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La storia segreta dello spionaggio sottomarino
VittorioVeneto ha risposto a VittorioVeneto nella discussione Marina Militare
Sotto la direzione di Harlfinger, Bradley curò il montaggio di quaranta fotografie da mostrare ai più alti ufficiali della Marina e alla Casa Bianca. Il primo fu Beshany, al comando dei sottomarini. "La tecnologia americana è davvero sbalorditiva" pensò Beshany dando una prima occhiata alle foto "Velvet Fist". Subito dopo Harlfinger presentò le foto al presidente Johnson. Questi ne fu talmente impressionato che gli ufficiali della Naval Intelligence continuarono a congratularsi vicendevolmente per mesi. Richard Nixon divenne presidente nel gennaio del 1969. Poco tempo dopo squillò il telefono dell'ufficio di Bradley. Era Harlfinger. «Muovi le chiappe e vieni alla Casa Bianca. Portati le foto Velvet Fist".» Alexander Haig, allora vice di Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale di Nixon, voleva vedere le foto. Ne fu talmente impressionato che chiese di trattenerle personalmente in custodia. Braey chiamò Harlfinger in cerca di aiuto, distogliendolo da una riunione. «Haig vuole il materiale» spiegò, fregatene» gli rispose il capo del'intelligence. Anche se i suoi analisti si erano interessati a lungo a tutto quello che i sottomarini spia riuscivano regolarmente a raccogliere, in genere la CIA lasciava il controllo delle operazioni alla Marina. Ma a quel punto l'agenzia e il suo direttore, Richard Helms, si mostrarono improvvisamente interessati alle profondità oceaniche. Helms cominciò ad architettare un colpo di mano in perfetto stile CIA. Prima di tutto creò un nuovo livello burocratico, un ente di collegamento che avrebbe dovuto riunire le risorse della Naval Intelligence e della CIA. Sarebbe stato denominato National Underwater Reconnaissance Office (NURO). Lo staff del NURO doveva essere diviso equamente tra Marina e CIA. Ai massimi livelli lo fu. Il direttore era John Warner, nuovo segretario della Marina di Nixon. Bradley sarebbe stato direttore dello staff. A capo degli uomini della CIA c'era Carl Duckett, il suo vicedirettore per la scienza e la tecnologia. Ma la CIA assunse il controllo del NURO fin dal giorno della sua costituzione. Bradley potè destinare al nuovo ufficio solo poche persone: tutto il suo personale della sezione subacquea della Naval Intelligence ammontava a una dozzina di persone. Peggio ancora, a Bradley e a Craven apparve sempre più chiaro che la CIA non sapeva distinguere un sottomarino da una montagna subacquea. Il NURO estese un piano per recuperare il meglio di quanto si trovava a bordo del Golf sovietico. L'idea era di inviare minisommergibili a recuperare una testata nucleare, la cassaforte contenente i cifrari sovietici e le ricetrasmittenti del sommergibile, affinché la Marina potesse finalmente decifrare tutti i messaggi che aveva intercettato e raccolto. Avevano già dimostrato che era possibile aprire lo scafo del Golf senza distruggere nulla al suo interno. Si erano fatti prestare dall'Esercito alcuni esperti in demolizioni per provare la loro teoria. In una piscina piena d'acqua era stata posta una grande piastra d'acciaio a protezione di diversi oggetti fragili e infiammabili. Su una zona ristretta della piastra era stato applicato dell'esplosivo al plastico che era stato quindi fatto detonare. L'esplosione produsse una piccola apertura, bruciacchiando appena gli oggetti dietro la piastra. Era proprio quello che serviva: aprire un piccolo varco d'ingresso ed entrare. Il resto del Golf sarebbe stato lasciato alla sua tomba sul fondo. I militari avevano osservato per decine d'anni la costruzione di questi sommergibili in fotografie riprese dall'alto. La Naval Intelligence conosceva i Golf II fino ai singoli dadi e bulloni. I missili usati dai Golf per lanciare i loro carichi nucleari erano abbastanza primitivi, con portate di soli 1200 chilometri. Stati Uniti e Unione Sovietica avevano già progettato missili con portate di 2400 chilometri. Non valeva quindi la pena di tentare l'impresa impossibile di sollevare migliaia di tonnellate di congegni già antiquati dal fondo dell'oceano, senza contare che sarebbero occorsi anni per sviluppare le attrezzature da impiegare in un tentativo di recupero del genere. Carl Duckett e i suoi fedelissimi della CIA ascoltarono educatamente l'esposizione del piano ridotto. Ma quando tornarono con la loro risposta, Craven e Bradley restarono di sasso: la CIA insisteva per il recupero dell'intero sommergibile e intendeva costruire un'enorme nave gru per raggiungere il Golf e riportarlo alla superficie. Craven e Bradley non potevano crederci. Il Golf aveva con ogni probabilità urtato il fondale a duecento nodi, accelerando la sua velocità di ventun metri al secondo durante la discesa. Poteva sembrare intatto, ma probabilmente era fragile come un castello di sabbia. Se lo si fosse toccato con troppa forza si sarebbe disintegrato. Bradley poteva anche avere ragione, ma la CIA aveva il potere a Washington e di solito otteneva quello che voleva; anche se ciò che voleva era, secondo Harlfinger, pazzesco e impossibile. (L'ex direttore della CIA Richard M. Helms dice ora di non aver mai neppure sentito di una soluzione alternativa proposta da Bradley e Craven.) La CIA non era tuttavia sola nel suo entusiasmo: il capo delle operazioni navali, Thomas H. Moorer, amava i grandi, affascinanti progetti tecnologici e venne conquistato dal piano della CIA. C'era la possibilità di impadronirsi di un intero sommergibile e di vendicarsi dei sovietici per la cattura della Pueblo da parte dei nordcoreani. E poi non era convinto che il sistema di Bradley e Craven fosse in grado di recuperare tutti gli apparati più importanti del Golf. Alla fine il segretario della Difesa Melvin R. Laird diede l'approvazione finale al piano della CIA, pur ammettendo che «qualcuno pensava che si trattasse di un'idea balorda». Laird cercò anche di razionalizzare la cosa: la realizzazione di una nave per sollevare il Golf dal fondo del Pacifico avrebbe dato agli Stati Uniti la capacità di recuperare i propri sottomarini che fossero andati perduti. Laird si consultò con Howard Hughes, il riservato miliardario la cui società di navigazione fu ingaggiata dalla CIA per costruire la nave destinata a recuperare il Golf dal fondo dell'oceano. La nave sarebbe stata chiamata Glomar Explorer, mentre il tentativo avrebbe avuto il nome in codice Progetto Jennifer. Nixon approvò rapidamente il piano della CIA e Bradley e Craven furono lasciati in disparte a sussurrare il loro dissenso a se stessi e tra di loro. -
FUCILI A CANNA LISCIA I fucili a canna liscia, arma un tempo decisamente inusuale per i reparti militari europei, iniziarono ad apparire al Varignano, all'epoca del maggior contributo alla lotta contro il terrorismo, quando il Team TORRE era l'unico reparto antiterroristico realmente operativo. Queste armi si caratterizzano attualmente per la gamma di munizionamento disponibile (che include anche il "non letale" e il "meno che letale" e a gas, utilizzabili anche in ordine pubblico, nel caso italiano solo all'estero), per il forte fattore deterrente (che nel caso delle forze speciali ha poco significato) e per la capacità di funzionare, anche con munizionamento specifico, da "grimaldello" veloce per l'apertura delle porte. In questo caso si può agire direttamente sul sistema di chiusura, sia con munizionamento spezzato che con munizionamento con palla speciale, realizzata appositamente per rilasciare molta energia sulla porta senza proiettare munizionamento letale all'interno, dove magari si trovano ostaggi. In questo campo l'Italia ha realizzato molti validi prodotti, che si sono affermati anche all'estero. Il GOI ha utilizzato le armi della Franchi, come lo SPAS-12 e lo SPAS-15, quest'ultimo a funzionamento manuale o automatico, rivelatosi però un po' troppo delicato per impieghi in zone sabbiose. Il reparto si è dotato di Beretta 202, dalle dimensioni molto contenute, e del Beretta M-3, armi di sicuro affidamento, in grado di fornire un valido apporto in molte circostanze, per esempio quando vi è da abbattere una porta sbarrata in velocità. ARMI PER IMPIEGHI SPECIALI Anche nel settore delle armi per impieghi speciali, il GOI è sempre stato all'avanguardia, considerando anche le necessità particolari che ha da sempre. Intanto il reparto ha avuto da sempre la necessità di eliminare eventuali sentinelle avversarie. Il personale è ben addestrato all'impiego del pugnale ma l'operazione è nella realtà molto più complicata di quanto si vede sistematicamente nei film. Per un certo periodo si è lavorato intorno alle balestre, ma queste sono decisamente ingombranti e non possono certo essere utilizzate anche per un conflitto a fuoco. Per questo si è puntato sulle armi da fuoco silenziate. Il reparto fu il primo ad essere dotato di moderni silenziatori da pistola ma un deciso miglioramento lo si ebbe con l'adozione delle pistole mitragliatrici silenziate HK MP-5 della serie SD, con silenziatore integrato. Il GOI dispone sicuramente della versione SDI ma non è da escludere che abbia anche alcuni degli altri modelli disponibili. Questo tipo di arma ha avuto larga diffusione fra le forze speciali, resiste bene anche alla salsedine e non necessita di particolare manutenzione anche se viene immerso in acqua deve poi essere svuotato per riprendere la sua efficacia. Per questo viene trasportato in appositi contenitori stagni se utilizzato da subacquei. Il proiettile esce dal soppressore di rumore con velocità subsonica, pari a 285 m/sec, la qual cosa riduce la gittata effettiva. Arma tipica del reparto è invece la pistola subacquea HK P-11. Si tratta di una realizzazione presente (in modo riservato !) sul mercato dal 1976, in grado di sparare dardi, sia in aria che sott'acqua. In pratica si tratta di una impugnatura in cui trova alloggio il pacchetto intercambiabile con le batterie (stagne), su cui si può applicare un pacchetto contenente cinque dardi, in confezione ermetica. Esistono due modelli di dardi, uno per l'impiego subacqueo e l'altro per l'impiego in aria, quest'ultimo utilizzabile per l'eliminazione delle sentinelle. Esauriti i cinque dardi, tutto il pacchetto dev'essere sostituito, rimandan¬dolo alla casa costruttrice, con un importo non lieve. Si tratta dell'unica arma per impiego subacqueo occidentale conosciuta e ha avuto una buona diffusione a livello d'incursori navali. La pistola lancia dardi HKP-11 La pistola P-ll, utilizzabile anche sott'acqua, scomposta nelle sue parti essenziali, con il pacchetto di colpi per impiego subacqueo e quello per impiego in aria
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La storia segreta dello spionaggio sottomarino
VittorioVeneto ha risposto a VittorioVeneto nella discussione Marina Militare
