Vai al contenuto

Graziani

Membri
  • Numero contenuti

    1238
  • Iscritto il

  • Ultima visita

  • Giorni Vinti

    1

Tutti i contenuti di Graziani

  1. Graziani

    Nuova base francese

    La Francia avrà nel prossimo futuro una base militare permanente negli Emirati arabi!!!!
  2. Caso Litvinenko riesplode la tensione tra Mosca e Londra Londra sfida Mosca, ma questa volta è una questione di cultura, quella con la “C” maiuscola. Pur di difendere il proprio patrimonio culturale in terra russa - che è come ribadire l’importanza dell’identità nazionale soprattutto quando si è parte di una minoranza - il governo di Gordon Brown ha infatti deciso di ignorare l’ordine impartitogli da Mosca già alla fine del 2007, relativo alla chiusura delle due sedi del British Council di San Pietroburgo e Ekaterinburg. Ufficialmente il governo moscovita aveva spiegato la sua decisione accusando di irregolarità fiscali i due uffici dell’ente di cultura britannico. In realtà, il gesto non è stato che l’ultima ripicca di Putin nei confronti degli inglesi in seguito all’“affaire Lugovoi”, legato a sua volta all’omicidio dell’ex agente segreto Alexander Litvinenko, assassinato proprio a Londra e sulla cui morte sia i russi che i britannici hanno avviato un’inchiesta. Dopo la morte dell’ex spia, la tensione tra Mosca e Londra non era mai diminuita e i rapporti diplomatici erano riusciti a stemperarla soltanto provvisoriamente. Più volte i due Paesi si erano lanciati accuse reciproche, ma il caso è esploso nuovamente quando gli inglesi hanno incriminato l’uomo d’affari russo Alexander Lugovoi dell’omicidio di Litvinenko chiedendone l’estradizione. Il governo Putin si era rifiutato e il governo inglese aveva espulso dal paese quattro diplomatici. La Russia non era stata da meno e aveva ordinato la chiusura dei due uffici locali di cultura britannica a partire dal gennaio del 2008. Ordine al quale Gordon Brown - che già nelle settimane scorse aveva definito le due sedi «pienamente legittimate ad operare» - ha deciso di non sottostare mandando a lavorare i propri impiegati come sempre. Ieri il governo moscovita con una nota di protesta ufficiale ha definito il gesto «una provocazione», spiegando anche che i due uffici hanno praticamente continuato a fare il proprio lavoro cambiando solamente il nome e diventando rappresentanze del consolato britannico. Che i russi abbiano scoperto la manovra messa in atto per raggirare la messa al bando del British Council, non sembra turbare affatto l’esecutivo inglese. L’ambasciatore britannico a Mosca, sir Tony Brenton, ha infatti fatto capire chiaramente che i dipendenti continueranno ad operare come sempre e che ogni altro atto contro le loro sedi da parte russa sarà da considerare una violazione delle leggi internazionali. «Va inoltre tenuto conto - ha spiegato ieri l’ambasciatore dopo essere stato convocato dal vice ministro degli esteri russo Vladimir Titov - che esistono molti altri campi in cui i due paesi operano congiuntamente e bisogna stare attenti che questo problema non comprometta tutte le nostre collaborazioni».
  3. No Marvin ho semplicemente detto quello che penso, cartman ha detto la sua e basta, è inutile continuare si andrebbe off topic. Non ho sparato proprio niente e i cowboys sono dei gradassi!!!!!!!!!
  4. Graziani

