioni era la ormai declassata Regia Nave AUDACE, proprio quella che nel novembre 1918 aveva attraccato per prima a Trieste. L'addestramento era forzatamente affrettato perchè mancava il tempo, e lo Stato Maggiore aveva bisogno di personale da impiegare subito per colmare i vuoti e rinforzare le poche squadriglie già in azione. A fine marzo Faggioni aveva potuto scegliere il suo equipaggio: 2° pilota M.llo Pasquale Di Gennaro, motorista Serg.M. Nicola Gaeta, marconista 1 ° Av. Giovanni Capaldi, armiere 1 ° A v. Delio Baioni. E ora si trovava a Gadurrà su un letto che non dava pace, e il sonno non veniva. E domani? Tratto da Carlo Faggioni e gli aerosiluranti italiani
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