Craven cominciò a cercare qualunque altro indizio che potesse precisare ulteriormente la posizione del Golf. Era convinto dell'esistenza di qualche altro segnale udibile dell'affondamento di un sommergibile; perciò contattò il capitano di vascello Joseph Kelly, il maggiore responsabile dell'ampliamento della rete SOSUS dei dispositivi per l'ascolto subacqueo che la marina aveva steso in tutti gli oceani. Il personale di Kelly controllò velocemente una serie di registrazioni SOSUS, cercando i segnali della morte: il terrore scomposto di un'implosione seguita da esplosioni minori che, tutte insieme, indicavano la discesa di un sommergibile verso il fondo dell'oceano. Ma gli uomini di Kelly non trovarono, nella loro ricerca, alcuna forte anomalia che potesse essere correlata a una potente implosione. Sui nastri di carta era però riportato un piccolo blip, un modesto picco che indicava un unico, forte schiocco. Era proprio nella zona dove Bradley riteneva fosse affondato il sommergibile sovietico. Che cosa sarebbe successo, pensava Craven, se il Golf si fosse allagato per qualche motivo prima di raggiungere la profondità di schiacciamento? Sarebbe sceso senza il secco, fragoroso e disastroso schianto implosivo dell'acciaio. La sua morte sarebbe stata molto più silenziosa. Craven doveva sapere quali suoni emette un sommergibile che affonda con i boccaporti aperti, pieno d'acqua dell'oceano, con le pressioni interna ed esterna pareggiate molto prima di raggiungere la profondità di schiacciamento. C'era un solo modo per saperlo. Craven e Bradley convinsero la Marina a sacrificare un sommergibile, affondandolo. L'affondamento sarebbe stato registrato. La Marina fornì un vecchio sommergibile diesel, un veterano probabilmente sfuggito a innumerevoli siluri giapponesi durante la Seconda guerra mondiale, fu semplicemente abbandonato in acqua, mentre i tecnici del SOSUS ne registravano la discesa. Morì in silenzio, proprio come si aspettavano Craven e Bradley. Ora, pensarono, se un sommergibile con tutti i boccaporti e i portelli stagni accuratamente spalancati era sceso in silenzio, un altro battello con uno dei portelli stagni chiuso dovrebbe affondare con un piccolo schiocco. Così, basandosi sui dati degli altri idrofoni che avevano rilevato lo schiocco, Kelly e Craven effettuarono la triangolazione di quella che ritenevano la posizione più probabile del Golf: 40 gradi di latitudine e 180 gradi di longitudine. Cioè a circa 2700 chilometri a nordovest delle Hawaii, dove il mare è profondo più di 5000 metri. Sottomarino sovietico classe Golf Beshany non era ancora convinto: pensava che avrebbero dovuto esserci delle implosioni. Anche il fatto che i sovietici cercassero da tutt'altra parte lo lasciava dubbioso. Ma non aveva altri argomenti, così diede l'autorizzazione e l'Halibut fu inviato nella zona indicata da Craven. Uscì in mare il 15 luglio, gli ordini tenuti nascosti all'equipaggio. Persino gli occupanti della Bat-Caverna ne sapevano poco. Per lo più si riteneva che stessero tornando a cercare il missile sovietico che non avevano trovato nella missione precedente. Quando il "pesce" fu lanciato all'esterno, di nuovo il grigio del sonar sostituì le immagini di una telecamera che si ostinava a non funzionare. Guardare chilometri di fondali passare monotonamente su un nastro continuo di carta faceva girare la testa. Gli occhi degli uomini bruciavano nel tentativo di mettere a fuoco le ombre che fossero parse estranee al fondo del Pacifico. I turni degli osservatori non duravano mai più di novanta minuti: con tempi più lunghi l'azzurro cielo della Bat-Caverna si animava di spettri grigi. Notte e giorno l'Halibut andava avanti e indietro. Mancavano ancora otto chilometri di mare per completare l'esplorazione della zona indicata da Craven, Bradley e Kelly. Forse le correnti avevano trascinato lontano il sommergibile sovietico prima che toccasse il fondo, cinque chilometri più in basso. Più o meno ogni sei giorni il "pesce" veniva recuperato a bordo per prelevare e sviluppare la pellicola fotografica. Si andò avanti così per settimane, ma ancora senza risultati. Poi quella situazione di incertezza svanì. L'Halibut con la sua caratteristica "Bat-Caverna" in primo piano «Comandante Moore, comandante Moore ! » Era il fotografo di bordo che si precipitava fuori della piccola camera oscura dell'Halibut: si era reso improvvisamente conto che quella volta l'oggetto della ricerca non era un missile. Era al tempo stesso sbalordito e sicuro di aver trovato quello che cercava. Era una fotografia perfetta della vela di un sommergibile. Il fotografo tremava tanto che Moore si chiese per un attimo se non stesse per avere un collasso. Era il primo successo dell' Halibut: avevano la fotografia della tomba d'acciaio di un centinaio di marinai sovietici. Moore ordinò di far scendere di nuovo il "pesce" fino al Punto ripreso nella fotografia della vela, fino a quel fondale di 5053 metri sul quale il Golf sovietico sembrava essere stato portato e posato con ogni cura. Il sonar e la fotocamera del "pesce" registravano tutto il possibile nella zona, raccogliendo nuove informazioni particolareggiate a ogni discesa. Proprio dietro la torre di comando del Golf c 'era uno squarcio di quasi un metro: doveva essere stato provocato da un'esplosione, probabilmente in superficie, stando al silenzio registrato dal SOSUS; forse era esploso l'idrogeno accumulatosi durante la carica delle batterie ad acido solforico da 450 tonnellate di quel sommergibile diesel. Il battello appariva sostanzialmente intatto, anche se gravemente danneggiato. Dalle foto si vedeva anche che alcuni piccoli boccaporti erano volati via, lasciando intravedere due silos per missili. Dentro il primo si vedeva un tubo contorto là dove un tempo una testata nucleare attendeva con calma il momento dell'olocausto. Nel secondo silo la testata era completamente andata. Il terzo silo era intatto. Bradley diede alle foto il nome in codice " Velvet Fist" (mano di velluto") per il modo delicato con cui furono carpite all'oceano. Tutti i milioni di dollari e tutte le ore di lavoro dedi cati all'Halibut avevano dato finalmente i loro frutti. Bradley portò il bottino direttamente al nuovo direttore della Naval intelligence, Frederick J. "Fritz" Harlfinger II, che aveva assunto l'incarico mentre l'Halibut era ancora in mare. Nella Defence Intelligence Agency quell'uomo era stato vicedirettore della raccolta: negli ambienti dello spionaggio era un modo educato per dire ladro. Lavorando con siriani e israeliani pochi anni prima, il suo gruppo era riuscito a impadronirsi di un caccia a reazione sovietico MIG. Durante il conflitto vietnamita portò al Pentagono un missile terra-aria sovietico. Il gruppo era anche riuscito a rubare ai russi un missile in Indonesia e il motore di un aereo precipitato nei dintorni di Berlino. Ma le foto " Velvet Fist " erano senza precedenti. Per quanto riguardava Harlfinger, la loro presentazione al presidente avrebbe costituito il modo migliore per iniziare un nuovo lavoro. CONTINUA -
Partito democratico / della libertà
VittorioVeneto ha risposto a VittorioVeneto nella discussione Discussioni a tema
Beh , dopo avere fatto 15 anni di politica in prima linea , avere presieduto 3 governi ,avere creato il più grande partito di destra Italiano , essere stato il protagonista indiscusso della seconda Repubblica ,mi pare naturale che la sua vita ( politica ) sia inesorabilmente destinata ad una discesa ... E chissà che non ce lo ritroveremo al Quirinale ! -
ARMI DI PRECISIONE In Italia il settore delle armi di precisione è sempre risultato carente e neppure l'esperienza maturata durante la I Guerra Mondiale, fu messa a frutto nei conflitti successivi. I tiratori di precisione costituiscono invece una risorsa molto importante, ancora maggiore per le forze speciali, per non parlare dei reparti che si occupano di antiterrorismo. Anche in questo settore gli incursori della Marina sono stati all'avanguardia, raggiungendo livelli d'eccellenza assoluta e fornendo l'addestramento alle unità italiane che stavano entrando in questo campo, fra cui anche quelli delle forze di polizia, incluso anche la Guardia di Finanza. Sono state anche sperimentate tecniche di tiro di precisione molto avanzate, nelle più svariate circostanze, per esempio da piattaforme assolutamente instabili come gli elicotteri. Per quanto riguarda i fucili di precisione utilizzati, all'inizio si ricorse a un'arma come l'HK G-3 SG/1, una versione accuratizzata e con ottica della celebre arma tedesca, molto diffusa in occidente, quando erano abbastanza scarse le proposte per i reparti militari. Si trattava sempre di un'arma derivata da un normale fucile d'assalto, con ciclo di fuoco automatico, per cui ci si indirizzò anche verso armi a ripetizione manuale, che garantiscono una precisione superiore. La scelta cadde prima sul Maser SP66 e poi sull'SP86, in 7,62x51 mm, sempre della medesima casa costruttrice, armi molto precise ma adatte soprattutto ad impieghi di polizia, in quanto, sia per architettura complessiva che per materiali utilizzati, non si adattano al rude impiego militare. Venne realizzato anche uno snodo particolare, con uno snodo sferico con ammortizzatore, da applicare all'apposito alloggio realizzato in corrispondenza dei portelli degli elicotteri, in modo da semplificare, seppur in modo relativo, il tiro, applicando al fucile anche un contenitore per la raccolta dei bossoli, onde evitare che rimbalzino in cabina. Un tiratore scelto protegge l’elisbarco di un team su di una piattaforma off-shore, nel corso di una esercitazione. Notare il sacchetto per la raccolta dei bossoli Ancora addestramento al tiro dall'elicottero mentre altri incursori prendono il controllo di una piattaforma off-shore Altra arma presente da tempo è il fucile di precisione silenziato realizzato dalla finlandese SAKO (oggi facente parte del Gruppo Beretta) SSR Mk.3, in 7,62x51 mm, con otturatore rotante e silenziatore integrato della Vaime. Disponibili sono anche i SAKO TRG-21, un'arma in 7,62x51 decisamente precisa, con ripetizione manuale e il classico otturatore rotante, in fase di acquisizione da parte dell'esercito, seppur nel più potente .338 Lapua Magnum. Tiratori di grande professionalità, gli uomini del GOI possono sfruttare al meglio armi eccellenti ma dall'utilizzo riservato solo a tiratori veramente d'elite, come gli Accuracy International AW in 7,62x51 mm, arma con la cassa realizzata da due semigusci in lega d'alluminio, robusti e indeformabili. Armi quindi precise ma che non temono lo stress derivanti dal trasporto in missione, incluse quelle delle forze speciali. Una serie di regolazioni, consente di adattare perfettamente l'arma all'esigenze del tiratore, contribuendo all'ottenimento di ottime rosate, sempre che l'operatore sappia sfruttare adeguatamente tutte queste potenzialità. Alla fine degli Anni '80, iniziarono ad essere realizzati i fucili di precisione di grosso calibro, in particolare quelli in .50 Pollici, vale a dire 12,7x99 mm. Presto nell'armeria del Varignano apparvero i Barret .50 LIGHT FIFTY Modello 82 A1, vale a dire la prima arma di questo tipo disponibile su larga scala. Si tratta di realizzazioni che possono essere utilizzate anche contro bersagli come velivoli ed elicotteri al parcheggio, veicoli blindati leggeri, posti comando e radio, bersagli al riparo di strutture murarie leggere e ponti di unità navali. Uno dei suoi colpi è in grado di bloccare il motore di un camion o far esplodere una mina da ormeggio in affioramento. Successivamente il reparto ha acquisito il paricalibro McMillan .50 M-87 R, arma con prestazioni balistiche superiori al predecessore e un peso ridotto da 12,9 kg a 9,5 kg, un fattore non trascurabile per le operazioni delle forze speciali. Armi di questo calibro, con il munizionamento speciale realizzato appositamente (all'inizio erano disponibili solo normali proiettili 12,7x99 per mitragliatrice), sono in grado d'ingaggiare bersagli fino a 2.000 metri di distanza, purché le condizioni ottiche lo permettano, dato che su distanze così alte molti fattori influiscono sul tiro. Un tiratore scelto appartenente al GOI, armato con un fucile di precisione pesante McMillan M-87 R, da 12,7x99 mm. Notare il modo accurato con cui sono mimetizzate arma e ottica
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La storia segreta dello spionaggio sottomarino
VittorioVeneto ha risposto a VittorioVeneto nella discussione Marina Militare