    Forze speciali in azione

    23 marzo - 4 aprile 2007, Iran: quando il 23 marzo 2007 quindici militari della Royal Navy vengono fatti prigionieri dalla Marina iraniana, con l' accusa di aver sconfinato in acque sotto la giurisdizoine di Teheran, i servizi di sicurezza e le forze speciali britanniche vengono immediatamente messe al lavoro, in preparazione di un eventuale operazione di salvataggio ostaggi. Facendo uso della rete Echelon, esperti in lingua farsi appartenenti al G.C.H.Q. (Government Communications Headquarters) britannico intercettano tutte le comunicazioni in entrata ed in uscita dall' Iran. I telefoni cellulari di alti ufficiali della Guardia Rivoluzionaria vengono posti sotto controllo. Contemporaneamente, il National Reconnaissance Office (N.R.O.) e la National Security Agency (N.S.A.) statunitensi, forniscono immagini satellitari dell' area ove ha avuto luogo l' incidente. Mentre gli esperti inglesi ed americani cercano di prevedere le mosse del Presidente iraniano Ahmadinejad, due aerei spia Nimrod della Royal Airforce, iniziano a raccogliere informazioni nell' area. Al fine di risolvere la crisi, non viene scartata l' opzione di un' operazione di salvataggio ostaggi. Lo S.A.S. e lo Special Boat Service (S.B.S.) vengono incaricati di formulare un piano d' intervento. Entrambe le unita' hanno infatti uomini dispiegati nell' Iraq meridionale e sembra che un ufficiale del Counter Revolutionary Warfare Wing (C.R.W.) sia stato immediatamente inviato nell' area, onde pianificare una eventuale operazione di forza (il C.R.W. e' spesso chiamto ad assistere il M.I.6, Military Intelligence 6). Con l' aiuto della N.S.A. viene individuato il luogo ove i militari britannici sono tenuti prigionieri. Si tratta di un' installazione militare di massima sicurezza, ubicata fuori Teheran. Mentre sempre piu' operatori dello S.A.S. affluiscono nella citta' irachena di Bassora, il lavoro dei diplomatici continua incessante. Grazie alle informazioni raccolte dai servizi di sicurezza angloamericani, si viene a scoprire che il rilascio dei militari e' oramai prossimo e l' opzione di un raid viene quindi messa da parte. Il successivo 4 aprile, dopo dodici giorni di prigionia, i quindici marinai della Royal Navy vengono liberati da un Ahmadinejad convinto di aver realizzato un colpo ad effetto, atto a dipingerlo ancora di piu' quale "uomo forte" contro l' Occidente. Sono comunque diverse le fonti di intelligence a ritenere che il rapimento dei militari (avvenuto in acque irachene), sia servito a spostare l' attenzione dalle rotte attualmente battute dalle navi iraniane, onde aggirare l' imbargo imposto dalle Nazioni Unite.
  5. Graziani