Quell'unico successo dell'Halibut convinse Craven che era ormai giunto il momento di cominciare a soddisfare l'elenco Sand Dollar. E alla Naval Intelligence nessuno era più ansioso di credergli del comandante James F. Bradley Jr. Bradley, quarantasei anni, aveva appena assunto l'incarico di migliore spia subacquea della Marina e, in quel periodo, si incontrava regolarmente con Craven nel suo appartamento, senza targa e insonorizzato, al quarto piano dell'Anello E del Pentagono. Una triplice serie di porte chiuse sbarrava il passo a chiunque. Bradley si occupava della preparazione delle missioni di intelligence per ogni sottomarino d'attacco della flotta nazionale. La prima vera missione dell'Halibut si svolse nel Pacifico alla ricerca di frammenti di missili sovietici prodottisi dai test , ma fu un insuccesso poichè il sommergibile rientrò a mani vuote. Ai primi d'aprile Moore , il comandante dell'Halibut , diresse il sottomarino verso casa. Tornava a mani vuote: non avevano trovato alcun missile. Mentre tutti festeggiavano il rientro, era in corso un mistero stupefacente. Almeno dodici navi sovietiche si erano dirette nel Pacifico navigando a bassa velocità e battendo rumorosamente l'oceano con i sonar attivi: ovviamente stavano cercando qualcosa. Divenne presto evidente che i sovietici stavano cercando qualcuno dei loro. Avevano perso un sommergibile. L'USS Barb (SSN-596) era appostato al largo del porto di Vladivostok quando era cominciata la ricerca affannosa. Bernard M."Bud" Kauderer, comandante del Barb, non aveva mai visto qualcosa del genere. Quattro o cinque sommergibili sovietici avevano preso precipitosamente il mare e avevano cominciato a battere l'oceano con i sonar attivi. Si immergevano, tornavano a quota periscopica e si immergevano di nuovo. I sovietici non facevano alcun tentativo di evitare la scoperta, nessun tentativo di nascondersi. Le loro urla riempivano l'etere, i messaggi non cifrati si intrecciavano disperati intorno a Vladivostok. «Charlie, Victor, Stella Rossa, rispondete.» «Stella Rossa, rispondete.» «Stella Rossa, rispondete, rispondete, rispondete.» A terra gli agenti dello spionaggio statunitense si riunivano attorno ai monitor dell'intercettazione elettronica e ascoltavano. Il Barb osservava, mantenendo il silenzio radio. Arrivò un messaggio urgente dal comando di terra: «Restate sul posto». Mentre il Barb e altre unità di sorveglianza statunitensi ascoltavano, era chiaro che i sovietici non avevano idea di dove cercare il loro sommergibile. A Washington, però, Bradley pensava che avrebbe potuto saperne qualcosa di più. Per qualche tempo l'Ufficio per le operazioni militari subacquee di Bradley aveva tenuto a lungo e inutilmente sotto controllo un oscuro gruppo di comunicazioni dei sommergibili sovietici, che l'intelligence statunitense non era mai riuscita a decifrare. I sovietici usavano trasmittenti sofisticate, che comprimevano le comunicazioni in brevi raffiche della durata di microsecondi. Bradley pensò che la chiave per trovare il sommergibile disperso fosse in queste raffiche indecifrabili di scariche. Gli ufficiali dell'intelligence avevano immaginato che quelle trasmissioni provenissero dai sottomarini missilistici sovietici in viaggio verso le zone di pattugliamento a portata di lancio dalle coste USA, o di ritorno dalle stesse. Gli Stati Uniti le avevano controllate e registrate utilizzando una serie di stazioni d'ascolto costruite con tecnologia tedesca: dozzine di antenne erano state piazzate strategicamente lungo la costa del Pacifico e in Alaska. Dopo qualche tempo non importò più molto il fatto che quelle raffiche non potessero essere decifrate. Si ottenevano lo stesso parecchie informazioni da quegli schiocchi e da quei sibili. Leggere differenze di frequenza distinguevano i diversi sottomarini; inoltre i sovietici erano così inquadrati che i loro sommergibili avevano creato un itinerario fisso, lungo il quale l'intelligence USA poteva seguire i loro spostamenti di 6400 chilometri dalla Kamcatka fino a una delle loro zone di pattugliamento principali, poste a 1200,1600 chilometri a nordovest delle Hawaii. Di solito i sommergibili trasmettevano una raffica quando passavano il limite del mare profondo, appena usciti dalla Kamcatka. Un'altra era trasmessa quando attraversavano la linea del cambiamento di data, a circa 3200 chilometri dall'Unione Sovietica e a 180 gradi di longitudine. Una terza segnalava il loro arrivo in postazione. Era come se dicessero: «Siamo partiti... Abbiamo superato i 180 gradi di longitudine... Siamo in postazione». I rapporti sulla situazione riprendevano quando i battelli rifacevano rotta per la Kamcatka e gli uomini di Bradley credevano quasi di sentire in quelle scariche le richieste dei sovietici per latte fresco, verdura fresca, vodka e donne. Il gruppo di Bradley cercò allora le registrazioni di quelle comunicazioni e trovò quasi subito quello che voleva: un sommergibile della classe Golf II (battelli diesel che si ponevano tra i primi sommergibili Zulù convertiti al trasporto dei missili e i nuovi sottomarini nucleari lanciamissili sovietici) aveva lasciato il porto il 24 febbraio 1968. Il battello aveva inviato i soliti segnali fino a metà percorso, poi le trasmissioni si erano interrotte. Non ci fu alcun messaggio di attraversamento dei 180 gradi di longitudine; nessuno che segnalasse l'abbandono delle acque profonde o che potesse essere ricostruito come una richiesta di latte o frutta o di qualsiasi altra cosa e che avrebbe segnalato un normale ritorno. Bradley trasmise immediatamente la notizia agli ammiragli di grado più elevato della Marina: i sovietici avevano effettivamente perduto un sommergibile, uno di quelli che trasportavano tre missili balistici. Egli riteneva che il battello fosse affondato tra l'ultima trasmissione a raffica e quella successiva, prevista ma mai giunta; comunque i sovietici non lo stavano cercando in prossimità della zona individuata da Bradley. E se gli Stati Uniti avessero potuto trovare il sommergibile Per primi? Là, in un unico posto, dovevano esserci missili sovietici, cifrari e una grande abbondanza di informazioni tecnologiche, e Bradley pensava di avere i mezzi per trovarli. Forse l'Halibut non era stato in grado di trovare i frammenti relativamente piccoli di un missile, ma un sommergibile costituiva un obiettivo molto più grande e adatto. I capitani di fregata Moore e Cook dell'Halibut furono convocati a Washington. Erano attesi dal contrammiraglio Philip A. Beshany, vicecapo delle operazioni navali per la guerra subacquea, da Craven e da Albert G. Beutler, supervisore ai lavori sull'Halibut. «Secondo alcune informazioni pervenuteci, pare che i sovietici abbiano perduto un sommergibile nel Pacifico» disse Beshany ai due uomini appena entrati. Poi fornì tutti i dettagli e la botta finale: l'Halibut avrebbe cercato il Golf sovietico. CONTINUA -
FUCILI D'ASSALTO Il fucile mitragliatore Bren non era molto adatto alle missioni del GOI e si andò alla ricerca di qualcosa di più confacente alle necessità, trovandolo nell'Armalite AR-10. Arma scaturita dal genio di Eugene Stoner, venne scelta nella versione Mk.4, con canna pesante e bipede, nella fattispecie prodotta su licenza in Olanda. Calibrata per il calibro NATO standard, vale a dire il 7,62x51 mm, adottava molte soluzioni interessanti. I caricatori erano da 20 proiettili e il peso superava di poco i 5 kg, una bella riduzione rispetto al predecessore. La cadenza di tiro pratica era di 80 colpi al minuto (700 quella teorica). Le linee complessive ricordavano il successivo e ben più conosciuto M-16, con il blocchetto d'alimentazione in sequenza con grilletto e impugnatura, maniglione da trasporto superiore (con leva d'armamento al suo interno), calcio fisso in materiali sintetici. Ma il mercato stava offrendo ulteriori novità e, nella seconda metà degli Anni '60, al Varignano giunsero i primi M-16, altra realizzazione di Stoner, calibrata per il nuovo (all'epoca) e rivoluzionario 5,56x45 mm, da utilizzare come fucile d'assalto. Uno dei principali vantaggi era dato dal fatto che sia l'arma che il munizionamento consentivano un congruo risparmio di peso, fattore estremamente importante per piccoli team che si devono muovere spesso a piedi. L'arma aveva un'ottima resistenza alla salsedine, pur presentando i problemi del primo modello (risolti con le successive evoluzioni Al, A2, A3 e A4, ancora in produzione). All'epoca sembrava proprio un'arma avveniristica, quasi un giocattolo, rispetto alle realizzazioni precedenti, ma molto efficace. A quest'arma si giunse anche perché erano iniziate le esercitazioni comuni con le forze armate statunitensi; all'inizio con i Berretti Verdi dato che i SEAL dell'US Navy non esistevano ancora. Gennaio 1993: schieramento del GOI al porto vecchio di Mogadiscio, durante la missione in Somalia. Nelle mani carabine SCP-70 Operatori in addestramento. Quello in primo piano impugna una carabina Colt M-4 con lanciagranate coassiale da 40 mm M-203, un 'arma utile in molte occasioni A cavallo del 1970, in casa Beretta si stava lavorando intorno a un nuovo fucile d'assalto, in calibro 5,56x45 mm. Nella prima metà di quel decennio, apparve la famiglia di armi AR-70, che comprendeva un fucile d'assalto (AR-70, appunto), una versione corta (SC-70) e anche un fucile mitragliatore (mai entrato in produzione), tutti con molte parti in comune. Non deve stupire che il GOI fu il primo a ricevere le armi di questa famiglia, in particolare AR-70 e SC-70, in pratica preferiti all'M-16.I nuovi fucili d'assalto andarono poi anche all'allora Battaglione SAN MARCO (dove sostituì i Beretta BM-59 ITAL in 7,62x51 mm) e furono scelti anche dall'Aeronautica Militare, mentre l'adozione da parte dell'Esercito fu (per motivi legati alla disponibilità di fondi), molto più lenta, concretizzandosi con la variante aggiornata AR-70/90. Il nuovo fucile d'assalto utilizzava, come la prima versione dell'M-16, una palla M193 da 3,56 grani. Successivamente tutto il munizionamento 5,56 NATO è stato realizzato per utilizzare, con un nuovo passo di rigatura, la più efficiente palla M109, sviluppata dalla FN belga, da 3,92 grani, dalla traiettoria più tesa e senza quei fenomeni destabilizzanti e di disintegrazione che la palla precedente faceva riscontrare quando, ad esempio, colpiva arbusti. Con il passare del tempo, i fucili d'assalto Beretta, con cui il reparto operò in Libano, pur robusti e affidabili, non rispondevano più a pieno alle moderne esigenze delle forze speciali, in particolare per quanto riguardava il peso. Alla fine degli Anni '80, giunse sicuramente un lotto di nuovi fucili d'assalto Heckler und Koch G-41, sempre in 5,56x45 mm. Quest'arma si caratterizzava, come tutte le realizzazioni HK dell'epoca, per un raffinato sistema di chiusura a rulli, che consente una precisione superiore rispetto ad altri sistemi. Inoltre dispone di una canna a sezione interna poligonale, con alcune interessanti caratteristiche. L'arma venne utilizzata di sicuro in Somalia, abbinata anche a un lanciagranate coassiale monocolo da 40 mm AK-79, sempre di produzione HK, con relativo sistema di mira supplementare. Non si giunse a un impiego più ampio, in quanto l'arma era ancora abbastanza pesante e il sistema di chiusura a rulli è sensibile alla polvere e all'ingestione di corpi estranei, proprio per la sua grande accuratezza di funzionamento (mentre i Kalashnikov meccanicamente sono tutt'altra cosa ma funzionano sempre). Pochi sanno che il GOI, nel suo vastissimo arsenale, dispone anche di fucili d'assalto GALIL in 5,56 mm, la cui meccanica, come è noto, deriva direttamente da quella dell'AKM, eccezionale come robustezza, semplicità e affidabilità meccanica, guarda caso utilizzato anche da altri reparti d'incursori, anche per la facilità con cui è possibile recuperare il munizionamento in tutti i teatri. Come arma lunga individuale, si cercava qualcosa di ancora migliore e lo si trovò nella carabina M-4, una delle infinite evoluzioni dell'M-4. Già esisteva da tempo la carabina Colt Modello 733 COMMANDO, con calcio colassabile (non ripiegabile in quanto la molla di recupero è posta posteriormente) ma la Modello 723 rappresenta veramente un'arma eccezionale. Meccanicamente deriva dall'M-16 A2 (con i miglioramenti relativi) e ha un peso di appena 2,54 kg (quindi veramente pochi), pur mantenendo eccezionali doti di robustezza e affidabilità, tanto da essere entrata in servizio in quasi tutte le migliori forze speciali della NATO. Un operatore protegge il movimento dei colleghi, impugnando una carabina M-4 con lanciagranate coassiale da 40 mm M-203. Gli incursori si allenano a sparare in tutte le fasi dinamiche Le carabine Colt M-4 (prodotte anche da altri costruttori, come la Bushmaster), possono essere muniti di molti tipi di accessori, utilizzando i sistemi di slitte integrate, applicabili sul dorso e intorno alla canna. In questo modo possono essere applicati (e sostituiti, a secondo delle necessità), vari tipi di accessori, fra cui, visori olografici di puntamento, ottiche diurne e notturne, puntatori laser, lanciagranate da 40 mm monocolo M-203 coassiali, torce a grande potenza e via proseguendo, garantendo il massimo della flessibilità. Le M-4 possono essere dotate anche di vari tipi di silenziatori, in genere di produzione statunitense, alcuni di grande efficacia. Oggi ne sono disponibili di ottimi, che possono utilizzare anche il munizionamento supersonico, con un livello d'abbattimento del suono molto elevato. Movimento rapido nella boscaglia, con carabina Colt M-4, con lanciagranate da 40 mm M-203
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La storia segreta dello spionaggio sottomarino
VittorioVeneto ha risposto a VittorioVeneto nella discussione Marina Militare
Visto da fuori non sembrava molto cambiato. La sua vela, imponente, era stata ulteriormente elevata per dare spazio ad altri alberi contenenti periscopi e antenne destinate a intercettare le comunicazioni da o verso le navi sovietiche eventualmente impegnate nella caccia. Sulla sommità della prua si trovava una piccola protuberanza, che chiunque avrebbe potuto prendere per una cupola di alloggiamento delle antenne sonar, anche se collocata nel posto sbagliato. In realtà la protuberanza era qualcosa che Craven chiamava un controllo di spinta e direzione. Si trattava di un congegno nato originariamente con uno scarabocchio sul retro di una busta, che faceva entrare nella prua dell'Halibut un flusso d'acqua poi espulso dalle fiancate, permettendo al battello di rimanere quasi immobile in equilibrio nell'acqua. In questo modo l'Halibut non solo era in grado di esplorare il fondo marino, ma poteva anche restare sospeso sopra gli oggetti, dando il tempo per studiarli e forse, un giorno, offrendo ai palombari la possibilità di scivolare all'esterno del sottomarino per procedere al recupero. All'interno l'Halibut era stato affettato, sventrato e fornito di strutture diverse da quelle di qualunque altro sottomarino. La gobba da dromedario in cui si apriva il portellone era stata trasformata in una caverna tecnologica, soprannominata "Bat-Caverna". Con le sue pareti d'acciaio inossidabile rivestite di pannelli grigi, marrone e azzurro cielo, l'antro misurava 8,5 metri in larghezza, 15,24 metri in lunghezza e 9,14 metri in altezza, ed era diviso in tre piani. Conteneva una camera oscura, una sala di analisi dei dati e una sala computer occupata da un computer enorme: l'Univac 24. Era una macchina gigantesca con grandi rulli di nastro magnetico e luci lampeggianti, che dava alla caverna quell'atmosfera fantascientifica alla quale si ispirava il suo nomignolo. I gioielli di Craven erano i "pesci" dell'Halibut, che egli sperava di far navigare alle massime profondità. Ciascuno pesava due tonnellate ed era lungo 3,6 metri: erano creature d'alluminio con lampeggiatori a batteria al posto degli occhi, baffi di elementi trainati del sonar e timoni e piani di prua al posto delle pinne. Progettati per essere trainati dalla base della Bat Caverna con parecchi chilometri di cavo, erano stati partoriti dalla Westinghouse Electric Company al prezzo di cinque milioni di dollari ciascuno. I lampeggiatori, progettati con tanta cura per il trasporto sul "pesce" e per illuminare il fondo del mare, funzionavano anche troppo bene: erano così luminosi da accecare le telecamere. Alla fine furono realizzate luci a intensità regolabile. Sfortunatamente il segnale video non riusciva ad arrivare fino alla fine del cavo coassiale che trainava i "pesci", uno alla volta. Perciò nelle prime missioni l'equipaggio dell'Halibut avrebbe dovuto arrangiarsi con le immagini sgranate del sonar che presentavano ombre, macchie luminose e sagome. L'equipaggio sarebbe stato in grado di mettere le mani su fotografie più nitide solo una volta ogni sei giorni, quando il grosso "pesce" sarebbe stato issato a bordo a poppa, portando le sue pellicole in superficie. In occasione di uno degli ultimi cicli di collaudi del pesce era previsto che un'unità di superficie sganciasse un oggetto nell'oceano. L'idea era di impiegare il "pesce" in una sorta di caccia. L'equipaggio dell'Halibut avrebbe dovuto identificare l'oggetto, che sarebbe rimasto celato alla vista del periscopio dentro una grande cassa. La cassa si sarebbe poi aperta in basso, lasciando cadere l'oggetto, non visto, sul fondo. Il giorno era giunto, il tempo era buono. l'Halibut e l'unità di superficie presero il mare. Sulla nave, una gru sollevò la cassa e la calò fuori bordo, fino a farla oscillare sul pelo dell'acqua; poi il fondo della cassa si aprì. Pochi attimi dopo la cattiva notizia arrivò sulle onde del collegamento radio nave-sottomarino: l'oggetto che la Marina si era tanto affannata a nascondere stava galleggiando. L'equipaggio della nave risollevò l'oggetto a bordo e cominciò ad avvolgerlo con un telo e con pesanti catene da ancora, in grande quantità, per poi rigettarlo fuori bordo. Subito dopo il Naval Investigative Service scattò in azione, inviando ufficiali a bordo per estorcere promesse di segretezza a tutti gli uomini della nave, che ormai sapevano esattamente quale fosse il carico segreto. A giudicare dalle dimensioni della cassa e dalla reazione degli investigatori, l'oggetto era stato probabilmente disegnato a somiglianza dell'ogiva di un missile. L'Halibut condusse le ricerche per alcuni giorni. A un certo punto una barra di controllo si inceppò alla base della camera del reattore dell'Halibut, spegnendolo e obbligando il battello a fare ricorso al motore diesel. Poi andò perduto uno dei pesci" dotati di fotocamere, che raggiunse sul fondale tutti i relitti militari segreti che avrebbe dovuto scoprire. Craven aveva già previsto qualche tipo di disastro con i "pesci": ne aveva ordinati sei esemplari, anche se l'Halibut era stato progettato Per portarne solo due alla volta. Per quanto lo riguardava, avevano perduto solo una specie di ruota di scorta, ma era una ruota estremamente costosa. Alla fine fu calato l'altro "pesce", che scattò le immagini attese dall'equipaggio. Più tardi, piuttosto soddisfatti, gli uomini dei progetti speciali fecero passare orgogliosamente una fotografia dell'oggetto delle loro ricerche per tutto il battello. Craven aveva appena registrato un grande successo, la prima indicazione che l'Halibut poteva realmente compiere tutto ciò per cui era stato ricostruito. L'Halibut aveva un enorme portello a bocca di squalo , che alla maggior parte dei sommergibilisti faceva venire in mente potenziali allagamenti , ma che a Craven fece intravedere enormi potenzialità -
Kosovo 1999. Le operazioni belliche di una guerra moderna
VittorioVeneto ha risposto a lender nella discussione Libri & Riviste Aeronautiche
Ahahaha , allora non sono l'unico a rimanere indietro coi libri ... Però Lender non capisco che vuoi dire , se lo leggi un pò di tempo ce lo dovrai pur perdere o no ? -
Ma non erano i motti di un tale Benito ?
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B-52
VittorioVeneto ha risposto a Damiano_Tomcatter nella discussione Bombardieri & Attacco al suolo
Vista dalla prospettiva del Polo si capisce al volo come fossero delle prove di "assedio" dell'unione sovietica ... -
PISTOLE MITRAGLIATRICI Nell'ambito del reparto, le pistole mitragliatrici, piccole, leggere, in grado di erogare una notevole potenza di fuoco, hanno sempre avuto una notevole importanza. Il GOI fu il primo reparto a ricevere, nei primissimi Anni '60, le nuove pistole mitragliatrici Beretta M-12, in calibro 9x19 mm, nella speciale versione dotata di spegnifiamma, in dotazione solo alla Marina Militare. Quest'arma, affidabile e compatta, divenne quella disponibile in maggior numero per un lungo periodo. Compatta, leggera, affidabile, potente (con anche un caricatore da 40 proiettili), facilmente controllabile durante il tiro a raffica, ha avuto una larga diffusione nel mondo, evolvendosi nella versione M-12 "S", con alcuni miglioramenti. Una pistola mitragliatrice Beretta M-12, appartenente al lotto originario per la Marina Militare, dotato di spegnifiamma. Notare i pulsanti della sicura e il selettore di tiro a traversino, poi sostituiti da un selettore unico sulla M-12 S Una pistola mitragliatrice Beretta M-12 S, scomposta nelle sue parti principali. Notare l'otturatore avvolgente rispetto alla canna All'epoca gli incursori si allenavano a colpire evitando, per quanto possibile, di far ricorso alle armi, in quanto la cosa avrebbe svelato inequivocabilmente la loro presenza. Però il reparto si rese conto che bisognava essere in grado di affrontare a distanze ridotte consistenti nuclei avversari, e la M-12 era l'arma ideale all'epoca. Il sistema di funzionamento è a massa battente, con la peculiarità di avere l'otturatore parzialmente telescopico rispetto alla canna, in modo da ridurre la lunghezza complessiva e di contrastare, seppur parzialmente, la tendenza dell'arma a spostarsi verso l'alto. Le parti metalliche dell'arma erano fosfatate, per aumentarne la resistenza alla corrosione, un fattore molto importante per chi opera spesso in mare o sott'acqua. La Beretta M-12 è stata l'arma tipica dell'incursore della Marina per lunghi anni, dimostrandosi sempre affidabile. Gli operatori imparavano ad utilizzarla in ogni circostanza, ottenendo eccellenti risultati durante il tiro. L'unico problema serio era la precisione intrinseca del sistema di sparo, in quanto il proiettile viene camerato al momento dello sparo. L'otturatore procede in avanti, prelevando il proiettile dall'apice del caricatore. Il movimento in avanti di tutto l'otturatore, provoca uno certo sbilanciamento che, inevitabilmente, riduce la precisione. Per sopperire a queste limitazioni, evidenti particolarmente in alcune circostanze, per esempio nell'intervento contro terroristi che tengono ostaggi (dove la precisione è fondamentale), alla fine degli Anni '70, furono introdotte in servizio le pistole mitragliatrici tedesche Heckler und Koch MP-5. Scelta azzeccata, dato che quest'arma è stata poi adottata da quasi tutte le forze speciali occidentali. Designata inizialmente HK-54, faceva parte del programma che portò alla realizzazione di tutta una famiglia di armi, come il fucile d'assalto HK G-3 e la mitragliatrice HK-21, caratterizzate, fra le altre cose, da un sistema di chiusura a rulli, meccanicamente molto preciso e affidabile. In effetti quest'arma si è affermata anche per la sua elevata precisione, che l'ha posta ai vertici della categoria. I tecnici tedeschi lavoravano alla realizzazione di un'intera famiglia di pistole mitragliatrici, di cui vari modelli sono presenti nell'armeria del GOI Fra questi voglia¬mo segnalare le armi della serie silenziata SD e la versione "compatta", vale a dire la MP-5 K ("Kurtz", corta), lunga appena 320 mm, con canna da 115 mm, priva completamente di calcio, quindi impegnativa da utilizzare e adatta solo a personale veramente esperto. Le MP-5 sono state dotate di numerosi accessori, fra cui torce per il tiro a grande potenza (come le Surefire, anche con filtri infrarossi) e vari sistemi di puntamento i Trijicon ACOG (che rendono possibile un tiro veloce molto preciso) e visori notturni ad intensificazione di luminescenza. Le pistole mitragliatrici della serie HK MP-5 SD hanno avuto una grande diffusione fra tutte le forze speciali, mostrando doti di affidabilità e robustezza Una pistola mitragliatrice silenziata HK MP-5 SD e, sotto, una MP-5 normale, con torcia coassiale e puntatore Aimpoint Coppia di operatori in immersione. Il secondo elemento impugna una pistola mitragliatrice HK MP-5 Due coppie d'incursori emergono dal mare in prossimità di una scogliera, impugnando carabine Beretta SCP-70, oggi utilizzate solo per l'addestramento
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La storia segreta dello spionaggio sottomarino
VittorioVeneto ha risposto a VittorioVeneto nella discussione Marina Militare