    SPECIAL RECONNAISSANCE REGIMENT

    SPECIAL RECONNAISSANCE REGIMENT Nel luglio 2004, il quotidiano britannico "The Telegraph", ha rivelato la recente costituzione di un nuovo reggimento di forze speciali, specificamente ideato per l' infiltrazione all' interno dei gruppi terroristici mediorientali. Il nuovo Special Reconnaissance Regiment (S.R.R.), inserito all' interno del Directorate of Special Forces, lavorerà a stretto contatto con le altre unità di forze speciali del Regno Unito e con i servizi di sicurezza esteri, avendo quindi autorità per agire anche oltre i confini nazionali. I circa seicento operatori che lo compongono, avranno la responsabilità di gestire un network di agenti in grado di fornire informazioni accurate su probabili operazioni terroristiche ed i loro obiettivi. Un ufficiale del reggimento ha così semplificato il compito della nuova unità : "Lo scopo dello S.A.S. è quello di uccidere i terroristi. Il ruolo di questo nuovo reggimento sarà quello di raccogliere informazioni per rendere possibili queste uccisioni." Lo S.R.R. è comandato da un Tenente Colonnello proveniente dalle forze speciali, ed è di stanza ad Hereford. L' unità (pur essendo già attiva dal 6 aprile 2005) ha tenuto la propria parata inaugurale venerdì 2 settembre 2005 in una località segreta, dinnanzi al Defence Secretary John Reid. Lo S.R.R. è inserito all' interno del Directorate of Special Forces (D.S.F.). Ubicato nella Caserma Duke of York di Londra, il D.S.F. è stato voluto nel 1987 dal Ministry of Defense per dotare di un coordinamento le varie componenti per operazioni speciali britanniche. Il D.S.F. è diretto da un Generale del British Army (un Brigadier General, secondo l' ordinamento gerarchico dei Paesi anglofoni), il quale si occupa inoltre della definizione della dottrina d' impiego, dell' addestramento e dei programmi di approvigionamento degli equipaggiamenti per le forze per operazioni speciali. Lo stesso ricopre anche il compito di Comandante dello Special Air Service Group (S.A.S. Group) e di consigliere per lo Stato Maggiore e per il Governo in merito ai problemi inerenti le forze speciali. Ai vertici del D.S.F. troviamo quindi un Generale, il quale è assistito da un Vicecomandante proveniente dai Royal Marines ed esperto in operazioni speciali. Entrambi si avvalgono inoltre di uno Stato Maggiore. Oltre allo S.R.R., dal Directorate of Special Forces dipendono anche lo Special Air Service (S.A.S.), lo Special Boat Service (S.B.S.), il 602 Signal Troop e la 4/73 (Sphinx) SP Observation Post (OP) Battery. SELEZIONE E ADDESTRAMENTO I membri dello Special Reconnaissance Regiment (tanto uomini, quanto donne), verranno inizialmente selezionati tra il personale della Joint Communications Unit (Northern Ireland), una cellula informativa operante nell' Irlanda del Nord da oltre venti anni, formata dalla 14th Intelligence Company e dalla Force Research Unit (F.R.U.) ed affiancata nei propri compiti dallo S.A.S., dall' M.I.5 e dallo Special Branch. Successivamente si attingerà alle tre specialità delle forze armate, mentre una particolare attenzione verrà riservata ai candidati di origine mediorientale, di religione islamica o dalla fisionomia mediterranea, poiché in grado di meglio confondersi con l' ambiente all' interno del quale saranno chiamati ad operare. Sembra che anche gli uomini dello S.A.S., potranno essere di volta in volta assegnbati allo S.R.R. in qualità di augmentees. Il corso base (che vanta un attrito del 90% circa) prevede sei mesi di duro addestramento, incentrato sulla sorveglianza occulta, le comunicazioni, la guida di un' ampia gamma di veicoli, il primo soccorso ed il combattimento ravvicinato con numerose tipologie d' arma. Gli idonei saranno inviati presso la Armed Forces Language School di Beaconsfield (Buckinghamshire), per frequentare corsi di lingua arabica. "Questa nuova unità verrà impiegata primariamente per la raccolta di informazioni. Il lavoro sarà pericoloso come nell' Irlanda del Nord, e agli operatori verrà insegnato come difendersi. La minaccia dai gruppi terroristici irlandesi è molto minore oggi e, anche se manterremo una presenza nell' Ulster, è ora di impiegare i nostri uomini su base mondiale", ha dichiarato un ufficiale dello Special Reconnaissance Regiment. Specializzata nella sorveglianza di aree urbane e rurali, la Joint Communication Unit è stata in grado di allestire una rete informativa costituita da terroristi "doppiogiochisti" ("double agents" per i britannici). Gran parte dei successi dell' unità (che conta un elevato numero di decorati tra gli uomini e le donne che la compongono) risiede nell' utilizzo di dispositivi di sorveglianza elettronica e nel pedinamento ravvicinato dei sospetti, nonché nell' esecuzione di perquisizioni covert all' interno di specifici obiettivi. In più di una occasione, infatti, gli operatori della Joint Communication Unit sono stati in grado di inserire dei micro segnalatori all' interno delle armi rinvenute nei covi utilizzati dai terroristi, onde seguirne gli spostamenti. La quasi totalità delle operazioni effettuate dalla Joint Communications Unit sono ovviamente coperte da segreto, anche se è stato riconosciuto il suo coinvolgimento nell' operazione "JUDY" (1985), che porterà all' abbattimento di otto membri di un gruppo di fuoco dell' I.R.A., nel corso di un' imboscata pianificata dallo S.A.S. nell' enclave protestante di Loughall (nella contea di Tyrone) e che farà inoltre registrare la drammatica uccisione di un civile. La Joint Communications Unit è di nuovo in azione in occasione dell' operazione "FLAVIUS", condotta dallo S.A.S. presso Gibilterra nel marzo 1988. ATTIVITà OPERATIVE NOTE Lo Special Reconnaissance Regiment sarebbe già stato impiegato in Iraq ed Afghanistan, mentre sembra oramai certo il coinvolgimento dell' unità nell' operazione di sorveglianza che ha portato all' uccisione del cittadino Jean Charles de Menezes, alla stazione di Stockwell della metropolitana londinese. Lo S.R.R. è infatti parte della task force mista costituita da una cinquantina di elementi delle forze speciali britanniche, attivata a Londra all' indomani degli attentati del 7 luglio 2005. In tale quadro, lo S.R.R. si è visto assegnare compiti di sorveglianza nei confronti diversi elementi sospetti. Era il 22 luglio quando Menezes (di professione elettricista), viene avvistato mentre esce da un' abitazione posta sotto sorveglianza. L' uomo, scuro di carnagione e con sulle spalle uno zainetto, sembrerebbe corrispondere alla descrizione di due soggetti sospettati dei falliti attentati del giorno precedente (incluso Osman Hussain, catturato il 29 luglio 2005 a Roma dal N.O.C.S. della Polizia di Stato). Menezes viene quindi seguito da agenti in borghese per cinque minuti, prima di arrivare alla fermata di Tulse Hill, dove prende un autobus. Anche i poliziotti salgono sul mezzo dal quale, per motivi non chiari, Menezes scende qualche minuto dopo per poi salire sulla corsa successiva. Quando l' uomo giunge alla fermata della metropolitana di Stockwell, ha alle calcagna anche gli uomini dell' SO19, unità controterrorismo della Metropolitan Police. E' a questo punto che gli agenti intimano l' alt a Menezes, il quale (per paura di essere rispedito in Brasile a causa del proprio permesso di soggiorno scaduto da oramai due anni) si da alla fuga all' interno della stazione. E' questione di pochi attimi: gli agenti, credendolo un attentatore, lo raggiungono uccidendolo con otto colpi di arma da fuoco alla testa.
  6. Graziani

    DIEN BIEN PHU

    No dai non puoi dire così, un altro fatto determinante nelle sconfitte Francesi dopo la 1 guerra mondiale era l'anzianità dei comandanti, la maggior parte dei generali combattevano con le tattiche della guerra franco-prussiana
  7. Non voglio dire niente perchè altrimenti cominciamo un discorso storico molto complicato!!!!
  8. Graziani

    Marina Cinese

    Da quello che sò la Royal Navy è al secondo posto in termini di tonnellaggio!!!!
  9. Secondo dovremmo cominciare a staccare il cordone ombelicale dagli USA e pensare ad una grande Forza Armata EUROPEA in grado di dire la sua sempre e comunque. Essere alleati non significa essere servi del più "forte" anzi dovremmo unirci e far tornare con i piedi per terra quei cowboys!!! Se tu credi che gli americani sono intervenuti per liberare l'Europa nella seconda guerra mondiale per spirito di fratellanza ti sbagli di grosso, a loro interessava non perdere i mercati Europei!!!!!
  10. Graziani

    Nuovo arrivo

    Benvenuto!!!!!!!!!
  11. Graziani

    Marine Nationale

    Nel prossimo futuro la MARINE NATIONALE penso che lascerà alle spalle quella leggenda che dice che gli si scollano le navi, visto che si doterà di una flotta di tutto rispetto. Certo la Francia punta ancora molto sul numero delle unità rispetto alla qualità visto che le loro future rinascimento saranno inferiori alle nostre per dotazioni elettroniche però c'è da dire che loro avranno a disposizione 17 unità cariche di missili da crocera SCALP NAVAL. La nostra marina probabilmente sotto molti aspetti è tecnologicamente più avanzata!!!!!!! Non dimentichiamoci che la Francia può contare una presenza stabile in diverse parti del mondo; le due marine sono completamente diverse!!!!!
  12. Graziani

    DIEN BIEN PHU

    Bhè se gli americani hanno perso perchè non c'era la reale voglia di vincere il conflitto, i Francesi hanno perso perchè non c'erano le condizioni giuste.
  13. Graziani

    DIEN BIEN PHU

    No mi dispiace ma non sono daccordo sul fatto che i soldati Francesi siano stati degli incapaci, bisogna considerare le condizioni in cui la Francia versava in quel momento. Inoltre il terreno non facilitava di certo le cose, tanto che anche gli USA sono andati a casa da sconfitti. La battaglia si svolse a migliaia di kilometri dalla madrepatria e le condizioni logistiche francesi in quel momento non erano all'altezza della situazione. Comunque credo sia giusto onorare quei soldati caduti per l'onore della loro Nazione.
  14. Graziani