Craven fu incaricato di lavorare con una squadra messa insieme d'urgenza da un ammiraglio nel Pentagono. Un altro gruppo stava recandosi sul posto. Un bombardiere B-52 era entrato in collisione con un'aerocisterna durante un rifornimento in volo a 9000 metri di quota al largo della costa di Palomares, in Spagna, e aveva perso il suo carico di bombe atomiche. Tre delle quattro bombe erano state recuperate quasi immediatamente, ma la quarta era andata perduta e si presumeva fosse caduta sul fondo del Mediterraneo. Il presidente Lyndon Johnson sapeva che i sovietici stavano cercando la bomba e si rifiutò di dare credito alle assicurazioni della Marina, secondo la quale esistevano buone probabilità che nessuno dei due sarebbe mai riuscito a recuperarla. Quella in effetti era la convinzione di quasi tutte le persone impegnate nella ricerca della bomba; ma non di Craven. Craven convocò un gruppo di matematici e li mise a lavorare alla realizzazione di una mappa del fondo marino al largo di Palomares. La cosa sembrava abbastanza ragionevole,ma Craven intendeva usare la mappa per un tipo di analisi più simile a una scommessa sui cavalli che a qualunque cosa mai scritta in un manuale di ricerca e salvataggio della Marina. A mappa ultimata, Craven chiese a un gruppo di esperti di attività subacquee e salvataggio di scommettere, come se fossero a Las Vegas, sulla probabilità che ciascuno dei diversi scenari che descrivevano la perdita della bomba fosse preso in considerazione dal team di ricerca in Spagna. Ogni scenario Poneva l'arma in un luogo diverso. Quindi ogni possibile sito fu elaborato tramite una formula basata sulle quotazioni create dal giro di scommesse. I siti furono allora rilevati di nuovo, a metri o chilometri di distanza dai punti in cui la logica e la scienza acustica, da sole, li avrebbero localizzati. Craven si rifaceva al teorema di Bayes sulla probabilità soggettiva, una formula algebrica elaborata da Thomas Bayes, matematico nato nel 1760. In sintesi quel teorema dovrebbe quantificare il valore del presentimento, un fattore della conoscenza presente nelle persone a livello inconscio. Craven applicò quella teoria alla ricerca. La bomba era agganciata a due paracadute: raccolse scommesse sulle possibilità che se ne fossero aperti due, uno o nessuno. Ripetè lo stesso esercizio per ciascun possibile dettaglio dell'incidente. Il gruppo di matematici elaborò in forma scritta le possibili conclusioni della storia dell'incidente e raccolse le scommesse sulle conclusioni ritenute più probabili. Alla fine del giro di scommesse utilizzarono le quotazioni che ne risultavano per attribuire i quozienti di probabilità a parecchi possibili siti. Fecero quindi la mappa delle probabilità così ottenute e ne ricavarono il sito più probabile e alcuni altri possibili. Senza essersi mai messo per mare, il team a quel punto era convinto di sapere dove fosse la bomba: secondo i calcoli il sito più probabile si trovava lontano dalla zona di recupero delle altre tre bombe e molto lontano dalla zona in cui era caduta in mare la maggior parte dei frammenti dell'aereo. Peggio ancora se i calcoli di Craven si fossero rivelati esatti la bomba si sarebbe trovata in un profondo burrone, quindi pressoché irraggiungibile. A conferma di ciò un pescatore diceva di aver visto cadere la bomba in mare e ne indicò il punto preciso, che corrispondeva proprio a quel burrone del fondale. In mancanza di altre indicazioni, alla squadra nel Mediterraneo non restava altro da fare che organizzare una seria ricerca del burrone: cominciò pertanto a contattare ditte che avevano tentato di interessare la Marina ai loro sommergibili per le grandi profondità. Il Bureau of Ships accettò di finanziare il trasporto aereo di due sommergibili fino a Palomares: l'Aluminaut della Reynolds e l'Alvin della Woods Hole. DSV Alvin Dopo alcune settimane di tentativi infruttuosi, il presidente Johnson era furibondo: voleva sapere dove fosse la bomba e quando sarebbe stata recuperata. Per tutta risposta il presidente ebbe una copia dell'ultimo grafico del picco di probabilità elaborato da Craven e modificato per tenere conto delle settimane di ricerche senza esito. Johnson esplose alla vista delle curve e dei grafici di Craven: se le squadre di ricerca non gli avessero fornito una risposta immediata, il presidente avrebbe trovato scienziati capaci di farlo. Insistette perché fosse organizzato un altro gruppo con scienziati provenienti dalla Cornell e dal Massachusetts Institute of Technology. Il nuovo gruppo si riunì per un giorno intero e alla fine concluse che il piano di Craven era il migliore tra quelli a loro disposizione. Johnson non ebbe molto tempo per reagire. Quello stesso giorno, infatti, alla sua decima immersione l'equipaggio dell'Alvin avvistò un paracadute avvolto intorno a un oggetto cilindrico: si trovava a 777 metri di profondità, incagliato lungo un pendio inclinato di settanta gradi. L'Alvin aveva trovato la bomba H scomparsa proprio dove la situavano gli ultimi calcoli di Craven. Sarebbero occorse ancora parecchie settimane per recuperare la bomba. Dapprima l'Alvin tentò di agganciarla, ma la bomba ricadde e per tre settimane non fu possibile ritrovarla. Poi la Marina calò da un'unità di superficie un robot, un veicolo di recupero subacqueo controllato via cavo (CURV). Il 7 aprile 1996 ***il gruppo di recupero rischiò di perdere bomba e CURV: il robot non riuscì ad agganciare la bomba e per di più si aggrovigliò nel paracadute attaccato all'ordigno. La Marina, disperata, decise di agganciare insieme CURV e bomba, sperando che quel groviglio fosse abbastanza intricato da poterli portare entrambi in superficie. Non fu un recupero molto elegante, ma riuscì. La bomba recuperata Per Craven la cosa più importante era però la conferma della sua teoria: a quel punto era sicuro di poter compiere miracoli una volta ottenuto l'Halibut. Non dovette attendere a lungo: appena tre settimane dopo il recupero della bomba H, l'Halibut fu dichiarato pronto. CONTINUA ***Il testo riporta questa data che è ovviamente sbagliata , penso sia 1966 -
La storia segreta dello spionaggio sottomarino
VittorioVeneto ha risposto a VittorioVeneto nella discussione Marina Militare
Esatto , la CIA riuscì ad attrezzare una nave per recuperare sommergibili affondati a profondità pazzesche : La Glomar Explorer , ma non anticipiamo nulla , posterò a breve qualcosa anche su questa storia ... -
Contatore messaggi
VittorioVeneto ha risposto a butthead nella discussione INFO sito & segnalazione errori
Tieni presente che in Off-Topic i msg non vengono conteggiati ... -
Non ho trovato un topic apposito sul GOI , indi per cui mi "aggancio" qui ... ARMAMENTO Non è un segreto che il Gruppo Operativo Incursori possa contare su quella che è considerata la meglio fornita armeria italiana. Ci siamo stati e vi possiamo assicurare che vi si trova veramente di tutto e siamo certi che non ci è stata mostrata l'intera disponibilità. Praticamente nell'armeria si trovano tutti i modelli di armi disponibili in Italia (di produzione nazionale e straniera) più altre armi che è facile incontrare nei vari teatri operativi, come i fucili d'assalto della famiglia Kalashnikov ovviamente, in modo da saper utilizzare armi recuperate sul teatro d'operazioni, imparando a conoscerne anche la potenzialità effettiva, per esempio per quanto concerne il raggio di utilizzo. La Marina Militare ha sempre mantenuto piena autonomia e il GOI è stato sempre all'avanguardia, distinguendosi per l'adozione di varie armi. Per completare l'armamento, si ricorse a quanto era disponibile nei depositi. Come fucile mitragliatore fu scelto il britannico Bren in calibro originario, vale a dire .303. Come mitragliatrice pesante fu adottata l'ottima Breda 37, in 8 mm, affidabile e precisa ma non molto leggera. Nei primi anni dopo la sua costituzione, per la precisione nel 1956, oltre a normali Moschetti Automatici Beretta Mod.49 (con calcio in legno, evoluzione dei MAB del periodo bellico), il reparto poteva contare su pistole mitragliatrici M-3 Al GREASE GUN ("ingrassatore") in calibro .45, celebre per la sua affidabilità e la resistenza alla salsedine, disponibile anche nella versione silenziata, con un silenziatore della Sionic. La Beretta realizzò una pistola mitragliatrice su specifiche del reparto, vale a dire la Beretta Mod.4, in linea di principio un M.A.B. con calcio collassabile e baionetta ripiegabile sotto la canna. A quanto ci risulta fu il primo reparto militare a disporre di quest'arma e, forse, anche l'unico. Due incursori fuoriescono dall'acqua e aprono il fuoco con le loro HK MP-5. Notare l'acqua ancora presente in canna che viene nebulizzata all'atto dello sparo Alcune delle armi del GOI; dal basso verso l'alto: lanciagranate HK-69 Granatpistole, fucile d'assalto Beretta SC-90, carabina Colt M-4, fucile d'assalto Taas Galil, lanciarazzi controcarro Instalaza C-90, mitragliatrice FN Minimi Para, mitragliatrice leggera HK-21 e altre armi. Dal basso verso l'alto: pistola Beretta Mod.51 con caricatore da 20 proiettili, pistola mitragliatrice MP-5 K, pistola mitragliatrice HK MP-5, pistola mitragliatrice silenziata HK MP-5 SD, Beretta RS-202., Benelli M-3, HK-69 Granatpistole, TAAS Galil, Colt M-4. Ancora una panoramica di armi utilizzate dal GOI Dal basso verso l'alto: McMillan 87 R in 12,8x99 mm, tre modelli di Accuracy International con varie mimetizzazioni, mitragliatrice HK-21, FM Minimi Para, lanciarazzi Instalaza C-90 PISTOLE Praticamente con la costituzione del reparto, fu decisa l'adozione della pistola automatica Beretta Mod.51, in calibro 9x19, appena entrata in produzione, un'arma solida e affidabile, con un munizionamento più potente del 9 mm "Corto" della Beretta Mod.34, all'epoca arma standard delle Forze Armate italiane. Ricordiamo come già gli "NP" (Nuotatori Paracadutisti) della Regia Marina, avessero in dotazione prima dell'8 settembre, le Walther P-38 i 9x19 mm (unico reparto italiano), in quanto dotate di un munizionamento più potente e uniformato a quello delle pistole mitragliatrici, con evidenti vantaggi. La Beretta Mod.51, si rivelò arma indovinata, affidabile e robusta, tanto che diverse delle sue soluzioni, transitarono nelle successive pistole Beretta. Il GOI fu fra i pochissimi utilizzatori di un'arma poco conosciuta e difficile da utilizzare, come la Beretta Mod.51 A, con caricatore da 20 proiettili e selettore anche per il tiro a raffica, dotata di una impugnatura aggiuntiva anteriore. Si trattava di un'arma difficile da utilizzare, dato che aveva un'altissima cadenza di tiro (superiore ai 1.000 colpi al minuto), per cui risultava difficile da controllare. In tempi successivi, si evidenziò la necessità di poter disporre di pistole più moderne e il reparto fu fra i primi utilizzatori delle pistole appartenenti alla serie Modello 92, destinate a un grande successo commerciale. Dotate di caricatore bifilare da 15 proiettili in 9x19 mm, affidabile, consente una buona potenza di fuoco per un'arma da fianco. Da ricordare come tutti gli opera¬tori del GOI siano dotati di questo tipo di pistola, utilizzata anche come arma di scorta nel caso di malfunzionamento dell'arma principale. Le pistole mantengono la loro valenza come arma di scorta e quando si deve agire con precisione in spazi ristretti, come nelle attività per il recupero di ostaggi sequestrati da terroristi
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La storia segreta dello spionaggio sottomarino
VittorioVeneto ha risposto a VittorioVeneto nella discussione Marina Militare