    DIEN BIEN PHU

    mmm...noooooooooooo!!
  15. Graziani

    Satelliti spia

    C'è anche un Echelon francese E' in funzione dagli anni 80 in Francia un sistema che assomiglia molto a Echelon, la rete di spionaggio delle telecomunicazioni sotto inchiesta negli Stati Uniti. Repubblica spiega il funzionamento di quello che è stato soprannominato "Frenchelon", secondo quanto riportato dal settimanale francese Nouvel Observateur. I servizi segreti potevano controllare ogni giorno migliaia di telefonate, e-mail, fax alla ricerca di informazioni politiche, militari, industriali. All'origine c'è una base nel Périgord, per intercettare le comunicazioni via radio. Poi negli anni 80 viene decisa la creazione di altri due centri d'ascolto, uno nella Guyana francese e l'altro nell'Oceano Indiano, nell'isola di Mayotte, entrambi gestiti insieme a Bnd, il controspionaggio tedesco. Un quarto centro è stato creato nei pressi di Parigi e altri due nasceranno in Nuova Caledonia. Insomma, allo stato attuale, i francesi possono ascoltare quasi tutte le comunicazioni che si svolgono sul pianeta, ad eccezione della Siberia settentrionale e di una parte del Pacifico.
  16. Graziani

    DIEN BIEN PHU

    Cinquant'anni fa a Dien Bien Phu i vietnamiti sconfissero la grandeur della Francia. Cinquant'anni fa, nel cuore dell'Asia, in un punto strategico del Tonchino settentrionale, sul territorio vietnamita ma a ridosso del Laos e a una certa distanza dal confine con la Cina, si svolse l'ultima battaglia antica dell'epoca moderna. Il suo nome mitico, Dien Bien Phu, tradotto alla lettera diventa burocratico. Dien in vietnamita significa grande, Bien frontiera, Phu è un capologuogo amministrativo. Dien Bien Phu vuol dunque dire Grande Centro Amministrativo di Frontiera. La battaglia, in quella località battezzata da mandarini senza fantasia e abitata da pacifici coltivatori d'oppio, durò cinquantasei giorni, tra metà marzo e i primi di maggio del 1954: e se non cambiò subito, direttamente, la storia del mondo, come altre battaglie rimaste nella memoria, essa annunciò, con un enorme spargimento di sangue e un altrettanto disperato coraggio da entrambe le parti, i mutamenti che nel mondo si sarebbero prodotti in un futuro non tanto lontano. I vietnamiti abbrviano il nome, non dicono Dien Bien Phu, ma Dien Bien: e così lo rendono più romantico: Grande Frontiera. I soldati francesi, che vi lasciarono tanti morti e vi subirono una sconfitta entrata nella storia, chiamavano Dien Bien Phu il «pitale», perché è una conca molto estesa, circondata da montagne rocciose e boscose. Le montagne in cui l'artiglieria vietnamita si interrò rendendosi invulnerabile ai tiri nemici, e agli attacchi aerei. La mattina del 7 maggio di mezzo secolo fa, il campo trincerato di Dien Bien Phu, arato dall'artiglieria, cosparso di cadaveri impastati di fango, di automezzi dilaniati, di armi pesanti e leggere sabotate dai vinti per non lasciarle intatte nelle mani dei vincitori, fu sommerso dai soldati vietnamiti del generale Vo Nguyen Giap. Uno di loro, calzato di sandali ricavati da vecchi pneumatici, spinse con la punta del mitra la porta del bunker in cui c'era il comando francese e si trovò davanti il generale di brigata Christian-Marie-Ferdinand de la Croix de Castries. Il più alto ufficiale di una guarnigione che il 13 marzo, giorno in cui era cominciata la battaglia, contava dodicimila uomini; e che due mesi dopo aveva meno di tremila combattenti; nonostante i quattro battaglioni di rinforzo, paracadutati nei rari momenti in cui il cielo si dischiudeva, consentendo agli aerei decollati da Hanoi, distante trecento chilometri, di infilarsi tra le nubi della precoce e imprevista stagione delle piogge. Molti erano morti e feriti, ma parte della guarnigione aveva disertato il campo di battaglia e si era rifugiato nelle vicinanze, rintanandosi sulle montagne e nei boschi. Numerose unità coloniali, nordafricane e indocinesi (vietnamite, laotiane, cambogiane e minoranze etniche della regione) non erano abbastanza motivate per partecipare a quel massacro e si erano trasformate in spauriti gruppi di spettatori, annidati sugli spalti di quel grande anfiteatro che è Dien Bien Phu. Ad alimentare i combattimenti erano stati soprattutto i legionari stranieri e i paracadutisti francesi, impegnati a salvare l'onore dell'Armée ma anche nella vana attesa di rinforzi via terra. Il generale sconfitto era in piedi, dritto, alto, impettito. Per ricevere i vincitori si era cambiata la camicia, aveva rimboccato le maniche fin sopra i gomiti, come usava nell'esercito francese in Indocina, e non aveva dimenticato di appuntare sul petto una striscia di mostrine. Tra le decorazioni risaltava quella rossa dell'Ordine della Legion d'Onore, del quale de Castries era "commandeur". Era come se in quel momento l'aristocratico ufficiale di cavalleria (con un castello baronale del XV secolo nei pressi di Montpellier) avesse alle sue spalle la lunga schiera di antenati in cui figuravano marescialli di Francia, ammiragli, luogotententi