Sull'onda del grande successo del suo programma Polaris, l'ammiraglio Red Raborn cominciò a pensare al futuro, studiando nuovi, ingegnosi modi di migliorare la deterrenza nucleare. Si rivolse perciò a colui che, tra i suoi uomini, era il sognatore: un giovane civile che pochi anni prima l'ammiraglio aveva tirato fuori dall'anonimato per nominarlo responsabile scientifico del programma Polaris: John P. Craven il quale ebbe l'incarico di controllare il lavoro di tutti coloro che si occupavano dello sviluppo dei sottomarini missilistici, per individuarne i problemi e trovare le soluzioni. Intanto la flotta sempre più numerosa di sottomarini nucleari e sommergibili diesel teneva sotto costante osservazione i sovietici e i loro lanci sperimentali di missili che, partendo da terra o da unità navali, erano di retti verso gli oceani. I sottomarini statunitensi seguivano anche la rapida espansione dei sottomarini nucleari sovietici, che avevano finalmente cominciato ad avventurarsi nell'Atlantico e nel Pacifico. La Marina sovietica stava cominciando a tradurre in atto i vecchi piani per diventare una forza d'altura. In questa situazione l'US Navy teneva quasi sempre almeno un sottomarino a sorvegliare il mare di Barents e due al largo dei porti sovietici sul Pacifico, dove ogni tanto si trovavano a dover evitare le bombe di profondità avversarie. Lo spionaggio subacqueo era diventato così importante che il capo delle Operazioni navali di Washington si era assunto la responsabilità di tutte le operazioni, la cui pianificazione avveniva presso il nuovo ufficio per la guerra speciale sottomarina, appositamente costituito nell'ambito dell'Office of Naval Intelligence. Così l'ufficiale della Naval Intelligence chiese a Craven un aiuto: un aiuto che avrebbe richiesto da parte sua l'impegno più grande che si fosse mai assunto. L'ufficiale passò a Craven un documento top secret, che era in effetti una lunghissima lista dei desideri preparata nel corso di parecchi anni dalla Naval Intelligence. Prima di Craven solo una decina di persone aveva potuto mettere le mani su quel documento. Sulla copertina erano stampigliate le parole "Operazione Sand Dollar". Dopodiché l'elenco proseguiva per pagine e pagine. C'erano i punti di impatto in mare dei missili balistici sovietici, controllati e annotati diligentemente dalle unità di superficie della Marina, dai radar dell'Aeronautica e dagli idrofoni sottomarini; c'erano le localizzazioni di aerei e altri mezzi militari sovietici osservati o uditi precipitare tra le onde. A soli pochi chilometri di distanza, cinque al massimo, giacevano i più gelosi segreti militari dell'URSS: il meglio di cui potevano disporre i russi nei campi dei sistemi di guida dei missili, della metallurgia e dell'ettronica. Erano tutti relitti ambitissimi, e tutti fuori portata, nessuna meraviglia che l'Unione Sovietica non tentasse neppure di sorvegliare il nascondiglio: nessuno avrebbe potuto immaginare un raid sottomarino attraverso costellazioni di plancton luminescente, fino alla più profonda oscurità degli abissi. Ma perchè pensavano gli ufficiali dell'intelligence, non utilizzare la comoda copertura dei veicoli di salvataggio a grande profondità per nascondere il tentativo di raggiungere gli oggetti elencati nel documento Sand Dollar? Era l'opportunità che Craven aveva sempre cercato, la possibilità di attingere ai suoi progetti più fantastici. Lo bloccava un solo fatto: non aveva alcuna idea su come realizzare quanto gli stava chiedendo l'ufficiale dell 'intelligence. Craven ebbe allora un'ispirazione improvvisa. «Senta, qui non abbiamo nulla che possa andar bene per le vostre operazioni perché devono essere mezzi che operano clandestinamente.» Un'altra inspirazione rapida e calò il suo asso: «Perciò non vale davvero la pena di impegnarsi nella Sand Dollar; a meno che non lo facciate da un sottomarino». Quell'idea, espressa d'impulso e quasi con disperazione,avrebbe dato il via all'avventura più audace di tutta la storia della Marina. Un vero sottomarino, tanto grande da poter sostenere la navigazione in alto mare, sarebbe stato attrezzato per restare sospeso negli strati superiori dell'oceano, facendo penzolare apparecchi di ripresa chilometri più in basso, a profondità sufficiente a esplorare il fondo dell'oceano alla ricerca dei tesori sovietici. Era un'idea geniale: compiere i tentativi da sotto la superficie, in modo da essere praticamente invisibili; in modo che i sovietici non potessero mai sapere che gli americani si aggiravano da quelle parti. Adesso a Craven mancava solo un sottomarino. John Craven con la moglie Dorothy, il figlio David e il segretario della Marina John Chaffee (a destra). All'epoca la flotta poteva contare su venti sottomarini nucleari d' attacco, più altri in costruzione. Ma gli ammiragli della Marina non intendevano rinunciare a un battello di prima linea per piazzarlo in mezzo all'oceano a tirare su e giù fotocamere. Se Craven voleva un sottomarino, avrebbe dovuto accontentarsi di uno dei due battelli nucleari della Marina rimasti a testimoniare il fallimento delle loro formule, che infatti non erano stati prodotti in serie. Uno era l'USS Seawolf, un battello dall'architettura confusa, con la prua a V di un cacciatorpedi niere e la sommità di un sottomarino, costruito per alloggiare un reattore a sodio liquido dal funzionamento irregolare e che venne subito sostituito. L'altro era l'USS Halibut, un battello dal passato più nobile, ma di breve durata. L'Halibut (SSGN-587) era stato l'unico sottomarino nucleare dotato di missili guidati Regulus e aveva compiuto sette missioni al largo delle coste so vietiche. Il programma si era però concluso verso la metà del 1964, quando la Marina cominciò a basare i sottomarini Polaris nel Pacifico. Una volta terminata l'era dei Regulus, nessuno seppe cosa fare dell'Halibut. Era una mostruosità marina, uno dei battelli meno idrodinamici dell'intera flotta nucleare e una delle realizzazioni esteticamente più ridicole di quante siano mai uscite dai cantieri navali. L'Halibut aveva un'enorme gobba, che sarebbe stata più adatta a una gigantesca creatura del deserto; per di più si spalancava con un grande portello a bocca di squalo, che faceva parte dell'hangar originale dei missili. In altri tempi, l'Halibut sarebbe stato probabilmente demolito senza clamori. Dopotutto questo battello non era solo brutto, ma soffriva di una malattia quasi fatale per i sottomarini: cacofonia idromeccanica. L'Halibut era rumoroso. I sommergibilisti udivano il frastuono, vedevano solo la possibilità di un allagamento quando guardavano quel portellone e rabbrividivano nell'ispezionare gli ingombranti serbatoi della zavorra, caverne spalancate progettate originariamente per consentire l'emersione rapida, il lancio di un missile e un'immersione ancora più rapida. Craven visitò il sottomarino che apparentemente nessuno riusciva ad amare e restò di sasso: ne indovinava le possibilità. Quando poi diede un'occhiata a quell'enorme bocca spalancata, tanto gli bastò per saltare letteralmente dalla gioia, come si conviene a ogni scienziato pazzo che si rispetti. In tutta la flotta nessun altro sottomarino aveva il portello più grande di 66 centimetri. Il portellone dell'Halibut misurava 6,70 metri. Era ormai stabilito: l'Halibut sarebbe stato il sottomarino di Craven. Avrebbe avuto settanta milioni di dollari per riempirlo di congegni elettronici, sonori, fotografici e video. La Marina manten ne la parola e nel febbraio 1965 l'Halibut giunse a Pearl Harbor per esservi riequipaggiato come battello per le ricerche oceanografiche. Più una smisurata omissione che una vera bugia, quella fu solo una delle molte storie di copertura che Craven avrebbe utilizzato. Craven avrebbe dovuto mettersi presto al lavoro sul progetto dei DSRV e anche su un veicolo da ricerca per le grandi profondità (DSSV). Secondo i piani, il DSSV avrebbe dovuto essere in grado di posarsi sui fondali dell'oceano alla profondità di 6000 metri e di raccogliere oggetti con un braccio meccanico. Sarebbe giunto in tutte le zone di recupero montato sulla sommità di un sottomarino. Sarebbero occorsi due anni per la ricostruzione e i collaudi dell'Halibut. Frattanto Craven era sempre più spesso convocato in qua lità di esperto delle profondità oceaniche interno della Marina Ma una convocazione fu diversa da tutte le altre. Avvenne un sabato mattina del gennaio 1966. «Le presento Jack Howard» gli disse un vicesegretario della Difesa responsabile delle questioni nucleari. «Ha perso una bomba H.» «Perché ha chiamato me?» chiese Craven. «L'ha persa in acqua e voglio che lei la ritrovi.» CONTINUA -
Forse ti sbagli con questa:
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La storia segreta dello spionaggio sottomarino
VittorioVeneto ha risposto a VittorioVeneto nella discussione Marina Militare
Con una serie di pop, un'ondata di piccole esplosioni scese intorno al Gudgeon. Il battello aveva tentato di cambiare ancora rotta, cercando di sfuggire alla cattura, e loro avevano reagito. I sovietici stavano sganciando in acqua piccole bombe di profondità, che producevano un rumore simile a quello delle bombe a mano. Quei suoni attraversavano lo scafo rimbombando. Il battello non aveva subito danni: il Gudgeon era in grado di reggere a quelle piccole esplosioni. Ma che cosa sarebbe successo se i sovietici si fossero spinti oltre, usando vere e proprie bombe di profondità? Bessac cominciò a impartire ordini per una nuova serie di manovre evasive. Nella camera di manovra gli uomini lavoravano sforzandosi di percepire i suoni provenienti dall'esterno del sommergibile. Altri ancora erano sdraiati nelle cuccette e ascoltavano, aspettando i tonfi delle esplosioni più potenti, che avrebbero significato la possibilità che il Gudgeon non tornasse mai più in superficie. I sovietici fecero un altro passaggio, poi un altro ancora, lanciando nelle profondità del mare i loro ping e le loro piccole bombe. A quel punto l'assedio durava da quasi tre ore. Bessac continuava a cercare uno strato di inversione termica, portando il sommergibile alla profondità massima di collaudo, circa 210 metri, poi anche più in basso. Non ebbe fortuna. Forse c'era uno strato a circa 260 metri di profondità. Il Gudgeon avrebbe dovuto essere in grado di reggere alla pressione del mare anche a circa trenta metri al di sotto della profondità massima di collaudo, e probabilmente Bessac avrebbe corso quel rischio. Ma c'era un altro problema, che impediva al comandante di tentare quella manovra estrema: quel giorno qualcosa era rimasto impigliato nel portello esterno dell'espulsore di rifiuti. Perciò a tenere fuori l'oceano era rimasto solo il portello interno dell'espulsore, un semplice pezzo d'acciaio. Anche a sesessanta metri di profondità, attraverso un foro da due centimetri e mezzo di diametro la pressione del mare avrebbe fatto entrare tanta acqua da superare le capacità di pompaggio del sommergibile, facendolo affondare. Se il pannello di copertura interno dell'espulsore fosse saltato alla profondità alla quale si trovava adesso il Gudgeon, il battello sarebbe stato perduto. Bessac tentò altre manovre evasive. Ordinò di usare i noise makers, dispositivi lanciabili all'esterno tramite il cannone di segnalazione della sala poppiera. Avevano la forma di bidoni lunghi quasi un metro. Una volta lanciati, reagivano emettendo in acqua una scia di bolle che disorientava i sonar: una specie di gigantesco effetto Alka-Seltzer. I sovietici non si lasciarono imbrogliare: risposero ai noise makers del Gudgeon con un'altra salva di piccole bombe lanciate in acqua. Il Gudgeon era ancora sotto attacco. Bessac si rivolse allora ai timonieri con un «Proviamoci», e cominciò a dare loro istruzioni per dirigere il sommergibile proprio verso il nemico, sperando che i sovietici non si aspettassero una mossa del genere. Non funzionò. E non funzionò quando diresse il battello a sinistra, poi a destra, poi ancora diritto davanti a sé. Ogni manovra evasiva riceveva come risposta una tempesta di esplosivi. A quel punto potevano esserci otto navi sopra di loro, e passavano tutte, a turno, sopra il Gudgeon. Gli operatori dei sonar controllavano per tutto il tempo i sovietici, mentre gli addetti alla direzione di tiro tenevano i siluri puntati. Ma per i sommergibili spia vigeva la politica generale di "non sparare": non sparare se non in risposta al fuoco. Fino a quel punto le piccole bombe non avevano lasciato il posto a esplosivi più potenti. L'assedio continuava: dodici ore, ventiquattro ore. Nessuno ricorda di aver visto Bessac, abbandonare la camera di manovra. Nel sommergibile gli uomini avevano fatto entrare ossigeno dai grandi serbatoi attaccati all'esterno dello scafo, due a prua e due a poppa. Ma l'aggiunta di ossigeno non poteva far nulla per ridurre i livelli di anidride carbonica e di monossido di carbonio, che crescevano pericolosamente. Quasi tutti avevano un forte mal di testa, qualcuno era sul punto di perdere i sensi. I sovietici tenevano in trappola il Gudgeon muovendosi avanti e indietro, di lato, diagonalmente, tracciando i raggi di una ruota formata dalle imbarcazioni nemiche. A ogni passaggio arrivavano i ping e poi gli esplosivi. Mercoledì 21 agosto: niente di nuovo. Mercoledì pomeriggio: niente di nuovo. Mercoledì prima serata: il Gudgeon era sotto assedio da quasi quarantotto ore e in immersione senza poter usare lo snorkel da quasi sessantaquattro ore. Bessac aveva riportato diligentemente sul giornale di bordo la distanza percorsa in quei due giorni: zero. Si doveva fare qualcosa, qualcosa di drastico. Coppedge cominciò a girare per tutto il battello, dicendo agli uomini che avrebbero dovuto tentare di usare lo snorkel, o, per dirla con le sue parole, tentare di "tenere il naso sollevato". Per quasi tutto l'assedio gli uomini erano rimasti in stato di allarme, ma a quel punto venne ordinato il "posti di combattimento". Dovevano avere aria fresca. Dovevano inviare un messaggio per richiedere aiuto. Dovevano rompere l'assedio o morire. «Stiamo per emergere» annunciò Bessac nella camera di manovra. «Appena giunti alla superficie, attivare lo snorkel.» Quando il Gudgeon raggiunse la superficie, gli uomini tentarono di azionare i comandi idraulici per alzare l'antenna radio. L'antenna non si mosse. Avrebbe dovuto sollevarsi con un bang, ma tutto quello che si udì fu un bump, seguito da un altro. Non appena lo snorkel del Gudgeon raggiunse la superficie, l'equipaggio avviò i motori. Il sommergibile prese una boccata d'aria, poi un'altra. Fu allora che una delle navi nemiche si mosse, dirigendosi con i motori al massimo direttamente contro il Gudgeon, come se volesse speronarlo, o almeno costringerlo a immergersi. I sovietici non avevano finito con quel sommergibile, non avrebbero permesso ai suoi uomini di pompare dentro aria e non gli avrebbero certamente consentito di chiamare aiuto. Qualcuno azionò l'allarme di collisione e Bessac ordinò l'immersione. I motori furono spenti e il Gudgeon si trovò di nuovo sott'acqua. L'equipaggio non aveva potuto trasmettere l'SOS. L'aria era viziata come prima. Bessac ordinò di portare il Gudgeon a centoventi metri di profondità, mentre meditava la sua prossima mossa. Si consultò con Coppedge, che aveva discusso con l'ufficiale tecnico delle condizioni delle batterie e con Doc Huntley, l'ufficiale medico, delle condizioni dell'aria e dell'equipaggio. A Bessac rimanevano poche scelte. Era ovvio che i suoi uomini non potevano sopravvivere ancora per molto tempo. Le batterie potevano resistere ancora otto ore circa, se il sommergibile non si fosse spostato molto, ma non sarebbe servito a nulla: il comandante sapeva di non disporre di potenza sufficiente per sfuggire agli inseguitori. In pochi attimi la decisione fu presa: il Gudgeon avrebbe tentato di nuovo di usare lo snorkel e probabilmente avrebbe dovuto emergere. Ma una cosa non sarebbe successa: non sarebbe stato abbordato; non sarebbe stato catturato. Il comandante e l'equipaggio sarebbero morti prima di permetterlo. Nessuno a bordo ebbe qualcosa in contrario. Bessac ordinò di aprire tutti i portelli dei siluri. Sapeva che i sovietici erano in grado di udirli e voleva mostrare loro che gli americani facevano sul serio. Fece quindi consegnare le pistole ad alcuni ufficiali. Frattanto le spie e gli uomini nella cabina radio dietro la camera di manovra, tutti quelli che maneggiavano qualsiasi tipo di cifrario o altri documenti segreti, cominciarono a metterlo in borse di cuoio sforacchiate e zavorrate con piombo. Alcuni documenti furono distrutti subito. Se i sovietici avessero tentato l'abbordaggio, quelle borse sarebbero state gettate dal boccaporto superiore e sarebbero scese sul fondo del mare del Giappone. Forse il Gudgeon avrebbe potuto fuggire se fosse riuscito a immergersi di più, se quel portello dell'espulsore dei rifiuti non si fosse inceppato. In ogni caso Bessac era stato battuto. Demoralizzato, diede l'ordine di emersione. Bessac voleva inviare un messaggio alla base USA in Giappone, ma durante l'emersione l'albero della radio si inceppò di nuovo. Appena lo snorkel uscì in superficie, Bessac ordinò di avviare tutti e tre i motori del Gudgeon, che entrarono in funzione emettendo gas di scarico sia nell'atmosfera viziata all'interno del sommergibile, sia all'esterno. A quel punto nessuno si curava dei gas di scarico; almeno non fino a quando lo snorkel continuò a risucchiare aria fresca e a soffiare via i peggiori veleni che gli uomini stavano respirando. Il sommergibile si trovava a quota periscopio, ed era chiaro che le navi sovietiche erano rimaste indietro; ma per quanto tempo ancora? Passò un minuto. Ne passarono due, poi cinque. Gli uomini non erano ancora riusciti a inviare il messaggio, ma il Gudgeon stava imbarcando aria fresca ed espelleva i gas di scarico. L'equipaggio si chiedeva se il CO avrebbe esaminato a fondo la situazione, se avrebbe dato l'ordine di emergere. Bessac stava facendo i suoi calcoli, valutando le possibilità fino all'ultimo minuto. Il Gudgeon avrebbe avuto bisogno di almeno altri venti minuti di snorkel per ripulire un minimo d'aria; nel frattempo non avrebbe neppure iniziato a caricare le batterie. Se avesse dovuto immergersi di nuovo, nella migliore delle ipotesi avrebbe potuto muoversi contando sull'energia delle batterie. Se fosse rimasto a quota snorkel avrebbe potuto destinare uno dei motori alla ricarica delle batterie, riuscendo comunque a muoversi un po' più velocemente. Ma solo in superficie il Gudgeon avrebbe potuto dirigersi verso il Giappone alla velocità massima di venti nodi. Era impossibile sapere se le navi sovietiche avrebbero attaccato ancora, ma a quella velocita e con un po' di vantaggio iniziale forse, solo forse, sarebbe riuscito a lasciarle indietro. Bessac prese la sola decisione possibile: ordinò ai suoi uomini di riemergere. Nessuno era stato ferito e nessun territorio era stato ceduto. Ma gli Stati Uniti avevano appena perso una battaglia decisiva. Per la prima volta nella guerra fredda sotto i mari, un sommergibile USA era stato costretto a capitolare, a uscire dal suo condiglio e a galleggiare vulnerabile sopra le onde. Dopodiché Bessac ordinò di trasmettere una tardiva richiesta di aiuto. Era inutile tentare ancora di nascondere la loro identità. Il messaggio non fu trasmesso in codice. Frattanto il comandante aveva cominciato a salire la lunga scaletta che portava dal portello della camera di manovra alla vela, su fino alla plancia scoperta. Dietro di lui salirono un ufficiale segnalatore e un marinaio addetto ai fonotelefoni, da usare per diffondere in tutto il battello gli ordini di Bessac, nel caso in cui i sovietici si fossero avvicinati con intenzioni bellicose. Se là sopra ci fosse stato un cacciatorpediniere, il Gudgeon non avrebbe avuto alcuna possibilità di cavarsela. Fuori era ancora giorno; gli uomini sulla plancia scoperta potevano vedere i sovietici. Sulla superficie del mare erano rimaste due, forse tre navi per la caccia ai sommergibili, tutte piuttosto piccole. I sovietici avevano ritirato le altre unità: non occorreva una folla per intrappolare un sommergibile con le batterie esaurite. I sovietici trasmisero "Able. Able": il codice Morse internazionale per "Chi siete? Identificatevi". II Gudgeon ritrasmise "Able. Able". I sovietici risposero "CCCP", la sigla russa per URSS. II Gudgeon ritrasmise, sempre in codice Morse internazionale, "USN. Stiamo andando in Giappone". Venne la risposta: l'ordine di rimettere in rotta il Gudgeon e di allontanarsi dalle acque sovietiche. Il segnalatore tradusse allegramente all'equipaggio: «Ci hanno detto "Grazie per l'esercitazione Asw"». Grazie per averci aiutati a fare pratica di guerra antisom. Sembrava fossero passate ore quando, a festeggiamenti già cominciati, gli aerei statunitensi sorvolarono il Gudgeon per controllare che tutto andasse bene su quel battello che correva sulla superficie, cercando di mettere la maggiore distanza dall'Unione Sovietica. Non ci furono festeggiamenti ufficiali per il ritorno del Gudgeon a Yokosuka, quando il battello entrò in porto lunedì 26 agosto. Alla base l'atmosfera era tetra: i sovietici avevano annunciato quel giorno di aver effettuato con successo il primo lancio sperimentale di un missile balistico intercontinentale (ICBM) basato a terra. Il tecnico radio che aveva trasmesso il messaggio di aiuto, fu promosso capo e trasferito immediatamente ad altro incarico. Si diceva che, da allora in poi, il comando dei sommergibili lo avesse obbligato a trasmettere i messaggi con la mano sinistra, temendo che il suo stile, una specie di firma, lasciasse capire a chiunque avesse intercettato le comunicazioni che c'era un sommergibile USA nei dintorni. Anche Bessac fu obbligato a lasciare il battello. Visto che era destinato al trasferimento dai battelli diesel a un posto nella Marina nucleare dell'ammiraglio Rickover già prima di quell'episodio, i suoi ordini non subirono variazioni. Quello che cambiò fu tuttavia il programma operativo del Gudgeon: la Marina annunciò frettolosamente che sarebbe stato il primo sommergibile al mondo a circumnavigare il globo. Era il modo migliore per tenerlo lontano dal Pacifico, dove ormai era ben noto ai sovietici, ed era il modo migliore per cercare di evitare che la storia si diffondesse per tutta la flotta subacquea. ________________________________________________________________________________ -
McDonnell Douglas/Boeing F-15 Eagle/Strike Eagle/Silent Eagle - discussione ufficiale
una discussione ha risposto a VittorioVeneto in Caccia
Ma che significa Gobbledegoo ? -
La storia segreta dello spionaggio sottomarino
VittorioVeneto ha risposto a VittorioVeneto nella discussione Marina Militare
Accadde lunedì 19 agosto 1957, un po' dopo le 17.00, ora della costa sovietica sul Pacifico. Il Gudgeon era in immersione da quasi dodici ore. Ci volevano due o tre ore di navigazione per giungere alla zona isolata dove avrebbe potuto far emergere lo snorkel, e molte altre per fare scorta d'aria fresca e di energia elettrica sufficienti ad affrontare la giornata successiva. Fu allora che, per un momento, il sommergibile sbandò su un lato. A dire il vero solo leggermente: il genere di ondeggiamento che avviene normalmente sotto la superficie con mare agitato. Ma nelle acque calme di Vladivostok quel tipo sbandamento era possibile solo se la vela fosse emersa prendendo il mare lungo. Quindi il Gudgeon cominciò a scendere. Anche in questo caso nulla di eccezionale: non si trattava di un'immersione rapida. Fu una manovra più lieve, con un angolo di discesa appena percettibile sotto i piedi dell'equipaggio. Improvvisamente suonò l'allarme. Non c'era nulla di impercettibile nell'ordine che echeggiava dagli altoparlanti: «Posti di combattimento!». L'albero delle contromisure elettroniche era rimasto sollevato troppo a lungo: era largo trenta centimetri e alto quarantacinque e l'ufficiale di coperta avrebbe dovuto abbassarlo nel momento in cui avesse individuato segnali radar indicanti la possibilità che i sovietici concentrassero le emissioni sul Gudgeon. Di solito quell'albero restava sollevato per quel tanto che bastava, diciamo per trenta secondi. Ma in quei viaggi presso le coste sovietiche era tenuto in emersione per un po' più di tempo, dato che gli erano state aggiunte, come rami, altre antenne per la raccolta di informazioni. L'ordine di ammainarlo era stato impartito troppo tardi, o i timoni di profondità del Gudgeon non erano stati azionati a dovere, magari lasciando in emersione l'albero e parte della vela. In ogni caso, qualunque cosa fosse rimasta al di sopra di quelle acque calme avrebbe reso fin troppo facile l'individuazione del Gudgeon, che in effetti fu scoperto. Le navi sovietiche stavano già facendo rotta su di lui quando Bessac cominciò urlare gli ordini per un'azione evasiva. Facendo immergere in profondità il battello cercava uno strato d'inversione termica: una massa d'acqua fredda che potesse nascondere il suo sommergibile riflettendo verso la superficie tutti i ping del sonar indirizzati verso il basso dalle navi sovrastanti. I sovietici avrebbero certamente utilizzato i sonar attivi, emettendo fasci sonori di estrema precisione per creare un quadro completo di ciò che si trovava sott'acqua. Non avevano alcun motivo di ascoltare con i sonar passivi, né di evitare i rumori. Non erano certo loro la preda. Trenta metri, sessanta metri... Bessac non trovava lo strato che avrebbe potuto nasconderlo. Novanta metri. L'equipaggio lo