generali, e persino un ministro di Luigi XV. La sagoma asciutta, nervosa, rivelava il frequentatore di concorsi ippici internazionali (vincitore tra l'altro, undici anni prima, della coppa del mondo di salto in alto con un celebre cavallo. Vol au Vent). Era stato promosso da colonnello a generale nel corso della battaglia: e i suoi superiori di Hanoi gli avevano fatto lanciare col paracadute una bottiglia di champagne, sfortunatamente finita nelle trincee dei vietnamiti che l'avevano subito stappata e bevuta. E avevano poi ringraziato via radio. Accompagnando rannuncio con l'inno dei Partigiani francesi («Ami, entends-tu le cris sourd du pays qu'on enchaine?»), per ricordare a paracadutisti e legionari che in Indocina essi sono truppe d'occupazione come lo erano i tedeschi in Francia, durante la Seconda Guerra mondiale. Quel giorno di maggio, al momento della resa, de Castries accolse i vincitori tenendo alto il naso d'aquila che appuntiva il suo viso, e sforzandosi a sporgere il mento non troppo pronunciato. Era un suo atteggiamento nei momenti difficili, quando cercava di fingere l'indifferenza. Ma i testimoni raccontarono che la palpebra pesante, cui doveva l'abituale espressione tra l'assorto e lo sprezzante («da seduttore di garden party», secondo chi non lo prendeva troppo sul serio) era molto più abbassata del solito, quasi chiudeva il suo sguardo, come una saracinesca. Un sergente paracadutista, un francese, lo sentì gridare «non fucilatemi!» ai Viet Minh che nel frattempo si erano ammassati nel bunker e gli puntavano addosso le anni. Ma quelle parole, pronunciate col tono di una supplica, non si addicevano al personaggio: e ancor meno al tragico finale in cui era di rigore rispettare anche la forma, cioè il puntiglioso cerimoniale di una disfatta; dopo che l'onore militare era già stato ampiamente salvato dai combattenti sul campo; al punto da trasformare una sconfitta in una pagina di gloria, che neppure i vincitori contestano mezzo secolo dopo; anche perché il coraggio dei vinti amplifica quel loro storico successo. Gli storici della battaglia, compresi quelli più severi nel giudicare de Castries, e sono stati in tanti a non perdonargli la scarsa iniziativa come comandante, anzi l'inerzia, e il discutibile coraggio personale (durante la battaglia usciva di rado dal bunker, e pare facesse i bisogni nelle scatolette, per non esporsi nella latrina all'aperto), anche quegli storici hanno pensato che l'implorazione rivolta ai soldati vietnamiti dal generale fosse un'invenzione. Non rientrava, nonostante tutto, nello stile dell'aristocratico de Castries. Doveva dunque essere falsa. In preda a una forte emozione, il sergente testimone aveva senz'altro udito o riferito male. Ai Viet Minh in sandali, con le divise rappezzate, a brandelli, che gli spianavano contro i mitra, de Castries doveva aver detto, secondo i suoi modi abituali: "Banda di imbecilli, non mi sparerete mica addosso?" Questo era il suo stile, scrive Jules Roy, ex militare e scrittore di talento, nella sua appassionata ma spietata, e minuziosa, ricostruzione della battaglia, di cui mi servo come guida (La bataille de Dien Bien Phu, Union Generale d'Editions, Paris, 1964). La bandiera bianca stesa fuori del bunker è rimasta come una spina nel cuore dell'Armée. Fu de Castries a esporla? Alcuni pensano che furono i Viet Minh, i soldati di Giap. Nell'ultima conversazione via radio tra Hanoi e Dien Bien Phu, pochi minuti prima che i vietminh facessero irruzione nel bunker-comando, il generale Cogny, diretto superiore di de Castries, aveva detto a quest'ultimo che per l'onore militare francese era meglio non issare la bandiera bianca. Anche in questo caso ci fu un testimone diretto, un sergente della Legione Straniera che vide lo straccio bianco davanti alla porta di de Castries, quando ancora il campo non era invaso dai vincitori. Pure lui ebbe un abbaglio? Perché smarrirsi in questi infimi dettagli? Perché accanirsi sul generale sconfitto? Quanto pesano questi particolari nella storia di una grande battaglia di cinquant'anni fa? Si tratta di piccole, insignificanti spine. Cosa sono una frase poco dignitosa sulle labbra di un soldato e una bandiera bianca dopo una resistenzadi cinquantasei guiorni, con migliaia di morti e feriti? Dien Bien Phu fu una disfatta francese, ma anche una pagina militare onorevole, coraggiosa, nella storia dell'esercito francese. Nel ricordarla non si può tuttavia non scendere nei particolari perché quella fu una battaglia "all'antica", in cui l'onore aveva le sue regole. La forma contava. La battaglia fu carica di simboli. Di fronte al generale de Castries, e ai suoi superiori di Hanoi e di Saigon (e di Parigi), tutti usciti da celebri accademie militari e da sofisticate scuole di guerra, c'era un uomo di media statura, di poco più di quarant'anni, lento nei gesti, pesante , nell'andatura con una larga faccia che trasudava intelligenza e ironia; e con un paio di pantaloni che de Castries non avrebbe tollerato neppure addosso al suo giardiniere nel castello