sentiva. "Ping... Ping... Ping... " Le ricerche sovietiche lanciavano brividi d'acciaio ad attraversare il Gudgeon e il suo equipaggio. Una nave era sulla loro verticale. Bessac cominciò a portare il sommergibile a maggiore profondità e all'esterno del limite delle dodici miglia marine. Molti dell'equipaggio erano convinti di essere riusciti a fuggire, ma i sovietici continuarono la caccia. In immersione e potendo contare sulle sole batterie, il Gudgeon non poteva lasciarli indietro; d'altra parte non poteva raggiungere una velocità superiore a pochi nodi. Nelle postazioni disposte a cerchio intorno al comandante c'erano gli ufficiali addetti alla direzione del tiro, che sedevano pronti a prendere la mira e a fare fuoco con le armi, se avessero ricevuto l'ordine, e i nocchieri, i navigatori che stavano alle carte e tracciavano i cambiamenti di rotta mentre il Gudgeon si muoveva per sfuggire agli inseguitori. Al di là di un portello stagno, appena fuori dalla camera di manovra, i tecnici del sonar sedevano nella loro cabina oscurata osservando gli schermi e provando a contare i suoni delle eliche. C'erano due navi lassù, poi se ne aggiunsero altre, tutte con l'intenzione di inchiodare il Gudgeon. Gli uomini cominciarono a rendersi conto della loro situazione. Le batterie del Gudgeon erano al basso livello tipico di fine giornata, l'aria all'interno era viziata, come sempre a fine giornata. E non c'era modo di azionare i motori diesel, ne di immettere aria fresca o di ricaricare le batterie, se Bessac non fosse riuscito a portare il Gudgeon abbastanza vicino alla superficie da sollevare il tubo dello snorkel, tenendolo sollevato fino a quando l'aria non fosse stata rinnovata. I livelli di anidride carbonica erano già tanto alti da provocare la nausea ad alcuni degli uomini; altri avevano mal di testa. Era il periodo del giorno peggiore per ogni sommergibile diesel e, in assoluto, il momento peggiore per essere intrappolati. Tutti gli equipaggiamenti non essenziali furono spenti per risparmiare energia elettrica e per ridurre i rumori. I frigoriferi spenti, le luci abbassate al livello d'emergenza: più una luminescenza che un'illuminazione. Ventilatori e sfiatatoi erano fermi. Bessac ordinò di passare al livello di allarme inferiore, consentendo a molti uomini di andare in cuccetta per risparmiare ossigeno. In alto, una nave inviava i suoi ping contro il Gudgeon, spingendolo verso un'altra nave, che a sua volta ripeteva l'attacco con il sonar. Ogni ping ricordava all'equipaggio che a bordo qualcuno aveva commesso un errore, un gravissimo errore. Arrivò una voce dagli addetti sonar: c'erano almeno quattro navi lassù, ora. Giunse quindi un'altra serie di ping, seguita da qualcos'altro; qualcosa di molto più terrificante ... CONTINUA -
La storia segreta dello spionaggio sottomarino
VittorioVeneto ha pubblicato una discussione in Marina Militare
"Per i sovietici i sommergibilisti americani erano una maledizione continua. Questo libro racconta la loro storia. Una delle ultime, grandi storie mai narrate della guerra fredda." Solo i presidenti e pochi altri sapevano dei sottomarini americani che dal dopogoerra fino a Clinton hanno sondato gli abissi per captare informazioni strategiche. Dopo anni di ricerche negli archivi militari americani, a caccia di documenti e di verità scottanti, la giornalista investigativa Sherry Sontag e il reporter Christopher Drew hanno riportato in superficie uno degli ultimi, grandi segreti della guerra fredda. Gli autori ci raccontano dettagli inediti sui sottomarini dotati di cariche esplosive per l'autodistruzione e inviati nelle acque sovietiche per intercettare le comunicazioni, sulle responsabilità per la perdita dell'USS Scarpion con il suo equipaggio, sulle interferenze della Cia nelle missioni più delicate. Pagina dopo pagina si delinea una grande epopea fatta di ingegno, coraggio e tensione, un'opera che si legge come un romanzo di spionaggio, ma con una sola, importante differenza: è tutto vero. Testi tratti da : "Immersione rapida" di S.Sontag e C.Drew L'USS Gudgeon (ss-567) entrò nel porto giapponese di Yokosuka domenica 21 luglio 1957. Era la sua ultima tappa, il luogo dove l'equipaggio, proveniente da Pearl Harbor e da San Diego, avrebbe potuto completare i preparativi per avvicinarsi segretamente alle coste sovietiche. Sarebbero tornati a Yokosuka alla fine della missione, per festeggiare, riposarsi e prepararsi a prendere nuovamente il mare. Questo porto era diventato la base principale dei sommergibili spia nel Pacifico. A meno che non scoppiasse una guerra, la sorveglianza avrebbe rappresentato la missione più importante dei sommergibilisti, la loro ragion d'essere, il modo migliore per raccogliere informazioni sulla crescita della forza navale sovietica che si stava spiegando allora in tutto il suo vigore. I sommergibili spia avevano già riportato la notizia che i cantieri sovietici stavano sfornando grandi quantità di nuovi sommergibili a lungo raggio, compresi più di 250 battelli di classe Whiskey e Zulù, dotati di snorkel. L'alto comando sovietico aveva lasciato capire chiaramente la sua intenzione di sfidare L'Us Navy in mare aperto, utilizzando i sommergibili come arma principale. Gli Stati Uniti avevano ricevuto rapporti, sia pure non confermati, secondo i quali la Marina sovietica stava modificando alcuni Zulù dotandoli di alloggiamenti per missili, forse forniti di testate atomiche. Ce n'era abbastanza per convincere anche i più tradizionalisti tra gli ammiragli che questa idea dello spionaggio subacqueo era qualcosa di più del tentativo di fornire lo stipendio a un gruppo di teste d'uovo rintanate nei meandri della Naval Intelligence e dell'ancora misteriosa CIA. Rendendosi conto che avrebbero potuto carpire informazioni di importanza vitale per le stesse forze subacquee, gli ammiragli al comando della Flotta dell'Atlantico e di quella del Pacifico avevano assunto il controllo di questa faccenda dello spionaggio sottomarino, conducendo il gioco e assegnando gli incarichi. Ai loro ordini, i sommergibili restavano in agguato sotto la superficie con i periscopi alzati, osservando per tutto l'anno, a parte i mesi di maggiore glaciazione, i battelli più recenti messi in campo dai sovietici. Si trattava anche di un modo eccellente di tenere in addestramento i sommergibilisti: non solo in giochi di guerra con forze amiche, ma spingendosi fino alle acque sovietiche e fronteggiando l'avversario. Per ogni comandante di sommergibile spia la massima priorità era quella che la Marina chiamava "indicazioni e allarme". Se i comandanti avessero raccolto qualsiasi segnale di mobilitazione della Marina sovietica, magari in preparazione di un attacco, avrebbero dovuto dimenticare qualsiasi precauzione, ignorare il silenzio radio e inviare alla base un rapido messaggio fin dal mare di Barents o dal mare del Giappone. Venivano intercettati ormai abitualmente dialoghi dai quali l'U.S. Navy capiva quante navi e sommergibili sovietici erano pronti a prendere il mare e quali avrebbero potuto essere le loro tattiche in tempo di guerra. Nella quasi totalità dei casi le autorità governative ricevevano - quando le ricevevano - pochissime informazioni sui rischi che stavano correndo le forze subacquee o su quello strano gioco da macho che andavano giocando. Mentre il presidente Dwight D. Eisenhower approvava con grandi esitazioni il sorvolo ad alta quota della Russia da parte degli U-2, temendo di irritare il premier sovietico Nikita Chruscév, molti conandanti di sommergibili ritenevano fosse loro compito -infischiandosene delle sottigliezze del diritto internazionale - introdursi senza esitazioni nelle acque territoriali sovietiche. Il Gudgeon prese il largo da Yokosuka per il suo turno in prossimità delle coste dell'URSS, con Norman G. "Buzz" Bessac al comando. Ora stava conducendo il sommergibile direttamente in territo rio nemico. Le spie imbarcate sul sommergibile dovevano controllare il nemico, portare in patria le informazioni raccolte e dare l'allarme se il sommergibile fosse stato scoperto da navi e installazioni costiere sovietiche, che avevano cominciato a scandagliare gli oceani con radar e sonar. I pattugliatori sovietici avevano già dato caccia a parecchi sommergibili USA. Il Gudgeon era uno dei sommergibili più moderni della Marina, uno dei primi battelli diesel progettati fin dall'inizio con uno snorkel ed equipaggiamenti elettronici d'ascolto. Nei suoi vecchi e leggendari cantieri di Groton, nel Connecticut, la Electric Boat Company aveva già ultimato i primi due sottomarini nucleari della Marina, l'uss Nautilus (SSN-571) e l'uss Seawolf (SSN-575), ma Hyman Rickover, divenuto nel frattempo ammiraglio, non era proprio sicuro di voler inviare subito i suoi battelli sulle rotte della Marina sovietica. Perciò erano i diesel a sobbarcarsi tutto il lavoro di spionaggio; e tra questi il Gudgeon, che faceva rotta a nord verso Vladivostok, la più grande base navale sovietica del Pacifico. USS 567 Gudgeon L'ammiraglio Rickover Nei primi giorni di agosto il Gudgeon si stava avvicinando alla sua postazione per un'operazione speciale, o "spec op", trasportando tre o quattro spie, alcune delle quali erano già impegnate nel lavoro di ascolto, alla ricerca di qualsiasi segnale che indicasse che un loro avvicinamento era stato captato dal nemico. Ulteriori equipaggiamenti d'ascolto erano stati stipati ovunque ci fosse spazio disponibile. Un tecnico delle comunicazioni, cui era stato insegnato il russo, analizzava le trasmissioni delle navi verso la costa alla ricerca di ogni eventuale annuncio di "sommergibile individuato". Un'altra spia cominciò a lavorare alle contromisure elettroniche, alla ricerca di emissioni radar in grado di individuare il Gudgeon, ed era pronto a segnalare la necessità di immersione. Potendo, avrebbe registrato una passata del radar affinché l' intelligence statunitense potesse trovare il modo, in futuro, di disturbare quel tipo di emissioni radar sovietiche. Uno specialista dei sonar era pronto a registrare le "tracce sonore" di qualunque nave o sommergibile sovietici che fossero passati nei dintorni. Quelle vere e proprie "impronte digitali" sonore di eliche e macchine avrebbero più tardi aiutato le forze USA a identificare le navi e i sommergibili sovietici in navigazione. Bessac non permise al suo sommergibile di perdere troppo tempo: ben presto diede l'ordine di raggiungere in segreto il limite territoriale delle dodici miglia rivendicato dai sovietici e di superarlo. I suoi ordini glielo consentivano, come gli consentivano di infrangere persino il limite territoriale di tre miglia riconosciuto dagli Stati Uniti. Quello era il vero inizio dell'operazione, che sarebbe durata un mese: muoversi durante il giorno, avvicinandosi e tenendo la maggior parte del sottomarino (lungo 87,5 m e largo 8,2 m) sott'acqua, lasciando al di sopra della superficie solo i periscopi e le antenne. Ogni notte il Gudgeon si allontanava di 20 o 30 miglia, quel tanto che bastava per azionare i rumorosi motori diesel per caricare le batterie; con lo snorkel faceva riserva d'aria fresca ed espelleva il monossido di carbonio e altri gas nocivi attraverso un apposito tubo. In questo modo si facevano provviste sufficienti di aria ed energia elettrica per affrontare un altro giorno di immersione silenziosa nelle acque sovietiche. Se tutto fosse andato secondo i piani, il Gudgeon non avrebbe mai dovuto azionare i motori vicino alle coste sovietiche, né avrebbe dovuto emergere oltre la quota snorkel fino a quando non si fosse trovato a buon punto nel viaggio di ritorno verso il Giappone. Le regole erano semplici: stai in silenzio, resta in immersione e, soprattutto, non farti scoprire. Era quest'ultima la regola più importante; il Gudgeon l'avrebbe infranta. CONTINUA -
Afghanistan - Topic ufficiale
VittorioVeneto ha risposto a Thunderalex nella discussione Discussioni a tema
Afghanistan : spari contro paracadutisti della Folgore http://it.reuters.com/article/topNews/idIT...E54D0FE20090514 -
Prova Acronis True Image ... http://www.acronis.it/homecomputing/products/trueimage/
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Si però qualche rigo più avanti dice :