vicino a Montpellier, e con una casacca accollata, senza gradi e senza decorazioni. Insomma il generale di un esercito di contadini. Come Ho Chi Minh, lo «zio Ho», il capo dei Viet Minh, anche il generale Vo Nguyen Giap, comandante dell'esercito popolare, (che il prossimo primo settembre avrà novanta quattro anni), è nato nei grandi spazi sabbiosi del Centro Annam, vicino al mare, a An Xa, nella provincia di Quang Binh. Per vincere la battaglia di Dien BienPhu, Giap si era servito dell'arte della guerra imparata nelle foreste e nelle risaie del Viet Nam. I suoi studi erano stati di tutt'altra natura. All'università di Hanoi aveva frequentato disordinatamente corsi di legge e di filosofia. La sua passione era la storia. E nella storia aveva incontrato due maestri: Alessandro Magno e Napoleone. Dei quali aveva tratto insegnamenti che aveva poi adeguato alla sua realtà. Un altro suo ispiratore nell'arte della guerra era il Mao Tse Tung che non si accaniva contro i punti inespugnabili del nemico, che evitava le battaglie dall'esito incerto, che si sottraeva alla forza dell'avversario, e che sapeva mobilitare i contadini con parole d'ordine semplici, elementari, e cariche di passione. A Dien Bien Phu un esercito occidentale fu sconfitto da un esercito «indigeno». Allora venivano chiamati cosi, «indigeni», non senza disprezzo, gli abitanti delle colonie. Non era la prima disfatta del genere. A Adua (nel 1896), l'esercito italiano, comandato dal generale Baratieri, subì la stessa sorte. A sconfiggerlo furono i guerrieri etiopici di re Menelik. Dien Bien Phu fu la seconda sconfitta del genere. Non fu certo l'ultima. Anche se il vocabolario politico è poi cambiato. Dien Bien Phu accelerò l'agonia, ormai avanzata, dell'epoca coloniale. In quello stesso anno, in autunno, sarebbe cominciata la guerra d'Algeria, durante la quale i militari francesi sconfitti a Dien Blen Phu avrebbero cercato con ansia, con rabbia, una rivincita. Ma anche quella guerra si concluse con una sconfitta, cioè con l'indipendenza (nel 1962) dell'Algeria. Sui gebel nordafricani si ritrovarono molti ufficiali, in particolare i colonnelli Bigeard e Langlais, che a Dien Bien Phu non erano rimasti rintanati nei bunker come de Castries, ma che armi alla mano avevano reso difficile la vittoria del generale Giap. Di fronte, nelle file dei ribelli algerini, c'erano non pochi soldati che avevano combattuto ai loro ordini in Indocina. O che avevano rifiutato di partecipare al massacro di Dien Bien Phu e avevano assistito alla battaglia rintanati sulle montagne del grande anfiteatro. Guardando lo spettacolo avevano imparato come gli «indigeni» potevano sconfiggere un esercito occidentale. La scena della resa, nel bunker del generale de Castries, quel 7 maggio 1954, prefigura la scena del 30aprile 1975, a Saigon: quella in cui l'ambasciatore americano con la bandiera sotto il braccio sale su un elicottero, posato sul tetto dell'ambasciata, che subito s'invola, mentre i soldati di Giap, non più con i sandali di gomma logora ma con i carri armati, stanno per sommergere la capitale del Sud. I militari francesi, come quelli americani ventun anni dopo, pagarono gli errori commessi nel valutare gli avversari. Il generale Navarre, comandante delle truppe in Indocina, un ufficiale esperto nei servizi segreti, uno stratega astuto, pensava di attirare le truppe di Giap nella concadi Dien Bien Phu, di impegnarle in una battaglia e di distruggerle grazie all'aviazione e all'artiglieria. Aveva chiamato i fortini con nomi femminili: Isabelle, Eliane, Beatrice, Gabrielle.... E non si era preoccupato del fatto che quei fortini si trovassero in basso e lasciassero al nemico le alture circostanti. La superiorità dell'artiglieria e il controllo del cielo avrebbero trasformato i viet minh in facili e fragili bersagli. Il generale Navarre non aveva tenuto conto della stagione delle piogge, che chiuse spesso il cielo all'aviazione e rese difficili i rifornimenti della guarnigione, e aveva sottovalutato la capacità dei vietnamiti di trasportare l'artiglieria pesante e di interrarla nella roccia. Quando si accorse che le sue batterie sarebbero servite a poco, il colonnello Piroth, responsabile dell'artiglieria francese, si sparò un colpo di pistola. In quanto ai viveri per i soldati di Giap, che secondo Navarre non sarebbero arrivati in quantità sufficiente, viste le grandi di distanze, furono trasportati con bicilette fabbricate in Francia, a Saint Etienne o nelle officine Peugeot, e comperate di nascosto a Hanoi e a Saigon. Con una sola di quelle biciclette i vietminh trasportarono sino a trecento chili di riso. Gli americani, già impegnati in Corea nella lotta contro il comunismo, pensarono di soccorrere la guarnigione francese, con un'operazione aerea battezzata «Avvoltoio». Furono progettati bombardamenti tipo «Guemica», ossia simili a quelli che i tedeschi fecero in Spagna durante la guerra civile. Si pensò anche al lancio di qualche bomba atomica. Ma poi fu tutto rinviato alla futura guerra americana.
  17. Graziani

    Marine Nationale

    Concordo con picpus, la MARINE NATIONALE è una grande marina in grado di compiere determinate azioni sempre e comunque!!
  18. Graziani

    Ciao a tutti!

    Benvenuti!!!
  19. Graziani

    Crysis

    Il mio PC è un INTEL CORE2 DUO "Conroe" E6400 2,13GHZ DUAL Core, e come scheda video ho la SAPPHIRE ATI X1950PRO 256MB e 1GB di RAM però non sono sicuro che riesca a supportare questo gioco!
  20. Graziani

    Marine Nationale

    Comunque mi sembra che le future portaerei britanniche saranno predisposte per un eventuale dotazione di cavi d'arresto e catapulte!!! Ottima la scelta di dotarsi dell'F35B!!! I Francesi hanno il vantaggio di possedere una portaerei nucleare che li consente di effettuare operazioni per lungo e lungo tempo!!
  21. Complimenti a questo grande forum!!!! SIAMO I MIGLIORI VIVA AEREI MILITARI !!!!!!!
  22. Il ruolo del sommergibile nella odierna strategia
  23. MA MAGARI FOSSIMO I PRIMI!!!!!!!!! La RAF è decisamente superiore a qualsiasi aviazione Europea sotto ogni aspetto, l'Italia invece pur essendo decisamente inferiore credo che possa benissimo meritarsi il terzo posto dietro l'ARMEE de l'AIR. La potenza dell'aviazione tedesca è solo un lontano ricordo visto quale sarà il suo potenziale nell'immediato futuro!!
×
×
  • Crea Nuovo...